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11 Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali

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Academic year: 2021

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11 Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali

Carla Marzani

Introduzione

Tutti coloro che operano nel campo della riabilitazione dei bambini con paralisi cere- brale infantile (PCI) sperimentano quotidianamente quanto il recupero e la valorizza- zione delle potenzialità motorie siano strettamente legati alle caratteristiche psicologi- che del bambino, nonché all’attitudine della famiglia e dell’ambiente sociale che lo cir- conda. L’utilizzo delle funzioni motorie, infatti, non si attua, per il bambino con PCI co- me per il bambino sano, in maniera spontanea, bensì mediante un lungo percorso di sperimentazioni e di apprendimenti che impegnano necessariamente la sua intera per- sona. L’acquisizione di una postura o di un’attività (la marcia, la manipolazione) non ne garantisce necessariamente l’uso corretto, che deve essere spontaneo, duttile, varia- bile e adattabile alle diverse situazioni non solo inconsciamente, ma anche cosciente- mente, e deve quindi poter rispondere alle esigenze dell’intenzionalità e della volontà.

Ogni dominio posturale e motorio sarà cioè frutto non solo della possibilità di organiz- zare delle prestazioni motorie, ma anche dell’integrazione delle afferenze sensoriali, in particolare visive e vestibolari, di un sufficiente livello di rappresentazione dello schema corporeo, del livello di organizzazione dei parametri spazio-tempo e quindi dell’effi- cienza cognitiva, affettiva ed emozionale. Il bambino cioè in ogni sua espressione mo- toria, verbale, cognitiva si esprimerà sempre attraverso ciò che viene definito “Sè” e la sua stessa intera personalità.

Tenendo conto che il percorso riabilitativo si attua nella maggior parte dei casi nei primi anni di vita, quando la struttura mentale del bambino è in via di organizzazione, risulta evidente quanto questo dipenda dallo sviluppo mentale e quanto quest’ultimo possa condizionare le acquisizioni motorie, come più volte sottolineato dall’équipe del Centro pilota di Barcellona (Aguillar et al., 1980; Aguillar, 1983).

Lo sviluppo mentale, il comportamento e quindi l’eventuale patologia psichiatrica dei bambini con PCI viene comunque sovradeterminato da molti fattori, che si posso- no così riassumere:

– il danno del sistema nervoso centrale con le sue diverse caratteristiche;

– le alterazioni senso-percettive ed i condizionamenti neurofunzionali legati alla pato- logia del movimento, che influenzano non solo l’utilizzo della motricità, ma anche lo sviluppo cognitivo e l’apprendimento;

– i condizionamenti relazionali, dovuti sia alle distorsioni prodotte dalla situazione neurologica sullo sviluppo della relazione oggettuale e del Sé, sia alle gravi esperien- ze che, in genere, accompagnano la nascita (separazione, mancato attaccamento), sia alla personalità e alle risposte dei genitori;

– la necessità di precoci e prolungati trattamenti che incidono sulla relazione e sui rit- mi di vita del bambino e della sua famiglia.

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Le conseguenze del danno cerebrale sono naturalmente molto diverse in relazione a tipo, sede ed estensione dello stesso, nonché al momento della sua insorgenza (vedi cap.

3), pur trattandosi generalmente di danni o di lesioni che si esprimono in epoca assai precoce e influenzano quindi sin dall’inizio il percorso evolutivo, producendo distor- sioni nello sviluppo e nell’integrazione delle funzioni nonché peculiarità e alterazioni nell’organizzazione della diade madre-bambino.

I condizionamenti neurofunzionali sono costituiti dall’intensa eccitabilità neurona- le, che rende difficile l’organizzazione del ritmo sonno veglia e/o alimentare, dalle mo- difiche del tono e dalla patologia del movimento, con conseguente alterazione del feed- back propriocettivo e quindi del controllo motorio, dalla messa in gioco di altri canali sensoriali con funzione di supplenza, ecc. Inoltre il movimento viene spesso attivato passivamente, a volte in maniera disadatta o eccessiva: tutto ciò comporterà particola- ri esperienze in relazione al “sentirsi” (sentirsi fermo, sentirsi in movimento) e al “co- noscere”, con uno sviluppo disarmonico della rappresentazione del Sé corporeo. Tutto ciò, unito alla presenza di frequenti limitazioni nell’uso del linguaggio, comporterà una disarmonia nello sviluppo dei processi cognitivi, affettivi e relazionali.

I condizionamenti relazionali riguardano il versante del bambino e il versante ma- terno. Per quanto riguarda il bambino, le limitazioni neurofunzionali già esposte indu- cono naturalmente limiti pure nelle capacità relazionali (bambini sofferenti, poco atti- vi o iperattivi, con esigenze toniche particolari, ecc.), ma esistono spesso altri problemi ancora (alimentari o respiratori), che riducono lo stato di benessere e la capacità di in- troiezione positiva (Negri, 1994). Sul versante materno, ciò che caratterizza e condizio- na l’attitudine allevante è in genere la presenza di esperienze molto dolorose che ri- guardano il periodo della gravidanza o del parto o dell’immediato post-partum. Il dub- bio che il bambino non sopravvivrà (paura di morte), o non sarà normale (paura di anormalità), o non verrà curato bene (paura di insuccesso), come nel caso dei grandi prematuri, spesso rinforzato da comunicazioni affrettate o poco comprensibili da par- te dei medici, modificherà o interromperà le fantasie relative al futuro del bambino, condizionando definitivamente il rapporto madre-bambino (Silbertin-Blanc et al., 2002).

Esistono naturalmente molte diversità individuali, ma lo stile delle madri dei bam- bini con PCI si può sostanzialmente dividere in due tipologie: le madri iperstimolanti, che continuamente cercano di mettere nel o di pretendere dal bambino cose che egli non può né accettare né offrire, e le madri passive, cioè assenti, depresse, che delegano, non comunicano, non stimolano.

