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2.17. LA LETTERA DEL 4 GENNAIO 1811 AL DEGOLA: IL CORONAMENTO DI UN PERCORSO DI CONVERSIONE

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2.17. LA LETTERA DEL 4 GENNAIO 1811 AL DEGOLA:

IL

CORONAMENTO

DI

UN

PERCORSO

DI

CONVERSIONE

Come nota Fossi, la conversione si concluse soltanto quando Enrichetta e Alessandro finalmente ricevettero i sacramenti, il ritmo dei quali era scandito dai tempi severi del giansenismo rigoristico: a differenza di quanto accadde al

Ratisbonne 1, furono necessari numerosi colloqui e letture prima che i Manzoni

potessero accostarsi ai sacramenti 2. Il 25 agosto 1810 Alessandro scrive al Tosi

dell’imminente confessione: “io verrò ad implorare per mezzo del santo suo ministero la Grazia di Gesù Cristo, innanzi al quale, con tutti i miei me le

raccomando” 3. Enrichetta annunciava al Degola, nella lettera del 16 settembre

1810, di aver ricevuto separatamente la cresima (11 settembre 1810) e, in seguito,

la comunione insieme al marito (15 settembre 1810) 4. Tosi confermava: “La S.

Comunione di sabato fu d’una gioia che non si può esprimere” 5.

Anche Giulia Beccaria, dopo essersi confessata presso il confessore don Agostino Brambilla, ricevette la comunione il 15 agosto 1810, come attestano le lettere del

12 o 13 settembre 1810 e del 29 agosto 1810 6.

Il Réglement decise definitivamente l’impronta giansenistica dell’educazione religiosa in casa Manzoni. L’osservanza delle regole imposte è confermata dalla lettera, di estrema importanza, inviata da Enrichetta al Degola il 4 gennaio 1811. Al termine del percorso delineato, sembra giusto soffermarsi su di essa: si tratta infatti di una vera e propria confessione di giansenismo da parte di Enrichetta Blondel e permette forse di ovviare qualcosa alla reticenza delle fonti, lasciando immaginare con quali toni il catechista avesse condito le proprie conferenze con i coniugi Manzoni.

Dopo aver espresso gratitudine al Degola per la felicissima scelta del Tosi 7,

Enrichetta scrive a proposito della propria fede in termini molto simili a quelli che        1  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 177‐178.  2  Tonelli, op. cit. (1935), pp. 135‐136.  3 Tutte le lettere, p. 107.  4   Tonelli, op. cit. (1935), p. 136.  5   Carteggio, I, p. 247.  6 Bezzola, op. cit. (1985), p. 153. 

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Degola aveva usato alcuni anni prima nella propria Professione di fede, ispirandosi a Quesnel. Come la Geymüller, Enrichetta ringrazia innanzitutto il Degola per il lavoro svolto, ravvisando in lui la guida che le ha illuminato l’anima e la coscienza facendole “le plus grand bien à l’ame”; successivamente gli scrive

“o mon Pére, je voudrais pouvoir vous esprime tout ce que je sens… Lorsque j’entre dans une église mon cœur est rempli de confusion et en meme tems d’une joie que je ne puis dépeindre; ma première expression est: o mon Dieu ! je vous remercie ! vous permettez que j’entre dans votre sainte temple, vous ne rejettez pas mes prières, je le vois, o mon Dieu, et j’admire votre miséricorde, qu’ais-je fait pour mériter un semblable bonheur ? que suis-je ? une misérable créature; vous avez deigné jetter un regard sur moi et m’avez retiré du chemin de perdition, gloire vous soit rendue; ne permettez-pas, o mon Dieu, que jamais ma volonté vous offanse, que je me souvienne continuellement de tout le bien dons vous m’avez comblée ! Mon Père, priez pour moi, je suis une bien faible créature; je me sens quelquefois si indigne des bontés de Dieu que je suis assez méchante pour éprouver du découragement; je frémis à cette idée et je tâche de la chasser aussi tôt; je sens mes torts et j’en demende pardon à ce Dieu que j’offanse si souvent et qui chaque fois me fait éprouver les effets de sa grande

miséricorde” 8.

La preghiera scritta in corsivo si compone di reminiscenze scritturali ed è un vero omaggio all’insegnamento di Degola. Essa, come la parte immediatamente successiva della lettera, è improntata ad un senso pascaliano che mesce insieme il desiderio di colpa e il sentimento di umiliazione tipici della religiosità giansenistica: Enrichetta insiste sull’indegnità dell’essere umano, parla di sé come di una creatura miserabile, pur nella consapevolezza di essere “canna che pensa”, capace di comprendere la grandezza di Dio e la bellezza dei suoi doni. La sublime        

7 Scrive Enrichetta al Degola: “Ce bon et tendre directeur (Tosi) vient diner aujourd’hui avec nous  et c’est pour nous une fête; toutes les fois qu’il veut bien nous honorer d’une visite, c’est pour  toute  la  famille  un  vrai  bonheur,  les  domestiques  en  le  voyant  partagent  le  contentement  des  maitres,  et  les  sentiments  qu’il  inspire  ne  sont  que  respect,  d’amour  et  de  confiance”.  Lettere 

familiari, p. 138. 

8

  Lettere  familiari,  p.  139.  Come  scrive  Bacci,  che  non  corregge,  il  francese  di  Enrichetta  conteneva spesso errori. 

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preghiera qui riportata è ovviamente il coronamento di quel che Enrichetta, Alessandro e Giulia hanno appreso durante il cammino religioso fin qui percorso. Mediante la sua espressione di gratitudine a Dio, Enrichetta implicitamente rinnova il proprio grazie anche per Degola che il Signore aveva destinato a guidarla verso il ritrovamento della giusta via: è grazie a Degola che Enrichetta

riesce ad abbandonare il “chemin de perdition”, allegoria per la setta calvinista 9.

Giansenistico è da parte di Enrichetta l’insistere sull’onnipotenza della volontà divina a discapito di quella umana, sul concetto della misericordia di Dio, che sola

può abbracciare con la sua pietà il dramma della natura lapsa 10: i concetti letterari

e filosofici che il Degola aveva esposto nelle sue conferenze fanno naturalmente da sostrato: essi si depositano su uno sfondo a cui inevitabilmente l’intima quotidianità e persino lo stesso lessico familiare della neonata famiglia finisce per attingere.

Enrichetta Blondel nella sua lettera al Degola vuole evidentemente dimostrare di non aver abbandonato, sotto la guida del Tosi, i consigli e le abitudini in fatto di riti e di pratiche religiose che l’abate genovese le aveva impartito seguendo i parametri del rigorismo giansenistico:

“Toutes les fois que je le peux je vais à l’Eglise; je tâche de faire ma communion chaque 15 jours: que je ne vous paraisse pas trop orgueilleuse si je vous dis que je désirerais le faire bien plus souvent si je ne craignais d’offanser Dieu; mais je suis si méchante, si froide, si distraite …, que c’est

pour moi un sujet continuelle” 11.

Come si è già detto, la pratica di accostarsi con grande fervore alla mensa di Cristo, ricevendo l’ostia come un dono e un miracolo, è un punto fondamentale dell’insegnamento catechistico dei giansenisti, che in questo tenevano conto degli

avvertimenti di Arnauld 12. Il famoso giansenista nel suo celebre libro sulla

Fréquente Communion, condannato dalla chiesa, aveva infatti mostrato come

       9 Lettere familiari, p. 140.  10  Ibidem   11  Ibidem, p. 139.  12 Cfr. Quantin, op. cit. (2001), p. 80. 

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dietro la pratica gesuitica di ricevere spesso e con superficialità la comunione si

annidasse il pericolo di sacrilegio 13.

Degola eredita le proprie convinzioni in merito alla comunione direttamente dal mondo del giansenismo francese, ma nulla esclude che abbia attinto anche dagli esempi offerti dai giansenisti italiani che, nell’ambito di una contesa europea,

presero posizione severamente contro il lassismo gesuita 14. Tra gli italiani che

fecero sentire la propria voce su questo tema vi furono il canonico regolare

lateranense Cesare Nicolao Bambacari 15 e il Ciaffoni 16.

Successivamente, nella lettera del 4 gennaio 1811, come nota anche Carena, Enrichetta ragguaglia Degola sulle letture che Tosi le aveva consigliato:

“M.r Tosi m’a donné à lire le cathéchisme de Mompeiller, qui m’a fait le

plus grand plaisir et j’en fais quelquefois la lecture à Maman. Le soir mon

mari nous lit un peu de la Religion meditée et un livre que j’aime beaucoup et dont je tache d’en lire chaque jour un peu c’est le nouveau testament que vous nous avez procuré” 17.

