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Capitolo IV. Manifatture, mercati e fiere in provincia dal 1809 al 1850

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Capitolo IV. Manifatture, mercati e fiere in provincia dal 1809 al 1850

Abbiamo visto sinora in via generale le basi dello sviluppo economico di Terra di Bari, sia in campo agricolo, sia in quello commerciale-manifatturiero. E' adesso venuto il momento di supportare il quadro sin qui delineato con concreti esempi, che sono in grado di dare una vivida immagine di quanto sino ad ora affermato. Il commercio oleario e le grandi industrie che si aprirono a partire dal 1850 verranno trattate in capitoli a parte, in quanto argomenti meritevoli di attento esame; mentre qui ci occuperemo delle manifatture diffuse in provincia e dei luoghi di mercato esistenti. I dati che ricaviamo dalle inchieste economiche dell'Intendenza circa questi settori, sono altresì molto utili per comprendere l'effettivo livello di sviluppo ed i progressi compiuti dalla provincia prima della seconda metà dell'800, quando si dispiegheranno quelle forze che si erano messe in moto durante il Decennio francese. Leggere dunque i dati forniti è utile per comprendere perché si ebbe un certo tipo di sviluppo da un determinato periodo in poi.

Terra di Bari, un centro di gravitazione

Barletta era definita, a ragion veduta, “granaio delle Puglie”, intratteneva relazioni commerciali significative col Levante e si poneva l'accento sul numero significativo di contrattazioni commerciali che ogni giorni vi avevano luogo, pur se si trattava di un tipo di commercio “passivo”, come s'è detto. Nasceva da qui l'urgenza di dare alla piazza barlettana dei pubblici ufficiali, come avveniva in altre piazze commerciali del Regno. Tra il 1830 ed il 1832 ha luogo una lunga disputa sulla nomina a sensale regio (che si occupava della regolarità delle trattative commerciali) di alcuni possidenti del posto. Il Consiglio Decurionale, se da un lato confermava che non vi era in città una Borsa, né una Camera di Commercio e che quindi mancavano le necessarie istituzioni economiche per un porto commerciale, dall'altra sosteneva che proprio per ciò si era nell'impossibilità di nominare a tale carica chicchessia. Al contrario, il sindaco

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rispondeva che tali figure esistevano anche in una città come Molfetta, dove certo non v'era nessuna delle su citate istituzioni. Questo ci mostra un indubbio fermento economico, espresso nella richiesta di figure istituzionali per regolare il commercio delle città costiere (tutte definite fiorenti); ma nel caso di Barletta, il suo ruolo di porto “coloniale” peserà come un macigno su ogni futuro sviluppo. Con Real Decreto 16 settembre 1831, il re nominò due sensali regi e due agenti di cambio a Barletta, dai quali dovevano passare tutte le contrattazioni effettuate nella piazza. La mole dei traffici, però, era evidentemente maggiore, se in una lettera del 30 aprile 1832, il sotto-intendente del distretto ricorda la necessità della nomina di un terzo sensale, poiché “in questa città, ove per la permanenza di varie case di negozianti esteri, gli affari commerciali sono infiniti”; un'impressione confermata da Filippo Vasta di Barletta, che il 2 settembre dello stesso anno afferma essere talmente aumentato il commercio del grano (oltre 2.135.379 tomoli esportati)1, che già più non bastano i

sensali e gli agenti di commercio di nomina regia, anche perché si erano insediate in città “nuove case di negozio” che avevano aumentato il volume degli affari.

Questo esempio sta a dimostrare che il sistema economico di Terra di Bari, ben lungi dall'essere una realtà solo provinciale, si estendeva ben oltre i confini dell'Intendenza, andando a far gravitare nella sua orbita le provincie circonvicine (in questo caso, la produzione granaria della Capitanata e di Basilicata). Ma non solo. Infatti, nel 1828 Luigi Carafa e Michele Lucente di Noia ottengono la privativa per 10 anni per coltivare i bachi da seta detti “di Siria” nelle provincie delle due Calabrie Ulteriori2, dimostrando la capacità di far convergere persino le produzioni di provincie

più lontane nell'orbita barese dell'imprenditoria locale. Il tessuto imprenditoriale e produttivo che andava sviluppandosi nella provincia, però, era anche capace di attirare imprenditori extraregnicoli, come nel caso di Luigi Giannini di Firenze (il quale aveva già aperto una filanda in Calabria), che aveva introdotto l'arte di filare la seta in Bari3, forse a seguito della buona riuscita dei traffici di

bachi da seta che dalla Calabria al porto barese facevano i Carafa-Lucente (non a caso, la notizia si

1 ASB, a.i.c., b. 14, f. 4

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trova in una lettera spedita dall'intendente di Terra di Bari a quello di Calabria I Ulteriore). Si vedrà in un altro capitolo l'estensione della forza centripeta del sistema economico barese, ma questi due esempi non possono che essere utili nel confermare come, pur non essendosi ancora al tempo dispiegato per intero, esso fosse già capace di allargare i suoi confini.

La manifattura diffusa

Decennio francese (1805-1815)

Abbiamo già detto che la manifattura diffusa e l'artigianato sono stati la base su cui si sono costruite le successive fortune di imprese industriali ben più grandi. Proprio nella diffusione in ogni paese, anche piccolo, della provincia sta la sua importanza, perché formava ovunque manodopera impiegata in altre occupazioni che non fosse l'agricoltura, sì che quando vi fu una sovrabbondanza di manodopera dei campi, una parte potette essere dirottata in attività manifatturiere senza troppi problemi. Si guardino i dati che emergono dalle inchieste dell'Intendenza del 1808-09/1809-12

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COMUNE MANIFATTURE E PRODUZIONI (1808-1809)

Carbonara C'è una piccola conceria che tratta pelli di poca qualità, insufficiente ai bisogni del paese Canosa

Cassano

Valenzano Monopoli

C'è una piccola conceria

Castellana Ci sono 4 concerie di sole veneziane, che producono per i soli bisogni del paese Noia

Gioia

Bisceglie

Minervino Esistono 2 fornaci che producono pignatte, embrici e mattoni con la creta locale Rutigliano

Noci Vi è una piccola conceria che produce scarpe, la quale non basta ai bisogni del paese Barletta Vi sono diverse fornaci che producono vasi, mattoni ecc.

Molfetta

C'è una fornace in cui si lavora la creta, ma non produce prodotti di qualità a causa della imperizia dei lavoratori. Il prodotto è consumato localmente

Fasano

Vi sono 2 concerie “di piccolo capitale” che si servono di bovi locali, ma che non producono a suffi-cienza per i bisogni del paese. Vi sono poi 3 fornaci dove si producono pignatte di terra rossa e vasi di creta, ma sono una produzione rustica. Vi sono altresì 4 saponerie, che producono con cenere e calce, ma solo una di esse produce saponi simili a quello di Marsiglia, in quanto vi lavora un forestiero (Antonio Loverato di Nizza). Questo si vende sino a Foggia, Avellino e comuni vicini al paese. La proprietà è del nizzardo in società con 3 fasanesi

Casamassima Si producono tessuti di lana, di mediocre commercio, e di canapa (questi di buona qualità), lavorati d alcune telerie Ci sono 2 concerie che lavorano 60 cuoi vaccini, 300 pelli caprine e pecorine. Producono scarpe, federe, veneziane e si tingono solo di colore nero. Non sono sufficienti ai bisogni del paese. Vi è una piccola fornace di argille che produce mattoni ed embrici. Esistono due botteghe che lavorano il rame.

Ci sono 3 concerie, proprietari Vitantonio Capozza, Leone di Lorenzo e Giuseppe Pracina. Usano pelli di animali minuti, di capi vaccini, cavallini ed altri. Si producono cordovane, veneziane, vacchette bianche e nere, sole rosse e nere. Vendono i prodotti in tutto il circondario

Vi sono 2 fornaci che producono pentolame d'argilla colorata (povera qualità). Ci sono 9 saponifici, che esportano anche verso Ancona e Senigallia (500 cantaia annue)

Ceglie

Ci sono 5 fornaci d'argilla, che producono per uso agricolo (vasi da olio, vino ecc.) e domestico. Vendono in tutta la provincia

Ci sono 3 concerie (tutte di forestieri). Conciano 1150 veneziane l'anno e 150 sole di cavallo l'anno. Qualità povera, tant'è che i cittadini non le comprano. Vendono così tutto il prodotto fuori. Sanno tin-gere i cuoi di nero, ma il colore viene via con l'umidità. Ci sono 2 fornaci che lavorano creta rossa, esportando anche nei comuni di Laterza, Ginosa, Santeramo, Acquaviva, Noci, Putignano, Sammi-chele e Castellaneta (più molti altri). Una terza fornace lavora creta bianca e non produce pignatte e tegame come le altre, bensì embrici, orci e altri vasi per uso agricolo. Pignatte e tegami in creta rossa sono verniciate con preparati di piombo. Esistono molti piccoli saponifici condotti da donne. Si rac-coglie molta lana e viene lavorata da donne, senza alcuna industria; tuttavia molti mercanti esportano i prodotti lavorati nelle provincie di Bari e Lecce, qualcuno persino a Napoli. I lavori in lana si vendono a 14 carlini la canna, più se sono colorati

Ci sono 4 fornaci che lavorano l'argilla locale nera e dura, esportando sia nel Regno che fuori. Vi è una fornace che invece lavora creta bianca importata da Ruvo e condotta da 2 ruvesi

Ci sono 6 fornaci che lavorano creta rossa (pentolame da cucina) e bianca (vasi e recipienti da uso agricolo). Esportano in tutta la provincia

