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partendo dal primo matrimonio protestante con Enrichetta Blondel, ripercorre la vita di Manzoni sino al momento dell’incontro con Degola e con il clero francese

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Nel presente lavoro sono stati studiati i rapporti che intercorrono tra il pensiero manzoniano e il giansenismo. In passato molti hanno negato che i contatti stretti con i giansenisti abbiano avuto un’influenza sul pensiero del Manzoni.

In realtà la questione rimane ancora aperta.

Lo studio si propone di rispondere a domande quali l'effettiva influenza del giansenismo sul pensiero del Manzoni e sulla sua consistenza, in particolare:"Quale fu, se ci fu, il giansenismo di Manzoni? E, se davvero ci fu, in che cosa effettivamente consistette?"

Sono stati in molti a cercare di dare una risposta a queste domande. Il primo ad affrontare il problema in modo approfondito ed esaustivo fu Francesco Ruffini, che dedicò al giansenismo di Manzoni la sua sostanziosa monografia organizzata in due volumi: La vita religiosa di Alessandro Manzoni. Il suo studio, di amplissimo respiro, comincia con una dettagliata introduzione dove viene ripercorsa tutta la storia del giansenismo dal seicento sino ai primi dell’ottocento. Dopodiché Ruffini studia il percorso biografico di Manzoni: nel primo volume della sua monografia Ruffini ripercorre la vita di Manzoni durante il periodo della conversione; partendo dal primo matrimonio protestante con Enrichetta Blondel, ripercorre la vita di Manzoni sino al momento dell’incontro con Degola e con il clero francese. Successivamente Ruffini, affidandosi ad uno studio dettagliato dei documenti e degli epistolari, affronta una serie di questioni fondamentali senza mai tralasciare il dato biografico: analizza i rapporti tra Manzoni e Grégoire, studia la gestazione delle Osservazioni sulla morale cattolica e l’importanza del ruolo avuto dal Tosi nel concepimento e nella stesura dell’opera. Ruffini, inoltre, analizza i rapporti tra il rigorismo di Manzoni e quello di Tosi e Rosmini, e conclude esaminando la posizione dello scrittore lombardo in merito alla questione della Grazia, del pelagianismo e del Ritorno di Israele, tema molto caro al giansenismo millenaristico. Lo studio di Ruffini dà una risposta importante alla prima domanda che ci si è posti: sì, Manzoni ebbe numerosi contatti con i

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giansenisti e fu con certezza un filogiansenista e un cattolico liberale. Esso però indubbiamente lascia aperta la seconda domanda e in questo senso la monografia di Ruffini è divenuta un importantissimo punto di partenza.

Anche da questi pochi cenni si può comprendere facilmente che si tratta di un tema estremamente complesso da sviscerare e analizzare. Le ragioni di questa difficoltà sono almeno tre.

La prima difficoltà riguarda qualsiasi storia del pensiero di un autore. È estremamente importante, quando si parla del pensiero di uno scrittore o di un filosofo, non dimenticarsi del fatto che si sta trattando un oggetto vivo, in qualche modo organico che nel tempo ebbe modo di evolvere e mutare, di avvicinarsi ad orientamenti differenti e talvolta tra loro opposti. A costo forse di dire qualcosa di tautologico, quando si studia l’influenza di una corrente politica o religiosa sul pensiero di un autore, è estremamente importante tener presente il dato biografico e le evoluzioni e i cambiamenti a cui nel corso del tempo tale pensiero andò incontro. Le idee religiose di Manzoni non si conservarono identiche a se stesse fino alla morte dell’autore; esse ebbero numerose evoluzioni e l’influenza del giansenismo su di esse è apprezzabile con una certa sicurezza sino al 1827; successivamente, grazie all’ascendente che Antonio Rosmini ebbe su Manzoni, il pensiero religioso dello scrittore lombardo si aprì a nuove istanze, allontanandosi dalla corrente giansenistica.

La seconda difficoltà riguarda la complessità del movimento giansenistico:

esso fu una corrente politico-religiosa variegata e multiforme che si trasformò nel corso dei secoli variando al suo interno punti di vista e interessi. Il giansenismo del Seicento non fu lo stesso del Settecento e dell’Ottocento; non solo, anche il giansenismo di uno stesso secolo presenta al suo interno delle differenze. Per quanto infatti i giansenisti di una certa epoca facessero gruppo in nome di un’armonia di intenti e di ideali politico-religiosi comuni, non è affatto possibile (anche se forse meno rischioso) considerare i giansenisti di un’epoca in un unico blocco, come se le loro idee coincidessero perfettamente.

Ad un livello approfondito di dettaglio, osservando le sfumature di pensiero tra un giansenista e l’altro, si comprende che la questione è complessa a tal punto che non sembra paradossale fare la seguente affermazione: esistono tanti giansenismi quanti furono i giansenisti.

