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Introduzione Il dizionario di s

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il dizionario di storia Treccani definisce l’impero come un “organismo politico con a capo un sovrano che porta il titolo d’imperatore, formato generalmente da entità statali di varia natura e dimensione (regni, principati, signorie, città-stato, nazioni ecc.), subordinate all’autorità imperiale. Nato quasi sempre da conquiste militari, ha un’estensione territoriale di portata continentale e a volte anche extra-continentale; al di là della diversa natura dell’ordinamento politico interno, ha incarnato quasi sempre un’ideale universalistico e religioso”.

Il dizionario Hoepli lo definisce come “ordinamento politico di forma monarchica avente a capo un imperatore, ad esempio l'Impero Romano. Organismo politico in cui un complesso di paesi dipende da una nazione che esercita il proprio potere in forma egemonica”.

Queste definizioni, valide per qualsiasi impero sorto nel corso dei secoli, pongono subito il problema del rapporto tra il potere centrale e l’amministrazione dei territori su cui si estende l’impero, che possono vedere ordinamenti di vario genere basati su criteri di controllo tra loro differenti e variegati, testimoniando i tentativi di amministrare un territorio sconfinato ed eterogeneo per condizioni climatiche, ambientali, risorse naturali presenti, popolazioni differenti per etnia, cultura, stili di vita, racchiusi in un organismo che deve dotarsi di strumenti adeguati e mutevoli per soddisfare le differenti necessità e risolvere le problematiche che si pongono alla sua attenzione1.

Sebbene tale problematica sia sempre stata presente agli occhi degli amministratori e degli intellettuali che nel corso dei secoli hanno avuto modo di confrontarsi con i vari imperi sorti e crollati, la storiografia non ha mai realmente affrontato la questione, non dandole il giusto riconoscimento e ponendola in secondo piano rispetto allo studio delle vicende dei grandi generali, delle guerre e all’indagine dell’organigramma amministrativo, la cui dimensione territoriale nel migliore dei casi è stata lasciata intendere, nel peggiore non è stata presa in considerazione e quindi affrontata di per sé.

Nella seconda metà del secolo scorso, quando si sono gettate le basi per lo studio della storia amministrativa, uno dei principali teorici e studiosi italiani, Gianfranco Miglio, nelle Premesse ad una metodologia della storia amministrativa, identificava dei parametri di studio prettamente a-territoriali, incentrati sull’analisi e sull’indagine dei diversi uffici amministrativi, sulla loro origine e la loro evoluzione, sulla loro produzione, sui caratteri e i dati biografici dei loro membri e del personale. La storia amministrativa nel complesso si è venuta definendo quale storia degli uffici, del corpo burocratico e dei regnanti che hanno plasmato tali uffici e se ne

1 Per una breve panoramica sui problemi del rapporto dei moderni con l’Impero Romano, il suo funzionamento,

nonché lo scarto tra categorie mentali dell’età contemporanea e di quella antica si veda l’introduzione di Anselmo Baroni agli atti di congresso Amministrare un impero: Roma e le sue province, Trento, 2007, pp. 11-20

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sono serviti, senza però provare ad indagare il contesto territoriale su cui quegli uffici dovevano operare e applicare le direttive del centro politico.

La spiegazione che si può dare al perché di questa mancanza, pur non essendo l’argomento di questo studio ed in ogni caso integrabile con altre, è di natura contingente: una riflessione sulla storia amministrativa, portata avanti da studiosi e storici e non lasciata all’interesse del singolo erudito oppure circoscritta alle riflessioni del singolo funzionario dell’amministrazione coloniale, si è sviluppata ed ha preso piede soltanto dopo il periodo compreso tra la seconda metà del XIX secolo e le due guerre mondiali, quando cioè si concluse il processo di formazione del moderno stato nazionale e l’età degli imperi giunse al termine. L’Europa contemporanea e i Paesi cosiddetti sviluppati, nel periodo in cui sono state gettate le basi per lo studio della storia amministrativa, ormai da tempo non avevano visto sui propri territori veri processi di annichilimento di uno stato e delle sue strutture oppure fenomeni di creazione ex novo di stati e relative circoscrizioni2. Anche i processi di disintegrazione di Jugoslavia e Unione Sovietica nell’ultima decade del XX secolo sono avvenuti lungo linee di demarcazione a carattere nazionale in precedenza esistenti; il mondo contemporaneo è, in fin dei conti, un mondo di certezze formali in ambito geografico, dove gli spazi vuoti non sono concepiti e dove anche i fenomeni e i movimenti più reazionari, volti ad un radicale ritorno al passato, alla fine non possono fare a meno di servirsi di circoscrizioni territoriali pensate da altri e riutilizzate automaticamente come nel caso della nascita e declino dello Stato Islamico in Iraq e Siria, che si è appoggiato alle precedenti divisioni in province e governatorati ereditati dalle precedenti organizzazioni statuali3.

Sebbene i processi di delimitazione e partizione delle circoscrizioni territoriali siano stati ignorati e slegati dagli eventi storici, percepiti come estranei all’analisi del fatto storico, di tanto in tanto qualche accenno all’organizzazione territoriale è emerso carsicamente qua e là nei lavori degli studiosi in maniera quasi obbligata trattando la campagna di Pompeo nel Ponto oppure analizzando l’amministrazione giudiziaria provinciale dell’Asia. La crescita d’interesse per i differenti aspetti della realtà provinciale quali la vita cittadina, la realtà rurale, le differenze etnografiche e la sopravvivenza di elementi culturali indigeni al processo di romanizzazione come il copto, il siriaco oppure il punico, se da un lato ha contribuito a ribaltare la prospettiva di una provincia subalterna e inerte nel rapporto con Roma, assente oppure relegata al ruolo di sfondo privo di caratterizzazioni dove ambientare le imprese dei grandi generali, dall’altro non è riuscita a giungere ad una sintesi tra questi elementi, la Grande Storia dei capi di stato e degli eserciti, e i processi di divisione e suddivisione del territorio.

2 Il discorso è molto ampio e variegato e non può essere qui affrontato in tutta la sua interezza. Per un’introduzione

generale alla questione si rimanda alla consultazione di E. J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914/1991, Milano, 1997, pp. 45-48; 247-248 e L’Età degli Imperi 1875-1914, capitolo 3.

3 Aymenn Jawad Al-Tamimi, Principles in the Administration of the Islamic State, The Guardian, 07/12/2015. Pur

criticando le divisioni frutto di Sykes-Picot nei capitoli 5 e 9, l’Isis sembra di fatto averle accettate limitandosi a implementare politiche di pulizia etnica e religiosa all’interno dei suddetti confini in favore dei sunniti piuttosto che ridisegnare e riorganizzare la carta geografica.

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Sul lungo periodo questa mancanza ha finito per far riproporre il paradigma nazionale quale criterio unico per spiegare i processi di organizzazione territoriale sotto la forma del regionalismo4. Il paradigma regionalista, se può essere utile per interpretare le dinamiche sociali e politiche che influiscono sullo sviluppo dell’ordinamento provinciale, può anche portare gli studiosi ad interpretare fenomeni antichi con gli occhi dei moderni e a leggere talvolta dinamiche che hanno luogo nella società antica con le lenti interpretative di una società organizzata sul modello dello stato-nazione, soprattutto per quanto concerne il concetto di identità, definibile per il mondo antico come il condensato di affinità linguistiche, religiose, di usi e costumi e di parentela che interagiscono tra loro a diversi livelli più che semplice differenziazione su basi esclusivamente etniche, tenendo a mente che tali interrelazioni possono avvenire su piani diversi e avere un funzionamento più fluido rispetto a quello che è l’odierno concetto di identità e questo può portare a fraintendimenti oppure a dei controsensi interpretativi5. La tendenza da parte della storiografia ad affrontare il problema della creazione delle province e poi delle diocesi servendosi del principio etnico-nazionale, riassumibile nell’espressione “una provincia/diocesi per ogni popolo o aggregazione di gruppi che si presumeva conservassero delle affinità”, non è casuale ma è stata il riflesso di idee socialmente dominanti lungo il periodo che, dalla rivoluzione francese, passando per Fichte e arrivando al presidente americano Wilson, aveva visto lo sviluppo di una scienza storica che ha gettato le basi della moderna storiografia. La chiave di lettura regionalista non è sufficiente, da sola, a spiegare in toto i processi di divisione provinciale sotto ogni aspetto; talvolta sono ragioni di natura politica o fiscale oppure militare a dettare la linea da seguire e sarà necessario quindi provare a identificare le altre cause all’origine di una particolare partizione territoriale oppure di un’altra.

