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4. DISTURBI MENTALI E SUICIDIO

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Academic year: 2021

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4. DISTURBI MENTALI E SUICIDIO

Nei paesi ad alto reddito fino al 90% delle persone che si suicidano e una percentuale simile di coloro che tentano il suicidio soffrono di un disturbo mentale (Cavanagh et al., 2003).

Molti sono i disturbi mentali che hanno come complicanza comportamenti autolesivi, disturbi di ansia, abuso di alcol e sostanze, disturbi della personalità, schizofrenia (Pompili et al., 2009; Soloff, 2008; Rihmer, 2007) ma soprattutto i disturbi dell’umore che sono riconosciuti tra i più importanti fattori di rischio per il suicidio (Moscicki, 1997; Vilhjalmsson et al., 1998; Moeller, 2003; Kessler et al., 2005).

Il rischio di comportamenti suicidari aumenta con la comorbidità e recenti dati suggeriscono che anche comorbidità sottosoglia possono incrementare il rischio di pensieri o tentativi di suicidio (Dell’Osso et al., 2009 a,b; Dell’Osso et al., 2014 a; Simoncini et al., 2014).

Le condotte suicidarie sono associate nel 60-95% dei casi a Disturbi dell’umore. Il rischio di suicidio tra i pazienti con disturbi depressivo maggiore e bipolare è più elevato rispetto a qualsiasi altro gruppo di pazienti psichiatrici ed è 20-30 volte superiore rispetto alla popolazione generale (Cassano et al., 2006).

Una flessione del tono dell’umore sembra essere una variabile fondamentale nell’insorgenza dell’ideazione suicidaria. Sintomi tipici della depressione come l’abbattimento dell’umore, la mancanza di speranza, l’apatia, l’abulia, la perdita di interessi, l’insonnia e la bassa autostima sono stati identificati come importanti fattori di rischio per il comportamento suicidario in quanto il pessimismo, la demoralizzazione e la mancanza di speranze per il futuro possono indurre nel paziente la convinzione che il suicidio sia l’unica via di uscita dallo stato di sofferenza in cui si trova.

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La possibilità che vengano messe in atto condotte autolesive è più frequente nelle fasi finali dell’episodio depressivo, quando la ricomparsa delle energie non si accompagna ancora a un miglioramento dell’umore.

Nei pazienti con disturbo depressivo maggiore il tentato suicidio è indipendente dalla gravità e dalla durata dell’episodio depressivo (Malone et al., 1995) ed ha una frequenza più elevata nei primi cinque anni dall’esordio del disturbo.

I pazienti affetti da disturbo bipolare hanno tassi suicidari dello 0,4% per anno, con un rischio 20 volte più alto rispetto alla popolazione generale. Il suicidio spesso si realizza nel corso del primo anno di malattia in associazione alle fasi depressive o miste più gravi (Tondo et al., 2003). Inoltre il 25-50% dei pazienti con disturbo bipolare tenta il suicidio almeno una volta nella vita (Jamison, 2000). I tassi sono superiori nel disturbo bipolare rispetto alla depressione unipolare e nel disturbo bipolare di tipo II rispetto al tipo I (Rihmer et al., 2002).

I Disturbi d’ansia sono associati a ideazione suicidaria e a tentativi di suicidio soprattutto negli adolescenti e nei giovani adulti. Uno studio condotto su oltre 1.000 ragazzi con età compresa tra 16-18, 18-21 e 21-25 anni ha dimostrato che ogni disturbo d’ansia aumenta la probabilità di ideazione suicidaria di 7,96 volte e dei tentativi di suicidio di 5,85 volte e i tassi aumentano con l’aumentare del numero dei disturbi d’ansia (Boden et al., 2007).

Tra i disturbi d’ansia il disturbo di panico e il disturbo post traumatico da stress hanno le associazioni più forti con il comportamento suicidario. Tuttavia non è ancora ben chiarito se i disturbi d’ansia aumentino il rischio di suicidio da soli o in comorbidità con i disturbi dell’umore o disturbi da abuso di sostanze. Inoltre può essere che i sintomi di ansia, come la paura di invalidità o di morte, siano fattori protettivi per il suicidio (Schwartz-Lifshitz et al., 2012).