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La terza difficoltà riguarda invece la pluralità di temi religiosi e politici che i giansenisti di ogni secolo affrontavano di volta in volta, con sfumature proprie a seconda delle epoche e delle influenze che su di loro ebbe l’ambiente in cui vissero. Tutto ciò è stato messo in luce da Luciano Parisi in un brevissimo e utile riassunto che egli sistema nelle pagine introduttive del suo lavoro 1. Parisi ha ritenuto opportuno cominciare il suo lavoro isolando i tratti peculiari dei vari giansenismi che si sono avvicendati. In questa sede si farà perciò lo stesso, analizzando con occhio privilegiato il giansenismo di fine Settecento. Poiché questo lavoro si interessa di studiare i rapporti tra Degola e Manzoni, si daranno alcuni cenni sulla vita e sulla figura del giansenista genovese Eustachio Degola, che giocò un ruolo importantissimo nell’ambito della conversione di Manzoni 2.

I primi giansenisti furono rigidi interpreti del pensiero agostiniano e, come sottolineano Bénichou e Parisi, essi credevano nell’onnipotenza della Grazia e nella sostanziale inesistenza del libero arbitrio: erano infatti “agostiniani intransigenti” 3. Essendo poi il giansenismo una corrente religiosa antiumanistica, i suoi fautori “insistevano sulla miseria morale degli esseri umani dopo il peccato originale” 4. Tutto ciò vale in particolar modo per il giansenismo francese seicentesco (Arnauld, Pascal, Saint-Cyrain, Nicole, Racine). Con tale giansenismo dialogarono tutti i giansenisti successivi.

Dal punto di vista politico, i giansenisti francesi del Settecento, sin dalle origini, si erano sempre scontrati per le loro idee con l’autorità papale: da subito il giansenismo aveva rivelato il suo potere sovversivo perché, per via delle sue tendenze anti-assolutistiche, era in grado di raccogliere consensi tra le file della nobiltà e del parlamento. I giansenisti perciò furono perseguitati;

Luigi XIV fece chiudere l’abbazia di Port-Royal nel 1709 e due anni dopo la fece radere al suolo; nel 1713 fu poi emanata la famosa e terribile Bolla Unigenitus che condannò 101 proposizioni contenute nelle Réflexions Morales del giansenista Pasquier Quesnel.

      

1 Luciano Parisi, Manzoni e Bossuet, Alessandria: Edizioni Dell’Orso, 2003. 

2  La  biografia  di  Degola  qui  contenuta  è  un  riassunto  di  quella  scritta  da  Marina  Caffiero  e  pubblicata nel Dizionario Biografico degli Italiani. 

3 Parisi, op. cit. (2003), p. 21. 

4  Ibidem, p. 19. 

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Nel Settecento, perciò, il giansenismo si avvicinò moltissimo alle forze parlamentari e anti-monarchiche. Diversi giansenisti associarono al loro credo religioso il gallicanesimo e l’episcopalismo, forze decentratrici all’interno del mondo ecclesiastico. Scrive Parisi:

“Louis Cognet ha colto bene il paradosso per cui gli aderenti di questo movimento originato da una teologia che svalutava l’importanza della libertà umana in vista della salvezza, svilupparono “une coscience intense des droits de la personne, et surtout de la pensée personelle, en face des absolutismes de l’autoritè” 5.

Il paradosso in realtà è tutt’altro che incomprensibile: il secolo del Settecento fu anche quello dell’Aufklärung cattolica e, per questa ragione, i giansenisti cominciarono a dialogare con le idee illuministiche in modo positivo, facendole proprie, almeno in parte.

Il giansenismo di fine settecento e di inizio ottocento è quello che interessa maggiormente un lavoro sul pensiero religioso di Manzoni. Tale giansenismo aveva accolto, rispetto a quello delle origini, nuove istanze, visceralmente connesse con le vicende della Rivoluzione francese. Quando in Francia ci fu la Costituzione civile del Clero (12 luglio 1790), fu imposto al Clero un giuramento civico che spaccò il mondo ecclesiastico. La Costituzione civile sottraeva al Clero potere e privilegi e scatenò l’esodo in massa degli ecclesiastici che si rifiutarono di giurare. Molti ecclesiastici giurati furono giansenisti ed appartennero a quell’ala del Clero che, pur non approvando il crescente ateismo, favoriva le istanze rivoluzionarie e riformatrici. Al giansenismo francese di fine Settecento apparteneva anche Henri Grégoire, uomo dalle idee eccezionalmente liberali, la cui filantropia all’epoca non ebbe eguali; la sua vita spirituale e politica fu segnata da due principi fondamentali, ai quali rimase fedele per tutta la vita: libertà e repubblica. Grégoire lottò per tutta la vita in difesa dei diritti degli oppressi; scrisse contro la tratta dei Neri, a favore dell’emancipazione femminile e di quella degli ebrei e si mostrò persino a favore dell’introduzione del matrimonio per i preti. Nel 1789 Grégoire fu       