Fra le componenti relazionali che inducono alterazioni nello sviluppo del bambino, vi sono pure i conflitti e le inevitabili contraddizioni educative che si producono nel nu- cleo familiare; infatti un bambino malato impegna molte energie sia sul piano pratico sia sul piano mentale, cosa che può alterare il rapporto di coppia e/o quello con i fratel- li.

Infine nella vita del bambino con PCI si introducono da subito altri rapporti molto pregnanti, soprattutto quello con il suo terapista, che inevitabilmente influiranno sulla spontaneità della crescita relazionale.

Non esistono per ora dati certi relativi alla percentuale di disturbi psicologici o com- portamentali o di vere e proprie patologie psichiatriche nei bambini affetti da PCI e in particolare è carente la letteratura psichiatrica-psicoanalitica, proprio per l’imposta- zione individuale data al trattamento dei pazienti. Autori di altra impostazione, come ad esempio Breslau (1990), in uno studio su 98 pazienti hanno trovato che la maggiore 218 Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile

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percentuale di questi bambini soffriva di isolamento sociale e di comportamenti oppo- sitivi o di dipendenza. Mc Dermott et al. (1996) hanno condotto uno studio epidemio- logico sulla frequenza dei disturbi comportamentali nei bambini con PCI e hanno rile- vato che questa è di circa cinque volte maggiore rispetto alla media della popolazione normale, cioè del 25% anziché del 5%.

Come noto, in psicologia e psichiatria dell’età evolutiva è sempre molto difficile giungere a dati epidemiologici attendibili per i diversi criteri utilizzati nelle valutazioni cliniche e nelle definizioni dei disturbi. Si può invece affermare che l’acquisita consa- pevolezza della necessità di tenere conto dello sviluppo globale del bambino nel per- corso riabilitativo ci pone con sempre maggiore frequenza in contatto con difficoltà da attribuirsi allo sviluppo mentale o del Sé. Ciò porta alla convinzione che l’impostazione del programma terapeutico debba tenere conto il più possibile pure degli aspetti rela- zionali, familiari, educativi e sociali.

L’importanza del movimento nello sviluppo mentale e del Sé

Il tema dello sviluppo del Sé verrà trattato con preminente riferimento alla teoria psi- coanalitica per la specifica competenza di chi scrive; d’altro lato sembra molto impor- tante, per la cura di questi pazienti, arrivare a conoscere in modo preciso le interferen- ze emotivo-relazionali sull’uso della motricità e quindi il loro peso nella strutturazione della mente, processo che può risultare più facile utilizzando il pensiero della psicoa- nalisi infantile.

L’acquisizione della stazione eretta e del cammino sono funzioni essenziali per lo sviluppo generale e per l’adattamento della specie umana, ma queste attività hanno pu- re un’importanza particolare per quanto riguarda lo sviluppo mentale. In un ampio la- voro di rassegna, Bela Mittelman (1954) cerca di riassumere i numerosi significati e l’importanza attribuiti dal pensiero psicoanalitico al movimento nello sviluppo dell’Io e della personalità, lamentando che la letteratura in tale senso è povera e poco coeren- te. A distanza di molti anni, i contributi sistematici sull’argomento continuano ad esse- re poveri. Ritengo che la precocità con cui si organizza la funzione motoria nel bambi- no sano sia il motivo essenziale per cui la psicoanalisi non riesce con facilità a racco- gliere conoscenze proprie in tale senso; penso ancora che lo studio del bambino con PCI possa essere un campo di grande interesse pure in questa direzione.

Seguendo le conoscenze acquisite in questo ambito, riporterò alcuni concetti relati- vi alla teoria freudiana dello sviluppo e alla teoria kleiniana.

Secondo la teoria classica, il movimento è una delle componenti più importanti di espressione dell’Id: mediante il movimento il bambino esprime il piacere, la rabbia, la sua tensione a vivere.

Osservando i bambini con importanti deficit motori nei primi mesi di vita e la loro disarmonica capacità di espressione motoria, mi sono chiesta molte volte quali espe- rienze interne essi riportino e quali eventuali restrizioni possa subire lo stesso impulso di vita; ciò mi è parso particolarmente possibile in bambini con importanti patologie a insorgenza prenatale. Il movimento, per il fatto di essere espressione dell’ Id, è una ma- trice importante della parte inconscia della mente e cioè del nucleo primitivo del Sé. Il movimento è cioè una via dominante per l’espressione del piacere e della fantasia, un veicolo per i desideri, quali il mettere in bocca, il toccare, il giocare, ma anche del di- spiacere: mediante il movimento il bambino esprime l’angoscia e la rabbia, quando il 11 • Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali 219 11 Marzani 30-06-2005 14:34 Pagina 219

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movimento serve per piangere, agitarsi, cambiare posizione, ecc. Il movimento rappre- senta pure un mezzo fondamentale per sperimentare la vicinanza e la lontananza; lo sviluppo dell’individuazione-separazione è molto collegato ad esso e per questo i bam- bini con PCI hanno spesso limitazioni in questa funzione. Il movimento, quello del ca- po o del corpo, è anche essenziale per l’espressione dell’affermazione o del dissenso, del sì e del no; conosciamo l’importanza di questa acquisizione nei bambini con PCI. Nel corso dello sviluppo, il movimento è sempre più assunto dall’Io come una funzione sia adattativa, finalizzata, cosciente, sia difensiva (Mittelman 1954, 1960). Siamo a cono- scenza di come la nostra attitudine psicomotoria sia contemporaneamente un aspetto adattativo e difensivo all’ambiente. Corominas (1983) sostiene che qualunque tipo di movimento, acquisito o non acquisito da un bambino con PCI, in parte risente delle le- sioni e dei condizionamenti neurofunzionali, ma in parte è legato agli aspetti nevrotici o psicotici della mente, che riguardano l’uso delle funzioni motorie. Il movimento quin- di, nelle sue diverse manifestazioni, uso reale o uso fantasmatico, mezzo per esprimere piacere o dispiacere, per organizzare adattamenti o difese, costituisce uno degli stru- menti fondamentali per l’organizzazione del Sé del bambino.

