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Il cibo fa l’uomo dissoluto o responsabile, mediocre o illuminato.

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Il cibo fa l’uomo dissoluto o responsabile, mediocre o illuminato.

Claudio Galeno, 129-201 d.C.

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CAPITOLO TERZO

Il regime giuridico delle alimentazioni particolari nel contesto della personalizzazione dietetica.

Sommario: 3.1 Dal fenomeno della Nutrition Transition alla ricerca del benessere soggettivo; 3.2 Le patologie metaboliche e le nuove sensibilità alimentari; 3.3 Le tappe della normativa sull’etichettatura dei prodotti per celiaci; 3.4 I nuovi consumi di alimenti destinati alle alimentazioni particolari; 3.5 Il quadro normativo di riferimento degli alimenti destinati alle alimentazioni particolari; 3.6 L’olio di oliva come esempio di alimento funzionale e “naturale”, nel contesto della dieta mediterranea quale regime alimentare tradizionale.

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3.1 Dal fenomeno della Nutrition Transition alla ricerca del benessere soggettivo

A spostarsi non sono solo gli individui ma anche i loro usi e costumi, stili di vita e modelli alimentari. L'effetto è la Nutrition Transition,

ossia la transizione nutrizionale.96 Si tratta di una profonda

trasformazione dei modi di mangiare e dei tipi di attività fisica che influenzano la composizione corporea e la salute degli individui, provocando cambiamenti demografici e socioeconomici su grande scala, uniti all’abbandono di regimi tradizionali per approdare a nuovi modelli di consumo. Così noi stessi cambiamo forma e dimensione sotto i nostri occhi. Le tendenze del consumatore in ambito alimentare inquadrano il consumo non come singolo atto bensì come processo, all’interno del quale ogni fase costitutiva è influenzabile dal

contesto nel quale l’individuo matura le proprie scelte di acquisto. Le variabili di questo panorama riguardanti la sfera socio-culturale

determinano la ricerca di una propria individualità e di un proprio benessere soggettivo. All’interno delle società avanzate l’alimento, assume connotati diversi, tra i quali la realizzazione del desideri di distinzione per comunicare l’appartenenza a determinate “classi sociali” o l’orientamento verso uno stile di vita. Una delle variabili maggiormente condizionante i consumi può essere identificata con il tempo cui correlare la spiegazione di molteplici tendenze che caratterizzano l’andamento dei consumi alimentari e le risposte messe in atto dall’industria alimentare. Il riferimento è a prodotti elaborati in modo da poter essere assunti anche quando la carenza di tempo lo impedirebbe, snack di frutta disidratata, barrette

96

Fonte: http://jn.nutrition.org/ The Nutrition Transition and Obesity in the Developing

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energetiche per sostituire il pranzo, sino ad arrivare a cibi sempre più

specifici e personalizzati quali ad es. gli alimenti funzionali. La

centralità di rivedere il paradigma produttivistico comporta per l’uomo un altro rapporto con il tempo, con il proprio corpo, con tutto ciò che concerne le relazioni interpersonali e affettive. Dell’uomo è intrinseca la volontà di dare discontinuità alla routines di acquisto, introducendo delle novità nel consumo e tale propensione è peraltro dimostrata dalle dinamiche che caratterizzano, soprattutto in questi ultimi anni, i mercati agroalimentari, che evidenziano come i comportamenti di consumo siano tutt'altro che statici. Dal consumatore unidimensionale della società di massa, o da soggetto rigido della società segmentata, si passa a un soggetto complesso, flessibile, multidimensionale, in cui le diversità coesistono, e che vive un’esistenza a opzioni multiple, secondo la logica dell’iperscelta che si

realizza in tutte le sfere che coinvolgono i consumi.97 Di contro le

strategie commerciali delle industrie alimentari si traducono sovente nell'introduzione di prodotti nuovi, che vengono proposti al

consumatore in diverse varianti, tutto ciò compatibilmente alla

maggior informazione e al livello culturale del consumatore medio, determinante per una velocizzazione dei cambiamenti e un allentamento della fedeltà alla marca, al prodotto, al servizio, al canale di acquisto. Ovviamente, poiché la conoscenza degli alimenti deriva dall’esperienza, l’uomo si espone al rischio ad ogni assunzione di un nuovo alimento. È ragionevole quindi supporre che, come per il rischio, le persone hanno atteggiamenti diversi anche nei confronti della novità e diversi gradi di propensione o avversione in base alle loro conoscenze e al loro vissuto. Ancora una volta, come con il rischio, così con la novità, gli atteggiamenti non sono dati, ma