5  Ibidem, p. 21. 

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eletto deputato agli Stati generali e fu lui a convincere i suoi colleghi ecclesiastici ad unirsi al Terzo Stato. Fu membro dell’Assemblea Costituente e ne fu letto presidente nel 1789. Alla Convenzione, di cui fece parte, aveva proposto il decreto che sanciva la libertà di tutti i culti 6. Quando Napoleone salì al potere, Grégoire fece anche parte del Consiglio del Cinquecento e poi, dopo il 18 Brumaio, appartenne al Corpo legislativo.

Il mondo del giansenismo italiano di fine Settecento e inizio Ottocento era dominato da figure come Tamburini, Zola, Scipione de Ricci, De Vecchi e lo stesso Degola. Ciascuno di loro aveva maturato idee proprie, per quanto improntate ad un esigenza di riforma comune: i giansenisti italiani di quest’epoca ritenevano di vivere in un momento storico di crisi e sostenevano di comune accordo la necessità che la Chiesa tornasse alle sue origini.

Il loro movimento, segnato dall’Aufklärung cattolica, dialogava, seppur polemicamente, con il mondo dell’illuminismo settecentesco e promuoveva l’impegno civile, sostenendo la necessità di parroci adeguatamente istruiti e presenti nelle loro parrocchie. Tale giansenismo fu poi inficiato dalla corrente millenaristica che profetizzava la futura fine del mondo. Sostenitore del millenarismo giansenistico fu poi l’abate genovese Eustachio Degola, grandissimo amico del Grégoire e fautore anch’egli delle idee gallicane. Il Degola fu direttore spirituale di Alessandro Manzoni e la sua figura è estremamente importante per la presente ricerca.

Eustachio Degola, nato il 20 settembre 1761, fu un uomo dotato di un’incredibile vis polemica e dimostrò sin da subito una spiccata attenzione per le opere proibite; quando era un giovane seminarista ottenne un permesso speciale per leggerle. Strinse importanti rapporti di amicizia con Scipione de Ricci e con i maggiori esponenti toscani dell’anticurialismo e portorealismo, tra cui il De Vecchi. Nel 1793 rifiutò di dirigere la parrocchia di Voltri e, come scrive la Caffiero, decise di rimanere semplice prete per tutta la vita, rifiutando di occupare qualsiasi posizione di rilievo nella gerarchia ecclesiastica. Nel 1792 conobbe Benedetto Solari, vescovo di Noli, con il quale combatté per la causa del clero costituzionale in Francia. Degola non partecipò al Sinodo di Pistoia (1786), però, quando si trattò di prendere posizione di fronte alla bolla       

6  Francesco  Ruffini,  La  vita  religiosa  di  Alessandro  Manzoni.  Con  documenti  inediti,  ritratti,  vedute e facsimili, voll. II, Bari: Gius. Laterza e Figli, 1931, I, p. 114. 

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Auctorem Fidei fu in prima linea: appoggiò infatti strenuamente Solari che aveva bandito nell’allora Repubblica ligure la promulgazione della bolla; per manifestare la propria opinione a proposito del Sinodo Pistoiese, Degola inviò a Ricci una lettera in cui esprimeva al Vescovo la propria completa adesione alle idee del Sinodo. Nel 1797 Degola entrò in contatto con Grégoire tramite Ricci e fu l’inizio di una grande amicizia. Nel 1801 Degola partecipò al secondo Concilio Nazionale del Clero Costituzionale e si distinse tra i pochissimi italiani che vi parteciparono, anche per un proprio contributo in denaro; si oppose, insieme al Grégoire, al Concordato del 15 luglio 1801, che mise al bando il Clero Costituzionale e sciolse l’assemblea del Concilio. Nei primi anni dopo il Concordato Degola prese contatti, come scrive anche Ruffini, con gli ex vescovi costituzionali: J. Pierre Saurine, André Constant, Claude Debertier e infine con il magistrato Agier e con Jean D. Lanjuinais, tramite i quali si avvicinò a tutto il gruppo parigino di Saint Séverin. Il soggiorno parigino di Degola, documentato anche dal suo diario, parzialmente pubblicato dal De Gubernatis, fu però interrotto dai numerosi viaggi che egli intraprese in tutta Europa insieme al Grégoire: si recò con lui in Inghilterra, in Belgio e in Olanda, dove celebrò la messa nella chiesa giansenista di Utrecht;

visitò la Germania, dove ebbe l’onore di conversare con Goethe e molti teologi tedeschi, insieme ai quali ebbe numerose discussioni. La tolleranza di Grégoire permise ai due di avvicinare, durante questi viaggi, esponenti del mondo religioso protestante ed ebraico, con i quali Degola non perse occasione di fare polemica, come scrive lui stesso nel suo diario.