Dopo la conquista di un nuovo territorio per lo stato romano si poneva il problema della sua organizzazione amministrativa, giuridica e militare. Non sempre risultavano presenti in loco strutture amministrative preesistenti e ove disponibili non sempre potevano essere utilizzate dai Romani. L’assetto adottato in un primo momento e pensato per rispondere ad esigenze immediate poteva mutare a distanza di qualche secolo se non addirittura di qualche decennio, subendo nuove modifiche per far fronte alle nuove sfide e ai nuovi stimoli che la politica estera e la compagine provinciale potevano porre all’amministrazione centrale. Da un

4 Sull’esistenza di particolarismi in epoca antica si veda C. E. Van Sickle, Particularism in the Roman Empire during the

Military Anarchy, The American Journal of Philology, vol. 51, no. 4, 1930, pp. 343-357. Sulla sopravvivenza e resilienza

di lingue native R. MacMullen, Provincial Languages in the Roman Empire, The American Journal of Philology, vol. 87, no. 1, 1966, pp. 1-17. Più recenti: P. Veyne, L'impero greco-romano, 2009, Milano; D. Foraboschi, Integrazione e

alterità: incontri/scontri di culture nel mondo antico, 2013, Milano, pp. 29-38. Sul rapporto centro-province si vedano The Province Strikes Back. Imperial Dynamics in the Eastern Mediterranean, 2008, Helsinki; M. Sommer, Glocalising an Empire. Rome in the 3rd Century AD, Regionalism and Globalism in Antiquity. Exploring their limits, 2013, Leuven, pp.

341-352.

5 Si veda E. Gruen, Did Ancient Identity Depend on Ethnicity? A Preliminary Probe, Phoenix, vol. 67, no. 1/2, 2013, pp.

1-22. Per un problema simile si veda anche R. L. Reynolds, R. S. Lopez, Odoacer: German or Hun?, The American Historical Review, vol. 52, no. 1, Oct. 1946, pp. 36-53. Sul regionalismo si veda H. Elton, G. Reger, Regionalism in

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rapido sguardo al mutare della carta provinciale romana nel corso dei secoli si evidenzia come l’Asia minore, qui presa in esame, non trascorra un singolo secolo senza vedere mutare la propria geografia amministrativa e questo ben prima della riorganizzazione complessiva operata da Diocleziano. La creazione della provincia d’Asia, la regione più grecizzata e urbanizzata dell’area, vede la nascita al suo fianco di forme di amministrazione diverse, incentrate su dinasti alleati prima e grandi province poi, di regioni tra loro molto differenti per insediamento, storia e morfologia, che si evolvono con geometrie variabili per finire poi, con Diocleziano, divise in piccole unità sovente a carattere regionale o poco più estese, racchiuse però nell’istituzione superiore della diocesi. È un processo generale che riguarda tutto l’organismo imperiale e in oriente si manifesta con i caratteri più articolati in Asia minore e nei territori precedentemente organizzati nella provincia di Siria6.

Obiettivo di questo studio è quello di ricostruire una storia amministrativa dell’Asia minore dal taglio geografico-territoriale che si concentri su come vengono ordinati i territori conquistati, coprendo il periodo che va dalla formazione della provincia d’Asia in seguito alla ricezione da parte del senato romano del testamento di Attalo, ultimo sovrano del regno di Pergamo, fino al momento in cui in la parte orientale dell’impero romano vedrà nascere e svilupparsi quello che diverrà il sistema thematico a partire dal VII secolo d.C. quale risposta alle sfide poste dagli Arabi.

Lo studio proposto è strutturato in quattro parti. La prima si occupa di fornire un’introduzione geografica ed etnografica dell’area presa in esame, necessaria a comprendere il substrato su cui vengono imposte le divisioni amministrative, cercando di ricostruire le diverse identità etniche e regionali che costituiscono l’Asia minore antica e descrivere le differenze territoriali e ambientali di ciascuna regione.

La seconda e la terza parte si concentrano rispettivamente sul periodo repubblicano, altoimperiale e sul tardo impero, cercando di non separare la storia amministrativa da quella politica e socioeconomica ma anzi provando a far emergere il legame esistente tra di esse, mostrando come una sia legata all’altra ed entrambe si influenzino vicendevolmente, descrivendo il contesto generale e le tendenze principali della società in cui gli assetti di gestione provinciale erano calati e chiamati a rispondere alle sollecitazioni e agli stimoli provenienti dal mondo circostante. In ciascun capitolo si propone inoltre un’analisi degli ordinamenti interni delle circoscrizioni provinciali o diocesane, evidenziando eventuali continuità e rotture tra i modelli amministrativi e cercando di far emergere quali sono gli elementi geografici, insediativi, politici e sociali che determinano il modello amministrativo vigente.

La quarta parte tratta dello smantellamento del sistema dioclezianeo e dello sviluppo del cosiddetto modello thematico, attraverso una serie di passaggi intermedi e approssimazioni amministrative che hanno portato

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alla scomparsa delle province romane e alla formazione di circoscrizioni modellate sulla struttura delle armate bizantine.

Infine una cronologia raccoglie e riordina in maniera sintetica e schematica gli eventi trattati nello studio; non si tratta di una cronologia completa che riporta ogni avvenimento storico nonché la completa successione dei sovrani e delle casate regnanti, delle guerre dichiarate e dei trattati di pace siglati, quanto piuttosto di un supporto utile ad orientarsi nelle dinamiche trattate nel testo e nella serie di divisioni, accorpamenti e riorganizzazioni territoriali e amministrative, argomento principale della ricerca. Segue una serie di carte dell’Asia minore che riportano il mutamento dei confini provinciali nel corso del tempo, utilizzando come base di volta in volta rielaborata le carte prodotte da B. Rémy, L'évolution administrative de

l'Anatolie aux trois premieres siècles de notre ère, Lione, 1986, da S. Mitchell, Anatolia. Land, men and gods in Asia Minor. The Celts in Anatolia and the impact of Roman rule, Oxford, 1993, oppure dal Penguin Historical

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Capitolo I: I Regioni e popoli dell’Asia minore

L’Asia minore è una regione il cui territorio risulta profondamente influenzato dalle catene montuose, tra le quali le più famose sono quelle del Tauro e dell’Anti-Tauro; il suo paesaggio è stato plasmato dall’attività di orogenesi avvenuta nel corso dei secoli e dai terremoti ad essa legati, presentando quindi un panorama composto da valichi, vette, costoni di roccia e picchi montani intervallati da valli, conche, piccoli rifugi e spazi pianeggianti talvolta tra loro comunicanti, molto spesso invece separati e inaccessibili, scavati e modellati dallo scorrere di svariati fiumi che nascono sui monti. L’insediamento umano in questa regione ha dovuto tener conto dell’ambiente naturale e delle sfide che esso pone, rendendola una delle aree geografiche dell’Impero Romano con il più alto tasso di eterogeneità etnica e linguistica, un caleidoscopio di comunità, gruppi e popoli che vivono a volte affiancati tra loro e mischiati gli uni agli altri, altre invece separati rigidamente e divisi. La maggiore o minore accessibilità al mondo esterno ha influito in maniera decisiva nel preservare e mantenere vive nel tempo specificità etniche e regionali, caratterizzate da identità altre rispetto a quella greco-romana.

Geografia generale

L'Asia Minore ('Ασία ἡ ἐλάττων, ἡ μικρά dei primi secoli dell'era volgare) o Anatolia (nome che si comincia a trovare nei testi nel X secolo7), è la grande penisola che dal Medioriente si protende fra il Mar Nero e il Mar di Levante verso occidente, dove l'Egeo e gli Stretti la separano dalla penisola balcanica. La penisola, che si presenta come una sorta di quadrilatero allungato dai lati imperfetti e frastagliati, è bagnata su tre lati dal mare: il Ponto Eusino a nord, la Propontide (Marmara) e l’Egeo ad ovest e il Mediterraneo a sud. Il confine orientale è più difficile da individuare dal punto di vista geografico e politico. Indicativamente si può prendere il golfo presso Trapezunte e l’angolo sud-orientale del Ponto Eusino, oltre il quale si estendono l’Armenia e gli altri regni caucasici, scendere lungo il corso dell’Eufrate per poi raggiungere la zona dell’Anti-Tauro fino al golfo di Isso. Gran parte del territorio è occupato da un altopiano la cui altezza si aggira attorno ai 1000 m e non scende mai sotto gli 800 m ed è parte di un complesso sistema di rilievi e monti che pongono in connessione la regione all'altopiano armeno, al Caucaso e ai monti Zagros in Iran. A nord i Monti Eusini o Pontici occidentali, non molto elevati (fino a 2370 m con l'Aladaǧ), paralleli alla costa del Mar Nero, si prolungano fino a sud del Mar di Marmara. A sud vi è la catena del Tauro ed il Tauro di Licia: il primo alto 3000 m (e fino a 3560 col Bulǧardaǧ) e prolungato ad oriente nell'Anti-Tauro, il secondo si eleva fino a 3200 m con una conformazione concava che racchiude un altopiano. Fra il Tauro ed il Tauro di Licia s'incurva il golfo di Adalia, che ha una breve piana costiera parallela a quella più estesa di Cilicia sul golfo di Adana, separata dai monti dell’Isauria. La presenza di rilievi e catene montuose è all’origine dei fenomeni sismici che caratterizzano quasi interamente la regione.