97

G.Fabris, 2003, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, p.52

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dipendono dalle esperienze personali e sociali di riferimento e dall’ambiente all'interno del quale si esprimono. L'affermarsi delle nuove tendenze non significa che, nella realtà, esistano consumatori uniformemente orientati in maniera totale rispetto a qualcuna di esse; anzi, la situazione normale è quella della coesistenza, all'interno di uno stesso consumatore, di più criteri di consumo. Uno stesso consumatore può utilizzare un criterio di consumo che può essere diverso o addirittura in contrasto con quelli impiegati per altre

attività di consumo98 in altri invece è possibile osservare la scelta di

conciliare più criteri di consumo rispetto alla medesima attività di consumo, nel tentativo di raggiungere una maggiore coerenza ed equilibrio. In conclusione, la mutevolezza dei consumi alimentari e la modalità con cui la stessa si manifesta nel singolo consumatore, fanno sì che le imprese si trovino di fronte una situazione di crescente complessità: non solo non esiste più un consumatore-tipo verso cui tendono ad uniformarsi i comportamenti di consumo, ma la stessa segmentazione diventa una strada sempre più difficile da percorrere in quanto la varietà, la variabilità e la coesistenza di più criteri di consumo oggi delineano un ideal-tipo di consumatore «a geometria variabile», non solo rispetto agli oggetti dell'acquisto ma anche a tutte

le fasi del processo di consumo.99 Di conseguenza le affinità tra

consumatori hanno sempre più carattere temporaneo e interessano non la totalità del comportamento dell'individuo bensì specifiche attività di consumo le imprese pertanto, invece di incentrarsi sul prodotto o sul consumatore, saranno sempre più portate a privilegiare i criteri che orientano di volta in volta le scelte dei

consumatori.100 Negli ultimi anni, i consumi alimentari sono stati

98 G.Galizzi, Le nuove tendenze dei consumi alimentari, 2010 99

Fonte Censis, 1994

100

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fortemente influenzati dalla ricerca del benessere soggettivo, inteso sia come ricerca di un benessere psicologico che fisico. L’interesse per la forma fisica e per la cura del corpo nasce dalla diffusione dei risultati dei progressi realizzati in campo medico e dalla constatazione che il modello di consumo occidentale ha dato origine a gravi problemi di malnutrizione. Uno studio apparso su The lancet nel 2011, firmato da Mariel Finucane, rivela che attualmente al mondo ci sono 500 milioni di obesi e oltre un milione e mezzo oscillante tra

sovrappeso e obesità conclamata.101 L’obesità, è uno dei tanti

fenomeni di malnutrizione che sta cambiando la taglia del pianeta e che colpisce, in forme e modi diversi, Paesi ricchi e poveri. Secondo dati dall'Istituto Superiore di Sanità, il 32 per cento degli adulti italiani risulta in sovrappeso. L'11 ha un indice di massa corporea che si avvicina all'obesità. Mentre l'1 per cento rientra nei parametri della

patologia vera e propria. 102 L’obesità è un grave problema sociale ma

l’obesofobia sta diventando una grave forma di discriminazione. I ricercatori dell’università di Manchester e dell’australiana Monash university hanno studiato un metodo di misurazione dei pregiudizi verso le persone grasse che hanno chiamato Universal measure of bias (umb), uno studio recente del Size Acceptance Movement, il 93% dei responsabili delle risorse umane ammette di essere influenzato dalla taglia degli aspiranti da selezionare. Lo scienziato Chris Crandall ha elaborato una vera e propria teoria che porta il suo nome, secondo il quale il pregiudizio antigrasso nasce dal fondo individualista e

puritano del conservatorismo americano, che considera

l’autodisciplina e l’autocontrollo dei doveri sociali e morali. E dunque il sovrappeso diventa automaticamente l’ammissione pubblica di una

colpa o di una propensione irrefrenabile al peccato.