Tutti i Disturbi da abuso di alcol e sostanze aumentano il rischio di comportamento suicidario perché predispongono all’impulsività,

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all’aggressività e alla depressione. In soggetti con dipendenza da cocaina la prevalenza di ideazione suicidaria è del 43%, in quelli con dipendenza alcolica è del 24% e in quelli con utilizzo di altre sostanze è del 17% (Garlow, 2003) e in soggetti con dipendenza da eroina il rischio suicidario è 14 volte superiore rispetto ai controlli sani (Darke et al., 2002).

Tra i Disturbi della personalità quelli del Cluster B sono quelli maggiormente correlati al suicidio e al comportamento autolesionistico. Il disturbo borderline e il disturbo antisociale aumentano il rischio di suicidio rispettivamente del 10% e del 5% (Cassano et al., 2006). I disturbi della personalità sono spesso accompagnati a impulsività e aggressività e presentano comorbidità con i disturbi dell’umore, di ansia e abuso di alcol e sostanze, tutti fattori di rischio noti per suicidio.

Nei soggetti affetti da Schizofrenia il comportamento suicidario è piuttosto frequente, la percentuale di rischio è stimata tra il 10 e il 15% (Cassano et al., 2006). In diversi studi clinici è stato osservato che il suicidio avviene più frequentemente nella fase di remissione dei sintomi positivi, allucinazioni e deliri, quando sono presenti i sintomi depressivi. Uno studio condotto da Funahashi nel 2000 ha valutato l’incidenza del suicidio nelle diverse fasce di età risultata più alta nella terza decade e ha riconosciuto che l’ideazione suicidaria era presente nel 67,5% dei casi, la programmazione del suicidio nel 43% dei casi e che solo nel 2% dei casi il suicidio era avvenuto sotto l’influenza di allucinazioni uditive di carattere imperativo.

Ci sono infatti molti studi con risultati contrastanti riguardo il legame tra gravità dei sintomi positivi e comportamenti suicidari.

Alcuni autori (Drake et al., 1984, Kaplan et al., 1996; Grunebaum et al., 2001) non hanno evidenziato un’associazione significativa tra presenza di deliri e gesti suicidari, altri (Messias et al., 2001) hanno invece rilevato associazioni tra sospettosità, sintomi depressivi e suicidio e infine altri ancora (Addington et al., 1992; Nordentoft et al., 2002) hanno individuato un’associazione significativa tra allucinazioni e comportamento suicidario.

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Nella valutazione del ruolo che le principali dimensioni psicopatologiche della schizofrenia hanno nel predire atti suicidari sembra che la gravità dei sintomi depressivi e dei sintomi positivi aumenti il rischio mentre la gravità dei sintomi negativi lo riduca (Bralet et al., 2000; De Hert et al., 2001).

4.1 SINTOMI PSCICOTICI E SUICIDIO

Le allucinazioni, percezioni interamente create dalla immaginazione, e i deliri, false convinzioni basate su erronee deduzioni riguardanti la realtà esterna, sono i classici sintomi di psicosi.

La ricerca epidemiologica ha dimostrato che le allucinazioni e i deliri sono molto diffusi nella popolazione, più del disturbo psicotico vero e proprio. Questi sintomi sono particolarmente diffusi nell’infanzia e nell’adolescenza ed è stato dimostrato che la loro presenza aumenta il rischio di disturbi psicotici in età adulta. Molti studi hanno valutato la relazione tra la presenza di sintomi psicotici positivi e il rischio di sviluppare pensieri o comportamenti suicidari. Kelleher e colleghi nel 2012 hanno condotto in Irlanda due studi per valutare in due campioni di adolescenti di 11÷13 anni e 13÷15 anni l’associazione tra sintomi psicotici e rischio di suicidio. I sintomi psicotici, come dimostrato in molti studi, erano più frequenti nel campione di adolescenti con età più bassa mostrando che in generale diminuiscono con l’età. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la presenza di sintomi psicotici è associata a una probabilità dieci volte maggiore di comportamento suicidario in entrambi gli studi; che adolescenti con disturbi depressivi e sintomi psicotici hanno una probabilità quattordici volte maggiore di comportamento suicidario rispetto agli adolescenti con disturbi depressivi senza sintomi psicotici e che tra tutti gli adolescenti con ideazione suicidaria quelli che riferivano sintomi psicotici avevano una probabilità venti volte maggiore di atti di suicidio rispetto a chi non li riferiva. Da qui la conclusione che i sintomi psicotici sono fortemente associati ad un aumento del rischio di suicidio nella popolazione adolescente