La teoria kleiniana dello sviluppo mentale è molto utile per spiegare le anomalie del- lo sviluppo e della personalità dei bambini con PCI. Il primo nucleo dell’Io, dice la Klein, è costituito dalla fantasia inconscia, quale mediatore fra l’Id e il mondo esterno.

Questa fantasia inconscia è inizialmente costituita da oggetti parziali: oggetti idealizza- ti e oggetti persecutori, legati a esperienze provenienti sia dal corpo sia dalle relazioni con l’esterno, tenuti separati dalla scissione. Le successive esperienze di contatto con l’ambiente esterno permetteranno un confronto delle diverse esperienze, favorito pure dall’integrazione sempre più raffinata di esperienze e di schemi senso-motori. Nel bam- bino con PCI che, specie se grave, ha pochi strumenti per fare delle integrazioni e ha scarse possibilità di introiezione, i diversi aspetti del tono, i pattern o le esperienze sen- so-motorie tenderanno a rimanere scissi e resteranno a lungo come oggetti parziali, as- sumendo valenze piacevoli o spiacevoli, a volte persecutorie, a seconda delle circostan- ze e dei momenti dello sviluppo. Nei bambini con PCI vi potrà essere anche la compro- missione di altre funzioni, quali quelle attentive o mnesiche, con la conseguente pre- senza di aspetti di smantellamento attivo o passivo delle esperienze (Meltzer, 1975) e conseguente impoverimento mentale, come accade nei bambini autistici. I bambini con PCI, per quanto esposto sopra, sono bambini con difficoltà nei processi di introiezione e di organizzazione delle esperienze primitive; a ciò si aggiunge la loro prolungata ne- cessità di dipendenza dall’altro, che li rende soggetti alla manipolazione e alla proiezio- ne dell’altro, per cui sono spesso invasi da ciò che gli altri sentono o pensano. Per tale motivo incontrano ulteriori difficoltà nella differenziazione delle esperienze prove- nienti dall’interno o dall’esterno e quindi nel riconoscimento della realtà esterna e nel- la sua definizione.

Riporto alcuni contenuti di pensiero relativi al significato e alla strutturazione del Sé.

Freud non parla specificamente del Sé; questo concetto compare successivamente, mediato dalla psicologia dell’Io, che ha avuto un grande sviluppo negli Stati Uniti a par- tire dagli anni quaranta.

Un contributo essenziale alla definizione del concetto di Sé è stato offerto dalla Ja- cobson (1954), che utilizza tale concetto per coniugare quanto rilevato dalla clinica con le ricerche sullo sviluppo infantile. L’autrice propone una prima fase psicofisiologica del Sé, che inizia a svilupparsi già nel periodo prenatale e corrisponde ai primi mesi di vita, e una seconda fase del Sé mentale in cui si evidenziano e si stabilizzano le rappre- 220 Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile

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sentazioni psichiche di Sé e degli altri. Progressivamente, sulla base di tracce mnesiche gradevoli o frustranti si vanno organizzando immagini di Sé fluttuanti, inizialmente confuse con immagini dell’oggetto e poi sempre più distinte, sia in relazione al Sé che all’oggetto, nonché alla loro qualità. La Jacobson conferisce pure importanza alla pos- sibilità del soggetto di attribuire un investimento libidico sufficiente e durevole sia al Sé sia all’oggetto, al fine di un buon funzionamento dell’Io.

Riportiamo pure la definizione di Sé data da Winnicot (1971), che attribuisce una preminente importanza nella sua formazione alla qualità dell’accudimento: “Per me il Sé, che non è l’Io, è la persona che è Me, solo Me, che ha una totalità basata sull’azione del processo maturativo. Nello stesso tempo il Sé ha delle parti ed in realtà è costituito da queste parti. Queste parti vengono a saldarsi insieme dal centro verso la periferia nel cor- so dell’azione del processo maturativo, assistito (soprattutto al principio) dall’ambiente umano che sostiene, manipola e facilita in modo vivo. Il Sé si trova naturalmente posto nel corpo, ma in certe circostanze può dissociarsi dal corpo nello sguardo e nell’espres- sione della madre e nello specchio, che può giungere a rappresentare il viso della madre.

Infine il Sé arriva ad un rapporto significativo tra il bambino e la somma delle identifi- cazioni che (dopo una sufficiente incorporazione e introiezione di rappresentazioni mentali) si organizzano nella forma di una viva realtà psichica interna”.

Stern (1985), cercando di confrontare e integrare le conoscenze derivate dal pensie- ro psicoanalitico con quelle derivate dall’osservazione diretta, delinea in maniera mol- to convincente lo sviluppo del Sé del bambino nelle sue diverse fasi, mettendo al centro il “senso di Sé”. Sarebbe molto interessante studiare lo sviluppo del Sé in bambini con PCI, seguendo le linee di Stern, per il grande peso che viene attribuito al bambino come partner interattivo della madre e per le costanti limitazioni precoci proprie dei bambi- ni con PCI. Questi hanno spesso alla nascita limiti nel sistema visivo, prima fonte di contatto sociale, e sempre nel sistema motorio, altro veicolo essenziale di contatto e di distanziamento. In particolare, iniziando dalla nascita e sino ai due mesi circa, il bam- bino sperimenta l’avvio di un Sé emergente, cioè l’emergenza di un’organizzazione che inizialmente riguarda il corpo (unità, azioni, stati interni, ricordo degli stessi), integra- ta dalle esperienze di scambi vitali con la madre. Nella fase successiva, quella del Sé nu- cleare, viene raggiunta la consapevolezza di essere autori delle proprie azioni, fondata sulla esperienza di poter determinare una azione, di sperimentare il feed-back proprio- cettivo e di poterne prevedere le conseguenze. Nella terza fase, quella del Sé soggettivo, sono attivi e determinanti i processi imitativi, già iniziati subito dopo la nascita, che conducono alla intersoggettività e alla sintonizzazione degli affetti (Stern, 1985), con il risultato che il bambino realizza l’esistenza di due mondi mentali separati e distinti. È facile comprendere in questo percorso le interferenze che le limitazioni percettive e motorie avranno nello sviluppo mentale del bambino con PCI.

