• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1: I TUMORI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 1: I TUMORI"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 1: I TUMORI

1.1. CARATTERISTICHE GENERALI E TERMINOLOGIA DEI TUMORI [1].

Il termine “tumore” (dal latino “tumeo”, gonfio), usato in origine per indicare qualsiasi processo patologico che si manifestasse con una tumefazione di una parte del corpo, è oggi sinonimo di neoplasia (dal greco “neo”= nuovo, e “plasìa” = formazione), cioè una neoformazione derivante dalla proliferazione cellulare di elementi di un tessuto normale preesistente. Una neoplasia può essere considerata come un'anomalia a carico dei normali processi di crescita e di differenziazione cellulare.

Il termine “cancro”, che nel linguaggio comune è sinonimo di tumore maligno, indica nel linguaggio medico una neoplasia maligna di origine epiteliale, detta anche carcinoma. Di contro le neoplasie maligne di origine connettivale sono indicate con il termine sarcoma.

Le neoplasie possono essere suddivise in due grosse categorie: neoplasie benigne e maligne.

Le neoplasie benigne in genere non mettono a rischio la sopravvivenza dell'individuo. Alcune specifiche caratteristiche le differenziano dalle neoplasie maligne: conservano in gran parte le caratteristiche morfologiche e funzionali del tessuto di origine, sono localizzate in una determinata area e facilmente individuabili, la crescita è di tipo espansivo ma

(2)

non invasivo (il tumore cresce lentamente, è ben delimitato e spesso contenuto in un feltro di fibre reticolari e collagene, si espande comprimendo i tessuti circostanti ma non si infiltra in essi), raramente dopo l'asportazione chirurgica presentano recidiva ed infine, non danno luogo a metastasi.

Gli elementi anatomo-patologici che caratterizzano, invece, le neoplasie maligne sono l'atipia e la mancata differenziazione cellulare, l'autonomia e la progressività illimitata dello sviluppo cellulare, l'azione distruttiva sui tessuti circostanti, la capacità di propagarsi a distanza e l'elevata velocità di moltiplicazione cellulare.

L'atipia e la sdifferenziazione si manifestano attraverso alcuni tratti caratteristici come il pleiomorfismo cellulare (le cellule anche nell'ambito di uno stesso tumore presentano forme e dimensioni diverse), il pleiomorfismo nucleare (il nucleo appare generalmente ingrossato e i processi di divisione cellulare, spesso abbondanti per l'attivo accrescimento del tumore, sono irregolari e asimmetrici, vi è anche un aumentato rapporto nucleo/citoplasma in favore del nucleo) e l'ipercromatismo nucleare (i nuclei delle cellule tumorali si colorano più facilmente con i coloranti usati per gli esami istologici di quanto non lo facciano le cellule sane).

Un altro carattere fondamentale delle neoplasie è la loro crescita progressiva, illimitata, senza un apparente piano morfologico; questo è dovuto principalmente al fatto che le cellule neoplastiche non sono in grado di rispondere ai meccanismi di controllo che regolano l'accrescimento e la

(3)

moltiplicazione cellulare.

Vi sono molti fattori che influiscono sulla crescita anomala delle cellule. Nelle forme tumorali vi è un cambiamento della dipendenza delle cellule dai fattori di crescita. Le cellule neoplastiche sono in grado di proliferare anche con valori molto bassi di fattori di crescita od addirittura è la cellula stessa che genera i fattori di crescita (stimolazione autocrina).

Si riscontra anche una mancata inibizione della crescita per densità cellulare. Nelle cellule sane in seguito ad un danno tissutale i fibroblasti formano tessuto cicatriziale, ma quando hanno raggiunto una certa densità questa impedisce la nuova formazione di altri fibroblasti. Nelle neoplasie, invece, questa inibizione non è presente e le cellule tumorali si stratificano e si sovrappongono dando origine alle masse tumorali.