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generale e negli adolescenti con disturbi psichiatrici. Per questo la valutazione dei sintomi psicotici dovrebbe essere considerata un elemento strategico per la prevenzione del suicidio. Kelleher ha cercato e trovato conferme a questi risultati con studi successivi pubblicati negli anni 2013 e 2014.

Recenti dati epidemiologici hanno mostrato che esperienze psicotiche sottosoglia possono rappresentare fattori di rischio di suicidio in individui non clinici.

Nishida e colleghi (2010), per esempio, hanno studiato l’associazione tra esperienze simil psicotiche (PLE) e rischio di suicidio in un campione di 5.073 adolescenti giapponesi di età compresa tra 12 e 15 anni e hanno trovato che la presenza di esperienze simil psicotiche era significativamente associata a sentimenti di suicidio e comportamenti di autolesionismo. Allo stesso modo Saha e colleghi nel 2011, tramite un sondaggio nazionale sulla salute mentale su 8.841 persone in Australia, hanno trovato che esperienze simil deliranti sono comuni nella popolazione generale e sembrano associate in modo indipendente a pensieri e comportamenti suicidari fornendo un indicatore di vulnerabilità al suicidio. Anche negli Stati Uniti nel 2015 De Vylder e colleghi hanno compiuto un ampio studio su 11.716 adulti non clinici con esperienze psicotiche sottosoglia per valutare se queste aumentassero il rischio di suicidio concludendo che le esperienze psicotiche avevano una correlazione con l’aumento del rischio di suicidio e quindi la loro valutazione era uno strumento con potenzialità per la prevenzione dei tentativi di suicidio.

Molti studi hanno identificato una correlazione tra sintomi psicotici positivi e suicidio in pazienti affetti da schizofrenia.

Ran e colleghi nel 2009 hanno analizzato le differenze di mortalità e comportamento suicidario tra individui affetti da schizofrenia trattati e non trattati basandosi su uno studio prospettico di 10 anni di follow-up in Cina. I risultati ottenuti mostrano che non c’è alcuna differenza significativa nei tassi di suicidio tra il gruppo trattato e quello non trattato (10,4 contro 6,5) anche se è stato rilevato che il gruppo non trattato avesse sintomi più gravi.

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Questo sottolinea quanto sia difficile ridurre il tasso di suicidio negli schizofrenici.

Un altro studio importante è quello di Fialko del 2006 che ha esaminato il fenomeno di ideazione suicidaria nella psicosi in relazione ai processi affettivi, sintomi positivi e schizofrenia. Questo studio ha concluso che la disfunzione affettiva tra cui il disagio in risposta alle allucinazioni e ai deliri è un fattore chiave nell’ideazione suicidaria in soggetti con ricaduta psicotica. Sembra che l’ideazione suicidaria sia più legata alla depressione piuttosto che alla psicosi in sé e che la gravità della depressione aumenti il rischio di suicidio fino a sette volte.

Una revisione sistematica di tutti i lavori che correlano suicidio e schizofrenia è stata eseguita da Hor e Taylor nel 2010. Il risultato della loro analisi porta a concludere che nella schizofrenia i fattori di rischio con la più forte associazione con il suicidio sono i sintomi depressivi, una storia di tentativi di suicidio, allucinazioni e deliri, la presenza di comorbidità e una storia familiare di suicidio.

Un’ampia letteratura riporta i disturbi dell’umore come fattore di rischio principale per il suicidio.