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L’altopiano può essere distinto in una zona orientale, circuita dall'Halys e separata dall'Anti-Tauro dal monte Argeo; una zona centrale, più arida delle altre e stepposa, formata dall'accidentato altopiano di Galazia (800-1400 m) e dalla regione montuosa di Licaonia (800-1200 m), in cui laghi come il Tuzçölü, a 940 m e l'AkŞehirgöl, nel quale termina il corso dell'Agarçay, si mutano d'estate in saline crostose; una zona occidentale, che dall'Olimpo Misico (2550 m) si lega mediante l'altopiano frigio, sparso di rilievi montuosi isolati, alle propaggini occidentali del Tauro e alla Pisidia ricca di conche lacustri, fra cui si annoverano il Kïrïligöl (1150 m, 680 kmq, profondità 9 m) e l'Egherdir-Göl (870 m) d'acqua dolce, il Bundurgöl (920 m) salmastro, l'Acigöl (840 m) salato amaro. Nella Piccola Frigia e in Bitinia si segnalano i laghi d’acqua dolce come il Manyasgöl e l’Abuliondgöl e il lago di Nicea o Iznikgöl.

L’idrografia presenta a nord fiumi quali lo YeŞil (Iris), il Kïzïl (Halys) e il Sakarya (Sangario) che scorrono verso il Mar Nero, mentre il Seyhun (Saro) e il Cayhun (Giaihun) (Piramo) si dirigono verso il Mar di Levante insieme ai fiumi che sfociano nell’Egeo come il Bakïrçay (Caico), Gedizçay (Ermo), Kükük Menderes (Caistro), Büyük Menderes (Meandro). I fiumi che sfociano nella regione egea settentrionale, come quelli che dal Tauro scendono alle coste meridionali (Köprilsu, Göksu), hanno, nonostante le forti piene primaverili, importanza soltanto nell'ultimo tratto del loro corso. I fiumi maggiori scorrono lenti e poco profondi, alterando appena l'uniformità delle distese pianeggianti e si fanno poi rapidi attraversando le catene settentrionali (Sakarya, Zïzïl, YeŞil); le valli e le gole scavate dal loro passaggio rappresentano uno scarso aiuto per le comunicazioni e la navigazione fra il mare e l'altopiano.

La regione si compone di zone tra loro molto diverse per topografia e clima: un’area mediterranea, che si estende a partire dalla Bitinia, attraversa la Ionia, la Caria e la Licia fino a raggiungere la Cilicia; una regione del nord che corre lungo la costa pontica; una regione centrale e orientale che hanno carattere stepposo. La regione occidentale della penisola e il versante esterno delle catene montuose che contornano a sud l'altopiano sono caratterizzate da estati calde e scarse precipitazioni e da inverni temperati e piovosi. La vicinanza del mare e la disposizione delle montagne fanno sentire la loro influenza mitigando il caldo estivo e trattenendo d'inverno le correnti atmosferiche umide del sud e dell'ovest ricche di precipitazioni, mentre d'estate predominano i venti del nord che giungono dall'interno secchi e caldi. Le medie annue aumentano gradatamente da 16°, sul litorale nord dell'Egeo, a quasi 20° (Adana: 19.9°) sulla costa meridionale. L'escursione annua è assai accentuata, ed è pure forte l'escursione diurna. A Smirne essa è in media di 12°, maggiore nei mesi estivi (luglio 13.4°), minore negli invernali (9.7° in febbraio). La media escursione mensile di Smirne è di 21°, essendo più accentuata d'inverno che d'estate. Gennaio e febbraio hanno come valori estremi −1.8° e 19.7°; luglio e agosto invece 17.4° e 37°. La temperatura media a gennaio è 7.6°, quella di luglio 26.8°. La massima temperatura osservata fu 41.7°, la minima −10°. Si contano in media annualmente 13,7 giorni di gelo e 17,7 giorni burrascosi. La media annua delle precipitazioni è di 650 mm, distribuita in 69 giorni. Il mese più ricco di precipitazioni è dicembre con 131 mm, seguito da gennaio con 110 mm e da

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novembre con 91 mm; i mesi più scarsi sono agosto con 2 mm e luglio con 3 mm. A Tarso, nella zona costiera meridionale, il mese più freddo (gennaio) ha una media di 10°, e il mese più caldo (luglio) di 28.8°. Gli estremi annuali sono −0.5° e 45°. La quantità media annua delle precipitazioni, distribuite in 49,6 giorni, è di poco inferiore a quella di Smirne (610 mm). Anche qui il mese più piovoso è dicembre (1104 mm) e il più secco agosto (4 mm).

La zona costiera del Mar Nero è caratterizzata da abbondanti precipitazioni, distribuite in tutte le stagioni dell'anno, con estati non molto calde ma afose e umide, e con inverni umidi e nevosi. La quantità di pioggia diminuisce procedendo dalle coste orientali del Mar Nero a quelle del Mar di Marmara, dove troviamo la zona di transito fra le regioni climatiche pontica e mediterranea. Le temperature medie annue oscillano di poco intorno ai 14°. A Trebisonda (Trapezunte) l'escursione media diurna è di soli 7°; l'oscillazione media mensile è di 17° in autunno e in inverno, di 21° in primavera, di 15° in estate. La media del mese più caldo, agosto, è di 23.3°, quella del mese più freddo, gennaio, di 6.3°. L'umidità atmosferica è rilevante durante tutto l'anno, maggiore d'estate (72%), minore d'inverno (68%). Talvolta nei mesi invernali spira un vento secco e caldo di sud-ovest. Le precipitazioni raggiungono gli 875 mm annui e sono distribuite in 128 giorni, più abbondanti nel mese di dicembre (124 mm) e in novembre (106 mm), più scarse in luglio (44 m). A Samsun (Amiso), più ad occidente, la quantità di precipitazioni annue è ridotta a 727 mm distribuite su 82 giorni, essendo il mese più piovoso novembre con 102 mm, e il più scarso di pioggia luglio con 18 mm. Ancora minore è la quantità di precipitazioni a Sinope, dove la temperatura media annuale è di 14° (inverno 7.1°; primavera 11.6°; estate 21.2°; autunno 16.1°).

La regione interna è dominata da un clima continentale caratterizzato da forti escursioni termiche e scarse precipitazioni. Gli inverni sono molto freddi e nevosi, le estati limpide e secche. Durante il giorno la temperatura è elevata ma le notti sono fredde. La quantità di precipitazioni annue è scarsa, generalmente la primavera è la stagione più piovosa, mentre l’estate è secca e sono frequenti temporali e grandinate. Nella zona centrale della Licaonia cadono annualmente meno di 200 mm di pioggia; la diminuzione delle precipitazioni dalla costa settentrionale all'interno è quasi repentina e già presso Merzifon, vicino ad Amasya, a 80 km appena a sud di Samsun, le precipitazioni annue raggiungono solo 420 mm, mentre ad Ankara esse sono ridotte a 233 mm, a Eskiṣehir (Dorylaeum) a 245 mm e a Konya (Iconium) a 180 mm. I mesi più secchi sono quelli estivi di luglio, agosto e settembre mentre il più piovoso è maggio. La temperatura nella zona di Amasya, a 750 m sul mare, ha una media annuale di 10.3° (gennaio −1.4°, luglio 19.9°). Cesarea, a 1070 m d'altitudine, ha una media annuale di 12.6°. Nei luoghi più occidentali dell'altopiano le medie annue si collocano tra 9° e 10°, quelle in gennaio fra 0° e −4°, quelle del luglio intorno a 20°8.

8 Voce “Asia minore o Anatolia” in Enciclopedia italiana, 1929. Il ricorso a fonti a noi più vicine cronologicamente,

successiva alla crescita dell’industria e al sopravvenire di fenomeni quali il surriscaldamento globale e il mutamento climatico, rischia di riportare dati e informazioni meno aderenti alla realtà climatica del passato preindustriale.