Vi è la sola conceria di Bonaventura Attanasio, di Francavilla, che produce scarpe. La produzione non copre i bisogni del paese. Vi è un saponificio che vende sopratutto nelle provincie campane al prezzo di 15 ducati il cantaio all'ingrosso. Ne fabbrica al mese 20 cantaia

Palo

Bitonto

Ci sono 3 saponifici che vendono in paese e nei comuni vicini. Se ne producono 6 cantaia la settima-na. Un cantaio si vende a 13 ducati. Proprietari sono Domenico di Michele Fanizzi e Vito Saverio Mastromattei

Ci sono vari concerie che producono sole bianche e pelli nere. Ci sono anche molti saponifici che vendono a 13 ducati il cantaio; molti ne esportano a Napoli e nei comuni di Terra di Lavoro. Esistono dei calzettari che acquistano le calze di lana lavorate dalle donne ( a casa) e li vendono nei casali na-poletani

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Turi

Ruvo

Mola

Andria

Bitetto Vi è una piccola saponeria, che produce appena 5 cantaia al mese Trani Vi sono delle concerie, ma non bastano ai bisogni della città

Corato

Terlizzi

Gravina Conversano

Bari

Ci sono 3 concerie, che producono sopratutto veneziane ma non solo, che vendono anche nei paesi vicini. Si raccoglie molta lana, i cui prodotti lavorati dalle donne si vendono fuori dal paese

Vi è una conceria che lavora annualmente 300 pelli veneziane e 300 cuoi per sole. Se ne vendono anche nei paesi vicini. Il proprietario è Tommaso de Crescenzio. Ci sono 6 fornaci che lavorano argil-la e che sanno colorare di vari colori (rosso, verde e blu) i loro prodotti. Si vendono in tutta argil-la pro-vincia, in Basilicata e in Capitanata, talvolta anche fuori Regno. La creta è abbondante nel territorio e di ottima qualità. Si auspica una maggiore istruzione degli operai addetti per migliorare la manifattura. Si lavora la lana in bisacce e lane colorate scelte, che si vendono anche in Capitanata e Basilicata. Molta lana grezza si vende a Foggia. Nessuna industria, solo lavoro a domicilio. In aggiunte alle con-cerie lavorano i “crivelli”, che raffinano e perforano le pelli già lavorate. I loro prodotti si vendono in tutta la provincia, in Capitanata, Basilicata e Molise

Vi sono 15 botteghe conciarie (max 4 lavoranti ciascuna) i cui prodotti si vendono anche in Basilicata, Terra d'Otranto e provincia di Bari. Si producono 800 cuoi vaccini e 3.000 pelli caprine, ed altrettan-te federe, l'anno. Vi è anche una saponeria, che produce 60 cantaia al mese

Ci sono 8 fornaci che lavorano embrici, mattoni rustici, vasi colorati, pignatte e tegami. Proprietari sono: Paolo Ineo, Domenico di Bari, Antonio Caracciolo, Vincenzo Attimonelli, Riccardo Ferro, Riccardo Piciocco

Esistono 12 concerie che producono all'anno 1.000 cuoi vaccini, giumentari e bufali, oltre a 3.000 pelli caprine, pecorine e montoni. Ne vendono anche al di fuori del paese. Vi è l'arte di tingere le pelli di nero. Vi è una sola fornace, che rifornisce di creta semplice e colorata il solo paese. E' proprietario un ruvese, Andrea Mastrolillo

Ci sono 2 piccole concerie (con poco capitale) che menano vita grama, producendo cordovane da pelli di montone e capra, non avendo abbastanza soldi per migliorare l'arte. Così molte pelli vengono vendute grezze altrove. Si sono stabilite 2 ottime fornaci d'argilla e ferro gestite da napoletani pratici del mestiere, chiamati e finanziati da due cittadini, Pietrantonio de Napoli e Francesco Tatulli Ci sono 2 fornaci, fabbricanti vasi, embrici e mattoni. Vi è da poco installata una fabbrica di cappelli fini ed ordinari

Vi è una tintoria pubblica di panni, che ha per clientela le famiglie, le quali vi portano le proprie tele di lana, giudicate di buona qualità

Poche, ma rimarchevoli, produzioni: acqua aromatica, 2 spezierie manuali che lavorano il cioccolato e vari altri dolci,alcune manifatture di cappelli ordinari, alcune piccole vetrerie (non di eccelsa qualità), un pastificio che produce maccheroni e paste minute

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COMUNE SAGGI INVIATI ALL'ESPOSIZIONE/INFORMAZIONI SULLE ARTI LOCALI 1809

Conversano Castellana

Capurso Si lavora creta e la si colora col piombo (proveniente da Venezia)

1812

Noci Prodotti tessili ad uso domestico Andria Candele steriche, produzione artigianale Giovinazzo L'arcidiacono invia saggi di prodotti tessili Sammichele Lavori tessili “per solo uso domestico” Casamassima idem

Bitetto

Grumo idem

Acquaviva prodotti tessili di migliore qualità (dovuta alla presenza di concerie)

Gioia idem

Terlizzi Prodotti tessili ad uso domestico Barletta

Cassano Prodotti tessili ad uso domestico e un secchietto, lavorato da due officine di ramaioli Palo Prodotti tessili ad uso domestico

Noicattaro idem Rutigliano idem Altamura idem Putignano idem Canneto idem Mola Conversano Gravina idem

Fasano Invia come saggi i saponi della manifattura di Paolino Guarini Bitonto

Monopoli

Capurso Prodotti tessili ad uso domestico Valenzano idem

Trani Invia come saggio un tavolino in mogano Castellana

Donato de Jatta, agronomo, coltiva l'asclepiade, la quale viene lavorata in un opificio a Taranto, che produce calze, guanti e altro

Descrizione della preparazione di un particolare tessuto, il “coccio di vacca”, lavorato ancora in modo artigianale

Lavori tessili “per solo uso domestico” e saponi, unico prodotto di manifattura e destinato alla vendita

Invia i lavori di un opificio posto in un orfanotrofio, unica lavorazione di fabbrica. Invia 15.000 canne di tessuti in cotone. Artefice è il maestro dell'orfanotrofio, Giuseppe Miller

Invia, oltre ai soliti tessuti artigianali, anche quelli della manifattura di Giuseppe Pinto, che li commercia all'interno del Regno con gran successo

Prodotti tessili ad uso domestico e 8 mazzi di fiori, testimoni di una fioricoltura che “fa onore alla provincia” (parole dell'Accolti), praticata nei monasteri di S. Chiara e S. Cosimo

Invia tessuti artigianali per uso domestico e per vendita (come le calze di lana) e una scatola di “oppio all'uso dell'oriente sul metodo del dott. Ambruosi”. La coltivazione oppiacea risulta esse-re un'attività in espansione tra diversi impesse-renditori

Invia prodotti già molto apprezzati nella precedente esposizione e venduti nel Regno e all'estero, come i saponi della manifattura di Felice Intiveri e i tessuti delle alunne del conservatorio della Casa Santa

Si fa buona produzione e vendita di prodotti tessili come tele di cotone, veneziane, sole ecc. Sono, però, tutte opera di donne o artigiani

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Questo il quadro che emerge dalle inchieste del Decennio francese: manifatture diffuse ma povere, semplici e talvolta indirizzate alla soddisfazione dei bisogni delle famiglie (come nel caso del cotone e delle lane). Ma vediamo il quadro di 30 anni dopo, nel periodo della Restaurazione

COMUNE MANIFATTURE E PRODUZIONI (1836-1840)

Giovinazzo Rutigliano Mola Grumo Bitonto Conversano Bari

Barletta Una fabbrica di acquavite Minervino

Trani Canosa Molfetta Casamassima

Presente una diffusa lavorazione (preindustriale e non accentrata) di lino, lana, bambacia e canapa (importata da Napoli). Si fa riferimento a 40 donne che lavorano tele di bambacia di buona quali-tà, tutte occupate nel locale orfanotrofio

Eccezion fatta per le produzioni del Reale Ospizio Francesco I, l'unica lavorazione è quella di ca-napa e bambacia da parte delle donne, che ne traggono il quotidiano sostentamento

Unica manifattura di un certo rilievo è la lavorazione della creta, che impiega 80 operai. Essa è tuttavia molto rozza e a livelli preindustriali

Vi sono privati stabilimenti di lavorazione del cuoio, che occupano 34 operai. Smerciano nei co-muni della provincia e in Terra d'Otranto. Gli operai risultano inoperosi per molti mesi. Non vi sono né macchine a vapore, né idrauliche. Un operaio guadagna 40 grani al dì

Lavorazione preindustriale e non accentrata del canavaccio di stoppa, proveniente dallo Stato Pontificio, che viene venduto in diverse provincie del Regno. Sono presenti circa 200 telai. Le donne impiegate guadagnano 10-12 grana al dì

Manifattura di saponi, che si esegue “con cattivi processi, tuttoché le materie componenti fossero ottime”. Ce ne sono 4 con 12 operai, stipendiati 5-6 ducati al mese (che però non basta al loro mantenimento). Tale produzione rifornisce il circondario di Bitonto, mentre il surplus è venduto negli altri comuni e nella provincia limitrofa. Di minor conto le 3 concerie, che riforniscono i soli cittadini. Un operaio vi guadagna 30 grana al dì

Biagio Accolti, socio della Società Economica, ha introdotto la lavorazione della seta e la coltiva-zione del gelso nei suoi fondi. Ne ha già 1300 circa

Vi sono alcuni greci che fabbricano rasoi e caffottieri: Demetrio Zavoiani, Costantino Zano, Gio-vanni Giabira e Onofrio Chaialampo. C'è anche un anconetano, Alessandro Veulini, che produce occhiali e lenti