Alcuni autori hanno suggerito che comportamenti suicidari possono essere più frequenti nei pazienti con disturbi dell’umore con tratti psicotici rispetto a quelli senza. Già nel 1983 Roose e colleghi con un’analisi retrospettiva di tutti i suicidi avvenuti in un periodo di 25 anni nell’Istituto Psichiatrico di Stato di New York conclusero che pazienti depressi e deliranti avevano una probabilità cinque volte maggiore di commettere suicidio rispetto a pazienti solo depressi. Il cinese Ran (2007) ha condotto studi sul suicidio su una comunità rurale del suo paese confrontando caratteristiche demografiche e cliniche di soggetti con disturbi dell’umore che avevano tentato almeno una volta nella vita il suicidio concludendo che l’identificazione precoce, il trattamento della depressione e il controllo dei sintomi psicotici potevano essere utili per ridurre il rischio dei tentativi di suicidio.

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Allo stesso modo Park (2010) in uno studio condotto in Corea del Sud giunse a conclusioni analoghe, sottolineando come fattore di rischio la presenza di sintomi psicotici anche quando la gravità della depressione era controllata. Ma non tutti gli autori concordano con queste conclusioni.

Uno studio di Grunebaum e colleghi del 2001, condotto su 429 pazienti psichiatrici di cui 223 pazienti con depressione maggiore, 150 con schizofrenia e 56 con disturbo bipolare, non è riuscito a trovare prove di una relazione tra deliri e una storia di ideazione e tentativi di suicidio nei tre gruppi. Anche Finseth e colleghi nel 2012 hanno cercato di valutare le caratteristiche cliniche di pazienti con disturbo bipolare di tipo I e II ricoverati con alto rischio di suicidio, confrontando i pazienti che avevano tentato il suicidio e quelli che non lo avevano fatto per mezzo di un questionario retrospettivo dettagliato. Il campione era formato da 206 pazienti di cui 140 con diagnosi di disturbo bipolare di tipo I e 66 con disturbo bipolare di tipo II ricoverati in reparto psichiatrico tra il 2002 e il 2009.

Il 45% del campione aveva una storia di uno o più tentativi di suicidio senza una significativa differenza tra disturbo bipolare I e II.

I fattori di rischio individuati erano un predominante corso depressivo della malattia, comorbidità con disturbi di abuso di alcol e sostanze e una storia di uso di antipressivi mentre un decorso della malattia maniacale o psicotica sembravano costituire un fattore diminutivo del rischio.

La letteratura che mette in relazione sintomi psicotici e suicidio nei disturbi dell’umore è ampia.

Akiskal e Benazzi (2005) hanno condotto uno studio sulle correlazioni psicopatologiche nell’ideazione suicidaria in pazienti ambulatoriali con depressione. Il campione di studio era costituito da 644 pazienti di cui il 58% con disturbo bipolare di tipo II. L’ideazione suicidaria era presente nel 49,5% del campione principalmente nel disturbo bipolare rispetto alla depressione maggiore ed era associato significativamente a depressione dello stato misto, labilità dell’umore, diminuzione dell’autostima, anoressia e a caratteristiche

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melanconiche e psicotiche. Una analisi di regressione logistica multipla ha rivelato che la riduzione dell’autostima, i pensieri affollati e l’agitazione psicomotoria sono associate a ideazione suicidaria indipendentemente dalla gravità della depressione. Visti questi risultati Akiskal e Benazzi hanno ipotizzato che la maggior prevalenza di attivazione mentale e agitazione psicomotoria tipiche del disturbo bipolare II potrebbero essere uno degli elementi che determinano il passaggio dalla ideazione del suicidio all’atto vero e proprio.

Song e colleghi nel 2012 hanno confrontato le caratteristiche dei pazienti con disturbo bipolare con e senza storia di tentativi di suicidio per identificare fattori di rischio in questo disturbo. In un campione di 212 pazienti con disturbo bipolare, 44 riferivano un tentativo di suicidio. Questi erano caratterizzati dalla più giovane età e dalla probabilità di essere affetti da disturbo bipolare di tipo II.

La differenza tra coloro che avevano tentato il suicidio e chi non lo aveva tentato consisteva nella età più precoce di comparsa dei sintomi psicotici e del primo episodio depressivo, nel consumo di antidepressivi, nella presenza di allucinazioni uditive e nel numero di precedenti episodi depressivi. Da qui la conclusione che età dei primi sintomi psicotici e presenza di allucinazioni uditive potevano essere forti predittori del rischio di suicidio.

Altri autori però non hanno trovato questa associazione.