101

Fonte www.thelancet.com, UK medical journal.

102

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Un indizio di pigrizia, inaffidabilità, svogliatezza, sgradevolezza e

perfino poca intelligenza.103 Le conseguenze di questo scenario si

manifestano in una richiesta di prodotti light, ovvero di alimenti con minor contenuto calorico, e privi o con basso apporto di grassi e zuccheri, in una richiesta di prodotti che non presentano tracce e residui di sostanze ritenute dannose per la salute (conservanti, coloranti, pesticidi, ecc.) e quindi anche di prodotti realizzati con sistemi di produzione biologica. In questo senso prevale la dimensione del prodotto in senso fisico, connessa agli ingredienti utilizzati, ai metodi di produzione e di preparazione, alla confezione e modalità di presentazione. Il consumatore con le sue scelte comparate non solo esercita un’autodisciplina che coinvolge il suo livello personale e sociale, ma influenza la vita sociale ed economica dalle centrali produttive a quelle politiche. Le problematiche della qualità, della tracciabilità, della responsabilità sociale d’impresa rientrano in questo scenario e costituiscono l’effetto a monte del nuovo modo di essere del consumo, non più linguaggio della produzione ma

linguaggio di se stesso. 104 Appare chiaro, quindi, come nella crescita e

nell’evoluzione della società il concetto di consumo sia cambiato passando da una nozione di alienazione dove la figura del consumatore è priva di importanza, a una nozione di distinzione che si addice meglio alla società di oggi dove il consumatore è il protagonista delle sue scelte. I comportamenti connessi alla nutrizione travalicano il semplice bisogno di cibo trovando fondamento nel modo di produzione, in base alla quale gli elementi costitutivi del contesto naturale vengono selezionati e trasformati in beni funzionali alla vita dell'uomo, nell' assetto delle strutture organizzative e istituzionali

103

M. Niola, Homo dieteticus, Viaggio all’interno delle tribù alimentari, Il Mulino, 2015

104 Egeria di Nallo, Alla ricerca di nuovi quadri interpretativi per lo studio del consumo nella società globale, Cum sumo. Prospettive di analisi del consumo nella società

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direttamente o indirettamente correlate con il modo di produzione e con le forme di cultura. Secondo Sepilli, inoltre, risulta «correlato con il contesto storico-sociale anche il bisogno stesso. In ciascuna situazione storica l'assetto delle forze produttive e dei rapporti di produzione e quello, in generale, delle strutture organizzative e istituzionali, impongono infatti a ciascun gruppo e individuo singolo uno specifico stile di vita e uno specifico insieme di prestazioni che

incidono sulle necessità alimentari.»105 La risposta comportamentale

e istintuale al bisogno biologico di nutrizione risulta insomma fortemente modificata, nell'uomo, dall’ intermediazione di un insieme di processi attinenti alla sfera del sociale, i quali definiscono in forme volta a volta diverse sia la qualità e la quantità degli alimenti disponibili sia le modalità e i significati del loro consumo. Negli ultimi anni sono cambiate le abitudini alimentari e i processi di acquisto dei consumatori in risposta alle difficoltà economiche causate dalla crisi, alle crescenti patologie che portano ad avere un determinato stile alimentare e, più in generale, all’emergere di nuovi stili di vita. Il consumatore è molto cambiato e vive in un contesto sociale ed economico che porta ad avere stimoli, bisogni, desideri e richieste da

soddisfare molto più specifiche e diverse rispetto al passato. Gli uomini e le donne che consumano, diventano tecnicamente più

preparati e in grado di esprimere richieste al mondo della produzione e della distribuzione, con atteggiamenti “critici”, sino a convincersi di

potersi porre allo stesso livello dei produttori e dei distributori. Inoltre, la medicalizzazione dell’alimentazione quotidiana, con la

crescente tendenza ad esprimere i valori nutrizionali in calorie, è solo una delle grandi tendenze che incidono sulla cucina contemporanea:

105 T.Seppilli, 1994, Per una antropologia dell'alimentazione. Determinazioni, funzioni e

significati psicoculturali della risposta sociale a un bisogno biologico, La Ricerca Folklorica, No. 30, Antropologia dell'alimentazione,pp. 7-14,cit.p.7

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«un pasto come si deve», tradizionale è ormai lontano dalla nostra realtà quotidiana, e non per scarsità di cibo ma per un’abbondanza materiale e un pluralismo culturale che hanno contribuito al diffondersi di nuove abitudini alimentari.