Vi è uno stabilimento che produce spirito di vino (5 operai) gestita da Domenico Antonio Parioli, di proprietà di Giorgio Franich, che ha il suo stabilimento principale a Trani

Franich, imprenditore della Dalmazia nazionalizzato nel 1832, possiede uno stabilimento dove produce cremor tartaro e acquavite (cantaia 300 e salme 400 all'anno, rispettivamente) Vi è un fabbrica simile a quella di Trani, sempre di proprietà del Franich

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Dal confronto tra le due tabelle emerge chiaro un primo, importante, cambiamento: al caos ed all'anarchia prima vigenti sul territorio, andavano ora costruendosi gerarchie produttive ben definite. Ad una manifattura povera e diffusa sul territorio, cioè, andava sostituendosi un tipo di produzione di maggiore qualità e concentrata attorno a pochi comuni. Tale riorganizzazione, garantendo un ambiente più facilmente interpretabile e manifatture più accentrate, consentì di attirare imprenditori da altri paesi europei, le cui conoscenze e capitali furono di immane importanza negli sviluppi successivi dell'economia barese. Inoltre, la liberazione di manodopera artigianale prima impiegata nelle diffuse botteghe e manifatture provinciali, rese disponibile manodopera qualificata per quegli imprenditori che intendessero servirsene. Di ciò si era consapevoli già dal 1812, quando Vito Carmine Logravinese, sindaco di Sammichele, scriveva all'Intendenza affinché aprisse industrie statali, in quanto non mancavano né la manodopera, né la materia prima necessaria agli opifici, ai cotonifici e via discorrendo. Ciò che invece mancava, era l'intraprendenza industriale4.

Nel quadro dell'economia provinciale durante il Decennio, i più importanti appuntamenti e le migliori piazze commerciali erano le fiere locali (particolarmente quella di Foggia per bestiame e pelli) e la piazza di Bari, presso cui ci si riforniva di quei generi (come il vetro) che non si trovavano in Puglia; mentre da Napoli e Terra di Lavoro arrivavano lane e merci europee. Di particolare importanza, però, erano anche le solenni esposizioni che avevano luogo a Napoli per promuovere le industrie del Regno. I documenti che emergono dal fondo di Agricoltura, Industria e Commercio a questo proposito sono molto illuminanti. Vale la pena ricordare che tali documenti arrivano quasi fino all'Unità d'Italia e pertanto sono un'utile cartina di tornasole circa i cambiamenti in atto nel settore produttivo.

E' del 1812 la testimonianza dell'arcidiacono di Giovinazzo, il quale a proposito dei prodotti tessili della provincia non usa mezzi termini, affermando che l'arte della tessitura fosse rozza ed ancora nello stadio di “privato uso” e, perciò, di scarso rilievo per il commercio. Assenti o quasi

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risultavano le conoscenze dell'arte della tintura; per tale ragione chiese all'Intendenza di far venire in Bari 2 o più tintori e tessitori forestieri, presso i quali si potessero mandare (a spese dell'Intendenza e dei comuni) lavoratori da ciascun comune ad imparare le tecniche moderne5. Alle

sue lamentele si aggiungevano anche il sindaco di Acquaviva e quello di Corato. Quest'ultimo in particolare accusava i benestanti locali di trascurare l'arte tessile, ancora praticata dalle donne per uso proprio, quando invece avrebbe dovuto essere oggetto di investimenti produttivi, data l'abbondanza di materia prima (cotone). Ci informa inoltre che tal Nicola Scarnera di Taranto aveva provato ad introdurre una fabbrica di tinture, ma fallì per mancanza di capitali. Dato che era questo il vero e grosso problema di ogni iniziativa industriale-manifatturiera, suggeriva di aprire una fabbrica in un orfanotrofio lì esistente, dove si lavoravano prodotti di pessima qualità6. C'è da dire

che i saggi inviati per l'esposizione del 1812 dall'Ospizio di Giovinazzo (ben 21, quando comuni come Gioia ne avevano inviati appena 7-8) erano molto variegati nelle forme e nei colori, certamente una spanna in più rispetto alle povere tele inviate dagli altri comuni. In buona sostanza, ciò conferma che, sino all'apertura della fabbrica di Zublin-Marstaller nel 1842 a Bari, le sole, vere manifatture tessili rimasero quelle statali impiantate in ospizi ed orfanotrofi; in linea, del resto, con la precedente politica borbonica (si veda il primo capitolo della prima parte) e perpetuata da tutte le cariche istituzionali nel tempo: nel 1812, infatti, il sindaco di Monopoli chiese all'Intendenza di poter installare macchine dal valore di 200 ducati nei laboratori del conservatorio Casa Santa, sì da migliorarne la produzione (con l'Intendenza che, ovviamente, supporterà la richiesta di fronte al Ministero degli Interni)7; oppure si faccia l'esempio dell'orfanotrofio Real Monte di Pietà di

Barletta, dove si lavorava il cotone per vele e altri prodotti, di buonissima qualità e venduti con successo in tutta la provincia e in Capitanata8.

L'introduzione delle macchine era vista come l'unica maniera di sostenere la produzione tessile tanto a livello di Intendenza, quanto di singoli sindaci. In una sua memoria, il sindaco di 5 ASB, a.i.c., b. 15, f. 22

6 Ivi 7 Ivi

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Canosa lamenta che le manifatture tessili, le uniche praticate dalle donne, non potessero procedere senza l'ausilio dei nuovi telai e delle nuove macchine, e pertanto (associandosi alla proposta del suo collega coratino) propose la costruzione di grandi fabbriche pubbliche, dato il clima atto alla coltivazione di canapa, lino, seta e cotone, oltre alla vicinanza di un grande fiume (l'Ofanto) in grado di far muovere le macchine con l'energia idraulica9. Non tutte le produzioni a domicilio erano

però da buttar via: per esempio, i sindaci di Conversano e Putignano ricordano come i pregiati tessuti di lana, cotone e lino che avevano inviato alle Solenni Espozioni di Napoli (produzioni che pare fossero “stimatissime” in provincia) fossero il risultato dell'abilità delle lavoranti senza alcun ausilio meccanico e di acque per il processo di sbiancatura, sostenendo l'idea di puntare tutto sulla produzione del cotone, in quanto il lino che si coltivava era di scarsa qualità10.

Circa la manifattura tessile, immense quantità di inchiostro furono versate dai contemporanei del Decennio, che evidentemente ne percepivano l'utilità in un momento di produzione autarchica o, comunque, di un mezzo per compensare le perdite pesanti imposte al commercio oleario. Nel 1811 lo stesso Intendente, scrivendo al Ministro dell'Interno, sosteneva che quella del cotone fosse l'unica industria meritevole di sostegno governativo, sì da dotarla dei necessari, moderni mezzi di lavorazione. Particolare enfasi pose nel sottolineare la bontà dei prodotti del suolo (cotone, canapa ecc.) e dei marinai molfettesi, nei quali vi era un particolare pregio, anche se “ritrovo che lo traffico marittimo più che la manifattura” era il cuore delle attività di Molfetta, allora importante porto per i traffici di olio e mandorle in uscita verso altre piazze adriatiche, e per i lini di qualità provenienti da Bologna in entrata11.

Se i dati raccolti con le inchieste del 1808-09 e i saggi inviati all'Esposizione di Napoli degli anni 1809/1812 ci danno un preciso quadro della manifattura diffusa e del suo stadio di sviluppo, le memorie (come quella dell'Intendente) ci offrono la chiave di lettura di quel quadro. Leggendo una memoria dell'Accolti12, notiamo che anch'egli pensava che le uniche manifatture che meritassero 9 ASB, a.i.c., b. 15, f. 22

10 Ivi

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sostegno fossero quelle del cotone, la cui pianta cresce bene nel clima e nel suolo barese, dando luogo ad un tessuto di qualità, sottile e delicato. Circa gli altri prodotti, ci informa che i lini migliori si lavoravano a Molfetta e Bari, ma la materia prima veniva importata da Napoli, Venezia, Bologna e dalla Germania; e comunque, non li si poteva lavorare al meglio, causa la carenza di acqua corrente. Molto scarsa era invece la lana, che evidentemente da Capitanata non giungeva se non in minima parte nella limitrofa provincia barese. Solo il cotone, dunque, era di qualità scelta e la sua lavorazione ad un punto tale da esser di qualità eccellente. Inoltre, come detto, ne cresceva in abbondanza (e i dati ricavati dalle fonti d'archivio, come visto, lo confermano, poiché è lavorato quasi in ogni paese) e la successiva introduzione di tele di bambagia bianche e colorate aveva fatto si che il consumo e la produzione aumentassero, sia in provincia che fuori di essa, a danno dei produttori esteri (ma va ricordato il ruolo che in tal senso giocava il blocco continentale). Tali tele si vendevano a Foggia e in Abruzzo. A Monopoli, invece, si lavoravano tele di cotone, molto apprezzate e che si vendevano bene; mentre a Montrone si producevano coperte e tovaglie di buona fattura13. A Putignano era stata installata una manifattura di felpe di qualità molto ricercata, ma era

fallita a causa dell'impoverimento della provincia e dell'elevato costo del cotone, che pur se abbondante, si vendeva in gran copia a Napoli e all'estero14.