Altro importante fattore che contraddistingue le cellule neoplastiche dalle sane è che le prime non necessitano di un supporto da parte del tessuto in cui si trovano per potersi moltiplicare nell'ambiente extra-cellulare. È noto come in colture in vitro di Agar le cellule neoplastiche maligne continuano a moltiplicarsi indipendentemente dalla mancanza del supporto, cosa impossibile per una cellula normale.

Risulta molto importante nel processo di progressione del tumore anche la mancata inibizione da contatto delle cellule neoplastiche. Queste non risentono dell'arresto della crescita dovuto alla vicinanza con le altre cellule e quindi il loro accrescimento e propagazione può progredire in modo illimitato.

(4)

Infine le cellule neoplastiche sono molto meno aderenti alla matrice stromale di quanto non lo siano le cellule normali, questo permette loro di spostarsi lontano dal sito di origine.

Come conseguenza di quanto detto fino ad ora, nella sua espansione la massa tumorale non si limita a comprimere i tessuti circostanti, ma li distrugge e si sostituisce ad essi; d'altra parte, le cellule tumorali che si sono distaccate possono passare nei vasi sanguigni o linfatici dando origine ad un'altra neoformazione, tumore secondario o metastatico, del tutto identico per struttura alla neoplasia d'origine, che si può trovare anche molto lontano dalla localizzazione del tumore primitivo.

Oltre che per via ematica o linfatica, la metastasi può avvenire per disseminazione, cioè in seguito allo sfaldamento di alcuni elementi neoplastici della massa tumorale primitiva ed al conseguente loro impianto su una nuova superficie.

La velocità di formazione ed accrescimento della neoplasia è variabile e dipende anch'essa da alcuni fattori.

Uno di questi è il rapporto tra le cellule “impazzite” e quelle sane, maggiore è il numero delle cellule malate e maggiore sarà la velocità di propagazione.

Un altro fattore che determina la velocità di crescita tumorale è il grado di morte cellulare. Le cellule tumorali vanno incontro ad apoptosi più lentamente di quanto non lo facciano le cellule normali, allungando così la loro vita e la possibilità di proliferazione. Inoltre alcune cellule neoplastiche sono in grado di

(5)

sintetizzare fattori angiogenetici con i quali riescono a dar luogo a formazione di nuovi vasi (neo-angiogenesi) mantenendo costante l'apporto di ossigeno e nutrienti necessari alla loro sopravvivenza.

Infine tumori che non sono particolarmente indifferenziati possono risentire anche della normale attività ormonale dell'organismo, ad esempio una neoplasia tiroidea non ancora indifferenziata può sentire l'influenza dell'ormone tireotropo determinando così, un accrescimento più o meno veloce della massa tumorale.

Altra caratteristica di una neoplasia maligna è la tendenza alla recidiva dopo asportazione chirurgica. Spesso si osserva anche il fenomeno della “cachessia neoplastica” cioè il progressivo decadimento delle condizioni generali del soggetto affetto dalla malattia, spesso con decorso infausto.

I tumori maligni si possono dividere a seconda della loro differenziazione in neoplasie maligne ben differenziate (le cellule tumorali mantengono ancora i caratteri del tessuto da cui si sono originate anche se in modo imperfetto), scarsamente differenziate (si perde l'attività dell'elemento d'origine) e anaplastiche (cellule maligne totalmente indifferenziate che manifestano attività esclusivamente vegetativa e proliferativa).

1.2. EZIOPATOGENESI DEI TUMORI [2]

L'eziologia di molti tumori, è ancora sconosciuta, questo perché lo sviluppo di una neoplasia è il risultato di un'interazione complessa di molti

(6)

fattori sia endogeni che esogeni.

Attualmente un composto viene definitivo cancerogeno se in seguito alla sua esposizione aumenta l’incidenza dei tumori in studi di cancerogenesi o dopo rilevamenti epidemiologici.