Al Catechismo di Montpellier si è già fatto cenno: si trattava di un volume molto conosciuto nel mondo dei giansenisti italiani di inizio Ottocento, la cui lettura veniva vivamente consigliata dal Ricci e dai vescovi di Cortona, Colle, Chiusi e Pienza. Il Catechismo di Montpellier, attribuito al vescovo appellante Joachim

Colbert, era opera dell’oratoriano Pouget ed era stato messo all’indice 18: esso,

accanto al catechismo del Gourlin e a quello per i fanciulli del Montazet, arcivescovo di Lione, era tra i testi di riferimento dei catechisti e degli       

13

 Ibidem  

14 Jemolo, op. cit. (1928), pp. 185 ‐224. 

15  Bambacari  si  era  affiancato  all’Arnauld  nel  suo  volume,  Trattato  della  frequenza  della  SS. 

Comunione  ,  dove  respinge  l’opinione  diffusa  presso  i  gesuiti  che  la  comunione  possa  essere 

impartita quotidianamente a tutti coloro che non abbiano compiuto peccato mortale. Jemolo, op.  cit. (1928), pp. 195‐196.  16  Scrive il Ciaffoni “In questo secolo si vede una frequenza sì grande de’ Sagramenti, ma nessun  miglioramento di vita, vassi ogni giorno dal Confessore, ed all’altare per prender il Pane della vita;  ma le restituzioni non si fanno, le cattive pratiche non si lasciano, marciscono nelle scomuniche,  perché in forza delle dottrine di costoro (i probabilisti) non ne fan caso; gli odi non si depongono;  le  vanità  delle  donne  crescono  al  maggior  segno”.  Ciaffoni,  Apologia  in  favore  de’  Santi  Padri 

contra quelli, che nelle materie morali fanno di essi poca stima, citato da Jemolo in op. cit. (1928), 

p. 194.  17

 Lettere familiari, pp. 139‐140.  18 Carena, op. cit. (2000), p. 44. 

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ecclesiastici giansenisti, ma ebbe una larga diffusione anche in altri ambienti 19. Enrichetta parla poi al Degola della Réligion médité, opera di Debonnaire e Jarde,

che il Carena definisce “un classico del giansenismo” 20.

Successivamente Enrichetta parla al Degola di un altro libro famoso tra i giansenisti, nel suo titolo completo il Nouveau Testament de notre Seigneur Jésus-Christ, traduit en français selon l’edition vulgate avec les différences du grec, à Mons 21. Questo volume, conosciuto come il Testamento di Mons, prendeva il nome dalla sede belga dell’editore fittizio Gaspar Migeot, che lo avrebbe

pubblicato 22: esso era stato tradotto in francese dal famoso De Sacy 23. Il

Testamento di Mons era un’opera molto cara ai giansenisti: condannato da

Clemente IX, fu definito da Saint-Beuve “l’oeuvre de sanctuaire” di Port Royal 24.

Dopo i ragguagli sulle letture, Enrichetta Blondel informa il Degola che il Tosi “vient une fois par semaine nous faire à tous la doctrine et il l’à fait séparément en

français à une de nos femmes qui ne comprends pas l’Italien” 25.

Gli studi sulla composizione della biblioteca di Brusuglio e sulle letture di Manzoni hanno ormai da tempo messo in luce che le opere di Quesnel erano

importante supporto per l’educazione religiosa dell’intera famiglia 26.

Recenti studi hanno dimostrato che le Prières chrétiennes en forme de méditation di Quesnel erano lettura quotidiana di Monsignor Tosi che, sicuramente, discuteva

di quel testo in casa Manzoni 27. È perciò certo che di fronte al Cesari nella

famosa lettera del 1828 Manzoni abbia mentito, al fine di proteggersi: il pensiero di Quesnel, autore a cui Degola si affidò moltissimo, poté giungere indirettamente tramite gli insegnamenti che l’abate genovese impartì con le sue conferenze, e anche direttamente tramite la lettura delle sue opere, che la Chiesa aveva proibito. Con questa lettera Enrichetta ha voluto mostrare al suo vecchio catechista tutto quel che da lui aveva imparato e la ferma decisione di seguire i suoi insegnamenti: a questa esigenza rispondono la confessione dei sentimenti provati al momento di entrare in una Chiesa e i ragguagli sulle letture a cui ci si dedicava la sera in casa        19  Rosa, op. cit. (1994), p. 254.  20  Carena, op. cit. (2000), p. 44.  21 Lettere familiari, p. 140.  22  Carena, op. cit. (2000), p. 44.  23  Ibidem, p. 44.  24 Ibidem  25  Lettere familiari, p. 140.  26  Carena, op. cit. (2000), p. 45.  27 Rosa, op. cit. (1994), pp. 260‐261. 

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Manzoni. In un certo senso si tratta di una lettera che fa da spartiacque; da questo momento in poi Degola non sarà più tanto il direttore spirituale di Enrichetta, quanto piuttosto un amico e un confidente. La lettera si chiude con la promessa di fare un viaggio a Genova in primavera al fine di visitare l’abate genovese e la famiglia 28.

Intanto i Manzoni venivano affidati al Tosi che impartiva l’istruzione religiosa anche ai domestici di casa in italiano e in francese, per chi non era in grado di

comprendere la prima lingua 29. Si concludeva perciò qui il percorso intrapreso

con il Degola, che comunque avrebbe dato ulteriori frutti durante la famosa crisi manzoniana del 1817.

2.18. I RAPPORTI TRA LA FAMIGLIA MANZONI E

DEGOLA DOPO LA CONVERSIONE: GLI EPISTOLARI

DI ENRICHETTA BLONDEL E GIULIA BECCARIA

I rapporti con il Degola successivi al periodo della conversione possono essere ricostruiti studiando gli epistolari di Enrichetta Blondel, di Giulia Beccaria e Manzoni stesso. Dopo un periodo di intensi rapporti (1810-1811) l’epistolario attesta con i suoi silenzi un graduale allontanamento dalla figura dell’abate. Con parole che possono ben riferirsi a se stesso, Degola in una lettera definisce brevemente e con grande finezza il rapporto intessuto dai membri della famiglia Manzoni con il Tosi, ormai divenuto il nuovo direttore spirituale. Scriveva il Degola al Tosi:

“la confidenza religiosa con cui la signora Enrichetta vi ha affidato il suo cuore, la rispettosa amicizia di Alessandro per voi e la cristiana dipendenza della signora

       28  Lettere familiari, p. 140.  29  Tosi era solito visitare i Manzoni a Brusuglio, Milano al Caleotto: “vigilava instancabile” scrive  Tonelli. (Op. cit. (1935), p. 138).  

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Giulia dalle vostre esortazioni garantiscono, anzi giustificano pienamente la mia scelta” 30.

Si tratta di una diversità di affetti che Degola descriveva con cognizione di causa in quanto li aveva provati direttamente.

Gli anni 1810-1811 sono quelli in cui il rapporto tra Manzoni e Degola fu più

stretto 31. Lo dimostra anche la visita che nel maggio del 1811 i Manzoni fecero

alla famiglia dell’abate genovese. Giulia Beccaria e i coniugi Manzoni partirono in quell’occasione per Genova al fine di visitare il Degola e la sua famiglia a costa Sestri Ponente, dove l’abate aveva casa e parenti e dove spesso si ritirava in “cristiana solitudine” 32.

In una lettera inviata da Degola al Tosi il 1° giugno 1811 e pubblicata dal Bondioli, l’abate conferma i propri sentimenti alla famiglia e rivela il clima affettuoso di quell’incontro:

“Fate presente a D. Giulia, alla Sra Enrichetta e all’ingenuo Alessandro 33

l’invariabilità de’ miei rispettosi sentimenti e dell’interesse che ho per loro. Mia cognata e i miei fratelli ritornano ad essi e a voi le espressioni di cui si veggono onorati dalla vostra lettera. Piacque tanto a mia Cognata l’affabilità

di D. Giulia, ed il candore della Sra Enrichetta che non saprei dirne di più” 34.

Si trattò di una visita molto importante, come mostra Bondioli, perché essa conferma tutta la stima che i Manzoni avevano non solo per l’abate genovese ma anche per il Grégoire, il quale dovette essere oggetto dei discorsi tra i Degola, il Tosi e i Manzoni. Sappiamo questo dalla lettera del 18 giugno 1811 di Degola al Grégoire:

“Mandai il I° opuscolo da voi rimessovi, alla prima occasione che ne ebbi e fu al ritorno del bravo Canonico e Parroco di S. Ambrogio Maggiore di        30  Lettera del 9 settembre 1810, scritta da Degola in Bondioli, op. cit. (1936), p. 19.  31  Ibidem  32 Ibidem, p. 76.  33

  Degola  si  riferisce  alla  naturale  propensione  di  Manzoni  all’idealismo,  che  il  Tosi  considerava  pericolosa. 