3.2 Le patologie metaboliche e le nuove sensibilità alimentari.

Nell’ultimo ventennio è aumentata la percentuale di persone che soffrono di patologie correlate all’alimentazione: tra queste rientrano le intolleranze e le allergie alimentari. Un’intolleranza si può definire come una reazione negativa che dipende da una difficoltà dell’organismo a digerire o metabolizzare un alimento o un suo componente; un’allergia invece è una reazione del sistema

immunitario nei confronti di un alimento o di un suo componente106.

Le allergie, che si manifestano in breve tempo dall’ingestione dell’alimento, sono più comuni nei confronti di uova, arachidi, crostacei, frutta secca e soia; i sintomi di un’intolleranza invece possono manifestarsi anche a distanza di tempo dal consumo dell’alimento e le due cause più comuni riguardano il lattosio ed il glutine. Questo disagio manifestato da un numero sempre maggiore di persone ha portato alla diffusione e consumo di cibi “su misura”, cioè privi dell’elemento intollerante, che sopperiscono a questo nuovo bisogno della società. Negli ultimi anni infatti si è registrato un notevole aumento del numero di persone intolleranti al glutine a cui ha risposto l’industria con la produzione di cibi specifici, gluten free. Il glutine è un osservato speciale. La battaglia contro questa proteina, che si trova nella farina e in molti cereali comuni come orzo e farro e di conseguenza nella pasta comune e in quasi tutti i prodotti da forno,

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non riguarda più solo chi è celiaco ma si allarga a chi è sensibile al glutine. La cosiddetta gluten sensibility è infatti una reazione al glutine che

colpisce il 2 per cento della popolazione, in particolare le donne.

La ricerca è agli inizi, parecchie le incognite.

Al momento si sa che la gluten sensibility è diversa dalla celiachia, pur avendo alcune somiglianze nei sintomi. È molto complicato diagnosticare un problema di salute legato al glutine. Esistono varie forme di intolleranze legate ai farinacei. Da una parte ci sono i celiaci che non sopportano nemmeno pochi grammi di questa proteina e dovranno convivere con la patologia per tutta la vita, dall’altra gli allergici al grano che rischiano di rimanere vittima di uno shock

anafilattico, infine c’è la reazione grigia delle reazioni al glutine. Chi ne soffre risulta negativo ai test per la celiachia e non presenta i

sintomi delle lesioni all’intestino, ma avverte comunque

l’infiammazione provocata dal glutine, il mal di testa e la sonnolenza. Tuttavia la gluten sensitibity è reversibile e scompare eliminando i cibi incriminati. Queste patologie sono molto diffuse, c’è chi stima che nel nostro paese i malati di celiachia siano più di 500 mila, mentre i

pazienti con sensibilità al glutine siano un milione. 107

Sono due disturbi completamente diversi, che hanno meccanismi immunitari e casi clinici differenti, ma che hanno il glutine come causa. La cultura del senza glutine ha fatto enormi passi avanti in italia. Nel 2001 il registro nazionale degli alimenti gluten free contava 250 prodotti , attualmente sono più di 4000. In questi anni la

sensibilità al tema è molto cresciuta. 108 Nella guida “alimentazione

fuori casa” dell’associazione italiana celiachia sono presenti più di

107

Risultati da un’indagine conoscitiva sulla sensibilità al glutine non celiaca promossa dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC) e Fondazione Celiachia (FC) dal sito