Tranne le neoplasie legate all'infanzia, come leucemia acuta, neuroblastoma, tumore di Wilms, retinoblastoma, sarcomi dei tessuti molli, peraltro rare, in generale il rischio di tumori aumenta con l'età. Quasi tutti i tumori si sviluppano nell'uomo dopo i 50 anni, per il naturale calo delle difese dell'organismo e per il maggior tempo di esposizione ai cancerogeni ambientali.

Ci sono diversi fattori che influiscono sull'evoluzione e manifestazione di un tumore e si possono riassumere in fattori genetici, e fattori derivanti da agenti biologici, fisici e chimici dotati di potere cancerogeno.

Il ruolo esercitato dai fattori genetici risulta molto complesso, per molte delle neoplasie più comuni è importante la familiarità, l'incidenza della malattia è cioè più alta, da 3 fino a 30 volte, fra i pazienti con una storia familiare di tumori. Per di più, numerose affezioni maligne come il retinoblastoma, che colpisce l'occhio, e la poliposi familiare del colon sono associate ad una sicura ereditarietà. Influisce molto sull'aumento del rischio di cancro anche la presenza di numerose lesioni preneoplastiche in grado di evolvere in condizioni di malignità, anche queste collegate a fattori genetici. La razza è un fattore genetico di complessa interpretazione, perché fortemente influenzato dalle abitudini culturali e dai fattori ambientali, come ben

(7)

evidenziato dai mutamenti epidemiologici nelle popolazioni soggette a migrazione.

Come detto in precedenza, sono stati identificati anche numerosi agenti biologici, fisici e chimici con potere cancerogeno; risulta chiaro tuttavia che non possono essere considerati, se non eccezionalmente, fattori causali del cancro. Questi agenti, infatti possono fungere da promotori dello sviluppo della malattia, ma si è notato che tumori identici a quelli indotti dai cancerogeni possono svilupparsi in assenza di essi. Viceversa campioni demografici diversi sottoposti all'azione di uno stesso cancerogeno possono sviluppare o meno il tumore.

Per quanto riguarda i fattori biologici, nonostante i numerosi dati sperimentali, ben pochi organismi viventi sono stati significativamente correlati all'insorgenza di neoplasie. Si ritiene che fra questi, i virus rappresentino la categoria più importante.

Si possono considerare ad eziologia nota alcuni tumori virali, che rappresentano però un gruppo relativamente limitato delle neoplasie che colpiscono la specie umana. Di eziologia certamente virale sono il linfosarcoma africano ed il linfoma di Burkitt, carcinoma nasofaringeo comune nelle popolazioni asiatiche, alcuni tumori epatici, correlati al virus dell'epatite B, ed il cancro al collo dell'utero generato dall'HPV (= Human Papilloma Virus). Si è avanzata inoltre l'ipotesi che i virus siano gli agenti responsabili di alcuni tipi di leucemie e di alcuni tumori mammari. In questi casi, tuttavia, il virus di per sé non basta a produrre la

(8)

neoplasia, occorre una costituzione genetica particolare ed una determinata situazione ormonale del soggetto esposto al virus.

Per generalizzare, ammettendo valida l'ipotesi biologica, si deve pensare che, nella maggioranza dei casi, la costituzione genetica dell'individuo, l'equilibrio ormonale e l'intervento di agenti esterni chimici e fisici abbiano il significato di creare con l'entità biologica una sorta di equilibrio che ne determina la maggiore o minore aggressività.

Tra i fattori di natura fisica, invece, i più direttamente correlabili all'insorgenza di neoplasie sono le radiazioni, come i raggi X, quelle ionizzanti e quelle elettromagnetiche irradiate dal sole, responsabili di non meno del 3% dei tumori. Raggi X e radiazioni ionizzanti derivanti da sostanze radioattive possono determinare l'insorgenza di leucemie e di tumori solidi e gli organi maggiormente colpiti sono il midollo osseo, la mammella e la tiroide. Tale fenomeno, dimostrato in diverse specie di animali da laboratorio, ha ricevuto conferma nell'uomo con l'elevata incidenza di leucemie nei sopravvissuti alle esplosioni nucleari e negli individui professionalmente od accidentalmente esposti a sorgenti radioattive. L'inalazione di aria contenente materiale radioattivo può essere causa di carcinomi polmonari, e la penetrazione di sostanze radioattive nell'organismo per altre vie provoca tumori a differente localizzazione. Inoltre le radiazioni elettromagnetiche del sole costituiscono il maggior fattore di rischio per i tumori cutanei, compreso il melanoma.