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Costa dell’Egeo e provincia d’Asia

Le regioni che si estendono dalla costa fino all’entroterra frigio erano organizzate nella provincia romana d’Asia: un territorio immenso, occupante circa un quarto della superficie dell’intera Asia minore, che includeva le zone più ricche, fertili e di più antica ellenizzazione come la Troade, l’Eolide, la Misia, la Ionia, la Lidia e la Caria e si estendeva fino ai confini della Galazia al centro della regione. Quelle che si affacciano sull’Egeo sono aree profondamente ellenizzate e urbanizzate, inserite a pieno titolo nel mondo greco; nell’entroterra però l’ellenizzazione è minore e rimane confinata alle poleis e ai grandi centri abitati, non è scomparsa l’eredità culturale e linguistica delle popolazioni non greche che vi si sono insediate nel corso del tempo. Eredità e radici ancora ben presenti nella mentalità degli antichi se Cicerone, nell’arringa in difesa di Lucio Flacco, afferma che l’Asia è formata da Frigia, Misia, Caria e Lidia e non è quindi un’unica realtà omogenea, ma l’insieme di quattro regioni ben distinte, ognuna delle quali abitata da popolazioni che hanno le proprie peculiarità linguistiche e culturali9.

Troade ed Eolia

La Troade corrisponde alla moderna penisola di Biga, territorio in cui sorgeva la città di Troia, da cui prende il nome; l’area, soggetta alla colonizzazione da parte dei gruppi provenienti da Mileto, Eretria e dall’Eolide, inizialmente era la terra dei Lelegi, popolo di stirpe troiana secondo gli antichi, poi costretti a migrare10. Dopo la caduta di Troia si sono affacciati nella regione altri popoli, sostituendosi ai precedenti coloni: i Frigi avrebbero colonizzato l’area attorno a Cizico, ad Abido si sarebbero insediati gruppi di origine trace e prima di questi sarebbe stata la volta di Bebrici e Driopi/Dolioni. I Lidi rinominatisi Meoni avrebbero occupato l’area di Tebe, insieme a gruppi di Misi11. Il territorio di Adramitto, popolato dai Misi, un tempo era sotto il controllo dei Lidi e la città possedeva una porta chiamata per l’appunto porta dei Lidi12. L’area è parte della regione della Misia, al pari dell’Eolia (Plinio riferisce che un tempo la stessa Eolide era chiamata Misia13), territorio compreso tra l’imbocco dell’Ellesponto e la foce del fiume Ermo.

La storia dell’area vede sovrapporsi al passato omerico le varie colonizzazioni vissute nel corso del tempo14: lo spopolamento e le migrazioni successive alla guerra di Troia hanno lasciato un vuoto riempito dai coloni greci e dagli immigrati lidi e misi, che hanno di conseguenza portato ciascuna area occupata sotto la propria sfera di influenza, anche se alcune parti di territorio sono rimaste spopolate. Dalle informazioni di Strabone si può intuire che la presenza misia sia stata quella più importante, estesa a sud fino a Thyatira15.

9 Cicerone, Pro Flacco, 65 10 Strabone, XIII, 1, 7 11 Strabone, XIII, 1, 8 12 Strabone, XIII, 1, 65 13 Plinio, V, 121

14 Strabone si concentra molto sui Pelasgi e su quella che era l’antichità per gli stessi antichi, XIII, 3 15 Strabone, XIII, 4, 4

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Misia

La regione, situata a sud-ovest della Bitinia, prende il proprio nome dai Misi, popolazione di origine incerta. In antichità due erano teorie in merito alla loro provenienza: una li voleva originari della Tracia, discendenti da gruppi traco-mesici immigrati, l’altra invece guardava ad oriente e li considerava di origine lidia. Xanto Lidio e Menecrate di Elea facevano derivare il loro nome da quello di mysos, il nome del faggio, albero molto diffuso nella regione dell’Olimpo di Misia dove sarebbero stati inviati gruppi di Lidi per motivi religiosi, dai quali sarebbero discesi i Misi16, anche se questa appare un’operazione di mitopoiesi, priva di reale credibilità. I Misi avevano una propria lingua nazionale, di cui forse si è conservato qualche frammento in forma scritta su una pietra rinvenuta in una remota area a nord di Aezani, la cui datazione è incerta, posta tra il V e il III secolo a.C., ma su cui non vi è la certezza assoluta che si tratti effettivamente del misio17. Indizi sulla sopravvivenza della lingua in forma orale in epoca romana ci vengono da due fonti diverse. Una è di natura ecclesiastica e narra di un tale, Bendidiano, un cittadino originario della Misia, che si recò a far visita al monaco e santo Aussenzio, che viveva presso il monastero di Rufinianae lungo il corso del fiume Scopas nella Bitinia orientale; una volta giunto, omaggiando il santo e dimostrando un atteggiamento nobile e composto, proprio di una persona di rango, nel rivolgersi al santo si servì della sua lingua natia, il misio18. L’altra invece deriva da un passo dei Deipnosophistae in cui si può leggere che Ateneo, impegnato a trattare delle diverse tipologie e specie di uccelli e volatili, riferisce di aver appreso per esperienza diretta, in qualità di governatore, che i Misi e gli abitanti della Paeonia si servivano dello stesso termine per indicare il tetrace o gallo di montagna; questo sembra indicare un’affinità tra i due idiomi19 e confermare le opinioni in merito ai legami esistenti tra le due coste dell’Ellesponto. Difficile dire che lingua potesse essere il misio in mancanza di solide fonti epigrafiche; vi è l’ipotesi trace di Ateneo, così come vi è quella di Strabone che descrive la lingua come un incrocio tra il frigio e il lidio, adducendo come motivazione i legami che nel corso del tempo hanno intrecciato tra loro i due popoli20.

I Misi conducevano una vita tribale basata sulla pastorizia. Strabone, rifacendosi a Posidonio, riporta che i Misi/Moesi si astenevano dal consumare, per motivi religiosi, carne di qualsiasi tipo, nutrendosi solo di miele, latte e formaggi ottenuti dalle proprie greggi, che però non venivano sfruttate per ottenere carne21. Il rifiuto di consumare ogni tipo di carne e il pacifismo sono un’invenzione sulla falsariga di antichi stereotipi conservatisi nel tempo; l’elemento pastorale quale attività principale dei Misi è un dato che ritorna anche nel

16 Strabone, XII, 8, 3 17 MAMA IX, P332

18 Vita Auxentii, PG CXIV, 1428B. K. Holl, Das Fortleben der Volkssprachen in Kleinasien in Nachchristlicher Zeit,

Hermes, vol. 43, no. 2, 1908, pp. 241-242

19 Ateneo, Deipnosophistae, IX, 398 20 Strabone, XII, 8, 3

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De Thematibus22, dove Costantino VII si rifà ad Erodoto qualificando i Misi con i tradizionali epiteti di Abii, ippemolgi e galattofagi. I Misi risultano essere suddivisi in tribù e gruppi minori quali gli Abbaiti, gli Abretteni e gli Olimpeni, che hanno le proprie sedi nella parte orientale della regione, comprese tra il fiume Macesto e l’Olimpo di Misia dove conducono le proprie tradizionali attività di allevatori e pastori. Anche in età romana hanno mantenuto il proprio ordinamento tribale vivendo in villaggi più che città23; la natura dei luoghi, le abitudini legate all’attività di pastorizia e l’ordinamento tribale ne facevano dei cavalieri perfetti (celebri sono i reparti di cavalleria misia) ma anche dei predoni e dei briganti all’occorrenza. Strabone24 riporta che “l’Olimpo tutt’intorno è densamente abitato, ma sulle vette ha boschi sterminati e luoghi ben muniti che possono dare sostentamento a gruppi di briganti; tra questi quelli che riescono a mantenersi a lungo al potere diventano tiranni, come Cleone. Costui […] nello scontro di Azio lasciò Antonio e si aggregò ai generali di Cesare, ed ebbe più onori del dovuto […] sicché da brigante che era assunse le vesti del dinasta: era sacerdote di Zeus Abrettenos, divinità misia, e controllava parte della Morene (anche questa, come del resto l’Abrettene, fa parte della Misia)”.