Il blocco dei commerci e la guerra erano le ragioni del generale impoverimento, e tuttavia proprio l'impossibilità di importare cotone dall'estero avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni del governo, uno stimolo a creare imprese di lavorazione locali che potessero usufruire di materia prima a buon mercato prodotta nel Regno (quindi lane, cotoni ecc.) e di un vasto mercato interno, potendo così raffinarsi e competere con le fabbriche estere. Si sperava che queste potessero introdurre quelle macchine che tanto si agognavano da parte di Intendenza e sindaci, così da eseguire lavori di maggior perfezione e risparmiare al contempo sulla manodopera. Proprio a tal proposito, si stava introducendo in provincia una macchina (la cotton gin di Whitney15) per separare la fibra dal seme,

13 Ivi 14 Ivi

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usata già in Spagna e India, molto più comoda di quelle usata sino ad allora; ma mancavano ancora i macchinari per eseguire le restanti operazioni di filatura.

Dalle informazioni forniteci da Gaetano Andriani16, veniamo a sapere che in Monopoli vi

sono ben 300 telai per produrre vele, ma di essi solo 30 erano in attività, mentre le altre si usavano all'abbisogna; cosa che ci dice molto dello stato ancora artigianale in cui versavano le manifatture tessili della provincia, ed anche lui si unisce al coro di coloro i quali auspicano l'introduzione di macchinari per rendere la lavorazione del cotone meno onerosa. Gli fa eco la memoria di Vito Carmine Logravinese17, che sulle manifatture di Sammichele e Casamassima riferisce della loro

buona qualità e il continuo progredire, aiutate in questo dal blocco continentale e dal bisogno di rifornirsi di materia prima locale; ma anche lui ribadisce il bisogno di introdurre macchinari per portare al più alto grado queste manifatture e farle competere con quelle estere. Di ciò avrebbe dovuto curarsi il governo con l'introduzione di industrie pubbliche. Certo non era solo il tessile in questa situazione, difatti dallo stesso Andriani sappiamo della fabbrica di saponi di Pietro Antonelli di Monopoli, che vendeva i suoi saponi nelle piazze di Ancona e Venezia, assieme al saponificio “all'uso di Marsiglia” di Fasano, che pur essendo di gran lunga le migliori della provincia, erano ben lungi dal poter essere considerate moderne produzioni. Leggendo altre memorie apprendiamo dell'esistenza di una o più tintorie in Altamura e sopratutto in Acquaviva, le quali stavano un poco soffrendo l'assenza dell'indaco (ancora il problema dei traffici bloccati), mentre le concerie soffrivano, così come la lavorazione di cotone, la mancanza di capitali. Anche in Rutigliano (memoria di Ferdinando Colamessi18) le manifatture di cotone e creta erano miserevoli, poiché era

necessario introdurre nuovi macchinari e mastri operai che insegnassero le nuove tecniche di lavorazione, assieme alla promozione per la nascita di società dotate di capitali, poiché era la mancanza di questi la causa dell'immiserimento di queste manifatture.

Alcuni tentativi per introdurre macchine e nuovi metodi di produzione furono avviati, ma

16 ASB, a.i.c., b. 15, f. 28 17 Ivi

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ebbero sempre a scontrarsi con due grossi problemi, ovvero la mancanza di energia idraulica e di capitali, come nel caso di Emmanuele Maffei. Da una sua memoria19, sappiamo che aprì una

fabbrica a Modugno, dove produceva tele di cotone “all'uso di Fiandra”, quindi con colori e geometrie varie, trovando anche gente disposta ad imbarcarsi nell'impresa. Chiese dunque all'Intendenza di poter usufruire del dismesso monastero di S. Domenico (fuori città) e di un prestito di circa 200-300 ducati, così da poter mandare un operaio talentuoso a perfezionarsi e imparare i nuovi metodi e l'utilizzo delle nuove macchine usate negli opifici napoletani. Inoltre, si sarebbero così pagati tutti i macchinari necessari all'impresa. Non sappiamo se riuscì nell'intento, ma certo è un caso emblematico per toccare con mano le grandi difficoltà con cui si dovevano scontrare gli imprenditori nell'introdurre nuove lavorazioni. Mancanza di capitali e macchine sono gli onnipresenti problemi che emergono dalle relazioni dei comuni. Spesso era richiesto al governo la creazione di industrie statali che fungessero da volano per lo sviluppo, portando capitali ed operai professionisti che istruissero la manodopera del posto.

Non erano certo le proposte che mancavano: da una relazione del giudice di pace20,

sappiamo che in Grumo e Bitetto si sarebbero potute aprire industrie di stoviglie, vista l'abbondante presenza di argilla sul territorio; in Gravina21 potevano introdursi tintorie e gualchiere per la

lavorazione della lana (qui abbondante), vista la presenza di acque perenni atte a muovere i macchinari, mentre invece la lana veniva portata altrove (Basilicata o paesi vicini) per essere lavorata, cosa che non aiutava la formazione di tali manifatture. Si suggerisce ancora l'introduzione di nuove macchine e di portare in paese uno o più istruttori che istruissero i lavoranti, oltre alla solita richiesta di aprire un'industria statale.

Ancora una volta, quello che mancava erano i capitali, come si può dedurre dal dato generale che emerge dalle relazioni sullo stato delle manifatture durante il Decennio: la quasi totalità di esse era in uno stato ancora artigianale o di bottega, salvo qualche fortunata eccezione che

19 ASB, a.i.c., b. 15, f. 28 20 Ivi

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tuttavia non era tale da potersi considerare un'industria. In quasi tutti i paesi della provincia, lana, lino e canapa erano lavorati a mano dalle donne “per uso loro” o “per conto dei proprietari, ricevendone da questi il cotone per poter lavorare”. Si trattava dunque della figura del mercante-imprenditore, molto diffusa, e del lavoro a domicilio su cui esso si basava.

Ben curioso, ma assolutamente isolato, era il caso della coltivazione a Bitonto dei papaveri oppiacei ad uso medico, a cura dell'Ambruosi22. Il clima era favorevole a tale produzione, ed anzi

parrebbe che l'oppio prodotto, più friabile e resinoso di quello estero, funzionasse meglio e con dosi minori, lasciando ipotizzare l'estensione di una simile coltura al resto della provincia. Caso curioso, come detto, ma che non ebbe seguito probabilmente a causa della riapertura dei commerci dopo la Restaurazione.

Generalmente, possiamo affermare che tutti i comuni, sia sulla costa, sia nell'entroterra, lamentavano in qualche modo la chiusura dei traffici marittimi. Valga per tutti la memoria di Nicola Covelli per Trani23, che auspicava l'incentivazione della manifattura del vino moscato e della

silvicoltura in particolare, per dare fiato ai costruttori di naviglio ed alla popolazione in generale, evidentemente in affanno per la chiusura dei commerci.

Tolti ospizi ed orfanotrofi, l'unica altra manifattura (anche questa statale) che poteva essere indicata come “industriale” o, meglio, come “preindustriale”, per numero di addetti, la vastità del luogo di produzione e la vendita all'ingrosso che effettuavano in tutto il Regno, erano le Saline di Barletta. Vi si producevano 2 tipi di sale, sale comune e sale amaro, di quest'ultimo in particolare si auspicava una maggiore produzione. Anche qui, però, ritorna la questione dell'introduzione di macchine moderne per migliorarne la lavorazione, sopratutto per ricavare un ulteriore tipo di sale, il magnesio, per uso medico24.

Per concludere, è utile notare le immagini della provincia che emergono dalle lettere dell'Intendente duca di Canzano (1810), e del Ministro degli Interni. Nella relazione del primo, il

22 ASB, a.i.c., b. 15, f. 28 23 Ivi

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duca di Canzano tratteggia il seguente quadro: “questi abitanti non mancano di immaginazione, di genio e di talento, ma essi han bisogno di incoraggiamento, d'istituzioni e di mezzi”25. Una perfetta

sintesi degli innumerevoli rapporti dei sindaci dal 1808 al 1815. Viene suggerita con forza l'idea di stimolare la gelsicoltura per bachi da seta, data la natura propizia del clima e del terreno, che consentirebbe lo sviluppo di una redditizia manifattura di filatoi di seta. Nella lettera del Ministro, invece, oltre ad un paragrafo tutto dedicato a Molfetta, città definita “di gran commercio nelle piazze adriatiche” e dunque di notevole importanza, egli mostra di contare molto sullo sviluppo manifatturiero della provincia, invitando ad usufruire dell'abbondanza di cotone e di sfruttare la vicina Capitanata per l'approvvigionamento di lana di pregevole qualità26.

La provincia, salvo l'eccezione già nota della Zublin-Marstaller, non procederà lungo la linea tracciata dal Ministro, ma è invece certo che quanto detto dal duca di Canzano sarà invece fatto pienamente proprio dalla classe borghese emersa fuori dal Decennio francese, divenendo la base delle sue rivendicazioni e del suo agire.

L'età della Restaurazione e l'età Ferdinandea (1815-1859)

Il quadro offerto in questo lungo periodo dalla provincia è in piena trasformazione ed infinitamente più interessante dal punto di vista della varietà delle produzioni e delle iniziative avviate, che divengono sempre più specializzate e complesse man mano che si passa dal regno di Ferdinando I a quello del nipote, Ferdinando II.

Lavorazioni e manifatture prima impensabili fanno capolino nei documenti conservati nel fondo Agricoltura, Industria e Commercio, come quella di Biagio Diana, fabbricante di solfanelli fosforici di ottima qualità, come attesta la medaglia di bronzo vinta nella Mostra Industriale del 185327,

attività che conobbe sicuramente fortuna, se nel 1860 richiese la privativa per aver perfezionato i

25 ASB, a.i.c., b. 15, f. 28 26 Ivi

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cerini fiammiferi28. Ma anche le attività più tradizionali, come la molitura del grano, appaiono in

piena evoluzione, e difatti Giuseppe Avella, proprietario di uno stabilimento di mulini a vapore vicino Bari (che però serviva anche l'utenza dei comuni di Palo, Toritto, Modugno, Sannicandro, Valenzano, Canneto, Montrone, Ceglie e Carbonara), chiese nel 1856 all'Intendenza di fargli “pubblicità”, in modo da accrescere così la clientela, giocando a suo favore la buona nomea acquisita e gli indubbi vantaggi economici di un processo meccanico di macinazione del grano29.