Dal 1807 in poi, quindi proprio durante gli anni in cui ebbe luogo l’incontro con Manzoni, Degola sostenne con grande vigore le teorie millenaristiche basate sulla profezia paolina del ritorno degli Ebrei nella Chiesa Cattolica; egli inoltre finì per aderire anche al “figurismo”, corrente interna al giansenismo sostenuta dall’Agier (e legata per concetti al millenarismo giansenistico), secondo la quale era ritenuto possibile leggere nelle Scritture allusioni alla futura Storia della Chiesa. Sempre nel 1807 Degola partecipò alla disputa teologica, divenuta di portata europea (essa richiamò l’attenzione persino di Voltaire), contro Giangiulio Sineo, sostenitore di tesi pelagiane, il quale in un’opera pubblicata proprio quell’anno (Orazione nel solenne riaprimento dell'oratorio dell'Imperiale Universita' di Torino) aveva ritenuto che i bambini

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morti senza battesimo potessero salvarsi. Degola riuscì in quell’occasione ad attirare contro l’opera di Sineo numerose penne, tra le quali quella dello stesso Grégoire. 

Nel 1809 egli visitò, insieme agli Amici della Verità, le Rovine di Port Royal in commemorazione dell’anniversario della loro distruzione operata da Luigi XIV: il discorso fatto in quell’occasione è ritenuto da Ruffini il più lucido e chiaro riassunto delle convinzioni teologiche e politiche dell’abate genovese;

nel parte finale del discorso si riepiloga tutta la storia del giansenismo a partire dalle origini; vengono biasimati gesuiti e calvinisti con accuse concernenti il dogma; all’interno del discorso Degola non rinuncia inoltre a biasimare la riprovevole divisione della Chiesa, ormai non più unita ma frammentata dagli scismi; nello stesso discorso viene poi fatto il punto sulla dottrina della Grazia discutendo le proposizioni di Cornet.

Negli ultimi anni Degola si dedicò completamente alla fede millenaristica:

avendo imparato l’ebraico sulle orme dell’Agier, tradusse i salmi dalla lingua originale in italiano in un documento ancora inedito del 1817, intitolato Salmi nuovamente tradotti sul testo ebraico. Messi nel loro ordine naturale, con spiegazioni e note ed una raccolta di cantici evangelici ed altri scritturali; la stessa traduzione fu da lui fatta anche in latino, in un lavoro che era stato erroneamente attribuito all’Agier e pubblicato nel 1818: Psalmi ad Hebraicam veritatem translati et in ordinem naturalem digesti; accesserunt Cantica tum evangelica tum reliqua in laudibus. Altro scritto importantissimo di Degola è il Saggio di osservazioni sulla Chiave dell'Apocalisse esposta da Francesco Ricardi datato 1820, in cui l’abate espone le proprie teorie sull’Apocalisse, considerata ormai prossima. Al tema dell’apocalisse, a lui carissimo, l’abate voleva dedicare un altro lavoro intitolato Sulla conversione degli ebrei. Di esso resta solo un Discorso preliminare che forse fu corretto proprio da Manzoni 7. L’abate, che soffriva di convulsioni, si spense a Genova il 17 gennaio 1826.

Questa panoramica si dimostrerà utilissima per il presente lavoro e rende chiaro quanto sia pericoloso considerare il giansenismo come un unico blocco.

Tale errore è stato compiuto da gran parte della critica per un lunghissimo periodo: molti hanno preteso di considerare il giansenismo come un insieme di       

7 Sostengono questa tesi Ruffini e Manfredi, ma non Bondioli. 

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elementi definiti in maniera netta e compatta, e hanno fatto uno studio di comparazione tra questo giansenismo, ridotto al suo scheletro, e il pensiero manzoniano. Tra tali ricerche, però, per quanto approssimative, ve ne sono alcune che hanno comunque lasciato agli studiosi successivi importanti contributi: si tratta di quelle che hanno assunto la tesi di Ruffini come punto di partenza.

A questo si aggiunge una nuova difficoltà da superare per chi volesse studiare il giansenismo di Manzoni. Infatti tale studio sino alla fine degli anni '60 del Novecento ha potuto progredire poco, perché in esso si sono riversate le faziosità scaturite dal processo di unificazione dell’Italia a danno dello Stato Pontificio.