Per riassumere, vorrei sottolineare alcuni parametri che mi sembrano fondamentali quali riferimento per il concetto di Sé, e cioè: il Sé è un’istanza intrapsichica, nasce dal- la relazione fra il bambino, con le sue specifiche caratteristiche genetiche e neurofun- zionali, la madre e l’ambiente; presuppone una differenziazione fra sé, l’altro e gli og- getti, per cui le sue caratteristiche possono essere percepite e forse riconosciute solo do- po l’inizio della separazione. Il Sé nella sua interezza è un’istanza mentale che tende ad assumere per il soggetto delle caratteristiche di tipo simbolico. Per il bambino e per cia- scuno di noi, il “se stessi” è qualcosa che continua ad essere vissuto, pensato, rielabora- to in una dimensione che tende a un continuo cambiamento, pure all’interno di una grande continuità. Tutto questo spiega le particolari difficoltà che il bambino con PCI 11 • Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali 221

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incontra nella organizzazione del Sé, dovendo egli integrare in età molto precoce com- plesse esperienze provenienti dal corpo connesse con l’espressione degli impulsi e il lo- ro controllo e mediate, oltre che dal rapporto con la madre, da quello con altre persone (medici, terapisti), che interferiscono significativamente nella spontaneità del movi- mento e quindi della relazione.

Rapporti fra disturbi percettivi e disturbi della organizzazione mentale

Nella valutazione delle difficoltà di movimento dei bambini con PCI, viene spesso chia- mato in causa il problema “percettivo”; molte difficoltà incontrate da questi bambini nel controllarsi, o nel muoversi correttamente, sembrano potersi attribuire a sensazio- ni molto sgradevoli provate nel trovarsi liberi nello spazio o a difficoltà nel mantenere un’attenzione continuativa e sufficiente alle posture necessarie per il mantenimento della stazione eretta o del cammino; tutto ciò è ben descritto da Ferrari nel capitolo 7 e nel capitolo 16.

Risulta per altro evidente la problematicità e la complessità di interpretazione dei fe- nomeni cosiddetti percettivi quando si considera che ogni percezione, non solo è sem- pre il risultato di uno stretto rapporto fra integrazioni senso-percettive ed emozioni, ma anche frutto di una memoria e di una storicizzazione delle esperienze; le percezioni ac- cumulate dal Sé sincronico, momento per momento, lo trasformano in un Sé diacroni- co, sino a costruire una coscienza percettiva soggettiva, unica per ciascun individuo.

Berthoz (1997) sostiene che ai cinque sensi tradizionali vanno aggiunti molti altri

“sensi” fra i quali cita il movimento nello spazio, l’equilibrio e pure sensi (funzioni?) a contenuto più comunemente inteso come psichico, come la decisione, la responsabili- tà, l’iniziativa. Egli sottolinea soprattutto l’importanza di considerare il sistema nervo- so centrale (SNC) come un sistema che interroga i recettori, regolando la sensibilità, combinando i messaggi, prespecificando i valori stimati, in funzione di una simulazio- ne interna delle conseguenze dell’azione.

Lo studio della percezione e dei suoi rapporti con il movimento ha interessato da sempre pure gli psicoanalisti e gli psichiatri infantili, essendo l’apparato percettivo l’e- lemento costitutivo essenziale dell’Io. Il funzionamento percettivo, da un punto di vista psicoanalitico, va visto come il progressivo liberarsi della percezione, quale più fedele rappresentazione del mondo esterno, da un funzionamento più primitivo, denso di in- differenziazione, proiezione, onnipotenza. In particolare Tustin e Corominas, essendo- si prevalentemente occupate di bambini piccoli e con patologie organiche e psichiche gravi, hanno portato contributi importanti alla conoscenza dello sviluppo della perce- zione e delle sue caratteristiche nei bambini con PCI.

Corominas (1991) propone quattro livelli di risposta alla sensazione, che si presen- tano come evoluzione l’uno dell’altro, ma che possono pure coesistere sia in condizio- ni di normalità sia di patologia:

puri tropismi sensoriali: la risposta dipenderà unicamente dalla qualità dello stimo- lo e dal livello di maturazione neurologica; la risposta non dipenderà dall’elabora- zione corticale dello stimolo;

autosensorialità: il bambino sentirà come propria la qualità sensitiva proveniente dall’oggetto; questa viene assimilata e confusa con il mondo sensuale precedente al- lo stimolo; questo è ciò che avviene ad esempio per l’oggetto autistico;

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impronta sensoriale (o shape): il bambino è in grado di rapportarsi con la sensazio- ne che proviene dall’oggetto, che è definita, specifica e sentita nel proprio corpo co- me una forma, o stampo, legata all’oggetto che la produce, ma tuttavia questa non è riconosciuta come un non Sé stesso. In particolare i bambini colpiti da PCI grave possono rimanere a lungo a questo livello; essi differenziano le sensazioni, ma resta- no molto passivi di fronte alle stesse, non potendo elaborare in tempi utili risposte motorie adeguate;

oggetto fonte di sensazione: questo è il livello precedente al riconoscimento dell’og- getto come “non Sé stesso”: il bambino differenzia percettivamente l’oggetto-sensa- zione in modo chiaro (prende il ciuccio e lo mette in bocca); egli quindi riconosce sia la sensazione sia l’oggetto che la produce, ma non è consapevole che questi siano unità del tutto distinte. Questo periodo assume una grande importanza per il futuro sviluppo mentale: si tratta di un tempo illusorio nel quale il bambino non si sente an- cora separato dalla madre, pur riconoscendone le qualità proprie.