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Milano Luigi Tosi che accompagnò la S.ra Beccaria, la neofita, ed il di lei marito in una visita che son venuti a farmi in Genova espressamente. Tutti mi han dimandato di voi, ed anche alle vostre orazioni attribuiscono le benedizioni che Dio ha versate e continua a spargere su tutta la loro

famiglia, di cui quel degno ecclesiastico (il Tosi) è l’Anania” 35.

Tralasciando i riferimenti biblici che Degola era solito fare 36, queste parole sono

importantissime perché testimoniano che le opere di Grégoire venivano lette in casa Manzoni. Di Grégoire Manzoni dovette sentir parlare già dai tempi della conversione: non è errato pensare che molte delle idee di Grégoire siano giunte ad Alessandro durante le Conferenze di cui si è parlato. L’ammirazione e la stima che Manzoni nutriva verso Grégoire furono enormi: si è già detto che durante il secondo soggiorno in Francia fece di tutto per incontrarlo; in piena crisi del ’17, Manzoni chiese al Fauriel di fargli avere dalla Francia, oltre a diversi volumi tra i

quali uno del Racine 37, l’ Histoire des sectes di Grégoire 38; quando poi le

Osservazioni sulla morale cattolica furono concluse, lo scrittore tenne particolarmente a farle avere al famoso giansenista francese che per primo e

diffusamente le recensì 39.

Si studino però, ora, separatamente gli epistolari tra Degola e i Manzoni, al fine di ricostruirne i rapporti. Di Giulia Beccaria ci sono rimaste soltanto tre lettere scritte al Degola, una del 29 agosto 1810, una del giugno 1811 e una terza, redatta sottoforma di proscritto, del 27 febbraio 1812, che accompagnava una lettera di Enrichetta Blondel. Nella prima, la Beccaria dava al Degola notizia del felicissimo incontro con Tosi e si lasciava andare ad intime riflessioni sul proprio rapporto con Dio, esprimendolo in termini molto vicini a quelli della Geymüller, di Enrichetta e di Degola stesso. Dopo l’accenno al Règlement, che la spaventava, la Beccaria si era soffermata sul ruolo assunto dal Canonico Tosi nella famiglia Manzoni e concludeva la lettera parlando della rafforzata amicizia con il Somis, mettendo così in luce la rete di rapporti che legava la famiglia al mondo dei        35  Carteggio, I, p. 281. Cfr. Bondioli, op. cit. (1936), p. 76.  36  Degola si riferisce all’Anania, discepolo di Cristo a Damasco, responsabile della conversione di  Paolo di Tarso.  37  Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 174.  38  Ibidem  39 La lunga recensione fu pubblicata dal Ruffini: Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 11‐20. 

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giansenisti 40. Di questa lettera di capitale importanza si parlerà nuovamente nel prossimo capitolo.

Per il momento basti dire che essa attesta fino a che punto Giulia Beccaria si sia lasciata coinvolgere dalle idee giansenistiche del Degola: in questo forse ella superò tutti gli altri membri della famiglia. Lo dimostra un Questionario sul modo di passare le ore della giornata, composto a quattro mani, dove alle domande di Giulia, su come poter guidare al meglio “la nuova vita”, si alternano le risposte

del canonico Tosi 41. L’impostazione e i toni del documento, pubblicato da

Bezzola 42, sono chiaramente improntati ad idee giansenistiche del tutto intonate

con il pensiero di Degola, come si evince anche dall’incipit:

“Facendomi il Sigr. Iddio per sua misericordia la grazia di desiderare tutti i momenti della giornata un po’ meglio di quello che io abbia mai fatto, credo di doverle esporre con verità ciò ch’io faccio presentemente acciò V(ostra) S(ignoria) R(everendissima) tolga, correga e abbi la carità di darmi una norma sicura per cominciare una nuova vita. Il Signore misericordioso benedica questo desiderio datomi da lui e mi dia la grazia di ubbidire il suo ministro” 43.

Si tratta con tutta evidenza di Réglements personali, scritti per lei su richiesta ed è una storia che si ripete: gli originali Réglements erano nati proprio così, perché la

Geymüller ne aveva fatto richiesta 44.

Ritornando all’epistolario, nella lettera del giugno 1811 Giulia Beccaria scrive all’abate genovese cominciando con un accenno al viaggio che i Manzoni avevano fatto insieme al Tosi per visitare la famiglia Degola a Genova. Da questa lettera si scopre che quel viaggio era stato intrapreso proprio su iniziativa della Beccaria: “Nel proporre e nell’eseguire il breve ma tanto gradito viaggetto a Genova io non ho fatto che ascoltare il bisogno del mio cuore che desiderava di manifestarle in una maniera più particolare i sentimenti miei della più viva       

40  Scrive  Beccaria  a  Degola:  “Il  nostro  ottimo  Somis  e  la  sua  brava  Rosa  sono  nostri,  ella  deve  sentire la nostra gioja nel possedere questo prezioso amico, che sé possibile ci diventa sempre  più caro.” Giulia Beccaria. Col core sulla Penna, p. 132.  41 Bezzola, op. cit. (1985), p. 156.  42  Ibidem, pp. 156‐163. Si rimanda ad un’altra sede l’analisi accurata del documento.  43  Ibidem, p. 156.  44 Ibidem, p. 163. 

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riconoscenza e della rispettosa devozione che le professo” 45. Dopo aver espresso i propri sentimenti, la Beccaria assicura al Degola che sono gli stessi che per l’abate nutre l’intera famiglia:

“questi sentimenti sono per tutti i titoli comuni in noi tutti cosiché la

mia proposizione è stata accettata dai miei figli come un adempimento del loro desiderio. Ci è stato veramente di consolazione l’averla trovata

così bene di salute, ed avere avuto la sorte di conoscere la rispettabile sua famiglia che spero vorrà aggradire l’espressione della mia vera stima e affezione nonché i sinceri ringraziamenti per la loro cordiale bontà verso noi tutti. Si ricorderemo sempre della bella giornata passata assieme in quella così amena campagna, e domando a loro che amichevolmente pensono a noi” 46.

Importantissimo notare come qui la Beccaria parli a nome di tutti, coinvolgendo implicitamente anche Alessandro.

Giulia Beccaria era una donna molto affettuosa e faceva spesso uso di un linguaggio sentimentale–affettivo che era di moda ai tempi. Non si deve però

dubitare della sua sincerità 47. I calorosi toni della lettera di Giulia testimoniano

tutto l’affetto che i Manzoni provavano per Degola in quel momento: l’anno 1811 è quello in cui i rapporti con l’abate genovese furono più stretti.

Nella proscritto del 27 gennaio 1812, la Beccaria rinnovava quei medesimi sentimenti di affetto e stima da parte sua e dei “suoi figli” (Enrichetta e Alessandro), ed esprimeva la contentezza dell’intera famiglia per l’intenzione manifestata dall’abate di ricambiare la visita ricevuta recandosi a Milano:

“abbiamo un sol cuore per apprezzare per desiderare questa tanto cara visita” 48.

L’idea di quel viaggio rimase però nelle intenzioni, perché Degola non visitò più i Manzoni se non dopo diverso tempo.

Lo scambio epistolare tra Degola ed Enrichetta è la più ricca testimonianza dei rapporti che legarono i Manzoni all’abate genovese. Esso attesta innanzitutto che le comunicazioni tra Degola e i Manzoni furono molto discontinue: piuttosto        45 Ibidem, p. 134.  46  Ibidem  47  Ibidem, p. 115.  48 Ibidem, pp. 135‐136. 

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frequenti sino al 1812, ripresero nel 1813 dopo in’interruzione di quasi due anni; anche in questo caso si trattò però di un breve scambio di lettere a cui seguì un nuovo lungo silenzio conclusosi nel 1817 quando i Manzoni, intenzionati a riavvicinarsi al mondo dei giansenisti francesi, lo ricontattarono.

L’epistolario tra la Blondel e Degola è molto importante perché attesta i temi che furono oggetto di discorso non soltanto tra i due ma anche durante le conversazioni del 1810 con Alessandro: argomento privilegiato è infatti la conversione e il suo significato come inizio di una vita nuova. Alla Blondel il Degola, secondo un’ispirazione comune nel mondo del giansenismo italiano, aveva ribadito la necessità di un dovere apologetico che l’abate considerava proprio della vita di ciascun cristiano: di ciò Degola aveva parlato nell’Exhortation à une nouvelle Catholique, chiarendo come la neoconvertita avrebbe avuto una sua parte di responsabilità nella futura dannazione dei genitori protestanti, qualora non avesse pregato sperando nella loro conversione al

cattolicesimo 49. Per questa ragione, accadeva che argomento delle lettere al

Degola fossero le preghiere innalzate da Enrichetta a Dio nella speranza che fosse concesso ai suoi genitori di convertirsi: questo tema, unito ad una sincera speranza da parte di Enrichetta, ricorre per la prima volta nella lettera del 16 settembre 1810: “Mes prières chaque jour sont plus fervantes: j’espere en la miséricorde infinie de Dieu pour mon Père et ma Mère et peut etre avec plus de confiances

pour mes innocentes Soeurs” 50. Due mesi più tardi Enrichetta scriveva da Milano

al Degola, mostrando tutta la propria convinzione nelle preghiere rivolte a Dio per il futuro ritorno in Cristo del padre, François Blondel: “Priez pour eux (i parenti di Enrichetta) mon cher Père en J. C.; vos priore iront droit au Seigneur; priez-le afin qu’aidé de sa grace je puisse par ma conduite et mes paroles édifier mes parens et

aider en quelque chose à leur sanctification” 51 Enrichetta prega infine per la

conversione di suo padre nella già citata lettera del 4 gennaio 1811, quando dopo aver dato notizia della paralisi che lo aveva colpito aggiunge: “vous pouvez

lumenment imaginer quelles ont été mes priore et de quel genre …” 52.