Dalla morte di Manzoni fino agli anni '60 del Novecento, ebbe luogo una vera e propria lunga lotta tra gli studiosi, il cui pensiero a proposito della questione del giansenismo di Manzoni veniva spesso deciso dal loro orientamento religioso: i laici progressisti, come scrive Parisi, rivendicavano per sé un Manzoni nettamente giansenista; i cattolici conservatori invece volevano fare di Manzoni un cattolico pienamente ortodosso. Tra i due schieramenti quello che peccò meno di soggettivismo fu certo il primo, a cui appartenne Ruffini stesso.

Dopo questa data sono stati diversi i lavori che hanno studiato in maniera obbiettiva il giansenismo di Manzoni. Si è infatti capito che, per comprendere il giansenismo di Manzoni, si dovesse partire da una comparazione sistematica tra i vari luoghi del giansenismo e il pensiero manzoniano: solo una pluralità di studi potrà infatti porre un punto e dimostrare in maniera esaustiva in cosa consistette il giansenismo di Manzoni; per fare qualche esempio, bisognerà studiare “Massillon e Manzoni”, “Racine e Manzoni”, “Nicole e Manzoni” e non “il giansenismo e Manzoni”, come invece spesso è stato fatto. In altre parole, dare una risposta esaustiva alla domanda “quale fu con esattezza il giansenismo di Manzoni?” non è possibile con un unico lavoro: il tema in questione richiede anni, se non decenni, dedicati alla ricerca, durante i quali la critica dovrebbe peritarsi di cercare una risposta, frammentando il problema ed esaminando con accuratezza tutti i motivi di scontro ed incontro che è possibile rintracciare tra il pensiero dello scrittore e quello dei giansenisti che lo circondarono o che in qualche modo entrarono in contatto con lui.

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La critica si è già resa conto di questo e si è già avviata, dalla fine del Novecento, su questa strada. Esistono oggi importanti studi che raffrontano il pensiero di Manzoni con quello di Pascal e dei moralisti francesi, tanto amati dal giansenismo e tanto studiati da Manzoni stesso. Illuminanti sono gli studi di Ferruccio Ulivi 8 e di D’Ambrosio Mazziotti 9, che hanno studiato in maniera sistematica i rapporti tra il Pensiero di Manzoni e quello di Pascal, muovendosi su una strada che aveva già tracciato Trompeo 10. Esaustivo e brillante è poi il recente lavoro di Luciano Parisi che studia i rapporti tra Manzoni e Bossuet, senza dimenticarsi di fare cenno al Degola.

Tale strada non è stata però l’unica ad essere percorsa. Alcuni lavori non sono nati con l’idea di fare un confronto sistematico tra Manzoni un giansenista X con il quale egli entrò in contatto; essi sono rimasti in qualche modo ancorati all’idea tradizionale di fare un confronto tra Manzoni e il giansenismo inteso come un blocco compatto. Questo sistema ha certo il vantaggio di offrire una visione d’insieme più ampia e forse per certi versi imprescindibile, nonostante gli errori a cui espone. A questa tipologia di studi appartiene il recentissimo lavoro di Giuseppe Langella, Manzoni poeta teologo (1809-1819) pubblicato nel 2009 11. Langella ha avuto il merito di studiare il rapporto tra il giansenismo e Manzoni approfondendo lo studio dei testi di quest’ultimo.

Grazie a questo studio, approfondito fino ad arrivare all’analisi testuale, Langella, insieme a Parisi, ha definito l’esistenza di alcune fasi nel pensiero manzoniano durante le quali egli dialogò diversamente con il mondo del giansenismo. Un altro lavoro importantissimo, per chi volesse studiare non solo il giansenismo di Manzoni ma anche altri aspetti del suo pensiero è l’opera di Rita Zama Pensare con le parole, pubblicata nel 1813 12. La studiosa ha analizzato con acribia e con approccio filologico i testi di Manzoni, gettando con tutta evidenza le basi per uno studio sistematico su Manzoni e

      

8 Ferruccio Ulivi, Manzoni. Storia e Provvidenza, Roma: Bonacci Editore, 1974. 

9  Anna  Maria  D’Ambrosio  Mazziotti,  Incontri  e  dissidi  manzoniani,  premessa  di  Giorgio  Petrocchi, Brescia: Morcelliana, 1982. 

10  Pietro  Paolo  Trompeo,  Vecchie  e  nuove  rilegature  giansenistiche,  Napoli:  edizioni  scientifiche italiane, 1958. 

11 Giuseppe Langella, Manzoni poeta teologo (1809‐1819), Pisa: Ets, 2009. 

12 Rita Zama, Pensare con le parole. Saggio su Alessandro Manzoni poeta e filosofo, Milano: 

Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2013. 