Ionia

La Ionia si presenta come una delle aree a più alta densità abitativa dell’Asia, innumerevoli sono infatti le città propriamente dette che sono sorte sulla sua costa, si sono sviluppate ed hanno a loro volta fondato colonie, esempio più famoso quello di Efeso e Smyrna. I popoli che hanno giocato un ruolo di qualche sorta nella colonizzazione e nel popolamento dell’area sono i Messeni, i coloni di Pilo, i Cretesi, gli Ateniesi, tra i popoli autoctoni invece si registrano i Lidi, i Cari e i Lelegi25. La descrizione straboniana è una lunga sequenza di città maggiori e minori, di centri abitati e di insediamenti dei quali l’autore non fornisce solo la descrizione delle loro attività principali o ne riscostruisce il passato, ma compila un imponente elenco con i nomi di ogni genere di letterati, filosofi, poeti, scienziati, medici. Simili liste non sono esclusive della descrizione della Ionia, si trovano al contrario per ogni regione che abbia avuto contatti con l’ellenismo e, influenzata da questo, abbia assorbito le tradizioni e le istituzioni atte a produrre un tal genere di individui. Ma in nessuna delle regioni descritte vi è un elenco ricco quanto quello della Ionia; neppure in Grecia, patria della filosofia e degli studi, dove i soggetti illustri citati sono molto pochi e anzi sono meno di quelli che ci si aspetterebbe. Credo che questo fatto vada attribuito non solo all’ammirazione che Strabone poteva nutrire verso una categoria di cui egli stesso si considerava parte26, oppure al desiderio, dettato da considerazioni politiche da ricollegare agli eventi delle guerre mitridatiche e ai problemi generali dell’Asia di I secolo a.C., di porre in evidenza il passato culturale e civile della regione rispetto a quello politico, presentando i casi di membri dell’intellighenzia e della società civile che intercedono presso i Romani e si propongono come alleati e

22 Costantino VII, De Thematibus, III, 10

23 A. H. M. Jones, The cities of the eastern roman provinces, Oxford, 1971, p. 37 24 Strabone, XII, 8, 8-9

25 Strabone, XIV, 1

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custodi locali delle conquiste ottenute27, ma soprattutto al fatto che il territorio della costa d’Asia è divenuto la Grecia d’Asia, il centro dell’ellenismo ordinato secondo il modello urbano della polis, ben incarnato dalla dodecapoli e il luogo di nascita della stessa filosofia. Già in epoca classica le città della Ionia erano accomunate e contraddistinte dall’uso della stessa lingua, il dialetto ionico, nonché dalla partecipazione dei loro cittadini alle cerimonie e ai riti sacri tenuti nel Panionion, dai quali erano esclusi tutti quelli che non fossero Ioni28. La regione si presentava come un territorio che guardava ad occidente e alla Grecia più che a oriente, ben consapevole della propria identità greca ed alterità rispetto al resto dell’Asia minore; questa tendenza si è accentuata in età romana, giovandosi delle possibilità di sviluppo e crescita offerte dalla pax imperiale, che Elio Aristide, in un suo celebre passo, loda quale miglior frutto dell’azione romana, insieme all’attenzione posta per la fioritura e lo sviluppo delle città, emblema di civiltà e progresso29. Pausania, descrivendo Panopeus in Focide, elenca quali caratteristiche deve possedere un insediamento per essere realmente considerato una città: deve avere un ginnasio, deve avere un teatro, un’agorà in cui si gestiscono gli affari commerciali e politici, deve avere delle fontane e degli impianti termali, una curia, strutture atte a rendere omaggio agli dei (templi e altari), deve avere degli edifici pubblici a carattere monumentale che celebrino la città e ne esprimano i valori, la storia e le ambizioni30, caratteristiche queste che si ritrovano tutte nelle città della Ionia31. Presto o tardi il sentimento e l’orgoglio greco cittadino devono aver iniziato a manifestarsi nella competizione tra città diverse per ottenere primati in qualsiasi ambito potesse esistere e a ricercare il riconoscimento ufficiale, da parte romana, della propria identità greca32. Non è detto che i Romani abbiano riconosciuto fin dal principio quell’identità ellenica tanto rivendicata dalle città d’Asia e Cicerone nella Pro

Flacco insinua che gli asiani non siano veri Greci, mettendoli in contrapposizione anche con Massilia.

Nell’arringa di Cicerone pesano molto le considerazioni di natura processuale e politica che lo portano ad assumere una posizione di ostilità verso gli asiani, dato che in altri scritti non si fa troppi problemi a chiamarli

Graeci33. In età imperiale il rapporto con i Greci va mutando al punto che su decisione di Adriano viene costituita, nel 131/132 d.C., la lega del Panhellenion, con lo scopo di organizzare a fini politici, culturali e cultuali le città che possono definirsi greche per cultura e per origine etnica34. Il funzionamento della lega è conosciuto solo a grandi linee, così come il suo regolamento interno e il consueto problema delle fonti non

27 N. Luraghi, Appunti sulla Ionia nella Geografia di Strabone, Strabone e l’Asia Minore, Napoli, 2000, p. 362 28 Erodoto, I, 142, 4; I, 143, 3

29 Elio Aristide, Orazione in gloria di Roma, 93-94 30 Pausania, X, 3, 4

31 Si veda anche la descrizione di Smyrna in Aristide, Orazione smirnea I

32 Efeso si definisce la prima e la più grande Metropoli d’Asia, per due volte neocora degli Augusti, neocora di

Artemide e amica di Augusto, I. Ephesos, VI, 2040. Smyrna risponde vantandosi di essere la prima d’Asia, la bella, la più grande e la più illustre Metropoli, tre volte neocora degli Augusti, I. Smyrna, II/1, 665. Sardi arriva a proclamarsi, a partire dalla metà del II secolo fin sotto Severo Alessandro, Metropoli d’Asia e dell’intera Lidia nonché prima città dell’Ellade, amica e alleata dei Romani e detentrice della neocoria. SEG XLIII, 865.

33 Cicerone, Ad familiares, XIII, 65

34 OGIS II, 497. Sulla questione si veda I. Romeo, The Panhellenion and Ethnic Identity in Hadrianic Greece, Classical

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aiuta a far avanzare le nostre conoscenze35; guardando la lista delle città che componevano la lega si nota la sua estensione alle provincie greche tradizionali (l’Achaia, la Macedonia) e all’Asia minore. Nell’elenco delle città d’Asia figurano: Aezani, Akraiphiai, Amphikleia, Apamea, Apollonia, Argo, Atene, Chalcis, Cibyra, Cirene, Corinto Demetrias, Epidauro, Eumeneia, Gortyna, Hierapytna, Hypata, Lyttos, Magnesia al Meandro, Megara, Methena, Mileto, Naryka, Perinthus, Rodi, Samo, Sardi, Sparta, Synnada, Thessalonica, Thyatira, Tolemaide-Barke. Alcune di queste difficilmente possono essere considerate città completamente greche. Non rientrano nella lega città greche dell’occidente, come pure quelle dell’Egitto e dell’oriente (Cirene è l’unica città nordafricana a farne parte)36. Sorprende l’assenza di città come Efeso, Smyrna e Pergamo, anche se, probabilmente, essa va imputata all’arbitrio del caso nella conservazione dei documenti più che ad altre ragioni, sebbene recentemente Dell’Oro D’Amico ha criticato questa idea, ipotizzando che l’esclusione sarebbe piuttosto da addebitare alla particolare funzione del Panhellenion come koinón, federazione di città della Grecia continentale e di città di comprovata origine greca, e alla centralità che in Grecia e in particolare Atene l'organizzazione rivestiva. Poiché le città dell'Asia Minore avevano già goduto dei benefici di ospitare il culto imperiale, non solo di Adriano ma anche dei suoi predecessori, la competizione tra le città per la preminenza avrebbe scoraggiato centri come Smyrna, che nel momento di accedere al Panhellenion, avrebbero dovuto accettare la superiorità di altre città, come Atene, e giocare quindi un ruolo secondario37. Una tesi sotto certi aspetti forzata, dato che la grecità di Smyrna viene riconosciuta in epoca antonina38, mentre Magnesia al Meandro entra nella lega sotto Settimio Severo39. Grazie al decreto di ammissione di Magnesia è possibile ricostruire i parametri da rispettare: nel decreto si attesta che i cittadini di Magnesia discendono dai primi Greci, provenienti dalla Tessaglia, che attraversarono il mare e si stabilirono in Asia. La stessa attenzione posta all’origine e alla capacità di dimostrare la propria discendenza etnica dall’Ellade è espressa nel decreto di ammissione di Cibyra40. Essere ammessi nel Panhellenion significa essere riconosciuti ufficialmente da Roma come Greci a tutti gli effetti ed essere chiamati a far parte della comunità ellenica e a partecipare alle attività della lega. Il processo di riconoscimento degli Ioni come Greci d’Asia, distinti quindi dagli altri popoli, non è stato lineare ed è stato subordinato all’evolvere della situazione politica e sociale generale ed ha avuto il suo compimento in piena età imperiale; a livello provinciale questo può aver posto i

35 Per un approfondimento si veda A. J. Spawforth e S. Walker, The World of the Panhellenion, The Journal of Roman

Studies, vol. 75, 1985, pp. 78-104

36 Ibid. pp. 80-81

37 F. Dell’Oro D’Amico, Antonino Pio e la provincia d’Asia, 2016, Messina, p. 50

38 P. Herrmann, Epigraphische Forschungen in Lydien, Die epigraphische und altertumskundliche Erforschung

Kleinasiens: Hundert Jahre Kleinasiatische Kommission der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1993, Vienna, p. 243

39 BCH CI 40 OGIS II 497

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presupposti per guardare al territorio della Ionia, popolato da città greche, come qualcosa di distinto e differenziato rispetto al resto della provincia d’Asia41.