Il già citato pieno inserimento dell'economia provinciale nei flussi commerciali ed economici europei stava inducendo trasformazioni del paesaggio agrario anche nelle zone più interne, come ben dimostra la proposta del sotto-intendente del distretto di Altamura, il quale portava avanti il processo di piantumazione dei territori murgiani con olivicoltura, gelsicoltura (per introdurre in seguito l'industria serica) e vari alberi da frutto, che avrebbero garantito rendita e (sopratutto) combustibile per l'inverno, di cui si sentiva la mancanza in una zona ad economia prevalentemente pastorale e cerealicola. Si proponeva di fare ciò dispensando a privati e comuni onorificenze, oltre che col supporto della Società Economica, la quale avrebbe dovuto istituire in seguito una scuola per agricoltori30. Un progetto che contrastava con quello promosso dalla

Direzione Generale di Acque e Foreste, che voleva invece installare la silvicoltura di querce, progetto già tentato nel 1834, ma fallito a causa dello scarso concorso dei privati, i quali andavano invece (come suggeriva il sotto-intendente) esonerati dalla fondiaria per alcuni anni, onde rendere loro conveniente l'introduzione di alberi da frutto o olivi nei loro fondi. Nel suo rapporto, il sotto-intendente spiegava che aveva in animo di piantare su 24.515 tomola di terra, più di 200.000 tra olivi, gelsi e alberi da frutto; ma che per far questo, aveva bisogno fosse eliminato su quei terreni il compasco (cioè il diritto comune di far pascolare gli animali), che impediva il libero uso della terra ai proprietari, consentendogli di chiudere i loro campi. In tal modo i proprietari sarebbero stati incentivati nel creare fondi a piantagione, invece di brulle distese di pascolo. Tale proposta ebbe

28 ASB, a.i.c., b. 79, f. 36 29 Idem, f. 37

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l'approvazione del Decurionato d'Altamura nel 1842 (e fu riconfermata nel 1854), cui si mostrarono favorevoli anche i grandi proprietari terrieri, come i monasteri di S. Chiara e del Soccorso (proprietari di 2.458 tomola di terra)31, dimostrando così la penetrazione delle nuove idee e

mentalità che si andavano diffondendo anche nelle zone più interne della provincia e il pieno inserimento della stessa nei grandi circuiti europei. Per i proprietari di altri paesi, si suggeriva di obbligarli a piantare almeno 10 alberi per ogni tomolo di terreno (5 di gelso e 5 di olivo) in 6 anni. Ai proprietari veniva lasciata la libertà di scegliere cosa piantare, quale ciclo agricolo seguire e se farlo in un fondo o in un orto vicino la città. In seguito fu pubblicato un regolamento, di modo che le piantagioni (sopratutto quelle di gelso) fossero condotte e realizzate con i più moderni criteri di agronomia. Oltre a ciò, era ritenuto opportuno fondare uno stabilimento (chiamato istituto agrario) dove mettere a disposizione le piante necessarie e dove addestrare piantatori locali esperti, così da evitare ai proprietari di doversi affidare a “speculatori lontani”, con relative spese di trasporto. Tutto ciò avrebbe messo a disposizione dei proprietari piante a prezzo modico (5 grana), che avrebbe comunque garantito all'istituto agrario un notevole introito. Ma la cosa rimase allo stato di progetto.

Fulcro di un simile cambiamento di mentalità era ovviamente la nuova classe di possidenti borghesi, che sono la grande maggioranza nell'agro altamurano, come ci rivela il quadro sinottico dei proprietari terrieri: sui 713 proprietari rilevati, solo 54 sono grandi proprietari ecclesiastici o nobiliari. Tuttavia i terreni dei proprietari medio-piccoli, pur essendo la maggioranza, raramente superavano le 200 moggia di terra32.

La sericoltura, invece, non aveva avuto degli sviluppi concreti, senza dunque raggiungere il ruolo di traino dell'economia (ruolo che sarà proprio dell'olio) che auspicavano i Borbone e gli amministratori locali, ed entrò in crisi già dalla prima metà dell'Ottocento. Nel periodo 1854-55, difatti, la sericoltura si praticava solo a Giovinazzo, Conversano e Polignano33, i cui tre opifici,

messi assieme, non producevano che 250 libbre di seta l'anno, una miseria. Ma invece di prender

31 ASB, a.i.c., b. 79, f. 37

32 Ivi. Per un raffronto col sistema metrico-decimale odierno si veda l'Appendice III 33 Ivi

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atto del diverso corso che l'economia provinciale andava autonomamente perseguendo, il governo chiese alla Società Economica di studiare i mezzi più adatti a risollevare questo settore34; la quale

rispose, senza troppi giri di parole, che si era già provato di tutto, persino con l'apertura di una bigattiera a Bari (che aveva meritato anche la medaglia dell'Istituto di Incoraggiamento), ma che gli ostacoli rimanevano insormontabili, sopratutto la generale e diffusa preferenza per colture considerate più remunerative, come l'olivo e la perenne mancanza di domanda, che non stimolava alcun imprenditore a tentar l'impresa35. Il Ministro, tuttavia, non volle sentire ragioni e insistette per

maggior sforzi, sottolineando i risultati ottenuti in Terra d'Otranto e Basilicata36, le quali (come lo

stesso sotto-intendente di Altamura ci informa) avevano con successo introdotto la gelsicoltura e la sericoltura a Melfi e in alcuni comuni salentini. Similmente si tentò di fare nel distretto altamurano, dove clima e suolo erano particolarmente adatti allo scopo, come dimostrava la seta prodotta dall'imprenditore Sabini di Altamura, che aveva da tempo piantato gelsi nei suoi fondi dietro incentivo della sotto-intendenza, che sperava di arrivare a introdurre “20.000 gelsi ed altrettanti olivi” su di una superficie di “24.000 tomola”37. In Basilicata e Terra d'Otranto la sericoltura era

divenuta manifattura diffusa, ove vi erano (a dire del Ministro) “alcune delle più importanti industrie”. Tale risultato era stato raggiunto dalle locali Società Economiche tramite la distribuzione gratuita di piantine e l'istruzione dei giovani ospitati in orfanotrofi e ospizi da esperti mastri operai provenienti da Napoli. L'intendenza allora scrisse al Consiglio Generale degli Ospizi, emanando disposizioni affinché si preparasse negli istituti manodopera qualificata nell'orfanotrofio di Bitonto e nell'Ospizio Francesco I di Giovinazzo, e alla Società Economica, chiedendogli di iniziare la coltivazione dei gelsi, in modo da poterli in seguito distribuire.

Il Consiglio rispose che già dal 1851 in Giovinazzo si era avviata una piantagione di gelsi che contava, nel 1856, più di 300 piante della miglior qualità. La qualità della seta prodotta era pregevole ed aveva dato luogo ad un'industria ben avviata, pur se ancora non aveva iniziato vendere 34 ASB, a.i.c., b. 79, f. 37

35 Ivi 36 Ivi

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su mercato, con manodopera avviata alla sericoltura da un maestro di agronomia, di modo che in seguito potessero essere loro stessi maestri presso altri stabilimenti ed evitare le spese nel farne venire da fuori provincia (come voleva la Società Economica, che desiderava chiamare un esperto dal setificio di San Leucio). Ma per far ciò, era necessario esistessero le piantagioni. Allora l'Intendenza suggerì di creare delle piantagioni vicino Bari, in fondi privi di alberi, usufruendo del vivaio della Società Economica per la coltivazione delle piante di gelso da piantare. L'orfanotrofio di Bitonto, invece, rispose negativamente all'appello: era impossibile, dicevano, impiantarvi la gelsi-bachicoltura, in quanto il suolo era roccioso e secco, ed il clima poco adatto allo sviluppo del gelso. Avevano fatto dei tentativi sia a Bitonto, che a Minervino e Corato presso i fondi di alcuni proprietari, ma l'operazione si risolse un fiasco. L'Intendente, tuttavia, insistette affinché fosse fatto almeno un tentativo, e nel mentre il direttore dell'Ospizio Francesco I di Giovinazzo assicurò che entro l'anno avrebbe fatto piantare altri gelsi38.