La speranza che il padre diventi cattolico non la abbandonerà neppure quando era ormai imminente la sua morte. Il tema della conversione univa naturalmente i due        49 Exhortation, p. ??  50  Lettere familiari, p. 131.  51  Ibidem, p. 135.  52 Ibidem 

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interlocutori, come dimostra la lettera del 27 dicembre 1811, in cui Enrichetta allude alle altre conversioni operate da Degola; l’abate era stato male per qualche tempo e la Blondel scriveva:

“Il me serait bien doux de vous savoir en parfaite santé; j’ai vu avec bien de la peine les incommodités que vous avez éprouvées, mais il plaira au Dieu des Misericordes de conserver long-tems celui dont il se sert si souvent pour

opérer le salut de ses autres Enfants” 53.

In questo passo vi è una chiara allusione alle nuove conversioni compiute dal Degola, di cui Enrichetta stessa può rallegrarsi: ella ha infatti imparato dall’abate a considerare il proprio singolare percorso di conversione come un viaggio, compiuto anche a nome dell’umanità intera, funzionale ad una redenzione collettiva; anche gli elementi laici della comunità negli ambienti giansenistici cui apparteneva Degola erano infatti tenuti a prendere parte significativa all’attività apologetica con serietà e fermezza, per quanto anche con discrezione. Alla luce di tutto ciò si può certo comprendere con maggiore profondità il comportamento di un laico come Somis. Sempre con lo stesso spirito, il 16 marzo 1813 Enrichetta dà al Degola notizia della conversione di una rispettabile famiglia svizzera, quella di

M. r de la Frayere 54, che rivolgendosi proprio ad Enrichetta le aveva parlato delle

sue nuove ispirazioni religiose e del desiderio di abbracciare il cattolicesimo. Sorprendente è il fatto che Enrichetta dopo circa due anni di silenzio decida di scrivere al Degola quasi soltanto per dargli questa notizia. Sapendo di incontrare la sicura approvazione dell’abate, Enrichetta gli racconta che il signor De La Frayère, prima di prendere questa decisione l’aveva ponderata a fondo studiando a lungo “toutes les prétendues religions” e decidendosi infine per la “seule et immuable religion Catholique” spinto da “une vraie persuasion”. Enrichetta dimostra ancora una volta di aver interiorizzato profondamente gli insegnamenti dell’abate, comprendendo quanto la ragione guidata dalla fede sia indispensabile alla fede stessa, intesa anche come atto compiuto con la logica in quanto operato

da una sincera e ragionata persuasione 55. Enrichetta nella stessa lettera racconta

       53  Ibidem, p. 156.   54  Bondioli, op. cit. (1936), p. 101.  55 Colombo, op. cit. (1991), p. 56. 

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all’abate che il signore svizzero aveva tardato nel prendere quella decisione perché desideroso di attirare al cattolicesimo anche la moglie e i suoi tre figli. Seguendo ancora una volta le idee di Degola, Enrichetta attribuisce questo nuovo miracolo alla volontà di Dio e ringrazia la “miséricorde de Dieu” per averle permesso di contribuirvi: “Il semble que Dieu ait voulu par sa grande miséricorde

me faire entrer aussi p(our) quelque chose dans cette belle oeuvre” 56. Enrichetta

aveva infatti messo il signor De la Frayère in contatto con il Tosi e lo aveva probabilmente incoraggiato a compiere quella scelta, facendogli intravedere con la discrezione e serietà in lei consuete, tutta la forza della propria risoluzione. Anche queste parole, come si vedrà meglio nel prossimo capitolo, sono riconducibili all’insegnamento giansenistico ricevuto da Degola. Nella letteradel 28 marzo 1813, Enrichetta informa l’abate di aver potuto svolgere per quella famiglia un ruolo ben più importante di quello di una semplice amica. Scrive infatti a proposito del Signor De La Frayère :

“Le Pére me vient voir souvent et ses visites sont longues: je lui ai donné à lire le petit discours que vous m’avez fait le jour de mon heureuse abjuration des Erreurs Calvinistes et puis quelques autres petits écrits de votre main qu’il m’a marqué désirer beaucoup pour son instruction et celle de sa famille, je lui ai donné aussi le Catéchisme de Mntpellier (avec le

consentement de M.r Tosi); les conférences de M.r Claude: l’Exposition de la

foi Catholique; Les Préjugés légitimes et aoutres livres de ce genre” 57.

Enrichetta aveva insomma contribuito alla conversione della famiglia svizzera prestando al signor De La Frayère i volumi e le opere che i giansenisti vicini ai Manzoni consideravano necessari alla formazione religiosa dell’individuo e del cristiano. Enrichetta aveva inoltre ritenuto necessario donare al De La Frayère alcuni scritti di Degola, che evidentemente la famiglia Manzoni custodiva, e una copia del discorso di abiura Exhortation à une nouvelle Catholique, vero e proprio manifesto del pensiero dell’abate genovese in fatto di conversione e giansenismo. Indipendentemente dalla conversione della famiglia svizzera, questa è una notizia sorprendente: dimostra che i Manzoni conservavano con grande cura le pagine di       

56

 Ibidem, p. 165.  57 Ibidem, p. 167. 

(14)

quel breve discorso, e che accanto ad esso non mancavano altri scritti del Degola, tra cui forse la Justification de Fra-Paolo Sarpi, ou Lettres d'un prêtre italien, che

Degola scrisse, come dice Ruffini, quasi sotto gli occhi di Manzoni stesso 58.

Stando alla lettera del 28 marzo 1813, la Blondel aveva donato al signor De La Frayère le Instructions générales en forme de Cathéchisme di Montpellier, le Conférences del prete calvinista Claude, l’Exposition de la foi Catholique di

Mésenguy e infine le Les Préjugés légitimes di Pierre Nicole 59.

Enrichetta parlava poi con il Degola del proprio rapporto con Dio, risolto naturalmente in chiave giansenistica e della vita religiosa dell’intera famiglia ormai guidata dal Tosi, al quale spesso la Blondel non manca di alludere. Nella lettera del 27 marzo 1811, con toni che ricordano da vicino quelli della Geymüller, Enrichetta scrive al Degola:

“Je m’afflige souvent de me voir si indigne des grâces dont Dieu me

comble à chaque instante et de ne savoir souffrir avec un peu plus de résignation. ô ! combien je m’humilie devant mon C Chrîts ! et dans ce

tems même où je me nourris de la lecture de sa passion, ne suis-je pas assez faible pour me plaindre de mes maux ? J’espère tout en la miséricorde de

ce Dieu tout bon et aux prières es personnes charitables qui veulent bien se

souvenir de moi” 60.

Come si vedrà meglio nel prossimo capitolo si tratta di parole significanti e pregne, veramente cariche del giansenismo degoliano.

Possono essere lette come ulteriore professione di cattolicesimo giansenistico, le righe che Enrichetta scrisse il 15 novembre 1811 al Degola a proposito della piccola Luigia Maria Vittoria: “Dieu n’a pas permis que j’eusses un autre Enfant à éléver; mais que son saint nom soit beni, il a bien voulu me donner un ange qui

puisse m’obtenir grâce devant lui” 61. Enrichetta è grata a Dio, anche se in un

momento di pena e sconforto, perché la bambina, pur avendo vissuto per sole poche ore, rimase al mondo abbastanza a lungo per poter ricevere il battesimo, salvandosi così dalla dannazione. Paura e speranza per le possibilità della seconda        58 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 246‐252.  59  Lettere familiari, p. 167.  60  Ibidem, p. 142.  61 Ibidem, p. 155. 

(15)

vita della piccola creatura, vengono espressa anche nella lettera al Degola del 27 febbraio 1812:

“Mais moi, indigne et faible créature, porrai-je l’espérer? Sans une grâce de Dieu particulière? Sa Miséricorde est infinie! et comme i se plait à répandre ses dons les plus précieux sur les plus faibles, je confie en Elle et dans les prières des bonnes personnes aux quelles je me recommende toujours” 62.