Caria

La regione che si estende a sud del fiume Meandro, fino ai confini della Licia, ed è completamente abitata dai Cari, senza enclavi dei Lidi o comunità miste, prende il nome di Caria42. I Cari fanno la loro prima apparizione tra le nazioni con Omero, che colloca le loro sedi presso il fiume Meandro e i monti Ftire e Micale43. È con Erodoto però che la loro unità etnica viene evidenziata, in occasione della rivolta ionica e della resistenza contro i Persiani. Elemento fondante di questa unità è, secondo lui, la partecipazione al culto di Zeus Stratios presso Labraunda44, culto la cui caratterizzazione regionale si mantenne lungo tutta l’epoca imperiale, e in età bizantina dovette subire un parziale processo di conversione e cristianizzazione, conservando tuttavia gli elementi principali caratteristici come il culto dei pesci sacri di cui riporta l’esistenza Plinio45. Strabone riporta la credenza sull’origine cretese del popolo, espulso dall’isola e costretto a migrare sulle coste dell’Asia minore dove si sarebbe poi scontrato con altri Lelegi e con i Pelasgi, divenendo padrone dell’area salvo poi subire la pressione dei Dori e degli Ioni46.

I Cari, spesso identificati quali valorosi guerrieri armati in un determinato modo, con la barra e l’insegna sullo scudo e soliti portare elmi crestati47, erano accomunati dall’uso di una lingua comune, non decifrata, attestata in iscrizioni presenti in tutta la regione di Caria e in Egitto per via dell’attività dei mercenari, cronologicamente comprese tra i secoli VII e III a.C.

Visti dalla tradizione omerica come dei semplici barbari, qualificati per l’appunto come ό vengono riabilitati da Strabone che propone una ricostruzione differente dell’appellativo e lo collega al tentativo dei Cari di imparare il greco, dovendolo utilizzare durante il servizio come mercenari presso gli ellenofoni, seppur parlandolo male e conservando un pesante accento barbarico49.

I Cari erano tradizionalmente organizzati in comunità di villaggio ruotanti attorno al tempio e strutturati nelle associazioni religiose dei koina, che i Tolomei hanno sostenuto e, dove non presenti, promosso. I Seleucidi una volta occupata la regione hanno provveduto ad organizzarla in satrapia. I Romani, dopo la vittoria su

41 J.-L. Ferrary, La Géographie de l’Hellénisme sous la Domination Romaine, Phoenix, vol. 65, no. 1/2

(Spring-Summer/printemps-été), 2011, pp. 1-22

42 Strabone, XIV, 2, 1

43 Iliade, II, 867-869; IV, 142; X, 428 44 Erodoto, V, 118-121

45 Plinio, XXXII, 16-17. Sulla persistenza del culto cario in epoca bizantina si veda J. Blid, The Byzantine Church at

Labraunda, Uppsala, 2006, pp. 62. Si veda anche J. Blid, The Carian Sanctuary of Zeus Labraundos. A Late-Antique Perspective, Bollettino dell’associazione Iasos di Caria, no. 14, 2008, pp. 40-43

46 Strabone, XIV, 2, 27 47 Ibid.

48 Iliade, II, 867 49 Strabone, XIV, 2, 28

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Antioco III, decisero di assegnare in blocco la Caria a Rodi, quale ricompensa per la fedeltà dell’isola e il sostegno nello scontro con i Seleucidi50. Si può intuire come l’identità etnica dei Cari, incentrata sulla lingua comune e sull’adesione al culto di Zeus cario, sia stata via via rinforzata dalle scelte politiche delle differenti potenze egemoni succedutesi sulla regione51. L’idea di una Caria quale regione distinta della provincia d’Asia è ancora viva in età imperiale presso settori di società che hanno abbracciato la fede cristiana e non hanno legami con il culto di Zeus cario, indice del fatto l’identità regionale si è poi sviluppata fuori dall’ambito esclusivamente cultuale52.

Frigia

L’antica Frigia era un territorio molto vasto dai confini non ben definiti, che si estendeva dai confini orientali della Lidia fino alle aree centrali dell’Asia minore all’altezza di Pessinunte e del lago Tatta, occupate poi dai Galli e rinominate Galazia53. A nord la distinzione con la Misia è ricordata dal celebre proverbio “confini differenti per Frigi e Misi”, sebbene sia difficoltoso distinguere nitidamente i confini tra Frigi, Misi e Bitini che si sono spartiti i territori in maniera confusa54. A sud le aree di insediamento dovevano comprendere la Frigia Paroreio e l’area settentrionale della Pisidia55, arrivando fino ad Iconium definita come ultima città frigia56. La lingua frigia si rivela essere tra quelle locali quella meglio conservata, tramandata grazie ad una quantità relativamente elevata di fonti, risalenti ad epoche diverse, in grado di attestarne la sopravvivenza e soprattutto l’utilizzo quale strumento di definizione dell’identità regionale di una popolazione che, dopo l’annessione alla repubblica della provincia d’Asia, ha dovuto attendere la riforma dioclezianea per tornare a vedere il nome di Frigia riconosciuto e attribuito a due provincie.

Circa una settantina di tombe, rinvenute tra la Frigia occidentale e quella centrale e provenienti principalmente da contesti rurali ma non solo, risalenti ad un periodo compreso tra il II e il III secolo d.C., recano, accanto al testo in greco degli epitaffi, una formula di maledizione in frigio. Il ricorso a questo tipo di formule è caratteristico di persone di origine non-greca, native della regione57. Le iscrizioni in (neo)frigio però riportano nero su bianco una lingua che non veniva usata in forma scritta da secoli, possono quindi essere frasi stereotipate e prive di un legame con la lingua parlata quotidianamente. Il frigio classico è riportato su monumenti e iscrizioni pubbliche risalenti ai secoli VIII-VI a.C., quando i Frigi erano la potenza egemone nella zona. Tra la documentazione in frigio classico e le epigrafi tardo-romane intercorrono cinque o sei secoli di

50 Polibio, XXI, 24, 7; Livio, Ab urbe condita, XXXVII, 55, 5-6

51 Sui koina, le leghe e i culti comuni dei Cari: Strabone, XIV, 2, 22-25

52 Vita Eusebiae seu Xenae 12. Il testo risale al V secolo d.C. ma è ambientato nel I. Un sacerdote di Mylasa identifica la

propria patria nella Caria e la propria città in Mylasa.

53 Strabone, XII, 5, 3-4; XII, 8, 1-2 54 Strabone, XII, 4, 4-6

55 Strabone, XII, 6, 4; XII, 8, 13 56 Senofonte, Anabasi, I, 2, 19

57 O. Haas, Die Phrygischen Sprachdenkmäler, Sofia, 1966. C. Brixhe, T. Drew-Bear, Huit inscriptions néophrygiennes,

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tempo e l’unica altra fonte esistente tra queste due epoche mostra pienamente gli effetti dell’ellenizzazione e dell’assorbimento del greco da parte dei nativi58.

Nonostante la diffusione del greco, ancora in età tardoantica il frigio risulta essere una lingua viva e compresa da strati consistenti di popolazione, utilizzata non soltanto in ambiti rurali da semplici contadini e pastori59, ma anche da membri del clero impegnati nei dibattiti e nelle controversie religiose. Socrate Scolastico riferisce che il vescovo Selenas di Cotiaeum, appartenente al partito ariano, ex segretario di Ulfila, era di origine gotica da parte di padre e frigio da parte di madre, ragion per cui era in grado di sostenere dibattiti dottrinari e spiegare la propria posizione in chiesa in entrambe le lingue60. La città di Cotiaeum può fregiarsi di aver dato i natali al grammatico Alessandro, che fu insegnante di Elio Aristide il quale ne pronunciò l’epitaffio61, e venne ricordato dall’imperatore Marco Aurelio62; è un centro inserito nel mondo greco-romano, non un oscuro borgo di provincia.

La Frigia risulta essere una regione con un alto livello di sedentarizzazione e urbanizzazione, si tratti di poleis o di semplici villaggi; la vita associata di natura tribale deve aver rapidamente lasciato posto a forme di vita urbana, pur lasciando in eredità alle diverse comunità gli originari nomi tribali e un senso di comunità e identità etnica: gli Epitteti, i Moxeani, gli Hyrgaleis, così come le popolazioni miste del sud situate nella Frigia Paroreio come gli Orondiani, i Sedasi e i Gorgoromei conservano gli etnonimi e risultano organizzati in propri

koina separati dagli altri koina provinciali63.