Nel III capitolo abbiamo detto che la mentalità imprenditoriale andò diffondendosi tra le campagne anche tra i piccoli imprenditori, oltre che naturalmente nelle città. Di ciò sono testimonianza le privative domandate da parte di imprenditori, artigiani e altri sopratutto negli anni '40-'50. Ovviamente, il settore in cui più frequente vi erano domande di privativa era quello oleario, il che non dovrebbe affatto stupire dato il ruolo importante di questo settore per l'economia provinciale: nel solo 1859, sia i fratelli Galizia di Fasano39, che Saverio Savino di Palo40, fecero

domanda per aver aver inventato (nel primo caso) e perfezionato (nel secondo caso) una macchina spremi olive. E questo molti anni dopo l'introduzione del trappeto idraulico del Ravanas, indice questo della vitalità del settore. Ne vedremo altri esempi in un capitolo a parte. Il settore agricolo in generale, comunque, la faceva da padrone: nel 1858 l'ingegnere civile barese Francesco Lerario (che nel 1852 aveva ottenuto privativa per l'invenzione di una trivella cilindrica atta alla costruzione di pozzi artesiani41) modificò la macchina per la macina del grano dei mulini a vento, apportandovi 38 ASB, a.i.c., b. 79, f. 37

39 Ivi

40 ASB, a.i..c, b. 79, f. 57 41 Ivi

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consistenti migliorie (diminuzione dei costi e aumento della produttività); essa era poi anche in grado di funzionare in ogni momento, grazie ad un sistema di incanalamento dei venti che consentiva di farlo funzionare con poco vento e da qualunque lato spirasse. Dotata di struttura in ferro, era in grado di produrre 3 volte di più dei mulini presenti nel Regno, liberando al contempo molti animali da soma dal lavoro al mulino, rendendoli disponibili per altri lavori. Nonostante fosse già stata messa in funzione, la domanda di privativa non fu accolta42. Meglio andò invece al

barlettano Giovanni Canfora e alla sua macchina per pigiare l'uva, che nel 1857 ebbe la privativa per 10 anni. Questo ci indica inoltre quel famoso fenomeno di concentrazione della produzione vinicola (per l'appunto nel triangolo Barletta-Andria-Canosa) cui abbiamo accennato in precedenza. Questa macchina modificava un modello francese, ottenendo un risparmio di tempo, braccia e capitali impiegati nella spremitura: separando i raspi preventivamente, si otteneva un miglior succo, dal quale veniva poi separata la vinaccia dopo i primi 3 giorni di fermentazione, che veniva così passato al torchio. Il vino veniva poi versato nelle botti, senza alcuna fatica43. Si otteneva in tal

maniera un prodotto di qualità che incontrava i gusti europei, divenendo così merce esportabile che, in breve, divenne una delle principali esportazioni. Nel 1845 vediamo un carpentiere di Francavilla che apre a Fasano un mulino ad energia idraulica, grazie all'acqua contenuta in una vasca appositamente costruita, dispensando gli animali dal lavoro di frantoio, e che riusciva a macinare 96 tomoli di olive al giorno44. Il sindaco di Fasano aveva osservato personalmente l'opera e ne

auspicava l'uso in larga scala. Al contempo, due fasanesi (Paolo Paterno e Alessandro Colucci) avevano inventato un sistema che permetteva di far muovere ben 4 mulini con l'uso di un solo cavallo45.

Più interessanti due privative del 1844, una concessa per 10 anni a Ottavio Centopassi, abitante in Bisceglie, per l'invenzione di un nuovo modello di trebbiatrice46, l'altra allo svizzero

42 Ivi 43 Ivi 44 Ivi 45 Ivi

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Giovanni Brennvald, dimorante in Andria, per la costruzione di una macchina che produce cioccolata47.

Ovviamente, in un'economia in espansione, è facile che vengano spesso a crearsi situazioni di conflitto, sopratutto quando si tratti di violazioni del “copyright”, molte volte del tutto inconsapevoli, in quanto situazioni simili portano spesso a trovare simili soluzioni. E' il caso di Rossiello, che nel 1844 denunciò il costruttore Pietro Domenico Boccardi, molfettese, che aveva costruito 8 modelli di frantoio per il quale lui (Rossiello) aveva la privativa. Chiedeva dunque la confisca delle macchine ed un congruo risarcimento. Convocato l'artigiano dal giudice regio di Molfetta, egli si difese asserendo che mentre le macchine di Rossiello erano a 4 macine e vasca piatta, le sue erano a 2 macine e vasca a bacino e, difatti, l'Istituto d'Incoraggiamento gli dette ragione, mentre l'architetto civile dell'Intendenza aveva dato ragione al Rossiello. Dalle carte scambiate tra Intendenza e comuni di Bitonto e Molfetta sulla vicenda legale, sappiamo che i due si spostavano molto per lavoro (sintomo di una domanda interna in crescita): Boccardi si recava a Bitonto, sul Gargano e financo a Napoli, in parte per cercare legname per i suoi lavori e per eseguirli (Bitonto e Napoli); mentre il Rossiello si recava spesso in Terra d'Otranto48. Oltre alla

domanda in aumento, ciò ci indica anche il livello di capacità tecniche raggiunte, dato che semplici costruttori di trappeti e frantoi venivano chiamati in altre provincie o addirittura a Napoli per eseguire i loro lavori (si noti ancora come tale capacità sia stata conseguita in un settore connesso al commercio oleario). Dato che nel 1846 la questione era ancora aperta, si addivenne al compromesso: il modello di Rossiello fu esposto nel palazzo dell'Intendenza, di modo che tutti i sindaci potessero conoscerlo (se ne interessarono sopratutto i comuni di Conversano, Triggiano e Terlizzi, che invitarono il Rossiello a costruirne uno presso di loro in vista di una eccezionale annata per la raccolta delle olive), i modelli del Boccardi furono sequestrati, ma il Rossiello dovette pagare le spese legali49.

47 Ivi 48 Ivi

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Se pure il grosso delle notizie si concentra tra gli anni '40-'50, non mancano domande di privativa di un certo interesse negli anni precedenti, come nel caso dell'armiere Nicola Nitti di Bari, inventore, nel 1828, di un nuovo tipo di fucile (detto “alla fulminante”) per la cui produzione richiedeva la privativa, che invece gli veniva contestata da un altro armiere (Salvatore Mazza) che sosteneva fosse sua. Il Nitti, tuttavia, la spuntò poiché il suo sistema era applicabile anche ai cannoni, che potevano così essere manovrati da un solo artigliere50. Nel 1831 veniamo a sapere che

Francesco Tomasicchio aveva messo in funzione due macchine di sua invenzione per fare il lustro ai pannilini: una in Terlizzi, dove per ogni canna di tessuto faceva pagare 3 grana51, e un'altra l'aveva

venduta alle orfanelle di Cerignola (lo sappiamo grazie al rapporto del sotto-intendente del distretto di Barletta52).

Si dia ora un'occhiata ai saggi inviati per la Mostra Industriale di Napoli, anni 1826, 1828, 1830, 1832, 1836 e 1840.

50 ASB, a.i.c., b. 79, f. 58

51 Ivi

COMUNI

SAGGI INVIATI (1826)

5 rotoli di sapone, 5 saggi di tessuti lavorati e ricami per guarnizione

Acquaviva lavori di monache benedettine, scatola di paste

Bitonto Monopoli Altamura Bitetto Giovinazzo Fasano

cotone tessuto bianco e colorito, del cuoio, una spola di sapone e calze di lana, anche se il cotone era lavorazione di paesane e le cal-ze opera del Conservatorio delle Martiri; solo gli altri lavori erano di ar-tigiani o piccole manifatture

tessuti lavorati da donne, sapone e una lancetta d'acciaio per cavar sangue dagli animali del veterinario Oronzo Enriquez

squadro agrimensorio del giovane meccanico Michele De Moro scatola di oppio lavorato e coltivato dal farmacista Ignazio Porzia Dal Real Ospizio Francesco I più di 70 saggi, ossia tappeti, federe, salvietti e mensali di lino o cotone ecc.

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COMUNE SAGGI INVIATI (1828)

Fasano Giovinazzo

Molfetta poveri saggi di tessuti di lino e canapa lavorati

Bitonto calze di lana, suole, concia alla veneziana ed olio fino Barletta Dal Monte di Pietà 3 saggi di cotone lavorato

COMUNE SAGGI INVIATI (1830)

Barletta Giovinazzo

COMUNI SAGGI INVIATI (1836)

Giovinazzo Barletta

COMUNE SAGGI INVIATI (1838)

Loseto prodotti tessili per uso domestico Giovinazzo

Casamassima

COMUNE SAGGI INVIATI (1840)

Giovinazzo

lavori in tessuto di donne, come guanti, fazzoletti e lavorati, più 5 rotoli di sapo-ne dal saponificio di Luigio Binnio

Dal Real Ospizio Francesco I 12 saggi di servizi da tavola, tappeti, trapunte, mensali e coperte

Dal Real Monte di Pietà 6 saggi di olone e olonetto per vele, servizio da tavola, intreccio di materassi, doga e dobletto

Dal Real Ospizio Francesco I 21 saggi di mensali, salvietti,, trapunte, dubletti, coperte, federe e tappeti, che venderà tessuti per 8 ducati 20 grana

Il Real Ospizio Francesco I spedisce una 60ina di saggi (salvietti e mensali di canapa, coperte ecc.). Venderà un tappeto e 25 salvietti di lino

Il Monte di Pietà invia 20 saggi di tessuti: servizi da tavola, federe e canapa lavo-rata

Il Real Ospizio Francesco I spedisce quasi 300 saggi di tessuti tra tappeti, fede-re, trapunte, salviette e mensali di lino e canapa

Federico Miulli spedisce 4 carte colorate per tappezzeria all'uso di Francia (da lui introdotte), che vende a non più di 6 grana il palmo. Egli vorrebbe aprire una fabbrica con privativa nel Reale Albergo dei Poveri di Napoli e a tal proposito scrive al presidente dell'Istituto d'Incoraggiamento

Il Real Ospizio Francesco I spedisce 18 saggi di tessuti lavorati dalla sua fabbri-ca: dubletti di cotone di Manchaster a righini, mensali e salvietti di lino con varie fantasie, coperte di cotone di Manchaster, fodere, mensali e salvietti di canapa, affasciatore di cotone di Manchaster e tappeti (gli unici due articolo che saranno venduti, per 8 ducati e 79 grana)

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Si vede che in questi anni (1834-40), praticamente il solo Ospizio di Giovinazzo partecipa alle mostre nazionali, mentre negli altri comuni dell'Intendenza la situazione delle manifatture è ancora rozza o nulla, in quanto molti sono dediti al solo lavoro agricolo. Si riscontra una certa somiglianza con la situazione emersa dai documenti del Decennio francese. Nulli, per cui, sono i risultati sino a prima del 1842, data spartiacque per la semplice ragione che, prima di tale data con l'apertura della filanda di Zublin, non ci fu in provincia un'industria nel senso moderno del termine. Per tale ragione, con una lettera datata 8 maggio 1832, il Ministro degli Interni, Santangelo, scrive all'Intendente marchese di Montrone

Non posso tacere quanto m'incresca il vedere che questo solo ospizio (di Giovinazzo) abbia fabbriche d'arti e manifatture. Il perché desidero ella adoperi tutto il suo zelo, onde col mezzo della Società Economica sien migliorate le condizioni dell'industria in cotesta ubertosa e colta provincia.53

Ma abbiamo appurato prima, tramite casi particolari, che qualcosa si muoveva nella provincia, dei fermenti che, consolidatisi in questo arco di tempo, dispiegheranno il loro potenziale dagli anni '40 in poi.