Pawlak e colleghi (2013), per esempio, con uno studio su 597 pazienti con disturbi dell’umore unipolare e bipolare non hanno trovato associazione tra sintomi psicotici e suicidio. Avevano trovato un’associazione tra tentativi di suicidio e storia familiare di disturbo psichiatrico, abuso e dipendenza da sostanze, insorgenza precoce del disturbo e depressione.

Anche Leadholm e colleghi (2014) non hanno identificato la depressione psicotica come fattore di rischio indipendente per il suicidio. Con un’analisi di regressione logistica su 34.671 pazienti con depressione grave analizzati nell’arco di 16 anni (1994-2010), suddivisi tra pazienti senza sintomi psicotici

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(26.106) e con sintomi psicotici (12.101), hanno trovato che fattori di rischio per entrambi i gruppi erano età avanzata, sesso maschile e precedenti episodi di autolesionismo mentre la presenza di psicosi non influiva sui fattori di rischio.

4.2 PROSPETTIVA DI SPETTRO PSICOTICO

Fino ad ora abbiamo considerato la letteratura che analizza i disturbi dell’umore e i sintomi psicotici positivi come fattori di rischio secondo il DSM-IV che valuta le psicosi secondo categorie.

Nella pratica si incontrano pazienti con segni e sintomi isolati, sindromi sottosoglia, tratti temperamentali e di personalità che non rispondono ai criteri del DSM. Per valutare queste sfumature viene proposto un modello di Spettro Psicotico come modello di ricerca e diagnosi clinica con approccio dimensionale invece che secondo categorie.

Lo Spettro Psicotico ipotizza l’esistenza di un continuum psicopatologico che comprende a un estremo le forme lievi e attenuate, all’altro i disturbi conclamati passando attraverso tutti i quadri intermedi. Questo modello di Spettro, quindi, enfatizza segni leggeri, sintomi di basso grado, sindromi sottosoglia così come tratti di temperamento e personalità che comprendono una vasta gamma di manifestazioni psicotiche cliniche e sottosindromali. Per valutare lo Spettro Psicotico è stata proposta una Intervista Clinica Strutturata SCI-PSY sviluppata dal dipartimento di Psichiatria dell’Università di Pisa in collaborazione con i colleghi della Columbia University, New York, l’Università di Pittsburgh e l’Università della California a San Diego.

In questo modello lo Spettro Psicotico è composto da dimensioni psicopatologiche che pazienti con vari disturbi psichiatrici possiedono in vari gradi. I domini individuati sono: Sensitività Interpersonale, Paranoide, Schizoide, Falsa Percezione e Sintomi Psicotici Tipici.

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Lo SCI-PSY comprende 164 domande che esplorano i sintomi nel corso della vita e i comportamenti organizzati in domini e sottodomini (tabella 4.2.1), le risposte alle domande sono codificate in modo dicotomico e i punteggi di dominio sono ottenuti contando le risposte positive.

La validità e l’affidabilità di questa Intervista Clinica Strutturata è stata valutata con uno studio su un campione misto di pazienti compresi quelli affetti da schizofrenia, disturbo schizoaffettivo, disturbi dell’umore con e senza caratteristiche psicotiche, disturbo di personalità borderline, disturbo di panico e un gruppi di controllo di soggetti senza disturbi psichiatrici.

Lo SCI-PSY ha dimostrato di essere in grado di discriminare pazienti con qualsiasi disturbo mentale dal gruppo di controllo e pazienti con e senza disturbi psicotici. La struttura dello Spettro Psicotico potrebbe quindi aiutare nella risoluzione di alcune carenze del sistema DSM-IV per categorie dando una descrizione più specifica delle caratteristiche cliniche di ogni paziente con importanti implicazioni per la cura e la ricerca.

Sensitività interpersonale Paranoide Autostima esagerata Rigidità di pensiero Superstizione Fanatismo

Relazioni con gli altri Autoreferenzialità Attitudine interpretativa Sospettosità/ Diffidenza Rabbia/ Reazione esagerata Insonnia

Schizoide

Schizoidismo-autismo Pensieri inusuali e stravaganti Falsa percezione

Illusioni

Spersonalizzazione/Assenza di percezioni Sintomi tipici psicotici

Deliri Allucinazioni Catatonia

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