L’immobilità o la scarsa mobilità dei bambini con PCI inducono necessariamente il mantenimento più prolungato di certe posture e quindi la permanenza in una situazio- ne percettiva (propriocettiva, tattile, ecc.) unimodale; ciò favorirà il persistere di una in- differenziazione fra sensazioni provenienti dall’interno e dall’esterno, con tendenza al- l’assimilazione fra le due e ritardo nell’acquisizione di un’esperienza di Sé corporeo differenziato e stabile.

Il bambino con disturbi percettivi di tipo “cado-cado” (vedi cap. 16), che ha cioè una intolleranza percettiva, ha probabilmente sperimentato situazioni angoscianti nelle quali il movimento lo staccava da qualche cosa di essenziale: le braccia materne? L’ap- poggio a un oggetto? O una parte stessa del suo corpo? Per alcune situazioni sembra che il bisogno di contiguità o di appoggio sia reale, per altre invece pare che la funzione mancante sia più di carattere fantasmatico, come quando questi disturbi si attenuano per la sola presenza di un familiare, o per l’uso della voce come sostegno al movimen- to. A volte non si conosce, o si può solo supporre, quale sia il livello di differenziazione percettiva fra quel bambino e l’ambiente; in genere i terapisti ne hanno una certa con- sapevolezza, ma sicuramente l’attenzione alle limitazioni o alle devianze percettive ed emotive può ancora aumentare per migliorare i risultati della riabilitazione.

Più complesso o pluriderminato sul piano della sua dinamica sembra il problema dei bambini di tipo “tirati su” (vedi cap. 16), per i quali la limitazione può sembrare forse più di integrazione corticale o di stabilità interna della sensazione del Sé corporeo, o un disinteresse per l’autonomia motoria; questo problema pare cioè legato ad un maggio- re intreccio di fattori percettivi, cognitivi ed emotivi.

Mentre la presenza di problemi percettivi nei bambini con PCI è un fatto conosciuto e questi fanno ormai parte del quadro della PCI, minore attenzione viene a tutt’oggi da- ta alle interferenze emotive che condizionano sia il processo percettivo sia gli altri aspetti del mentale.

Profili psicopatologici nelle diverse forme di paralisi cerebrale infantile

Proverò a riassumere alcune caratteristiche psicopatologiche e alcuni stili del Sé che fre- quentemente si ritrovano nei bambini con PCI e a descrivere, senza la pretesa di porta- 11 • Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali 223

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re un contributo definitivo, alcune possibili corrispondenze fra forma clinica di PCI e caratteristiche mentali dei bambini.

Si possono fare alcune premesse che faranno da cornice a quanto vorrei trattare.

Tutti i bambini con danno cerebrale pre- peri- o postnatale, che comporti alterazio- ni tonico-posturali e/o motorie, soprattutto se gravi, vanno incontro ad un prolunga- mento del normale periodo di fusionalità mentale fisiologica e ad un processo di sepa- razione-individuazione torpido, spesso non riconoscibile con evidenza. Ciò è spesso ag- gravato dalle condizioni relative alla nascita e agli eventi a essa collegati (basso peso, permanenza in culla termica, difficoltà respiratorie, alimentari, del sonno), con impos- sibilità di accudimento materno, nonché alle inevitabili interferenze sulle attitudini ma- terne prodotte da sentimenti depressivi o da delusioni narcisistiche.

Si possono facilmente individuare diversi livelli di entità del problema.

– Indifferenziazione Sé/mondo esterno – fondata su una difficoltà di differenziazione molto primaria e cioè di tipo senso-percettivo, per cui il bambino non riesce per lun- go tempo, o non riuscirà mai, a riconoscere la sensazione come prodotta da un og- getto esterno, separato da lui. Questa difficoltà potrà essere più o meno estesa, nel senso che il bambino potrà rimanere in uno status di indifferenziazione totale, e cioè privo di conoscenza in merito all’appartenenza del corpo alla sua mente, o par- ziale, nel senso che alcune esperienze relative al corpo e al movimento non vengono mentalizzate ed altre sì, per cui vi è una percezione sincretica per alcune parti del corpo, ad esempio il tronco e non per altre, ad esempio gli arti in movimento.

Molti bambini con PCI, soprattutto se totalmente immobili per molto tempo e tanto più se con aspetti deficitari, rimangono ancorati, almeno per una parte delle loro esperienze, al livello sensoriale delle percezioni, o raggiungono appena quello delle shapes o impronte sensoriali (stadio 2 e 3 secondo Corominas). Spesso nei bambini con PCI si osservano shapes di tipo tattile, come degli “stampi”, delle “orme”, che ri- chiamano la presenza dell’oggetto, del quale tuttavia il bambino non ha né cono- scenza, né coscienza.

Questi bambini che si sentono un tutt’uno con l’oggetto o che ne colgono solo qual- che caratteristica, hanno molto timore del movimento, spesso non beneficiano di una rieducazione precoce e/o richiedono molta prudenza nel far loro utilizzare la motricità residua o nel pretendere l’apprendimento e l’utilizzo di nuovi schemi. In questi casi la struttura mentale è spesso molto indifferenziata, a volte con aspetti au- tistici, ma più spesso con le caratteristiche dell’identificazione adesiva. Questi bam- bini sviluppano quadri di tipo Ritardo Mentale o Disturbo generalizzato dello svi- luppo, con aspetti di tipo disintegrativo o psicotico deficitario.