Merita comunque di essere notato un dato, ossia che prima del 1842, le uniche manifatture “industriali” fossero quelle del Real Ospizio di Giovinazzo, cui seguivano a lunga distanza il Real Monte di Pietà di Barletta ed altri istituti minori, laici o religiosi. Tali istituti furono delle vere scuole di formazione per la manodopera del settore tessile, scopo per il quale, del resto, erano stati pensati. Si sprecano gli attestati di stima e i riconoscimenti ai lavori di questo Ospizio, che costituivano “il bello dell'arte in questa provincia”54: basti pensare che dal 1826 al 1840, l'Istituto

vinse ben 6 medaglie d'argento alle Esposizioni Nazionali di Napoli coi suoi tessuti lavorati. Non è qui tuttavia il pregio di questo ed altri istituti simili, esso sta piuttosto nell'aver abituato ad un tipo di 53 ASB, a.i.c., b. 87, f. 2

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lavoro più moderno, fatto di macchine, ritmi di produzione e orari precisi, una vera novità rispetto ai tempi lunghi del lavoro agricolo e manifatturiero allora vigente.

Fiere e mercati

Accanto ai dati su industrie e manifatture, un'altra fonte di notizie interessanti sono le inchieste sulle fiere ed i mercati che si tenevano in provincia. Abbiamo già toccato questo argomento nel primo capitolo, osservando come questi istituti andarono perdendo importanza con l'emergere di una migliore rete di distribuzione, oppure si specializzarono (solo le più grosse) in determinati settori, divenendo mercati all'ingrosso ed integrandosi così nel più moderno sistema fatto di grossisti ed intermediari stabili.

I dati che emergono, comunque, ci mostrano più accuratamente le vicende di tale evoluzione, che va dal Decennio sin al 1861, quando il processo evolutivo può dirsi ormai fatto assodato e compiuto.

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COMUNE FIERE E MERCATI CHE VI SI TENGONO (1848) VENDITE E VALORE MONETARIO

Acquaviva Fiera il 10-12 maggio e il 21-23 agosto

Alberobello Fiera il 25-26 settembre Andria Fiera il 23-28 aprile

Barletta Fiere l'11-13 maggio e l'11-18 novembre

Bitetto Fiera il 21-22 luglio Bitonto Fiera il 6-8 aprile

Canosa Fiere il 6-8 febbraio e il 29-31 luglio 60 botti di vino (720 ducati); 3.400 canne di tessuto (4.600 ducati) Capurso Fiera il 23 agosto-1 settembre 102 colti di telerie e merci varie (2.040 ducati)

Cassano Fiera l'1-8 agosto

Castellana 22-23 luglio

Cisternino Fiera l'8 settembre

Conversano Fiera il 10 giugno e il 26-29 giugno

Corato Fiera l'8-9 maggio

Fasano Fiera il 1-2 aprile e 18-20 maggio

Gioia Fiere il 27 aprile-2 maggio e il 4-8 settembre

Gravina Fiera il 14-21 aprile

Locorotondo Fiera il 15 agosto Molfetta Fiera l'8-15 settembre Noia Fiera il 16-21 luglio

Polignano Fiera il 3 maggio 5 animali vaccini (157 ducati); 1 cavallo (28 ducati)

Rutigliano Fiera il 10 agosto Ruvo Fiera il 27-28 settembre Sannicandro Fiera il 9-11 maggio

Spinazzola Fiera l'1-8 maggio

Valenzano Fiera il 31 ottobre-1 novembre

160 animali vaccini (12.800 ducati); 50 cavalli/bestie da soma (1.500 ducati); 500 pecore/bestie da macello (1.000 ducati); 2.000 ducati di telerie e merci varie

57 animali vaccini (1.710 ducati); 30 cavalli/bestie da soma (750 ducati); 500 pecore/bestie da macello (900 ducati); 50 cantaia di lana (1.250 ducati); 300 canne di tessuto (72 ducati)

130 animali vaccini (4.290 ducati); 150 cavalli/bestie da soma (8.250 ducati); 850 canne di tessuto (510 ducati)

100 animali vaccini (5.200 ducati); 30 cavalli/bestie da soma (1.680 ducati); 400 pecore/bestie da macello (840 ducati); 20 can-taia di lana (980 ducati); 500 tomola di grano (954 ducati); 9.000 tomola di legumi (14.400 ducati); 7.000 botti di vino (79.900 ducati); 500 cantaia di olio (1.000 ducati); 4.000 di tessuti e merci varie (20.040 ducati); 16 metri di tessuto (373,16 ducati)

2 animali vaccini (70 ducati); 10 cavalli/bestie da soma (250 duca-ti); 50 pecore/bestie da macello (60 ducati)

90 animali vaccini (3.405 ducati); 30 cavalli/bestie da soma (1.230 ducati)

15 animali vaccini (450 ducati); 18 cavalli/bestie da soma (420 du-cati); 30 pecore/bestie da macello (70 ducati)

200 animali vaccini (6.000 ducati); 60 cavalli/bestie da soma (240 ducati); 1.000 pecore/bestie da macello (2.000 ducati); 200 canta-ia di lana (6.600 ducati); 120 tomola di grano (216 ducati); 20 to-mola di legumi (20 ducati); 30 botti di vino (360 ducati); 15 cantaia di olio (180 ducati); 3.500 di telerie e merci varie (8.100 ducati) 130 animali vaccini (5.200 ducati); 100 cavalli/bestie da soma (3.000 ducati); 1.000 pecore/bestie da macello (2.000 ducati); 100 cantaia di lana (500 ducati); 1.000 ducati di telerie e merci varie 1.037 animali vaccini (43.851 ducati); 292 cavalli/bestie da soma (13.926 ducati); 475 pecore/bestie da macello (973,50 ducati); 168 botti di vino (2.014 ducati); 7 cantaia di olio (107 ducati);1.426 canne di tessuto (369 ducati)

300 animali vaccini (12.750 ducati); 90 cavalli/bestie da soma (7.830 ducati); 200 pecore/bestie da macello (550 ducati) 21 animali vaccini (620 ducati);13 cavalli/bestie da soma (360 du-cati); 730 pecore/bestie da macello (1.590 dudu-cati); 430 ducati di merci varie

45 animali vaccini (1.700 ducati); 75 cavalli/bestie da soma (1.900 ducati); 750 pecore (1.500 ducati)

2.000 animali vaccini (14.000 ducati); 1.000 cavalli/bestie da soma (6.500 ducati); 2.000 pecore/bestie da macello (3.200 ducati); 20 cantaia di seta (20.000 ducati); 2.000 tomola di grano (4.000 duca-ti); 400 tomola di legumi (480 ducaduca-ti); 200 botti di vino (2.880 du-cati); 200 cantaia di olio (3.600 dudu-cati); 200.000 di tessuti e merci varie (150.000 ducati)

50 animali vaccini (2.500 ducati); 35 cavalli/bestie da soma (1.050 ducati); 300 pecore/bestie da macello (600 ducati)

10 animali vaccini (350 ducati); 130 cavalli/bestie da soma (13.000 ducati); 3.400 ducati di merci varie

30 cavalli/bestie da soma (1.950 ducati); 180 tomola di grano (292 ducati);20 tomola di legumi (25 ducati); 50 botti di vino (250 ducati) 8 animali vaccini (210 ducati); 30 cavalli/bestie da soma (550 du-cati); 60 pecore/bestie da macello (205 ducati)

50 animali vaccini (2.250 ducati); 84 cavalli/bestie da soma (3.390 ducati); 1.400 pecore/bestie da macello (5.120 ducati)

18 animali vaccini (630 ducati); 12 cavalli/bestie da soma (400 du-cati); 80 pecore/bestie da macello (160 dudu-cati); 6 botti di vino (103,20 ducati); 4 cantaia di olio (80 ducati)

360 animali vaccini (9.000 ducati); 180 cavalli/bestie da soma (5.200 ducati); 100 pecore/bestie da macello (1.260 ducati); 3.000 ducati di telerie e merci varie

100 animali vaccini (400 ducati); 150 cavalli/bestie da soma (500 ducati); 470 pecore/bestie da macello (910 ducati); 22.770 ducati di telerie e merci varie

(27)

COMUNE FIERE E MERCATI CHE VI SI TENGONO (1849) VENDITE E VALORE MONETARIO

Acquaviva Fiera il 10-12 maggio e il 21-23 agosto

Alberobello Fiera il 25-26 settembre

Andria Fiera il 23-28 aprile

Barletta Fiere l'11-13 maggio e l'11-18 novembre

150 animali vaccini (1.200 ducati); 40 cavalli/animali da soma (1.200 ducati); 400 pecore/ bestie da macello (800 ducati); 1.600 ducati di telerie e merci varie