www.celiachia.it

108

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3700 locali che propongono menù senza glutine. Diverse compagnie di volo, le navi, i treni, le stazioni di servizio, offrono le pietanze con il simbolo della spiga barrata. I prodotti a tracciabilità sacra ( Kasher e Halal) stanno conquistando il favore di coloro che soffrono di allergie o intolleranze alimentari. I celiaci trovano una soluzione negli alimenti confezionati per la Pasqua ebraica, in cui frumento e altri tipi di cereali sono soggetti a restrizioni particolarmente rigorose. La religione è caricata di funzioni improprie , come la tracciabilità dei nostri alimenti, garantita da una tracciabilità percepita come superiore. Il cibo è sempre al confine tra purezza e pericolo, sia sul piano simbolico che su quello biologico. Il cibo sta diventando la nostra religione e la tavola l’altare laico dove si celebra il culto del corpo. Ecco perché un mondo in preda a mille paure (contaminazione ambientale, ogm, pesticidi etc.), non sapendo più a chi credere si

raccomanda a Dio.109 Gli alimenti privi di glutine sono protagonisti

quindi di una nuova tendenza consumistica alimentare che porta molti a consumare alimenti destinati a categorie protette. Questa confusione di informazioni è molto pericolosa perché un celiaco che non sa di esserlo e si mette a dieta solo per qualche tempo, rischia di

non poter avere mai una diagnosi certa della propria malattia. Gli alimenti senza glutine sono destinatari di un regolamento ad hoc

inquadrabile nella normativa di riferimento agli alimenti destinati alle alimentazioni particolari.

109

Douglas Mary, Antropologia e simbolismo. Religione, cibo e denaro nella vita sociale, Il Mulino, 1985

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3.3 Le tappe della normativa sull’etichettatura dei prodotti per celiaci.

Il glutine, è menzionato nell’allegato II del Regolamento 1169/2011,

come primo tra le sostanze che provocano allergie o intolleranze.110

È scientificamente appurato che il frumento (ossia tutte le specie di Triticum, quali frumento duro, farro e grano khorasan), la segale e l’orzo sono cereali contenenti glutine. Come è stato precisato dalla

dottrina che si è occupata dell’argomento111, sia l’elenco degli

allergeni, sia le modalità di indicazione in etichetta delle sostanze, risentono dei progressi compiuti dalla scienza medica nonché degli studi più recenti di tecnologia alimentare, che costituiscono un imprescindibile dato metagiuridico che non può in alcun modo essere

ignorato dal legislatore comunitario.112 In questo settore il rapporto

tra scienza e diritto diventa più stretto ed inestricabile che mai. I prodotti gluten free analizzati nel paragrafo precendente, sono disciplinati dal regolamento (UE) 828/2014. Il regolamento CE 41/2009, con cui sono state per la prima volta stabilite a livello europeo le regole di riferimento in materia di etichettatura dei prodotti destinati ai celiaci ed, in particolare, sono state sancite le condizioni di utilizzo del claim “senza glutine”, è stato di recente abrogato dal reg. UE 609/2013 nel contesto di una capillare revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prodotti alimentari

110

Reg. 1169/2011 ALLEGATO II SOSTANZE O PRODOTTI CHE PROVOCANO ALLERGIE O INTOLLERANZE 1. Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati, tranne: a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio ; b) maltodestrine a base di grano ; c) sciroppi di glucosio a base di orzo; d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola

111

Di Lauro, Il diritto alimentare, un diritto in movimento, (il caso dell’etichettatura degli allergeni), in Riv.dir.agr., 2007, I, 1, 75 ss. Germanò, La normativa di riferimento sugli ingredienti allergenici e sull’obbligo della loro etichettatura ivi I, n.3, 379 ss.

112

Luigi Costato,Alberto Germanò,Eva Rook Basile, Trattato di diritto agrario, Volume 1, cit. pg 506.

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destinati ad un’alimentazione particolare. Con il provvedimento in esame, le indicazioni sull’assenza o il basso contenuto di glutine sono “trasferite”, a partire dal 20 luglio 2016, dal reg. CE 41/2009 al reg. UE 1169/2011 ed in particolare nell’ambito dell’art. 36 in materia di informazioni volontarie. La norma da ultimo citata è stata infatti di recente modificata al fine di attribuire alla Commissione il compito di

adottare atti di esecuzione per l’applicazione di tali prescrizioni.113

Con il provvedimento in esame, in attuazione della normativa sopra delineata, sono pertanto stabilite le regole sulla fornitura volontaria di informazioni sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti. Le informazioni potranno essere fornite esclusivamente attraverso le diciture e le condizioni specificate nel