(9)

verranno discussi in dettaglio nel paragrafo successivo.

1.3. CANCEROGENI CHIMICI [3]

Fra i composti chimici naturali e di sintesi, sono stati identificati come sicuri cancerogeni per la specie umana, circa una quarantina di agenti, mentre per centinaia di sostanze esistono dati epidemiologici o sperimentali estremamente sospetti.

Attualmente gli oncogeni chimici vengono suddivisi in tre categorie.

La prima categoria comprende i cancerogeni diretti o primari, sostanze che provocano tumori nella sede stessa di applicazione. La struttura chimica di questi composti fa prevedere la loro elevata reattività biologica, che in pratica si traduce nella tendenza a combinarsi con gli acidi nucleici e con le sostanze proteiche cellulari.

La seconda categoria comprende i procancerogeni o cancerogeni secondari, tali composti non provocano tumori nella sede di applicazione, ma a livello di specifici organi bersaglio. Ciò, nella maggior parte dei casi, si deve al fatto che l'effetto oncogeno è provocato non dalla sostanza come tale, ma da un prodotto della sua trasformazione intraorganica. L'agente oncogeno deve quindi essere prima metabolizzato dall'organismo, in particolare dal fegato o dal polmone. La terza categoria comprende i cocancerogeni, sostanze di per sé sprovviste di potere oncogeno, ma capaci di promuovere o di potenziare l'effetto oncogeno di

(10)

altri agenti chimici e fisici, ad esempio alcune sostanze tensioattive.

È da evidenziare che, qualunque sia la natura del cancerogeno, l'azione è irreversibile. Spesso inoltre si registra il fenomeno della sinergia, cioè due o più cancerogeni agiscono in modo additivo aumentando di molto il loro potere cancerogeno.

Sono stati condotti molti studi epidemiologici relativamente alle sostanze cancerogene. Di particolare interesse, risultano gli studi condotti nell'ambito della tossicologia industriale che hanno messo in evidenza come determinati luoghi di lavoro possono essere la fonte di esposizione principale di molte sostanze cancerogene. Ad esempio l'esposizione prolungata di minatori, fonditori ed in genere addetti alla preparazione di leghe e smalti, all'arsenico, è stata correlata all'insorgenza di tumori epatici, polmonari e cutanei. L'asbesto (silicato di magnesio) utilizzato per la produzione dell'amianto, è stato invece associato all'insorgenza di mesoteliomi, tumori pleurici, in lavoratori di officine meccaniche e di materiale edilizio che utilizzavano tale fibra per rendere ignifughi vari materiali. In Italia, sono noti purtroppo molti casi di decessi legati a questa esposizione. Anche diverse ammine aromatiche come 2-naftilammina, 4-amminofenidile, anilina, benzidina, sono state riconosciute responsabili di tumori vescicali negli operai delle industrie di coloranti, dove in passato, tali composti trovavano largo impiego.

Altre tipologie di cancerogeni chimici sono analizzate dalla tossicologia ambientale. Molte sostanze cancerogene sono normalmente presenti

(11)

nell'ambiente che ci circonda, ne sono un esempio gli idrocarburi aromatici, policiclici ed eterociclici: benzopirene, dibenzoantracene, benzacridina, benzene, presenti sia in materiali responsabili di tumori professionali come catrame, paraffine ed oli minerali, ma anche nei gas di scarico dei motori a scoppio. Questi sono costituenti chimici normalmente presenti anche nel fumo di tabacco. L'incidenza di cancro al polmone è di dieci volte superiore nei fumatori rispetto ai non fumatori ed il fumo è associato ad un rischio elevato di cancro al cavo orale, all'esofago, al rene, alla vescica ed al pancreas. Da quanto detto si comprende che, la grande e diversificata utilizzazione degli idrocarburi aromatici, li rende i principali agenti cancerogeni ambientali.