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Sant’Agostino, l’autore più importante per i giansenisti. Questi testi sono perciò quelli a cui maggiormente si appoggia il presente lavoro.

La cosa curiosa è che ancora oggi manca completamente uno studio che compari il pensiero di Manzoni a quello dei giansenisti a lui più vicini: Degola, Tosi, Grégoire e Giudici. Moltissimi sono i contributi francesi su Grégoire, a cui Manzoni si sentiva vicinissimo per ideali, ma nessuno si è ancora preoccupato di indagare quanto effettivamente di Grégoire ci sia in Manzoni; la stessa affermazione vale a proposito del Giudici; recentemente (ma non troppo) il pensiero di Giudici è stato studiato dalla monografia di Zingale, che probabilmente potrebbe offrire importanti spunti per uno studio comparato tra il giansenista lombardo e Manzoni.

Per quanto riguarda uno studio comparato tra Tosi e Manzoni o tra Manzoni e Degola, la questione è complicata dal fatto che diversi sono i testi ancora inediti sia di Tosi che di Degola. Gran parte dei testi di Degola giacciono nell’archivio Vaticano, non ancora pubblicati. . Esistono degli inediti anche di Tosi, sul quale però è stata scritta da Paolo Magnani un’importante e obbiettiva monografia, che ne mette in luce il pensiero e i rapporti con il giansenismo.

Nonostante le numerose difficoltà, il presente lavoro vuole inserirsi in questo panorama studiando i rapporti tra Degola e Manzoni. La domanda fondamentale, perciò, a cui questo lavoro vuole dare risposta è la seguente:

“Quali rapporti intercorrono tra il pensiero di Manzoni e il giansenismo di Degola e quanto incise sul pensiero di Manzoni quello di Degola?”. Per questa ragione, scartando ciò che ancora non è pubblicato, il presente lavoro è stato pensato leggendo con attenzione gli scritti di Degola a disposizione del pubblico: la sua Professione di Fede, scritta nel 1804 sulle Rovine di Port- Royal, l’ Instruction ai Réglements donati alla Geymüller e infine con un occhio privilegiato è stata studiata l’Exhortation à une nouvelle catholique di Degola, il discorso che l’abate genovese pronunciò durante l’abiura di Enrichetta.

Naturalmente anche a causa del vuoto causato dagli inediti, ma non solo, la risposta che si darà è soltanto parziale e ben lontana dall’esaurire la questione.

Le ragioni di ciò riguardano precise istanze di completezza. Poiché un lavoro del genere non è mai stato fatto (se si esclude la recente ma per nulla obbiettiva ricerca di Micciolo), sembrava giusto innanzitutto, anche a costo di ripetere

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cose ormai note, legittimare la domanda a cui la presente ricerca vuole dare risposta.

Per questa ragione si è deciso di partire dal dato biografico: nei primi due capitoli del presente lavoro infatti sono stati studiati il pensiero e la vita di Manzoni, dalla giovinezza sino all’abiura di Enrichetta. Poiché la storia dei giansenisti con cui entrò in contatto Manzoni si lega a quella della rivoluzione francese e all’illuminismo, è sembrato necessario dedicare un capitolo introduttivo alle idee giovanili di Manzoni e al suo sostanziale ateismo e giacobinismo.

Poiché, inoltre, non è possibile comprendere la figura di Degola e i suoi rapporti con Manzoni senza inserire entrambi nel mondo dei giansenisti che li circondarono, è stato necessario dare spazio a diverse digressioni, mirate ad aprire scorci sul mondo del giansenismo di fine Ottocento. Un altro lavoro che è stato ritenuto opportuno compiere riguarda le biblioteche di Manzoni: il punto di partenza è stato offerto dal recente studio di Carena 13, che ha gettato luce sulle letture giansenistiche a cui si dedicava quotidianamente la famiglia Manzoni; è sembrato quindi opportuno analizzare attentamente i titoli presenti nelle biblioteche di Manzoni, cercando di capire quanti dei volumi posseduti dallo scrittore fossero usciti da penne gianseniste. Nell’ambito di questo studio sono state inserite anche alcune note a proposito del quinto libro della Storia di Port-Royal del Bésoigne, che Manzoni possedeva nella Biblioteca di Via Morone.

Avendo infatti potuto consultare personalmente il volume posseduto da Manzoni, ho studiato la brevissima postilla inedita contenuta al suo interno e la ricorrenza dei segni a matita e delle orecchie con cui Manzoni era solito segnare le pagine. Poiché esse ricorrono soprattutto quando Manzoni parla di Nicole ed Arnauld, la scoperta di un simile dettaglio offre un’ulteriore, anche se piccola, conferma a quanto sostenuto già da Carena e da una certa tradizione di studi: Manzoni conosceva bene e leggeva con attenzione i testi dei moralisti francesi e dei giansenisti, di cui Degola e Tosi gli consigliarono le letture con i loro Réglements.