Come si è già visto, la convinzione nella misericordia di Dio, con cui affrontare le avversità, costituiva sicuramente un punto fondamentale dell’educazione giansenistica impartita da Degola ai Manzoni, ed Enrichetta lo interiorizzò moltissimo, come dimostra anche la lettera del 24 aprile 1812, quando la donna si appella nuovamente alla misericordia di Dio per trovare forza e consolazione di fronte alla morte del padre: “mon pauvre Cœur à été bien affligée, mais Dieu qui

n’abbandonne jamais ses creatures, m’a donné preuves de Sa grande miséricorde” 63. Il concetto che Enrichetta aveva di Misericordia di Dio emerge con grande chiarezza anche nella lettera del 27 dicembre 1811, in cui scrive, a proposito dei giorni di Natale e delle feste di fine anno, che esse le offrono maggiormente ispirazione per pensare che “la bonté de Dieu accepte aussi la

prière de l’indigne” 64. Il momento festivo del Natale riporta infatti alla mente il

supremo atto di generosità compiuto da Dio nel donare tramite il figlio alla natura lapsa e indegna la speranza della salvezza e della redenzione.

Non mancano poi nell’epistolario riferimenti alla vita religiosa dell’intera famiglia, scandita dal ritmo severo dell’impostazione giansenistica. Ne è un esempio di questo la già studiata lettera del 4 gennaio 1811. Enrichetta aggiornava poi Degola sull’operato di Tosi nella lettera del del 27 dicembre di quello stesso

anno: “Mr le Chanoine n’a aussi rien reçu de tout ce que vous lui avez envoyé: il

se propose bien bien tôt de vous écrire. Nous l’attendons aujourd’hui, a nous faire

la doctrine” 65. In queste parole la moglie di Manzoni allude all’istruzione

religiosa che il Tosi era solito impartire all’intera famiglia e ai domestici tra i        62 Ibidem, p. 158.  63  Ibidem, p. 162.  64  Ibidem, p. 156.  65 Ibidem, p. 157. 

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quali spiccava Fanny Mazzucchelli, che dopo aver lavorato a lungo per la

Beccaria, prestò servizio per l’intera famiglia Manzoni 66. Alle parole di

Enrichetta segue un elogio appassionato della figura del Tosi, che il Bacci giudica significativo per la sua sincerità:

“la charité de ce digne Ministre de Dieu est infatigable, il ne goute jamais un moment de repos, et quoique la santé ne soit pas tres bonne il s’oublie entiérement pour ne penser qu’aux biens spirituels et temporels des autres (car il est pour tout et pour tous) le Père l’ami le plus tendre et le Ministre le

plus empressé” 67.

Enrichetta, quando può, aggiorna poi Degola sulle notizie ricevute dagli appartenenti al circolo giansenistico parigino e italiano. Nella lettera del 27 marzo 1811 Enrichetta informava il Degola di aver ricevuto notizie dalla Geymüller, che le aveva confidato di essere in perfetta salute e le aveva inviato “bonnes nouvelles de toutes les respectables personnes que j’ai eu le bonheur de connaitre avec elle”

68. La vedova si riferisce ovviamente al circolo del giansenisti di parigini. In

quella del 25 novembre 1811 Enrichetta parla nuovamente al Degola della Geymüller che con lei, dopo la conversione, continuava a scambiare impressioni sul percorso intrapreso, esprimendo dubbi ed inquietudini sulla saldezza della

propria fede: “J’ai reçu une lettre de Mme Geymüller qui me parle beaucoup de

vous, mon très Père et elle me temoigne aussi de l’inquietude sur votre compte:

veuillez nous ôter a tous cette peine” 69. Successivamente, non avendo più

ricevuto lettere dalla Geymüller per un lungo periodo di tempo, Enrichetta scriveva al Degola chiedendo notizie di lei (lettera del 24 aprile 1812):

“Avez-vous reçu des nouvelles de Mme Geymüller? Il y a bien long-tems que je lui ai écrit

et je n’en ai jamais reçu de réponse” 70.

Un altro argomento dell’epistolario Enrichetta-Degola riguarda le vicende familiari sulle quali i due si aggiornavano periodicamente: questo è sicuramente un importante indizio dell’ottimo rapporto che univa i Manzoni non soltanto a        66  Giulia Beccaria. “Col core sulla penna”, p. 141.  67 Ibidem, cfr. n. 8.  68  Ibidem, p. 142.  69  Ibidem, p. 155.  70 Ibidem, p. 163. 

(17)

Degola ma anche alla sua famiglia 71. Nella lettera del 16 ottobre 1810 Enrichetta porge a Degola le condoglianze per la morte di sua madre, scrivendogli a nome dell’intera famiglia: “Oui, mon Père, mon mari, maman et moi nous avons prié et nous prions journellement pour elle (la madre di Degola). Je vous écris comme

vous le voyez au nom de nous tous” 72. Nella medesima lettera gli racconta ancora

della malattia che affliggeva il padre François Blondel, e in quella del 27 marzo 1811 allude alla propria gravidanza e agli spostamenti della famiglia Manzoni in campagna per la fine del Carnevale. Sempre nella lettera del 27 marzo 1811 Enrichetta scriveva a proposito della defunta madre dell’abate: “Je m’oublie jamais dans le Sacrifice de la Sainte Messe de prier pour le repos de votre respectable et bien digne Mère” e concludeva inviando i suoi saluti a Caterina Degola, sorella di Eustachio, che abitava verosimilmente nella stessa casa dell’abate 73.

Anche Enrichetta, poi, come la Beccaria, nella lettera del 15 novembre 1811 concludeva accennando alla visita che i Manzoni e il Tosi avevano fatto alla famiglia del Degola: dopo aver salutato calorosamente la sorella e i fratelli di Degola, si augurava di fare amicizia con i nipoti dell’abate. In effetti, nelle lettere successive alla visita ai Degola, Enrichetta non manca mai di salutare sentitamente i parenti dell’abate, mostrando particolare affetto per la sorella

Caterina 74. Nella lettera del 27 febbraio 1812 la moglie di Manzoni scrive poi al

Degola sperando in un miglioramento dello stato di salute della nipote dell’abate, Isabellina.

Dopo diversi mesi, il 24 aprile 1812 Enrichetta dava al Degola notizia della morte di François Blondel, il solo dell’intera famiglia che per lei, dopo la conversione,

era rimasto lo stesso offrendole l’affetto di sempre 75. La lettera successiva

all’abate fu scritta quasi un anno dopo: il 16 marzo 1813 76. Enrichetta dà al

Degola notizia di essere incinta del primo maschio e ringrazia l’abate genovese       

71

  Spesso  Degola  spediva  dei  funghi  dalla  sua  tenuta  in  Liguria,  come  testimonia  l’epistolario. 

Lettere familiari, p. 213.  72 Ibidem, p. 134.  73  Ibidem, p. 142.  74  Cfr. come ulteriore esempio la lettera del 27 ottobre 1811 scritta da Brera. Lettere familiari, pp.  156‐157.  75  Ibidem, p. 162.  76

  Enrichetta  scrive  “ce  16  Mars.  1815”  sottolineando  la  data  più  volte,  ma  gli  studi  del  Bacci  hanno dimostrato che si tratta con tutta evidenza di un errore. Lettere familiari, p. 164. 

(18)

per i versi che egli aveva scritto per la prima figlia Giulietta Manzoni 77. In una lettera immediatamente successiva, del 28 marzo 1813, Enrichetta manifesta la

propria afflizione per alcuni lutti che avevano colpito i Degola 78: la cognata

dell’abate aveva infatti perso un figlio, e ai Manzoni la notizia era pervenuta tramite Tosi 79.

I Manzoni dopo la visita a Genova, di cui si è già parlato, sentirono Degola sempre più di rado e non lo videro se non dopo molto tempo: nella lettera del 24 aprile 1812 Enrichetta, proprio come aveva fatto la Beccaria, si rallegra per un’imminente visita che il Degola aveva promesso di fare alla famiglia dopo le vacanze di Pasqua. Essa però non ebbe luogo.

Nell’epistolario della Blondel il nome di Degola ritorna tra i destinatari solo nel 1817, nel pieno di quella crisi politica e religiosa che, trovando i suoi primordi nel

1815, ebbe strascichi sino al 1820 80. La crisi era stata scatenata dalla passione

politica di Manzoni 81: dalla contemplazione delle terribili vicende che

affliggevano la Francia e soprattutto l’Italia schiava degli stranieri; alla questione politica si era poi aggiunta quella religiosa; Manzoni non poteva soffrire il ritorno del gesuitismo in Francia, l’ipocrisia cattolica ritornata in auge, e soprattutto le

persecuzioni subite dai giansenisti e da Grégoire 82. A lui principalmente,

Manzoni si rivolgeva in questo difficile periodo della sua vita: il giansenismo illuministico dell’abate Grégoire rappresentava infatti per lui quel perfetto equilibrio tra ideali religiosi e politici che egli andava cercando 83. La crisi di nervi del '17 fu anche causata dalle insopportabili pressioni a cui Tosi lo sottopose, ed essa generò in Manzoni il desiderio di fuggire dall’angusto e

patinato mondo milanese 84.