Molteplici cancerogeni chimici sono anche analizzati con grande interesse dalla tossicologia alimentare, che svolge un continuo controllo per quanto riguarda la sicurezza alimentare. Molte sostanze utilizzate in passato si sono rilevate cancerogene e sono state ritirate dal commercio, ne sono un esempio vari derivati delle ammine aromatiche, come la 4-nitrochinolina-N-ossido e numerosi coloranti azoici come il giallo burro (o 4-dimetilamminoazobenzene) un tempo utilizzato in molti paesi come colorante per margarina, burro e paste alimentari o come conservante della frutta. Altre sostanze, con un potenziale effetto cancerogeno, sono invece ancora presenti negli alimenti. Ne sono un esempio i nitriti utilizzati nell'industria come conservanti dei salumi, che sembrano implicati nello sviluppo delle neoplasie dello stomaco e del colon retto.

(12)

modalità di preparazione e conservazione dei cibi, come l'affumicatura e la cottura alla brace, sia la cattiva qualità della dieta agiscono favorendo l'insorgenza di tumori. Ad esempio, l'eccessivo consumo di grassi è stato associato al tumore alla mammella ed al colon; mentre l'abuso di alcool è stato associato all'insorgenza di tumori epatici, dell'esofago e della mammella.

Infine, ma non per ultimo, molti tumori sono associati anche ad agenti farmacologici, campo studiato dalla tossicologia farmaceutica. Ne è un esempio il dietilstilbestrolo. Questo è un derivato estrogenico utilizzato in passato per ridurre la minaccia di aborto, e tuttora impiegato nella zootecnica, che è stato associato all'insorgenza di tumori vaginali nella discendenza di donne che ne fecero uso un gravidanza. Tale farmaco è anche associato ai tumori a livello dell'utero in donne trattate per alleviare i disturbi della menopausa; oggi se ne consiglia l'associazione con il progesterone per ridurre i fattori di rischio. Un altro esempio è dato purtroppo da molti agenti antitumorali, soprattutto gli alchilanti. Il loro utilizzo in neoplasie dell'infanzia, come alcune leucemie, ha portato ad un aumento dell'insorgenza di un secondo tumore nei giovani pazienti trattati. Anche farmaci ad azione immunosoppressiva come l'azatiotropina, utilizzati contro il rigetto nei trapianti, hanno evidenziato un'azione analoga.

(13)

1.4. LA CHEMIOTERAPIA ANTITUMORALE [4].

Una neoplasia può essere sottoposta a terapia chirurgica, a radioterapia o a chemioterapia o, dove necessario, ad un'associazione tra queste tre strategie.

A differenza della terapia chirurgica e della radioterapia, la chemioterapia antineoplastica consente di intervenire sia sui tumori localizzati che su quelli diffusi, proponendosi di incidere soprattutto a livello delle metastasi.

Affinché una terapia antitumorale sia efficace, essa deve soddisfare alcuni requisiti: il farmaco deve raggiungere le cellule tumorali, una quantità sufficiente di farmaco o dei suoi metaboliti attivi deve entrare e persistere all'interno della cellula malata per un tempo adeguato, la cellula tumorale deve essere sensibile all'azione del farmaco, e tutto questo deve avvenire prima che insorga la resistenza al farmaco. Inoltre, il paziente deve essere in grado di tollerare gli effetti indesiderati della terapia.

I farmaci antineoplastici, detti anche antiblastici, si possono classificare in quattro gruppi.