      

13  Carlo  Carena,  «Le  soir  mon  mari  nous  lit  un  peu…».  Letture  e  libri  giansenisti  in  casa  Manzoni,  in  Ministero  per  i  Beni e le  Attività  culturali,  Manzoni  scrittore  e  lettore  europeo,  Roma: De Luca, 2000. 

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L’ultimo paragrafo del presente lavoro è invece un riassunto dell’Exhortation à une nouvelle catholique, che serve a dare una visione d’insieme sui temi preferiti da Degola e sulla sua idea di conversione.

Separatamente dalla questione del giansenismo, lo studio biografico qui affrontato ha inoltre permesso di mettere in luce una cosa interessante: Giulia Beccaria aveva voluto a tutti i costi il matrimonio di Manzoni perché desiderava che il figlio sfuggisse alla coscrizione obbligatoria voluta da Napoleone; lo attesta una lettera del 18 ottobre 1809, dove Giulia Beccaria scrive al Marescalchi chiedendogli un certificato legale che testimoni lo stato civile di Alessandro non più scapolo ma ormai ammogliato. Erano infatti esonerati dalla leva, secondo la nuova legge vigente, tutti i giovani che avessero contratto matrimonio. A questo dettaglio non accenna nessuno studio sulla biografia di Manzoni di cui io sia a conoscenza.

Ritornando al discorso principale, la prima parte del presente lavoro è nata con l’intenzione di preparare alla seconda che invece si è prefissata lo scopo di far emergere nitidamente i rapporti che ci furono tra il giansenismo di Degola e il pensiero di Manzoni. Questa seconda parte è organizzata al suo interno secondo logiche differenti.

L’idea che accomuna tutti i paragrafi del terzo capitolo è quella di scomporre il pensiero di Degola in tematiche precise e studiare di volta in volta il pensiero di Manzoni al riguardo. Il terzo capitolo è a ben vedere scomponibile in due macrosezioni in cui sono stati utilizzati metodi differenti.

Nella prima macrosezione i rapporti tra alcuni elementi del pensiero di Degola e quello manzoniano sono studiati mediante un’analisi filologica e testuale sistematica, volta a prendere in considerazione non soltanto la produzione scritta di Manzoni e Degola, ma anche l’epistolario. L’idea di non fare sostanzialmente differenza tra poesia, prosa e lettere private è nata da una considerazione precisa.

Leggendo le lettere di Enrichetta Blondel e della Geymüller al Degola sono state trovate numerose consonanze: certe idee e certa terminologia ricorrono identiche. È sembrato allora evidente che, per i giansenisti vicini a Manzoni, il giansenismo non fosse soltanto una corrente di idee destinata a rimanere al di fuori della vita intima e privata per restare nei luoghi di ritrovo o nel mondo dei dibattiti teologici; il giansenismo è parso immediatamente come una religione

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invasiva, in grado di influenzare profondamente anche la vita privata di chi aderiva a questo movimento. La ragione di questo trova naturalmente radici nel rigorismo e deriva forse anche dalla particolare attenzione che da sempre l’agostinismo dava allo studio della psiche umana. Agostino bollava come il peggiore dei mali la superbia e ogni spinta narcisistica; i giansenisti perciò solitamente erano attenti a giudicare negativamente ogni autoaffermazione dell’Io, anche la più piccola e innocua. L’estrema severità del rigorismo giansenistico di Degola porta tutto questo ad amplificarsi: non di rado il fervore giansenistico delle catecumene di Degola si traduce in affermazioni contenenti disprezzo di sè, volte a sottolineare al destinatario l’indegnità e miseria del mittente. Parte della prima macrosezione del capitolo è volta proprio ad analizzare questo e in tale sede si colloca lo studio della famosa lettera di Manzoni al Coen del 1842, i cui contenuti, dalla maggior parte degli studi di mia conoscenza, vengono considerati perfettamente ortodossi.

Successivamente, sempre nella prima macrosezione del terzo capitolo, tramite un’attenta analisi testuale e filologica, sono state studiate le ricorrenze dei termini “misericordia di Dio” e “Grazia di Dio” nella produzione scritta di Manzoni (lettere, poesia e prosa). L’analisi è stata condotta, seguendo l’esempio di Zama, sulla maggior parte delle opere di Manzoni scritte dal 1809 al 1827, ovvero fin dove sostanzialmente si stima esserci stata l’influenza del pensiero giansenistico; per quanto non manchino accenni alla Storia della colonna infame, ci si è principalmente soffermati sul Romanzo..