– Indifferenziazione Sé/mondo esterno – fondata su difficoltà di separazione mentale, particolarmente di tipo identificazione proiettiva e scarsa introiezione. In questi ca- si, il bambino assume caratteristiche di dipendenza psicologica importante e di in- capacità all’autonomia pure per prestazioni motorie o cognitive a lui possibili. Il soggetto che ha sviluppato una sufficiente quantità di rappresentazioni mentali cor- rispondenti alla percezione del proprio corpo e a quello dell’altro e che inizia a spe- rimentare la separazione, tende ad attribuire le proprie esperienze emotive all’altro o a vivere dentro l’altro per evitare l’ansietà e la sofferenza. Il bambino con PCI ha po- che o nulle possibilità di elaborare le ansietà di separazione tramite il movimento, per cui, utilizzando molto la proiezione, tende all’illusione della non separatezza per sentirsi sia sicuro sia importante. Per lo stesso motivo spesso osserveremo pure aspetti di narcisismo patologico e difese dalla depressione di tipo negazione mania- 224 Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile

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cale, aspetti di dominio e di controllo sull’ambiente. Questi bambini risultano spes- so molto legati ai loro genitori, fratelli o insegnanti; si fanno illusioni di non avere li- mitazioni motorie, facendosi muovere dagli altri, facendo finta e sviluppando inten- samente l’imitazione. In questi casi la struttura mentale è spesso di tipo disarmoni- co, con aspetti nevrotici e psicotici combinati o presenza di falso Sé. I quadri clinici saranno quelli della Disarmonia evolutiva cognitiva o psicotica o del quadro Bor- derline con falso Sé, o dell’inibizione nevrotica o depressiva.

Quadri psicopatologici e clinici specifici

Nei gravi tetraplegici spastici (vedi cap. 15), ma a volte anche nei discinetici, sarà più fre- quente che lo sviluppo mentale subisca un arresto a causa del prolungarsi dell’esperienza fusionale e dei problemi senso-percettivi; il bambino potrà rimanere a lungo in uno stato di indifferenziazione, completamente dipendente dall’ambiente e incapace di proporsi come parte attiva nel proprio trattamento rieducativo. Sovente l’assenza del linguaggio (anartria, disartrie gravi), fa sì che venga a mancare questo secondo importante mezzo di differenziazione, per cui in alcuni casi l’indifferenziazione sé-altro si protrae negli anni ed a volte diventa permanente. Il tentativo di dare vita al processo di differenziazione-sepa- razione mediante tecniche riabilitative di tipo motorio, cognitivo o strumentale, può pro- durre intense angosce, con disturbi del sonno, impossibilità a stare da soli, persecutorie- tà, ecc., sino all’inevitabile decisione di ridurre o di sospendere il trattamento.

Il fine costante da perseguire, affidato a genitori e terapisti, deve essere quello di fa- vorire nel piccolo paziente l’integrazione delle esperienze senso-motorie e la loro rap- presentazione tramite l’attuarsi di uno stato di benessere fisico che permetta che ciò av- venga. Solo se la mente avrà organizzato un abbozzo di Sé corporeo, potranno compa- rire gli altri aspetti del processo di individuazione. In altri casi, le difficoltà di indivi- duazione percettiva e di definizione del Sé corporeo hanno caratteristiche più limitate e sono più settoriali, riguardano cioè solo certe aree funzionali o distretti corporei, pure in relazione a condizioni di vita ed attitudini educative diverse. Si possono ad esempio osservare bambini o giovani adolescenti con PCI che hanno sviluppato una discreta au- tonomia, ma che non riescono ad acquisire il controllo sfinterico o che mantengono aspetti di dipendenza solo in certi ambienti, ad esempio a casa, e non in altri come la scuola.

I bambini discinetici, per i quali il contatto con il mondo esterno è reso molto com- plesso per il continuo dissolversi dell’assetto tonico-posturale e dell’integrazione degli schemi motori, incontrano una difficoltà più specifica a superare la situazione senso- riale e a organizzare il nucleo primario del Sé. Questi soggetti hanno un feed-back trop- po rapido fra acquisizioni percettive e motorie, per cui ogni esperienza si modifica e si dissolve in maniera involontaria e improvvisa. Questo meccanismo rende molto diffi- cile la costruzione mentale di un Sé corporeo e quindi viene a mancare la consistenza emotiva e la differenziazione. La distonia può diventare a volte l’unico modo per espri- mersi, altre volte essa viene invece assunta come difesa, per non esserci, non stare in re- lazione, evitare il rapporto con cose e persone. Corominas dice che uno dei grandi in- terrogativi che si è posta quale psicoanalista del Centro per le paralisi cerebrali di Bar- cellona è stato quello di cercare di dare un senso alle gravi distonie, che non sembrava- no affatto sostenute da un substrato neurofunzionale.

Nei bambini affetti da forme meno gravi di PCI, soprattutto emiplegici (vedi cap. 18) 11 • Psicopatologia e clinica dei disturbi mentali 225 11 Marzani 30-06-2005 14:34 Pagina 225

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o diplegici (vedi cap. 17), si osservano più spesso difficoltà di separazione-individua- zione di tipo mentale, causate da angoscia di separazione o depressione. In questi casi lo sviluppo dell’immagine del Sé corporeo e del Sé nella sua globalità subirà dei condi- zionamenti particolari, dovuti alle diverse esperienze percettive provenienti dalle parti sane o rispettivamente malate del corpo e dalle caratteristiche delle loro integrazioni.

Naturalmente, come in ogni sviluppo anche normale, vi saranno aspetti diversi a se- conda dei singoli casi. Si osserva comunque con frequenza l’utilizzo di meccanismi di scissione, ove buono e cattivo sono tenuti tenacemente divisi. In alcune esperienze di supervisione di casi in psicoterapia, ho osservato che buono e cattivo erano sinonimi di parte sana e malata del corpo. In altri casi, con una certa frequenza, si osserva la pre- senza di un narcisismo patologico molto spiccato, con un’assoluta impossibilità di ac- cettare la limitazione se non come catastrofe totale. In altri casi ancora si osservano co- me preminenti i meccanismi dell’eccitazione maniacale, con negazione della realtà, in altri manifestazioni di depressione o di altre difese a stile nevrotico. In questi casi le strutture mentali corrispondono spesso al quadro della Disarmonia evolutiva di cui Mises (1975), Flagey (1977) e Gibello (1984) hanno descritto molto bene il meccanismo patogenetico e patodinamico. Si tratta generalmente di strutture caratterizzate da un inadeguato rapporto con l’oggetto, a causa di limitazioni funzionali e dell’utilizzo di meccanismi psicotici, che tendono a mantenere la relazione a livello di oggetti parziali.