La sua profonda insofferenza verso il Tosi e verso Milano lo spinse fino a disdegnare l’amicizia dei suoi più cari amici e a meditare l’idea di un viaggio:

Manzoni voleva tornare a Parigi 85.

       77 Ibidem  78  Ibidem  79  Ibidem  80 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 254‐56.  81  Gaetano Trombatore, La formazione del grande Manzoni (1810‐1819), Firenze: La nuova Italia  editrice, 1993, pp. 33‐51.  82 È lo stesso Manzoni a dirci questo nelle lettere al Tosi del 1817.  83  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 258‐259.  84  Ibidem, p. 260.  85 Ibidem 

(19)

Delle intenzioni di ritornare in Francia Enrichetta parla al Degola nella lettera del 7 aprile 1817:

“Mon Alexandre est toujours à peu près de meme pour la santé; on lui a conseillé de faire un voyage; et dans sa situation il lui semble que le seul qui puisse lui convenir c’est celui de Paris: comme il ne sçaurait ni ne pourait se détacher de sa famille, il faudrait donc que nous l’y accompagnions; c’est un peu une grande entprerise, et qui m’embarasse fort, mais enfin elle parait

nécessaire pour la santé de mon pauvre Mari” 86.

Enrichetta scrive al Degola che quel viaggio avrebbe dovuto avere luogo a maggio, che Parigi sembrava la meta migliore al marito, il quale in quella città rivedeva il proprio passato parigino, gli anni belli a fianco del Fauriel e dei giansenisti francesi. Nella stessa lettera Enrichetta chiede al Degola il favore di

scrivere al Grégoire, “dont nous désirons bien de faire la connaissance” 87.

Manzoni voleva perciò tornare a Parigi anche per incontrare quell’uomo di cui desiderava profondamente fare la conoscenza e al quale aveva già fatto pervenire i

suoi Inni Sacri nell’edizione del 1815 88. Nella stessa lettera Enrichetta scrive al

Degola del proprio desiderio di riabbracciare madame Geymüller con la quale aveva ormai perso i contatti, e infine di visitare nuovamente la Chiesa di Saint Sévérin, come è già stato detto. L’ultima lettera di Enrichetta a Degola è del 17

giugno 1817 89: la moglie di Manzoni scrive nuovamente all’abate per rassicurarlo

e per parlargli della ritrovata tranquillità in casa Manzoni: il viaggio a Parigi era stato impedito dal rifiuto del Governatore della Lombardia, il conte Francesco di

Sauran, di firmare i passaporti necessari 90. Questo evento causò grande agitazione

in casa Manzoni, e Ruffini, con cui però Bondioli non concorda, ipotizzò che

dietro il categorico rifiuto del Conte si debba ravvisare l’intervento del Tosi 91.

      

86

  Lettere  familiari,  pp.  212‐213.  Si  sta  riferendo  alle  crisi  nervose  di  Manzoni:  per  questo  lo  chiama “pauvre”.  87 Ibidem, p. 214.  88  Ibidem, cfr. n. 11.  89  Ibidem, pp. 215‐216.  90 Bondioli, op. cit. (1936), p. 145.  91

  Lettere  familiari,  p.  215.  Il  Tosi  doveva  certo  vedere  di  cattivo  occhio  il  ritorno  agli  antichi  sentimenti di amicizia verso i Fauriel che nel suo rigorismo morale rappresentavano uno scandalo  pubblico e il connubio di due forze sovversive. Bondioli, op. cit. (1936), p. 37.  

(20)

Il dubbio è risolto a favore della tesi di Ruffini 92 da Floriani, che ricorda una lettera del 14 giugno 1817 di Tosi al Degola, in cui il canonico dichiarava

“superato un errore che (il Manzoni) andava a commettere” 93.

2.19 I RAPPORTI TRA DEGOLA E MANZONI DOPO LA

CONVERSIONE

Le lettere rimasteci dell’epistolario tra Manzoni e Degola sono purtroppo pochissime, e questo silenzio è un ostacolo insormontabile in una ricerca che si interessa di studiare in profondità il rapporto tra i due.

Della lettera del luglio 1810 si è già abbondantemente parlato: molto del rapporto tra Manzoni e Degola si trova nelle conversazioni andate perdute, ma è certo che il 1810 sia stato l’anno in cui il legame tra i due fu più profondo.

Abbiamo solo una lettera che, emergendo da quanto è andato perduto, ci offre spunti sulla profonda influenza che Degola ebbe su Manzoni: fu inviata al Tosi nel giugno del 1811. Per il momento basti dire che in essa Manzoni confidava al Tosi di credere che le buone opere fossero un mezzo offertogli da Dio per

rimediare ai propri errori, in conformità con quanto Degola sempre insegnava 94.

Ad essa segue la lettera del 7 settembre 1811, in cui Manzoni dimostra per la prima volta di aver assunto su di sé lo stesso onere che Enrichetta sentiva di dover osservare di fronte all’intera comunità cristiana: il dovere apologetico, considerato di primaria importanza dal Degola. Una volta conclusosi l’iter della conversione, l’abate genovese non nutriva timori per la fede di Enrichetta, che si era dimostrata incrollabile; era invece preoccupato per Manzoni del quale scrive, il 22 febbraio 1811, al Tosi:

“Per il buon Alessandro confesso che sono in inquietudine, perché i miei timori sulla dissipazione che potevano cagionargli le cure di una fabbrica        92  Ruffini, op. ct. (1931), I, pp 260‐265.  93  Carteggio, op. cit., I, p. 402. Floriani, op. cit. (2007), p. 311.  94 Bondioli, op. cit. (1936), p. 80. 

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dispendiosa in Brusuglio, le brighe per gli affari propri, a’ quali giustamente ha cominciato ad attendere, e la conversazione di qualche amico di Milano, non sono stati del tutto vani. Vorrei vederlo occupato più seriamente, più economo del tempo, e più docile alle insinuazioni dolcissime della moglie e della madre” 95.

Manzoni sembra confermare questi timori nella lettera del 1811:

“La famiglia tutta si raccomanda alla memoria sua innanzi al Signore, ed io principalmente come il più bisognoso di tutti. Preghi Ella perché piaccia al Signore scuotere la mia lentezza nel suo servizio e togliermi da una tepidezza che mi tormenta e mi umilia; giusto castigo per chi non solo dimenticò Iddio, ma ebbe la disgrazia e l’ardire di negarlo. Ma se il desiderio mio è per la gloria di Lui, e se sarà avvalorato dalle sue orazioni

spero vederlo esaudito” 96.

Queste parole vanno lette ed interpretate a più livelli.

Da un lato Manzoni, alla stregua della moglie e della madre, si confessa al Degola come farebbe un semplice catecumeno affidato ad un direttore spirituale giansenista: perciò egli ravvisa nella preghiera il mezzo umano necessario a far sì che Dio dia all’uomo il dono della grâce actuelle, al fine di condurlo sulla strada della salvezza (offerta dalla grâce habituelle); d’altro canto Manzoni sente su di sé il peso di un compito difficile, che egli spera di poter adempiere ma al tempo stesso non se ne sente in grado: il compito apologetico, che se per una persona comune come Enrichetta poteva essere un leggero fardello, esso pesava moltissimo sulla testa di uno scrittore affermato, al quale era richiesto di mettere la propria penna al servizio di Dio. Su questo punto Manzoni sarà sempre combattuto per ragioni profonde: lo scrittore non farà mai apologia alla maniera dei giansenisti; inoltre le crisi nervose, che lo afflissero, riguardavano anche la sua fede, spesso messa in dubbio e più volte rinnegata. Per queste ragioni Manzoni si trovò spesso combattuto tra la necessità di adempiere il dovere apologetico, che

      

95

 Carteggio, I, p. 261.  96 Tutte le lettere, p. 123. 

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Tosi e Degola gli imponevano, e il desiderio di libertà e autonomia, che gli proveniva da dentro; alla fine vinse quest’ultimo.

Ciononostante, al tempo della lettera sopra citata, il legame con Degola era ancora molto forte, così come la grande considerazione delle idee da lui professate. Per questa ragione egli rivede ora nel proprio ruolo di scrittore cristiano un mezzo necessario per riscattare e rimediare al proprio trascorso ateismo: non si tratta di un’imposizione ma di un’esigenza avvertita da Manzoni, dopo le lezioni di Degola, come imprescindibile e necessaria alla propria salvezza spirituale. Su questo punto l’influenza di Degola su Manzoni non si spegnerà mai, ma assumerà connotati differenti nel corso degli anni, perché lo scrittore ridefinirà il proprio ruolo apologetico subordinandolo alla profonda richiesta di libertà e autonomia che gli veniva dalla voce del suo genio e della sua sensibilità intellettuale; tutto questo avverrà nell’ambito di un conflitto con sé stesso che egli confesserà alla Saluzzo di Roero.