Il primo gruppo è quello degli alchilanti: sono farmaci che determinano l'introduzione di gruppi alchilici in alcune strutture molecolari della cellula. Questo causa l'alterazione delle attività metaboliche connesse con lo sviluppo, la riproduzione e la vita stessa della cellula cancerosa. Dal punto di vista clinico, i più efficaci sembrano essere i cosiddetti “alchilanti polifunzionali”

(14)

che contengono, cioè, due o più gruppi attivi di alchilazione. Tra i più noti si ricordano le mostarde azotate (ciclofosfamide, clorambucile), il cisplatino e le nitrosouree (carmustina e lomustina).

Il secondo gruppo è quello degli antimetaboliti: comprende composti che hanno analogie strutturali comuni ai metaboliti utilizzati dalla cellula per i processi di sviluppo e riproduzione. Questi farmaci, pertanto, avendo azione antimetabolica, impediscono la replicazione delle cellule proliferanti; i più usati sono il metotrexato, il 5-fluorouracile e la vidarabina.

Il terzo gruppo è quello degli ormoni: a questo gruppo appartengono estrogeni, progestinici (il progesterone è stato usato nel carcinoma dell'endometrio), androgeni e glicocorticoidi.

Il quarto gruppo comprende farmaci di natura diversa come alcaloidi (colchicina), antibiotici (bleomicina, e adriamicina) ed enzimi (L-asparaginasi).

I farmaci in uso non consentono di esercitare un'azione specificamente diretta contro le cellule tumorali: colpiscono genericamente tutte le popolazioni cellulari in fase di attiva replicazione, comprese le cellule sane, anche se in misura minore rispetto alle neoplastiche. Cellule sane che risentono particolarmente dell'effetto dei chemioterapici sono quelle ad alto ritmo proliferativo come il midollo osseo, la mucosa orale e gastrointestinale, le ovaie, i testicoli ed i bulbi piliferi. Per questo motivo gli effetti collaterali che si riscontrano in soggetti trattati con chemioterapici sono: la diminuzione dei globuli bianchi e rossi prodotti dal midollo osseo; l'irritazione della mucosa della

(15)

bocca; la comparsa di vomito e diarrea per l'effetto irritante sull'apparato gastrointestinale; l'irregolarità mestruale e la caduta dei capelli.

Allo scopo di ridurre gli effetti collaterali, sono state messe a punto particolari strategie terapeutiche. La terapia viene effettuata in modo intermittente, secondo schemi che prevedono cicli curativi della durata di alcuni giorni, alternati a livelli di riposo di tre-quattro settimane. In questo modo si consente alle popolazioni cellulari sane danneggiate dal trattamento di tornare alla normalità, mentre le cellule tumorali, generalmente più lente a recuperare il danno subito, vanno incontro a regressione.

Per ridurre ulteriormente gli effetti secondari della terapia, si ricorre molto spesso anche alla polichemioterapia, infatti l'associazione di più farmaci antitumorali con diversi meccanismi d'azione ha un effetto sinergico nei confronti dell'azione globale della terapia, ma riduce significativamente gli effetti collaterali.

In alcuni casi la chemioterapia viene utilizzata a scopo precauzionale (chemioterapia adiuvante), dopo l'intervento chirurgico di asportazione della neoplasia, al fine di eradicare eventuali microscopiche metastasi già disseminate al momento dell'operazione.

La strategia terapeutica migliore comunque, resta la precoce somministrazione del farmaco chemioterapico, dove la dose e la quantità di farmaco sono variabili importanti nel determinare l'efficacia della terapia soprattutto di alcuni tumori. Ogni tipologia di tumore infatti segue ben precisi schemi o protocolli terapeutici.

(16)

Negli ultimi anni, le numerose ricerche effettuate hanno fornito importanti informazioni sui meccanismi molecolari che stanno alla base dei vari eventi biologici delle cellule e della sensibilità o resistenza di queste ai farmaci. Ciò ha portato ad un ripensamento della chemioterapia con un accresciuto interesse verso l'identificazione di nuovi bersagli molecolari ed alla individuazione di nuove strategie terapeutiche.