Il bambino, sin da quando è molto piccolo, riconosce la presenza di una limitazione funzionale e la vive come uno scacco, un’inadeguatezza importante, favorito in questo da un eccesso di attenzione dovuto alla rieducazione. Egli mette quindi in atto mecca- nismi di misconoscimento e/o di compenso narcisistico, investendo in eccesso in altre funzioni. È molto frequente che bambini con emiplegia o diplegia compensino l’imma- gine carente del Sé con un superinvestimento della funzione verbale, o che le funzioni motorie imperfette o gli schemi acquisiti vengano poi perduti. A volte conquiste im- portanti, come la stazione eretta o il cammino, vengono abbandonate a causa di una piccola caduta o di un incidente, come se si attuasse una perdita di rappresentazioni già acquisite dal Sé corporeo. Si ritiene che in molte situazioni ciò sia dovuto ad una diffi- coltà nel poter conservare un sufficiente appoggio narcisistico alla propria immagine, quando, nel corso della crescita, è necessaria una maggiore integrazione di tutte le componenti psichiche. Lo studio di questi bambini rivela la presenza di aree di cono- scenza e coscienza corporee e mentali del tutto inesistenti: raramente ad esempio viene mentalizzata una reale paura di cadere o è presente la coscienza del servirsi degli altri come stampelle; raramente ho riscontrato un vero dispiacere per aver ridotto le proprie disponibilità motorie dopo acquisizioni già avvenute, o la disponibilità a parlarne, co- me se vi fosse un impedimento primario, che viene accettato senza alcun passaggio o conflitto cosciente. Un’altra caratteristica di questi bambini può consistere nel diffe- rente utilizzo delle proprie funzioni in ambienti o con persone diverse; questa caratte- ristica è descritta pure nei casi di Disarmonia evolutiva senza PCI: il quadro disarmo- nico è infatti caratterizzato dalla contemporanea esistenza a livello mentale di parti sa- ne, parti nevrotiche e parti psicotiche, che possono essere utilizzate in modo diverso in contesti differenti. L’attitudine familiare ha pure un forte peso nel favorire quanto espo- sto; generalmente infatti la famiglia non riesce a parlare al bambino della sua patologia o, mantenendo essa stessa incertezze o illusioni sul suo sviluppo, preferisce attendere e comunque non sollecita domande nel bambino. Si osserva che, ove le aspettative geni- toriali sono più elevate, o incongrue, anche i bambini presentano maggiori difficoltà di mediazione con le loro difficoltà e hanno organizzazioni del Sé più fragili.

226 Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile

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La paralisi intenzionale

Sono stata sollecitata dai lavori e dai seminari di Adriano Ferrari a riflettere sull’uso del termine “paralisi intenzionale”, termine che egli usa per quelle situazioni in cui il bam- bino ha una sufficiente dotazione di posture e schemi motori per poter produrre dei movimenti efficaci, ma si rifiuta di muoversi, o si limita molto. Ferrari (1995) tratta questo problema dal “punto di vista dell’intenzionalità”: nella PCI “la paralisi è prima di tutto un problema di azione (disordine concettuale) e solo secondariamente un dis- turbo del movimento”, quindi l’intenzionalità in tutte le sue componenti, motivazione, piacere-dispiacere, possibilità di adattamento alla realtà, capacità d’uso della sponta- neità-volontà, ecc., entra in maniera prepotente in ogni successo o insuccesso terapeu- tico.

Nella pratica clinica della neuropsichiatria infantile, osserviamo molto spesso bam- bini che non sviluppano o non utilizzano la motricità in maniera adeguata, sia da un punto di vista quantitativo sia qualitativo. Nei casi in cui il SNC è integro, ci si orienta facilmente verso un disturbo psicomotorio o un’interferenza emotiva nell’utilizzo del movimento, sino a un disturbo di organizzazione della personalità, che include un alte- rato utilizzo del movimento. Per i casi, invece, in cui è supposto o accertato un danno del SNC, e tanto più nella PCI, il problema diventa più complesso e, caso per caso, do- vremo cercare di comprendere quanto di ciò che osserviamo sia legato al deficit moto- rio, quanto a un problema di organizzazione funzionale, quanto a un problema emoti- vo, che complica il quadro, o quanto alle diverse cause riunite assieme.

Ci si può domandare se le caratteristiche dell’organizzazione del mentale e la strut- tura della personalità, incidano maggiormente sullo stile motorio nei casi in cui vi sia un’integrità del SNC o nei casi in cui vi siano dei deficit motori. Negli anni dell’esordio della neuropsichiatria infantile europea, le sindromi psicomotorie erano considerate per definizione proprie di bambini con integrità del SNC o con solo possibili disfunzio- ni, vedi ad esempio Bergès (1997) e De Ajuriaguerra (1961), i cui lavori sono stati mol- to autorevoli in tale senso e offrono modelli di definizione e di semeiotica di queste pa- tologie.

Trascurando la terminologia o le esigenze nosografiche, possiamo con certezza af- fermare che molti bambini con PCI soffrono di serie interferenze emotive nella loro ca- pacità di acquisire o utilizzare il movimento. Come già detto, si debbono comunque dif- ferenziare i casi in cui entrano in gioco fattori molto precoci, capaci di produrre un’al- terazione o un rallentamento importante nell’acquisizione dell’identità corporea e del- la rappresentazione di Sé, da quelli in cui lo sviluppo mentale non è sostanzialmente al- terato e il movimento si configura come una funzione che incontra difficoltà di orga- nizzazione, ma che viene via via mentalizzata per i suoi significati.