Anche nella lettera del 27 febbraio 1812 ritorna il senso di questo dovere che Manzoni sente di doversi assumere. Lo scrittore comincia, perciò, a far emergere nei suoi scritti il tema religioso, come evidentemente aveva promesso a Tosi e Degola. Lo fa però in modo cauto, con un atteggiamento distante dalla plateale e baroccheggiante apologia di autori come Chateaubriand. Conferma tutto ciò quanto Manzoni scriveva al Degola:

“Mi sento pure obbligato in coscienza a disingannarvi su un altro articolo nel quale mostrate di aspettare da me più ch’io non penso di fare. L’operetta ch’io ho pensata a Parigi e che ora sto lavorando, non è sostanzialmente religiosa, bensì la religione v’è introdotta coi suoi precetti, e coi suoi riti;

insomma l’opera non è apologetica, qual mi pare la supponeste” 97.

Manzoni cerca evidentemente di smentire e ridimensionare alcune parole di Tosi, che aveva parlato troppo frettolosamente riferendo al Degola notizie un po’ gonfiate: la religione cattolica nel suo nuovo poema, Vaccina, comparirà solo parzialmente, introdotta coi suoi precetti e coi suoi riti.

      

(23)

Manzoni sin da subito rivendica autonomia, e fa capire che il suo genio segue aspirazioni proprie. Questo però non implica affatto il desiderio di venir meno al dovere apologetico, che al contrario viene soltanto circoscritto e subordinato alle esigenze creative della sua arte. Con l’intento apologetico entrò in conflitto anche

l’incertezza della propria fede…98

Ma, al di là degli intimi e complessi dubbi che Manzoni poté cominciare a nutrire sulla propria religiosità, è evidente che dopo la conversione i suoi scritti non ignorarono mai il tema religioso e ne fecero anzi un oggetto di studio privilegiato. Senza perciò esser costretti a considerare in questa sede la difficile parentesi delle Osservazioni Sulla Morale Cattolica, pare evidente che degli insegnamenti del Degola al Manzoni ebbe effetti durevoli soprattutto quello di dover fare apologia 99.

L’apprendimento della necessità del dovere apologetico va ricercato nelle conferenze di Degola: diffondere i precetti del cristianesimo per l’abate genovese non è affatto compito esclusivo dell’ecclesiastico ma è dovere di tutti, acquisito nel preciso istante in cui per per la prima volta si entra a far parte della comunità

cristiana 100; la conversione del singolo deve essere sempre anticipazione profetica

di quella collettiva, come Degola insegnava nell’Exhortation à une nouvelle catholique. Ogni cristiano in grado di lottare con le proprie forze per il ritorno in Cristo di altri uomini, doveva contribuire, nell’ottica dell’abate genovese, alla futura redenzione dell’umanità e alla sua riunificazione universale. Ogni singolo atto compiuto da ciascuno in questa direzione veniva considerato dal Degola fondamentale, come un ulteriore passo verso la dissipazione delle tenebre dell’ignoranza e dell’ateismo che, secondo i giansenisti, avvolgevano il mondo

101. Tutto questo diventava straordinariamente rilevante quando i giansenisti si

trovavano a considerare l’importanza di avere al proprio servizio una penna brillante e geniale come quella di lui: da qui nascono anche le famose imposizioni

      

98

 Giustamente Ruffini definisce la presenza di due momenti contrapposti: negli anni dal 1810 al  1813  Manzoni  si  dedicò  con  entusiasmo  alla  redazione  dei  primi  Inni  di  cui  è  chiaro  l’intento  apologetico.  Si  osserva  poi  una  cesura  di  due  anni  segnati  dai  grandi  rivolgimenti  politici  del  tempo (1814‐1815) e infine un nuovo periodo, quello delle Tragedie che fu segnato da una fede  non sempre salda e da un provvisorio ritorno dell’ateismo. Ruffini, op. cit. (1931), II, p. 256.  99  Cfr. Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 277‐315.  100  Su questo Degola concordava con De Vecchi. Rosa, op. cit. (2014), pp. 203‐204.  101 Caffiero, op. cit. (1988), pp. 178‐186. 

(24)

a cui Tosi sottopose Manzoni 102; il canonico avrebbe voluto fare dello scrittore un redivivo Pascal. Anche Degola, per quanto più rispettoso dell’indole e dell’autonomia che desiderava avere il grande scrittore, covava il desiderio di trovare in lui un grande alleato e sostenitore delle idee cristiane e giansenistiche. Vi è però da dire che dopo la lettera del 27 febbraio 1812, lo scambio epistolare tra Degola e Manzoni fu praticamente inesistente. I rapporti sembrano in qualche modo essersi raffreddati forse a partire dalla famosa visita che, per iniziativa della

Beccaria, i Manzoni fecero ai Degola, recandosi a Genova 103.

È possibile, come ritiene Bondioli, che Degola fosse d’accordo con il Tosi e che egli per primo avesse voluto forzare un po’ la mano, cercando di imporre al genio letterario di Manzoni obblighi che quest’ultimo non sentiva consoni né alla

propria vena artistica, né, soprattutto, al proprio desiderio di libertà 104.

Conoscendo la limpidezza, la dirittura morale e il forte carattere di Degola, risulta però difficile credere che egli abbia cercato di imporsi su Manzoni in nome di una

qualche velleità o dell’interesse a strumentalizzarlo 105. Degola era infatti

sinceramente convinto del fatto che Dio avesse affidato ad ogni cristiano il compito di difendere l’unica vera religione e di acquistare ad essa nuovi proseliti: l’abate genovese doveva perciò ritenere che fosse anzitutto nell’interesse di

Manzoni stesso fare apologia e proselitismo 106.

Un’altra ragione che poté causare il raffreddamento dei rapporti deve ricercarsi nello spirito polemico di Degola, e a questo proposito appare plausibile ritenere che Bondioli non abbia torto. Anche se il Degola nulla fece, è molto probabile che Manzoni interruppe quel rapporto per il timore che il giansenista genovese gli imponesse l’obbligo di una dipendenza a cui Alessandro non voleva sottostare: lo scrittore, che condivideva il pensiero dei giansenisti per molti versi, ne disapprovava la faziosità, e non avrebbe mai voluto scrivere pubblicamente contro i gesuiti e in ogni caso voleva sentirsi libero di recuperare dal giansenismo

soltanto quanto egli avesse ritenuto giusto e necessario 107.

      

102

  Ad  esse  si  riferiscono  gli  studi  di  Amerio,  Ruffini  e  Bondioli.  Dopo  l’auto‐da‐fé  dei  libri  di  Rousseau  e  di  buona  parte  dei  libri  di  Voltaire  Alessandro  cominciò  a  mostrare  i  segni  di  irrequietezza che sfociarono nella crisi del 1817.  103  Bondioli, op. cit. (1936), p. 82.  104 Ibidem  105  Ibidem  106  Ibidem  107 Ibidem, pp. 82‐83. 

(25)

In realtà, però, il motivo decisivo per il definitivo abbandono di quel rapporto fu il seguente: Degola era visceramelmente implicato in delicate questioni politiche e religiose nelle quali Manzoni non aveva alcuna intenzione di essere coinvolto. Durante la visita all’abate genovese avvenuta il 19 maggio 1811, tra gli argomenti che gli ospiti si trovarono a trattare ci furono senz’altro i recentissimi avvenimenti

politici e religiosi di cui l’abate genovese era divenuto protagonista 108: il 19

maggio 1811 l’arcivescovo di Tours, i vescovi di Treviri e Nantes, col vescovo di

Faenza e mons. Bosignore 109 avevano incontrato il Papa Pio VII a Savona, al fine

di imporgli l’accettazione del concilio che l’imperatore voleva aprire in

Notre-Dame di Parigi 110. Il fulcro della questione riguardava stavolta una nuova

divergenza tra l’Imperatore e il Papa 111. Già precedentemente, ai primi dell’anno,

Degola era stato coinvolto nella disputa perché l’arcivescovo di Genova volle interrogarlo e avere notizia del carattere dell’arcivescovo di Strasburgo, un costituzionale amico di Degola e della Geymüller. Inoltre nel 1811 l’abate genovese seguiva con grande attenzione i lavori di un nuovo concilio parigino, mantenendosi in contatto con il Dania, vescovo di Albenga e segretario del concilio stesso, con il D’Allegre, vescovo di Pavia, con il Saurine e il Le Coz,

vescovo costituzionale, e infine con il Grégoire stesso 112. Le cose non andarono

però secondo i desideri del Degola: il concilio fu sciolto e alcuni vescovi vennero

arrestati e spostati a Vincennes 113. Questi fatti, riferiti dal Bondioli, sono più che

abbastanza: la visita in Liguria dovette fargli capire che avere a che fare con il Degola significava anche mantenere rapporti con il mondo pericoloso dei giansenisti, rispetto al quale Manzoni desiderava assolutamente rimanere un estraneo. Lo scrittore lombardo infatti non fu mai un coraggioso e per questioni di sicurezza personale fu sempre interessato a tenersi il più possibile lontano dai pericoli a cui invece così volentieri si esponevano Degola e Grégoire.