regolamento.114

113

Il testo novellato dell’art. 36 del reg. UE 1169/2011 dispone pertanto: «CAPO V Informazioni volontarie sugli alimenti Articolo 36 Requisiti applicabili 1. Nel caso in cui siano fornite su base volontaria, le informazioni sugli alimenti di cui all’articolo 9 e all’articolo 10 devono essere conformi ai requisiti stabiliti al capo IV, sezioni 2 e 3. 2. Le informazioni sugli alimenti fornite su base volontaria soddisfano i seguenti requisiti: a) non inducono in errore il consumatore, come descritto all’articolo 7; b) non sono ambigue né confuse per il consumatore; e c) sono, se del caso, basate sui dati scientifici pertinenti. 3. La Commissione adotta atti di esecuzione sull’applicazione dei requisiti di cui al paragrafo 2 del presente articolo per le seguenti informazioni volontarie sugli alimenti: a) informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale negli alimenti di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranza; b) informazioni relative all’idoneità di un alimento per vegetariani o vegani; e c) indicazione delle assunzioni di riferimento per gruppi specifici di popolazione oltre alle assunzioni di riferimento di cui all’allegato XIII. d) informazioni sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti.»

114

prescrizioni di carattere generale: - senza glutine: la dicitura “senza glutine” è consentita solo laddove il contenuto di glutine dell’alimento venduto al consumatore finale non sia superiore a 20 mg/kg; - con contenuto di glutine molto basso: la dicitura “con contenuto di glutine molto basso” è consentita solo laddove il contenuto di glutine dell’alimento venduto al consumatore finale, consistente di uno o più ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmente lavorati per ridurre il contenuto di glutine, o contenente uno o più di tali ingredienti, non sia superiore a 100 mg/kg. Altra novità consiste nella previsione di diciture aggiuntive che possono corredare quelle sopra indicate. Tali diciture sono le seguenti:

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3.4 I nuovi consumi di alimenti destinati alle alimentazioni

particolari.

Gli allarmi sanitari e la progressiva attitudine alla personalizzazione degli stili alimentari, che ci rendono consci di un genere di consumo di tipo individualistico e non più di massa, sono le cause della crescente preoccupazione nei confronti della propria salute da parte dei consumatori. Questo panorama ha prodotto una maggiore attenzione al rapporto dieta-salute e un’aumentata sensibilità nei confronti della salubrità dei cibi. Una delle risposte dell’offerta ai segnali evolutivi della domanda è stata lo sviluppo di alimenti funzionali al mantenimento della salute e l’introduzione nel mercato di una vasta quantità di prodotti riportanti in etichetta indicazioni nutrizionali e di funzionalità. Il termine “alimento funzionale” non identifica né un prodotto specifico né la forma in cui viene commercializzato, bensì esso è legato alla funzione o all’effetto specifico che l’alimento deve dimostrare di possedere, oltre alla funzione nutrizionale normale. Il prodotto può variare sia nella tipologia (yogurt, biscotti, ecc.) che nelle specifiche funzioni svolte, ma il risultato desiderato deve essere, ad ogni modo, un effetto scientificamente provato della capacità dello stesso di ritardare o impedire l’insorgenza o lo sviluppo di una determinata malattia. Non, quindi, un effetto curativo, motivo per cui il prodotto si differenzia dai prodotti curativi e dai farmaci. Possono essere considerati “alimenti funzionali” sia quelli tecnologicamente avanzati e migliorati, come ad esempio quelli addizionati con sostanze «adatto alle persone intolleranti al glutine» o «adatto ai celiaci» ovvero «specificamente formulato per persone intolleranti al glutine» o «specificamente formulato per celiaci», qualora l’alimento sia stato espressamente prodotto, preparato e/o lavorato al fine di: - ridurre il tenore di glutine di uno o più ingredienticontenenti glutine; oppure- sostituire gli ingredienti contenenti glutine conaltri ingredienti che ne sono naturalmente privi.

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biologicamente attive (steroli vegetali), sia quelli più convenzionali,

come ad esempio il tè verde, l’aglio e l’olio d’oliva.