Nel bambino con PCI, la grande pressione ambientale affinché egli si muova auto- nomamente, a fronte della maggiore o minore difficoltà reale, costituisce di per sé un fattore di rischio per l’uso libero e spontaneo del movimento. Così il bambino che po- trà soddisfare rapidamente l’ambiente andrà incontro a minori difficoltà rispetto a quello che si troverà costretto a deludere o a quello che desidererebbe essere investito di attenzioni diverse da quelle connesse alla sua autonomia motoria. Va pure considerato che il movimento può acquistare o avere investimenti diversi in diversi periodi dello sviluppo: quando il bambino è piccolo è più “normale” non essere autonomi, in segui- to lo è sempre di meno, come pure il “cammino brutto” o “supportato da ausili” può non essere più accettato a una certa età.

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Tenendo in considerazione quanto già esposto nel precedente paragrafo, e cioè le gravi limitazioni al movimento per motivi di “mancata separazione dall’oggetto” di di- versa entità e/o di “aspetti patologici specifici”, ritengo si potrebbe riservare il termine di “paralisi intenzionale” a quelle situazioni in cui il movimento nella sua globalità o in alcune sue componenti, assume per il bambino un aspetto conflittuale, al pari di quan- to può avvenire per altre funzioni o per l’espressione dei desideri. Seguendo la psicopa- tologia del mentale secondo le indicazioni classiche della teoria psicoanalitica, potrem- mo caso per caso domandarci se ci troviamo di fronte a una forma particolare di “con- versione” (isteria) o a una “inibizione” o a una “fobia” o a un “aspetto depressivo”. So- lo lo studio della personalità del bambino e quello del rapporto fra lui, i genitori, la sua comunità e il suo ambiente ci potranno fornire elementi utili per la valutazione. In que- sti casi sarà particolarmente di aiuto un lavoro psicologico con i genitori e una psicote- rapia per il bambino. Sarei comunque dell’avviso di chiamare “paralisi intenzionali” sia le forme collegate a un’inibizione globale, quelle cioè in cui il bambino è globalmente inibito, sia quelle in cui l’inibizione investe solo il movimento, pure unicamente in sin- goli distretti o in singoli aspetti.

Indicazioni per il trattamento

Il contenuto di questo capitolo ci invita a riflettere in merito alle modalità di presa in carico e di organizzazione dei Servizi per i bambini con PCI. Risulta infatti evidente che le competenze dell’équipe che si occupa di questi casi non può essere limitata alle sole competenze neurologiche o fisiatriche o fisioterapiche in senso stretto, ma richiede una uguale capacità di osservazione e valutazione dello sviluppo mentale del bambino, an- che in funzione dell’eventuale necessità di trattamenti psicologici, educativi o psicote- rapici sui genitori o sul bambino stesso. Ritengo di primaria importanza che i profes- sionisti con cui la famiglia viene in contatto siano in grado di orientare da subito l’at- tenzione dei genitori sullo sviluppo complessivo del bambino, spostando il loro inte- resse dalle limitazioni motorie verso le risorse generali del piccolo paziente. In partico- lare il neuropsichiatra infantile dovrà attuare in questi casi una presa in carico longitu- dinale, aiutando i genitori a comprendere le particolari necessità relazionali ed educa- tive di cui necessita un bambino con PCI.

Fondamentale importanza ha naturalmente la formazione del fisioterapista, che de- ve essere sempre comprensiva degli aspetti relazionali e cognitivi, in modo da permet- tere un rapporto con il bambino e i genitori improntato a una visione globale dello svi- luppo e tale da favorire il più possibile l’utilizzo sociale delle competenze acquisite.

Quando il servizio al quale si rivolge la famiglia non sia a impostazione neuropsi- chiatrica, sarà necessario che l’équipe venga integrata con la presenza di consulenti che possano, tramite osservazioni separate, apportare i contributi necessari ad una valuta- zione complessiva sullo sviluppo dei loro piccoli pazienti.

Le competenze sullo sviluppo mentale sono pure indispensabili per aiutare il bam- bino a utilizzare le sue valenze cognitive e per potersi rapportare con le componenti scolastiche e riabilitative in senso allargato.

Si deve infatti pensare che i bambini con PCI incontrano di fatto difficoltà di svilup- po psicologico e con grande frequenza vanno incontro a disturbi comportamentali e di tipo psichiatrico. I servizi si devono quindi attrezzare per poter fornire supporto psico- logico ai genitori, nonché eventuali trattamenti psicoterapici ai bambini. Anche chi si 228 Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile

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occupa di questi problemi con modelli interpretativi diversi sostiene la necessità di la- vorare con i genitori per sostenerli e aiutarli a una migliore comprensione delle diffi- coltà del loro bambino, avviando progetti educativi mirati onde evitare l’insorgere di problemi comportamentali (Harris, 1998).

Nel percorso del trattamento sono inoltre sempre presenti momenti particolari che richiedono una più precisa valutazione della situazione emotiva e di sviluppo; ad esem- pio quando viene deciso l’utilizzo di un’ortesi o si intravede la necessità di attuare un intervento di chirurgia ortopedica funzionale. I genitori e gli operatori constatano in- fatti gli scarsi risultati o lo scarso utilizzo di un intervento di riduzione delle deformità, sia pure pensato e studiato a lungo sul piano fisiatrico. Questo è spesso dovuto a una scarsa preparazione in merito alle aspettative di risultato sia da parte dei genitori sia dei bambini, ma pure a interventi eseguiti di fatto in situazioni in cui il bambino non è in grado di integrare le nuove opportunità fornitegli dall’intervento nella struttura corpo- rea e mentale del Sé.

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