1.5. UNA NEOPLASIA RARA: IL LINFOMA CUTANEO A CELLULE T (CTCL) [5]

Degna di nota risulta una particolare neoplasia, il linfoma cutaneo a cellule T (CTCL), in quanto il SAHA, utilizzato per curare questo tipo di malattia, è il più importante rappresentante dei farmaci inibitori degli HDAC, principale argomento di questa tesi.

Il linfoma cutaneo a cellule T, è una neoplasia maligna delle cellule del sistema immunitario T-helper (CD4 +). Il CTCL è un tumore dei globuli bianchi che colpisce principalmente la pelle, e solo secondariamente ha ripercussioni anche su altri organi. Questa malattia comporta l'incontrollabile proliferazione dei linfociti T-helper CD4+ (così chiamati a causa della presenza di un recettore di superficie chiamato appunto CD4), con la conseguente e successiva infiltrazione anomala di queste cellule nell'epidermide. Questo genera leggere lesioni scure sulla pelle di solito pruriginose che compaiono per la maggior parte sul tronco, ma possono essere presenti in ogni parte del corpo. Nel decorso più comune

(17)

della malattia queste lesioni evolvono in più profonde placche rosse dai contorni più definiti. Con il progredire della malattia queste lesioni prendono l'aspetto di un fungo, da cui il nome micosi fungoide, anche se non è presente il coinvolgimento di un fungo nella malattia. Gli stadi più avanzati della malattia mostrano metastasi nei tessuti extracutanei da prima nei linfonodi e successivamente in vari altri organi. Il decorso della malattia, tuttavia, è spesso non lineare, anche se la probabilità di diffusione negli organi presenti nell'addome è direttamente correlata alla quantità di pelle coinvolta nella lesione. Infatti il coinvolgimento viscerale si verifica solo nel 15-20% dei casi e può colpire principalmente i polmoni, la parte superiore del tubo digerente, il sistema nervoso centrale od il fegato; infine praticamente tutti gli organi possono essere coinvolti. Tuttavia il sintomo distintivo della malattia rimane il prurito; questo è di solito il motivo che spinge il paziente ad andare dal medico per il trattamento.

Una particolare manifestazione di CTCL è conosciuta come sindrome di Sézary, i pazienti presentano un arrossamento generale della pelle, con o senza placche evidenti. La pelle può essere atrofica o lichenizzata: con numerosi duri rigonfiamenti riuniti assieme, si riscontrano inoltre la comparsa di intolleranza al freddo ed intenso prurito. Questi pazienti hanno linfonodi gonfi e un gran numero di cellule anomale che circolano nel sangue.

Il CTCL è una malattia rara, con un'incidenza annuale di circa 29 casi per 100.000 persone negli Stati Uniti, e circa la metà in Europa orientale.

(18)

Tuttavia, il numero minore di casi riscontrati in Europa può essere attribuito ad un diversa conoscenza della malattia da parte dei medici, piuttosto che una reale differenza d'incidenza. Negli Stati Uniti, si contano da 500 a 600 nuovi casi l'anno e di questi circa 200 portano al decesso. Normalmente i soggetti adulti sono i più colpiti, l'età media va dai 55 ai 60 anni, e l'incidenza negli uomini è il doppio di quella nelle donne.

L'eziologia del CTCL non è nota, tuttavia l'esposizione a prodotti chimici o a pesticidi è stata proposta come possibile causa, anche se studi non hanno dimostrato un collegamento tra l'esposizione e lo sviluppo della malattia. La possibilità di isolare i virus da alcune linee cellulari derivate da cellule di pazienti affetti da CTCL solleva la questione di una causa virale, ma gli studi non sono stati in grado di confermare tali sospetti.

La terapia consiste, a seconda dello stadio di sviluppo della malattia, in un'associazione di radioterapia, chemioterapia e fototerapia. Si utilizzano anche terapie complementari e particolare attenzione viene rivolta alla necessità di alleviare i sintomi del prurito.

Riferimenti

Documenti correlati