60 animali vaccini (2.100 ducati); 36 cavalli/bestie da soma (972 ducati); 400 pecore/bestie da macello (840 ducati); 40 cantaia di lana (1.120 ducati); 230 canne di tessuto (50,60 ducati)

142 animali vaccini (4.970 ducati); 135 cavalli/bestie da soma (6.750 ducati); 930 di telerie e merci varie (558 ducati)

150 animali vaccini (8.100 ducati); 36 cavalli/bestie da soma (2.070 ducati); 500 pecore/bestie da macello (1.100 ducati); 23 cantaia di lana (1.150 ducati); 650 to-mola di grano (1.303 ducati); 9.600 toto-mola di legumi (16.320 ducati); 8.100 botti di vino (99.000 ducati); 160 metri di telerie (751 ducati); 2 cantaia e 80 di seta (2.512 ducati); 700 tomola di granone (840 ducati); 600 cantaia di olio (10.800 ducati)

Bitetto Fiera il 21-22 luglio

Bitonto Fiera il 6-8 aprile 80 animali vaccini (3.600 ducati) Canosa Fiere il 6-8 febbraio e il 29-31 luglio

Capurso Fiera il 23 agosto-1 settembre 2.250 ducati di telerie e merci varie

1 animale vaccino (30 ducati); 12 cavalli/animali da soma (180 ducati); 60 pecore/bestie da macello (70 du-cati)

80 botti di vino (960 ducati); 2.780 di telerie e merci varie (2.980 ducati); 10 cavalli/bestie da soma (400 ducati); 300 tomola di grano (540 ducati);

Cassano Fiera l'1-8 agosto

Castellana 22-23 luglio

Cisternino Fiera l'8 settembre

Conversano Fiera il 10 giugno e il 26-29 giugno

Corato Fiera l'8-9 maggio

Fasano Fiera il 1-2 aprile e 18-20 maggio

Gioia Fiere il 27 aprile-2 maggio e il 4-8 settembre

19 animali vaccini (570 ducati); 29 cavalli/bestie da soma (725 ducati); 65 pecore/bestie da macello (84,50 ducati)

140 animali vaccini ( 4.200 ducati); 50 cavalli/bestie da soma (200 ducati); 900 pecore/bestie da macello (1.800 ducati); 100 cantaia di lana (330 ducati); 50 cantaia di seta (150 ducati); 90 tomola di grano ( 135 ducati); 13 tomola di legumi (15 ducati); 20 botti di vino (190 ducati); 10 cantaia di olio (140 ducati); 3.000 canne di teleria (6.000 ducati)

100 animali vaccini (4.000 ducati); 80 cavalli/bestie da soma (2.400 ducati); 800 pecore /bestie da macello (1.600 ducati); 80 cantaia di lana (400 ducati) 1395 animali vaccini (58.508 ducati); 271 cavalli/bestie da soma (11.607 ducati); 676 pecore /bestie da macello (1.424 ducati); 228 botti di vino (247,20 ducati); 8 canta-ia e mezza di olio (119 ducati); 1.505 telerie e merci va-rie (520,19 ducati);

300 animali vaccini (12.750 ducati); 90 cavalli/bestie da soma (7.830 ducati); 200 pecore/bestie da macello (550 ducati)

20 animali vaccini (650 ducati); 12 cavalli/animali da soma (590 ducati); 370 pecore/bestie da macello (750 ducati); 270 ducati di telerie e merci varie

60 animali vaccini (2.300 ducati); 81 cavalli/bestie da soma (2.380 ducati); 750 pecore/bestie da macello (1.500 ducati)

(28)

Gravina Fiera il 14-21 aprile

Locorotondo Fiera il 15 agosto

Modugno Fiera del Crocifisso, 2°-3° domenica di novembre Mola

Molfetta Fiera l'8-15 settembre Monopoli Fiera il 17-18-19 agosto Noia Fiera il 16-21 luglio Polignano Fiera il 3 maggio

Putignano Vi era una fiera i primi giorni di maggio Rutigliano Fiera il 10 agosto

Ruvo Fiera il 27-28 settembre Sannicandro Fiera il 9-11 maggio Spinazzola Fiera l'1-8 maggio

Triggiano Fiera di San Vito, 28-29-30 aprile Turi Vi era una fiera in agosto Valenzano Fiera il 31 ottobre-1 novembre

1.600 animali vaccini (10.600 ducati); 900 cavalli/bestie da soma (5.850 ducati); 2.200 pecore/bestie da macello (3.300 ducati); 24 cantaia di seta (24.000 ducati); 2.000 tomola di grano (4.000 ducati); 350 tomola di legumi (324 ducati); 220 botti di vino (3.168 ducati); 210 cantaia di olio (3.360 ducati); 180.000 di telerie e merci varie (140.000 ducati)

55 animali vaccini (2.750 ducati); 40 cavalli/bestie da soma (1.200 ducati); 500 pecore/bestie da macello (1.000 ducati)

7 animali vaccini (285 ducati); 15 cavalli (600 ducati); 250 pecore (300 ducati); 70 tomola di grano (168 ducati); 30 tomola di legumi (45 ducati); 7 botti di vino (50 ducati e 40 grana); 1 cantaia e mezzo di olio ( 21 ducati); 300 merci e telerie varie (575 ducati)

10 animali vaccini (350 ducati); 150 cavalli/bestie da soma (13.000 ducati); 3.400 ducati di telerie e merci va-rie

40 cavalli/bestie da soma (960 ducati); 200 tomola di grano (460 ducati); 25 tomola di legumi (30 ducati); 50 botti di vino (300 ducati)

7 animali vaccini (370 ducati); 10 pecore/bestie da ma-cello (25 ducati)

12 animali vaccini (330 ducati); 32 cavalli/bestie da soma (605 ducati); 30 pecore (162 ducati)

30 animali vaccini (1.200 ducati); 96 cavalli/bestie da soma (4.010 ducati); 600 pecore/bestie da macello (1.910 ducati)

20 animali vaccini (700 ducati); 16 cavalli/bestie da soma (480 ducati); 100 pecore (200 ducati); 7 botti di vino (120,40 ducati); 5 cantaia di olio (190 ducati) 305 animali vaccini (9.150 ducati); 206 cavalli/bestie da soma (6.592 ducati); 860 pecore/bestie da macello (1.720 ducati); 3.205 ducati di telerie e merci varie

100 animali vaccini (400 ducati); 150 cavalli/bestie da soma (500 ducati); 470 pecore/bestie da macello (910 ducati); 22.770 ducati di telerie e merci varie

(29)

COMUNE FIERE E MERCATI CHE VI SI TENGONO (1850) VENDITE E VALORE MONETARIO

Gioia Le date sono le medesime della tabella precedente

Gravina

Noci Fiera l'11-13 giugno Acquaviva Bitonto Conversano Fasano Polignano Sannicandro Andria

Barletta La sola fiera dell'11-13 maggio

Canosa Corato Spinazzola

45 animali vaccini (1.800 ducati); 50 cavalli/bestie da soma (1.500 ducati); 450 pecore/bestie da macello (900 ducati)

800 animali vaccini (4.800 ducati); 800 cavalli/bestie da soma (4.800 ducati); 900 pecore/bestie da macello (1.800 ducati); 18 cantaia di seta (18.000 ducati); 2.100 tomola di grano (3.360 ducati); 300 tomola di legumi (300 ducati); 230 botti di vino (3.312 ducati); 200 cantaia di olio (3.400 ducati); 170.000 di telerie e merci varie (180.000 ducati)

50 animali vaccini (2.000 ducati); 20 cavalli/bestie da soma (1.000 ducati); 200 pecore/bestie da macello (400 ducati)

80 animali vaccini (6.800 ducati); 20 cavalli/bestie da soma (600 ducati); 200 pecore/bestie da macello (400 ducati); 800 ducati di telerie e merci varie

60 animali vaccini (2.820 ducati); 40 cavalli/bestie da soma (1.840 ducati)

622 animali vaccini (26.304 ducati); 68 cavalli/bestie da soma (3.000 ducati); 116 pecore/bestie da soma (275,40 ducati); 146 botti di vino (336,40 ducati); 8 cantaia di olio (148 ducati); 870 di telerie e merci varie (237,90 ducati)

12 animali vaccini (510 ducati); 12 cavalli/bestie da soma (530 ducati); 220 pecore/bestie da macello (450 ducati); 230 ducati di telerie e merci varie

4 animali vaccini (580 ducati); 5 cavalli/bestie da soma (530 ducati)

36 animali vaccini (1.260 ducati); 26 cavalli/bestie da soma (920 ducati); 160 pecore/bestie da macello (350 ducati); 8 botti di vino (137,40 ducati); 4 cantaia di olio (80 ducati)

180 animali vaccini (6.480 ducati); 170 cavalli/bestie da soma (10.200 ducati); 1.130 di telerie e merci varie (678 ducati)

155 animali vaccini (8.595 ducati); 31 cavalli/bestie da soma (1.804 ducati); 450 pecore/bestie da macello (1.170 ducati); 18 cantaia di lana ( 918 ducati); 500 tomola di grano (865 ducati); 9.800 tomola di legumi (15.288 ducati); 6.000 botti di vino (57.000 ducati); 5.000 di telerie e merci varie

26 botti di vino (320 ducati); 11.000 di telerie e merci varie (1.650 ducati)

260 animali vaccini (1.300 ducati); 80 cavalli/bestie da soma (7.600 ducati); 120 pecore/bestie da macello (360 ducati)

406 animali vaccini (17.052 ducati); 250 cavalli/bestie da soma 8.750 ducati); 500 pecore/bestie da macello (2.800 ducati); 2.000 ducati di telerie e merci varie

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