Le parole “misericordia di Dio” e “Grazia di Dio” non appartengono soltanto alla teologia giansenistica. Esse appartengono al mondo del cattolicesimo già dalla tarda antichità e il loro utilizzo si ritrova in diverse correnti cristiane e cattoliche. Nel 1527, per esempio, Erasmo da Rottedarm pubblicava De immensa Dei misericordia concio, libro di cui proprio quest’anno è stata pubblicata la prima traduzione italiana moderna, a cura di Pasquale Terracciano. La sua concezione della misericordia di Dio si legava al rigorismo cristiano e ad una visione antiumanistica dell’uomo che certo avrebbe avuto molto da spartire con il successivo giansenismo. Ciononostante la concezione di “misericordia di Dio” e “Grazia di Dio” adottata da Degola e dai giansenisti vicini a Manzoni, pur trovandosi anche in altri autori e in altre correnti religiose interne al cristianesimo, si caratterizza (anche) come tratto peculiare

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del giansenismo ottocentesco, mantenuto anche dagli ultimi giansenisti. Per dimostrare compiutamente questo, in uno dei primi paragrafi del terzo capitolo la ricorrenza dei termini “Grazia di Dio” e “Misericordia di Dio” è stata studiata anche nelle lettere dei Macolatisti Pavesi, eredi del giansenismo delprimo ottocento.

Nella seconda macrosezione del terzo capitolo, invece, è stato per certi versi abbandonato questo metodo al fine di seguirne un altro. Subordinando l’analisi puntuale del testo all’individuazione di alcune tematiche, sono stati isolati alcuni motivi, molto cari al Degola e per lo più riguardanti il percorso di conversione: si è quindi cercato di capire in che modo Manzoni si rapportasse ad essi. Le tematiche sono sostanzialmente le seguenti: 1) le tappe della conversione; 2) il rapporto tra fede e ragione; 3) la conversione come viaggio dalle tenebre alla luce e come esperienza collettiva oltre che individuale.

Mentre i concetti di “Grazia di Dio” e “misericordia di Dio” appartengono anche al giansenismo delle origini, la presenza di queste tematiche nel pensiero degoliano fa di lui un giansenista illuminato, figlio del suo tempo e dell’Aufklärung cattolica: se per certi versi Degola rimaneva ancorato al giansenismo delle origini (non abbandonò mai per esempio la dottrina agostiniana della Grazia), il catechista genovese leggeva Pascal e Agostino,interpretandoli alla luce di un giansenismo trasformato e ormai inficiato di illuminismo.

In tutto questo si è cercato di prestare attenzione, laddove possibile e necessario, ai rapporti che Manzoni e Degola ebbero con il pensiero di Agostino. La questione dell’agostinismo è molto importante in una ricerca che voglia sondare l’influenza del giansenismo su un autore. L’agostinismo rigido è uno dei tratti peculiari del giansenismo delle origini, ma lo è anche, per certi versi, del pensiero degoliano: il dialogo tra Manzoni ed Agostino è spesso di ricezione e passa attraverso l’interferenza giansenistica. Anche in questo ambito si è cercato, fin quanto possibile, di mantenere la sensibilità storica: gli studi di Lettieri 14 hanno dimostrato che l’agostinismo rigido nasce da una

      

14 Gaetano Lettieri, Il metodo della Grazia, Pascal e l’ermeneutica di Agostino, Roma: Edizioni  Dehoniane, 1999. 

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volontà di aderenza agli scritti dell’ultimo Agostino, che lo studioso definisce l’ “Altro Agostino” 15.

L’intero lavoro di tesi, nei suoi tre capitoli, vuole perciò dimostrare che il primo Manzoni, partendo da idee giacobine e libertarie, è approdato alla fede attraverso complesse meditazioni filosofiche e religiose e ha trovato nel giansenismo una corrente in grado di conciliare al proprio interno fede e illuminismo. Manzoni, che inizialmente credeva nei lumi della Ragione, ha finito col credere ai lumi della fede, ovvero ad una Religione che aveva la pretesa di essere “ragionevole”. Tutto questo fece di lui il precursore del cattolicesimo liberale.

Questo percorso, per quanto scandito dalla libertà e autonomia del genio manzoniano, deve sicuramente molto all’influenza di Degola e a quella di Grégoire. Manzoni non accetta in toto il pensiero degoliano, ma molto di esso introietta e questo è ravvisabile in special modo se si osserva da vicino l’idea manzoniana di conversione.

 

      

15  Gaetano  Lettieri,  L’altro  Agostino.  Ermeneutica  e  retorica  della  grazia  dalla  crisi  alla  metamorfosi del De doctrina christiana, Brescia: Morcelliana, 2001. 

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