Lidia

L’antichissima città di Sardi, che sorge nella piana del Caistro, fu la capitale dei Lidi, che diedero il nome al regno famoso per la sua straordinaria ricchezza64, da attribuirsi secondo il mito al dono ricevuto dal re Mida da parte di Dioniso, quale ricompensa per aver ritrovato il Sileno, di poter trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse, compreso il fiume Pattolo, mitica spiegazione dell’origine dei suoi sedimenti aurei65. La Lidia, regno ricco e potente, conservò la propria indipendenza fino allo scontro tra Creso e la Persia, di cui è riportata la celebre profezia dell’oracolo di Delfi in merito alla caduta di un grande impero qualora Creso avesse

58 Si tratta di due stele funerarie, risalenti al IV o al III secolo a.C. scritte in frigio, su cui compaiono dei nomi greci quali

Nikostratos e Kleumakhos (questo in dativo) insieme ad una breve iscrizione per la figlia del primo, Tatis. T. Drew-Bear, Araştırma Sonuçları, vol. 3, 1985, pp. 257-259. Sull’origine della lingua frigia Mommsen ipotizza delle similitudini con l’armeno, T. Mommsen, Storia di Roma antica. Le province da Cesare a Diocleziano, 1965, Firenze, p. 353

59 Arnobio riferisce che i Frigi chiamano le capre “attagi” nel proprio dialetto. Adversus Nationes, V, 6

60 Socrate Scolastico, Historia Ecclesiastica, V, 23. Sozomeno, Historia Ecclesiastica, VII, 17 riporta il bilinguismo di

Selenas, chiamato Selinus, limitandolo al greco e al gotico, rimuovendo l’origine frigia.

61 Elio Aristide, Orazione sulla retorica, 12 62 Marco Aurelio, Colloqui con sé stesso, I, 10

63 MAMA IV, 315. Per un approfondimento sull’evoluzione sociale e culturale della regione più complessivo si vedano

P. Thonemann, Phrygia: an anarchist history, 950 BC–AD 100, Roman Phrygia: Culture and Society, Cambridge, 2013, pp. 1-40 e B. Levick, In the Phrygian mode: a region seen from without, Roman Phrygia: Culture and Society,

Cambridge, 2013, pp. 41-54

64 Strabone, XIII, 4, 5

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oltrepassato il fiume Halys66. Benché il lidio dovesse scomparire poco tempo dopo l’entrata della regione nell’orbita dell’ellenismo con Alessandro e venire soppiantato dal greco, l’identità lidia si è conservata grazie anche all’organizzazione in satrapia che le diedero i Seleucidi67.

La Lidia è composta da diverse regioni come quella del monte Tmolo, la piana del Caistro, la Mesogis, la piana Cilbiana e la piana Ircana. Quest’ultima venne chiamata così dai Persiani perché vi trasferirono dei coloni provenienti dall’Ircania68. I Lidi potevano identificare sé stessi come Lidi oppure utilizzare degli etnonimi legati alla parte del paese in cui abitavano come Ircani oppure Mocadeni, oppure ancora Cilbiani69. Sull’utilizzo del nome Lidia da parte dei locali vi è la testimonianza di età imperiale di un passo degli Atti degli apostoli in cui si parla di una donna originaria di Thyatira, commerciante di porpora, di nome Lidia70.

66 Erodoto, I, 3 67 Polibio, XXI, 16 68 Strabone, XIII, 4, 13

69 I. Ephesos. VII, 2, 3701-3730 70 Atti 16, 14

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Costa settentrionale

La costa del Ponto Eusino si estende dal mar di Marmara fino alla Colchide, dove il fiume Fasi sfocia nel Mar Nero separando l’Europa dall’Asia. Sul mar Nero si affacciano territori e regioni abitate da popolazioni miste, dove al substrato indigeno si sono sovrapposti i coloni greci che fondarono quelli che sarebbero divenuti poi importanti empori e centri commerciali di scambio con la costa cimmerica; in seguito sarebbero giunti immigrati traci a stanziarsi presso i territori vicini al mare di Marmara. Possono essere individuate tre regioni che compongono la regione: Bitinia, Paflagonia e Ponto.

Bitinia

La Bitinia è delimitata ad est dai Paflagoni e dai Mariandini, a nord dal Ponto Eusino, ad ovest dalla Propontide e a sud dai Misi e dai Frigi dell’Epitteto.

L’identità etnica e linguistica dei Bitini era oggetto di dubbi per gli stessi antichi, tanto che un’opinione comune li voleva di origine misia, mentre secondo un’altra il nome di Bitini derivava da alcune tribù provenienti dalla Tracia, i Tini e i Bitini, che hanno colonizzato l’area assorbendo la popolazione locale, mentre i Bebrici, un altro gruppo trace, si sarebbe diretto più a sud nei territori di Misia. Prova di questo sarebbe l’omonimia con alcune popolazioni stanziate sulla costa trace del Ponto in prossimità di Apollonia e Salmydessus. Altre tesi ancora sostenevano che i Misi sarebbero coloni e immigrati provenienti dalla regione di Mesia vicina alla Tracia71. Ipotizzando l’identità tra Traci, Bitini e Misi e azzardando una comune origine dalla Tracia poiché situata di fronte alla Bitinia e poiché non vi sono particolari differenze culturali tra essi72, si incapperebbe comunque nel problema del rapporto tra Traci-Misi-Bitini e Frigi. In un passo della sua opera Strabone, trattando della Mesia e della Dacia, riporta un’opinione dei Greci da lui stesso condivisa secondo la quale dai Mesi sarebbero discesi i Misi che occupano i territori tra i Lidi, i Frigi e i Troiani. I Frigi sarebbero in realtà i Brigi, un’altra popolazione trace73, e traci sarebbero pure i Migdoni, i Bebrici, i Medobitini, i Bitini, i Tini e anche i Mariandini74. Il proverbio greco “confini differenti per Frigi e Misi” risulterebbe sfalsato, dal momento che una differenza di confine presupporrebbe di conseguenza una diversità tra i due gruppi in termini etnici e linguistici, altrimenti Strabone avrebbe descritto la loro situazione in termini simili a quelli dei Cataoni assorbiti dai Cappadoci, cosa che però non fa. Un’analisi della lingua frigia sembrerebbe smentire la tesi dell’unità traco-frigia riportata dagli autori antichi, dal momento che i due idiomi apparterrebbero a due famiglie linguistiche differenti75, confutando alcune posizioni espresse da Strabone.

71 Strabone, XII, 3, 3 72 Strabone, XII, 4, 4

73 Un indizio dei legami tra i due popoli può essere rinvenuto nella città Frigia di Bria, il cui nome significa “città” in

lingua trace.A. H. M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford, 1971, p. 71

74 Strabone, VII, 2

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Allo stesso modo vi sono problemi per identificare i Mariandini e, di conseguenza, posizionare sulla carta geografica la linea di demarcazione tra Bitini e Paflagoni. Strabone in un passo li distingue dai Paflagoni ipotizzando una loro origine trace76, mentre in un altro li cataloga come facenti parte anch’essi dei Paflagoni e confinanti con i Cauconi77, popolo ritenuto di origine scita78. Nel libro XII il geografo di Amaseia riprende l’idea del legame con i Bitini, aggiungendo però di non avere informazioni sicure sull’origine dei Mariandini, i quali non si distinguerebbero dai Bitini per ragioni linguistiche o etniche79. Erodoto, nell’elenco dei popoli soggetti ai Persiani e delle satrapie in cui erano inquadrati, distingue chiaramente i Mariandini dai Frigi, dai Traci d’Asia e dai Paflagoni80. Le similitudini nell’equipaggiamento militare riportate dallo storico greco possono far pensare forse a qualche affinità tra i diversi popoli, che però risultano inquadrati in reparti diversi nell’armata persiana e comandati da generali diversi81. Plinio riporta la loro posizione nei pressi di Heraclea Pontica82 al pari di Strabone, il quale aggiunge inoltre che i Mariandini sarebbero finiti con il trovarsi in una posizione di servitù collettiva nei confronti dei fondatori milesi (in realtà megaresi83) di Heraclea, in una posizione simile a quella degli iloti84. Costantino Porfirogenito li separa dai Paflagoni, però li collega ai Galati85. In epoca imperiale l’aspetto della regione risulta ormai plasmato dall’elevato livello di ellenizzazione raggiunto in età ellenistica, dall’adozione della cultura greca e dalla conseguente urbanizzazione promossa dai sovrani bitinici; il rovescio della medaglia di questo sviluppo è dato dal sorgere delle consuete rivalità campanilistiche, delle gelosie reciproche, degli scontri tra fazioni urbane e dalla continua, incessante e per certi versi insensata ricerca di primati di ogni genere con cui primeggiare sui vicini.