Manzoni però condivideva (lo dimostrano i suoi scritti) molto delle teorie dell’abate genovese e desiderava ricevere il suo giudizio sulle proprie opere. La        108  Ibidem, p. 85.  109  Cfr. Eustachio Degola, il clero costituzionale, p. 13.  110 Bondioli, op. cit (1936), p. 86.  111  Ibidem  112  Al Grégoire scriveva: “Mi farete gran piacere di scrivermi, o farmi da altri scrivere le nuove del  Concilio, che deve aver aperte le sue sessioni. Credo che i due Nazionali non avranno niente da  invidiargli.  Spero  che  l’attuale  Concilio,  col  divino  ajuto,  farà  tanto  più  di  bene,  quanto  che  la  Curia romana facea pesare sulle Chiese diverse”. Carteggio, I, p. 283. 

(26)

lettera al Tosi dell’11 ottobre 1812 ci attesta che Degola ricevette da Manzoni il primo Inno La Resurrezione. Egli scrive infatti al Tosi il 6 dicembre 1813: “Fate i

miei complimenti alle Sre Giulia ed Enrichetta. Ho ricevuto da questa una Lettera

di cui la ringrazierete in mio nome, anche pel bell’inno di Alessandro sulla

Rissurezione (sic). Godo assai ch’ei lavori” 114.

L’estate e l’autunno del 1812 trascorsero praticamente senza che i Manzoni si facessero vivi e il Degola proruppe finalmente in rimproveri, mostrando tutto il vigore del suo aspro carattere:

“Mi fa piacere di veder gli Amici 115 in silenzio, così ho un diritto di

addivenir insensibile ai loro rimproveri, o di recriminarli. Dividete questo

complimento colla Sra Enrichetta, e n’abbia qualche derrata il Sr Alessandro,

e D. Giulia.

Scrissi alla prima, e n’ebbi riscontro alcuno. Forse non ricevette la mia Lettera perché non indirizzata esattamente o pel numero della Casa, o pel nome della Contrada. Intanto segnatemi l’uno e l’altro la prima volta che mi scrivete.

Io me ne sono vissuto per tre mesi solitariissimo alla mia campagna, poiché mia Cognata che vi presenta i suoi complimenti (…). Salutate pur in di lei nome tutta la brava famiglia Manzoni.

E voi che fate? Come va di salute, e di tranquillità?” 116.

Tosi non inviò mai l’indirizzo milanese della famiglia Manzoni, pur avendo

partecipato alle trattative d’acquisto della casa di via Morone 1171 117. Occasioni

per riprendere i contatti con il Degola ce ne sarebbero state ma non ci fu nessuna

iniziativa in questo senso 118. Manzoni scrisse al Degola soltanto nella primavera

del 1814 per inviargli il suo nuovo Inno Il Natale. Ce ne dà notizia Degola nella lettera di risposta inviata al Tosi il 30 marzo 1814. Dopo essersi lamentato per non aver ricevuto “una linea da codeste parti” il Degola riferisce al Tosi della lettera       

114

 Lettera del Degola al Tosi pubblicata da Bondioli: op. cit. (1936), p. 96.  115

  Degola  sta  alludendo  agli  Amici  della  Verità,  gruppo  giansenistico  a  cui  appartenevano  egli  medesimo e il Tosi.  116  Lettera del Degola al Tosi pubblicata da Bondioli: op. cit. (1936), p. 107.  117  Bondioli, op. cit. (1936), p. 108.  118 Ibidem 

(27)

ricevuta da Alessandro: “Alessandro mi scrisse ultimamente, inviandomi un inno suo sul Natale, e provocandomi a scrivergliene lo che me ne sembra. Con questa opportunità io lo toccherò un pochin sul vivo, ma in guisa da non dolersene, o far castelli in aria” 119.

La lettera si concludeva con un saluto sardonico: “i miei complimenti ai Sri

Manzoni, cui presto scriverò” 120.

Non abbiamo notizie della risposta dell’abate: se essa fu scritta e non ci pervenne allora abbiamo sicuramente perduto l’importante intepretazione degoliana del

celebre “masso” 121. Bondioli suppone che non vi sia stata 122. Nonostante questo,

il Tosi, che pacifico non rispondeva ai rimproveri, continuava ad invitare Degola per una visita a Milano. L’abate genovese non poté però accettare: dopo la morte del suo carissimo amico, il giansenista Benedetto Solari, e la diffusione di false dicerie sul suo conto, Degola si assunse l’onere di difenderlo strenuamente di

fronte al cardinale Spina, che rimase molto contrariato da ciò 123. Degola temeva

perciò giustamente ripercussioni da parte del superiore e questa fu una delle ragioni per cui non andò a trovare Manzoni e non si spostò affatto dalla Liguria

124. Da quella prima e ultima visita insomma le cose naturalmente cambiarono: il

Degola raffreddò il proprio affetto verso la famiglia, ma non smise di ricercare il

sostegno della penna di Manzoni alle proprie idee 125: una lettera del 9 agosto

1814 attesta che Degola tentò di proporgli un tema per un futuro lavoro. Egli scrive al Tosi alludendo alla propria corrispondenza con Enrichetta: “Incaricatevi

de’ miei rispettosi saluti a D. Giulia, alla Sra Enrichetta e ad Alessandro. Scrissi

lungamente alla seconda, con mandarle un argomento per la penna poetica del

terzo” 126. Non sappiamo cosa avesse in mente Degola, ma è improbabile che si

tratti del progetto degli Inni. Si deve perciò ritenere che Manzoni non abbia accolto la proposta, dimostrando ancora una volta tutta la propria indipendenza. Tosi aveva notato, come dimostrano alcune lettere, il cambiato atteggiamento di Degola, e pacatamente glielo rimproverava. L’abate allora coglie l’occasione per        119  Ibidem, p. 109.  120 Ibidem  121  Ibidem, p. 108.  122  Ibidem  123 Ibidem, p. 112‐113.  124  Ibidem  125  Ibidem  126 Ibidem, p. 116. 

(28)

essere tagliente e nella lettera dell’8 dicembre 1814 ricorda al Tosi il trattamento ricevuto da lui medesimo e dai Manzoni:

“scrissi pure alla Sig.ra Enrichetta e niun riscontro ebbi finora. A voi rimane

adesso a giustificarmi e presso i suddetti e presso di Voi medesimo. Scriverò loro, tosto che avrò avuto da voi un qualche riscontro. Intanto salutatemeli,

ed anche D. Giulia, e Alessandro” 127.

Soltanto nel 1815, quando, sullo sfondo della disastrosa situazione politica a cui aveva portato la sconfitta di Waterloo, Manzoni si ammalò per via di una nuova

crisi di nervi 128, l’abate genovese sembrò dimenticare tutti i motivi di rimprovero

e la passata freddezza. Scrisse perciò al Tosi da Genova il 18 settembre 1815:

“Nel riposo della Campagna scriverò alla virtuosa Sra Enrichetta. Ditele che

non mi scriva; poiché vedo benissimo, che ciò deve recarle della pena. Io gemo sulle nuove crisi di A(lessandro). Bisognerebbe poterne dominare l’imaginazione; ma come si fa egli? Porgetegli i miei saluti, ed assicuratelo che m’interesso sempre ugualmente di Lui, perché lo affeziono di tutto

cuore. Dite mille cose consolanti in mio nome alla Sra Giulia,

raccomandandole che continui ad esser buona, affinché mi sian di profitto le mie lezioni”.

Le ragioni di quella momentanea crisi di nervi, preludio di quella successiva, sono state già analizzate. Manzoni guardava alla Francia con nostalgia e sgomento: da un lato la Restaurazione era divenuta la tomba del giansenismo, ma anche delle libertà e questo faceva della sua seconda Patria un luogo cambiato, dall’altro Manzoni cominciava a sentire desiderio di farvi ritorno, per riabbracciare il

mondo di Fauriel e degli Ideologi 129. Come scrive Bondioli, ai due direttori

spirituali questa prospettiva faceva immensa paura: avrebbe significato una ricaduta nel mondo delle tenebre. Manzoni, scrive Degola al Tosi, è dotato di        127 Ibidem, p. 120.  128  Di essa Manzoni parlava al Fauriel nella lettera del 25 marzo 1816: “maux de nerfs dont j’avais  souffert à Paris dans le derniers mois que j’y passai”.  129 Ibidem, pp. 128‐133. 

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