Risulta difficile identificare altri gruppi etnici rispetto a quello greco-trace in età romana, che sembra avere soppiantato, assorbendoli, sterminandoli oppure riducendoli al rango di semplici coltivatori delle terre pubbliche gli elementi autoctoni86; sulle iscrizioni di età ellenistica e imperiale la quantità di nomi di origine indigena è bassa, tuttavia tra i pochi nominativi presenti vi sono alcuni gruppi che presentano legami con l’ambiente trace: “Auloukentos”, “Kamoles”, “Mokaporis” e altri che confermano i legami etnici tra le due

76 Strabone, VII, 3, 2 77 Strabone, VIII, 3, 17 78 Strabone, XII, 3, 5 79 Strabone, XII, 3, 4 80 Erodoto, III, 90, 2 81 Erodoto, VII, 72, 1-2 82 Plinio, VI, 4

83 T. Gnoli, Il Ponto e la Bitinia, Strabone e l’Asia Minore, Napoli, 2000, p. 547 84 Strabone, XII, 3, 4

85 Costantino VII Porfirogenito, De Thematibus, VI, 7-8

86 Strabone, XII, 3, 9; sugli scontri tra città si vedano le Orazioni di Dione Crisostomo 38, 39, 40, 48. Per una

panoramica si veda T. Bekker-Nielsen, Urban life and local politics in Roman Bithynia: the small world of Dion

Chrysostomos, Aarhus, 2008. Sulla riduzione degli elementi indigeni a coltivatori diretti Jones, Cities of eastern roman provinces, p. 161; orazione 37 di Dione; IGRP III, 60, 65, 67.

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sponde della Propontide. Altri invece, provenienti da iscrizioni rinvenute in prossimità del confine meridionale, riportano nomi di origine frigia87.

Paflagonia

Regione storica posta tra la Bitinia e il Ponto compresa indicativamente tra le città di Sinope, Amastri, Heraclea e il fiume Halys a sud; su di essa si scaricò la pressione dei regni confinanti lungo l’asse est-ovest e quella galata da sud, finendo per essere divisa di conseguenza tra le tre potenze regionali, divisione che mantenne anche sotto i romani fino al regno di Diocleziano88. Le fonti dicono poco o nulla sui suoi abitanti: presenti al fianco dei Troiani nella guerra di Troia al seguito del sovrano Pilemene, avrebbero poi subito una serie di divisioni interne e parziali migrazioni89. Le difficoltà nell’azzardare un qualche genere di ipotesi in merito alle affinità etniche e linguistiche dei Paflagoni non sono poche, data la scarsità di informazioni disponibili. Costantino Porfirogenito riporta una discendenza egiziana da un tale Feneo, indizio ulteriore delle difficoltà nel rintracciare l’origine di tale popolo. Studi sull’onomastica della regione mostrano l’esistenza di legami di lungo corso e affinità culturali con le popolazioni della sponda settentrionale del Ponto Eusino90, riflessi nelle fonti letterarie tramite menzione dell’esistenza di comunità cimmeriche nella penisola su cui sorge Sinope91, oppure nella storia secondo cui gli Eneti, antichi abitatori di Paflagonia e forse il gruppo più importante tra questi, al quale apparteneva Pilemene, avrebbero condotto una spedizione militare insieme ai Cimmeri dopo la quale sarebbero stati scacciati dalle proprie sedi oppure avrebbero deciso di andarsene di propria volontà e migrare dopo aver perso il proprio sovrano in battaglia, attraversando la Tracia e dirigendosi verso occidente92, lasciando di conseguenza la regione ai Cimmeri.

In età imperiale la conservazione di un’identità etnica e linguistica paflagone è confermata dai fenomeni di bilinguismo registrati nelle aree di confine con la Cappadocia in prossimità del fiume Halys e dall’utilizzo di nomi paflagoni come "Bagas", "Biasas", "Aeniates", "Rhatotes", "Zardoces", "Tibius", "Gasys", "Oligasys" e "Manes"93. La sopravvivenza fino alla tarda antichità del paflagone quale lingua parlata è appurata dalla vicenda di San Giacinto di Amastri, martirizzato per aver abbattuto un albero sacro ai pagani. Condotto in

87 S. Mitchell, Onomastic Survey of Mysia and the Asiatic shore of the Propontis, Pulpudeva. Semaines

philippopolitaines de l´histoire et de la culture Thrace 2, 1978, Plovdiv, pp. 119-127; P. O. Aytaçlar, An Onomastic

Survey of the Indigenous Population of North-western Asia Minor, Onomatologos: Studies in Greek Personal Names

presented to Elaine Matthews, 2010, Oxford, pp. 506-529. Si veda anche H.-L. Fernoux, Notables et élites des cités de

Bithynie aux époques hellénistique et romaine, Collection de la Maison de l'Orient méditerranéen, Série épigraphique,

vol. 31, 2004, pp. 73-80

88 Strabone, XII, 3, 1-2; 41 89 Strabone, XII, 3, 8

90 L. Robert, Noms indigènes dans l'Asie-mineure greco-romaine, 1963, Parigi, pp. 449 e seguenti. 91 Erodoto, IV, 12

92 Strabone, XII, 3, 8 93 Strabone, XII, 3, 25

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tribunale per essere processato, il giudice dovette fare ricorso ad un interprete per comprendere cosa il santo dicesse nella propria lingua94.

Ponto

Dalla Paflagonia fino alla Colchide si estende la regione del Ponto propriamente detto. È una regione dalla natura prevalentemente montuosa, in cui l’erosione ha generato una serie di valli delimitate da rilievi e dove gli insediamenti urbani propriamente detti sono molto pochi e concentrati sulla costa. La storia del Ponto si intreccia con quella degli imperi che lo hanno conquistato o con i territori che il regno del Ponto, in particolare sotto Mitridate, ha conquistato a sua volta. Il Ponto ha fatto parte dell’impero achemenide, ha subito l’influsso dell’ellenismo dopo il collasso dell’impero di Alessandro e la sua divisione nei regni dei diadochi, ha visto l’arrivo ai propri confini dei gruppi galati, la sua casata regnante aveva legami con gli ambienti iranici e i Mitridatidi arrivarono, giunti al culmine del proprio potere, a far discendere la propria famiglia direttamente dai sovrani achemenidi Dario e Ciro95.

In ragione di elementi quali la separazione e l’isolamento delle comunità le une dalle altre, dal punto di vista etnico e linguistico il Ponto si presenta come una delle regioni più ricche e articolare dell’Asia minore, un microcosmo di popoli parlanti una vasta gamma di lingue, molte delle quali però a noi sconosciute96.

Gli insediamenti costieri sono prevalentemente fondazioni e colonie greche che hanno assunto sin da subito il modello urbano classico, città come Amiso e Trapezunte, Farnakia e altre cittadelle hanno continuato a ricevere cittadini greci trasferitisi nel corso del tempo e non hanno sviluppato molti contatti con l’entroterra, anche per via della natura del territorio e la conseguente proiezione di ogni propria attività sul mare97. Nelle regioni interne si trovano popoli come i Tibareni, i Chalybi, i Sannoi/Makrones e i Kerkitai ed altri. Gli abitanti delle montagne erano tradizionalmente considerati dei selvaggi e gli abitanti dei Sette Borghi sono definiti come i più selvaggi; avendo eletto a propria dimora degli alberi o delle torri, vennero definiti Abitatori dei

mosynes, parola indigena che indica le torri di legno98. Interesse merita la popolazione dei Chalybi, gli inventori del ferro. Strabone dedica diversi paragrafi della sua opera a ricostruire l’identità dei Caldei a lui contemporanei, un tempo chiamati per l’appunto Chalybi e storpiati in Alybi nelle fonti a lui precedenti99. Prendendo spunto dall’Anabasi di Senofonte e unendovi le Sacre Scritture come fonte, Costantino VII nel De

Thematibus riscostruisce un’origine differente per i Chalybi/Caldei, affermando che essi sarebbero gli abitanti

della Samaria presi prigionieri dagli Assiri e stanziati presso il fiume Goizano. Chaldia/Caldei quali nominativi

94 F. Halkin, Hagiographica Inedita Decem, Corpus Christianorum, Series Graeca, 21, 1989 95 T. Reinach, Mitridate Eupatore re del Ponto, 1960, Milano p. 49

96 S. Mitchell, Anatolia. Land, men and gods in Asia Minor. The Celts in Anatolia and the impact of Roman rule, Oxford,

1993, p. 86

97 Strabone, XII, 3, 14-17 98 Strabone, XII, 2, 18 99 Strabone, XII, 3, 19-27

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VERBALE CONVOCAZIONE PERSONALE

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POSTO A012 2 FRANCAVILLA SANTINA 30/10/1971 FG 220 47

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