Alcune delle caratteristiche funzionali di questi alimenti si conoscono sin dall’antichità, di certo è un sapere comune che gli agrumi sono ricchi di vitamina c, così come le banane di potassio, le carote di carotenoidi, e ad ognuno di questi elementi è attribuita la capacità di

prevenire stati patologici o migliorare lo stato di salute. Alcuni dei termini più comuni ed erroneamente utilizzati come

sinonimi di alimento funzionale sono “prodotti nutraceutici” “farmalimenti” e “novel food”, mentre per descrivere il loro contenuto e le loro caratteristiche spesso vengono usati i termini “arricchiti” “fortificati” o “supplementati” e altre volte ancora, gli alimenti funzionali vengono assimilati agli “integratori alimentari” o agli “alimenti dietetici”. Gli alimenti dietetici ben si distinguono da tutti i restanti.115

A livello nazionale, vengono definiti come composti da “varie tipologie di alimenti, la cui caratteristica comune è quella di essere stati ideati e formulati per far fronte alle specifiche esigenze nutrizionali di individui” affetti da patologie o che si trovano in condizioni

fisiologiche particolari.116 Gli stessi, in quanto appartenenti alla

categoria degli ADAP (Alimenti Destinati ad Alimentazione Particolare), sono soggetti ad una serie di direttive comunitarie specifiche, non sempre facilmente decifrabili, nelle quali restano ampie aree di incertezza.

115

Atti del Convegno Health Claims – Bologna 17 Aprile 2015, www.largoconsumo.com

116

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3.5 Il quadro normativo di riferimento degli alimenti destinati alle alimentazioni particolari.

Gli ADAP sono regolati all’interno di un quadro normativo complesso sensibile a continui aggiornamenti. La direttiva di riferimento è la 2009/39/CE, con l'entrata in vigore del Regolamento dell’Unione Europea 609/2013, a partire dal 20 luglio 2016, verrà abrogata. Il nuovo regolamento includerà nel suo campo di applicazione le disposizioni attualmente vigenti nel settore degli ADAP per gli

alimenti per la prima infanzia117 , gli alimenti a fini medici speciali e

gli alimenti presentati come sostituti totali della dieta per la riduzione del peso corporeo, attraverso atti delegati predisposti dalla Commissione UE. Con l'abrogazione della direttiva 2009/39/CE verrà definitivamente abrogata anche la categoria ADAP degli alimenti per diabetici. Per tale categoria comunque la definizione di specifiche disposizioni è rimasta sempre in sospeso a livello europeo, dove si è infine preso atto che non vi sono evidenze scientifiche in grado di giustificare la destinazione selettiva ai diabetici di un prodotto alimentare sulla base

di uno specifico adattamento nutrizionale della sua composizione. Nel nuovo quadro normativo, pertanto, non saranno più ammissibili

indicazioni del tipo "per diabetici" per qualunque tipo di alimento.118

Oggi i diabetici, al pari della restante parte della popolazione, possono scegliere gli alimenti più idonei alle loro esigenze sulla base dell'elenco degli ingredienti, dei claims nutrizionali (ad esempio "senza zuccheri") e anche dei claims sulla salute quando ad esempio evidenziano il ridotto impatto glicemico conseguente all'assunzione di un determinato alimento. Tra gli ADAP dietetici, in cui per legge,

117 direttive 2006/141/CE e 2006/125/CE 118

Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Allergie e intolleranze alimentari, www.salute.gov.it/

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rientrano anche gli alimenti senza glutine, e gli alimenti funzionali esistono ampie zone di coesione, una di queste è rappresentata dalla finalità con la quale entrambe le categorie di alimenti sono ideate e formulate, allo stesso modo è possibile identificare una convergenza a livello di utilizzatori dei diversi alimenti, essendo sia gli uni che gli altri destinati ad individui con specifiche esigenze nutrizionali in condizioni non patologiche. I prodotti funzionali rientrano nella categoria di quei prodotti la cui qualità e sicurezza non può essere adeguatamente verificata e valutata neanche dopo il processo di acquisto e consumo. Con questa tipologia di prodotti i consumatori sono dunque assoggettati ad elevati livelli di incertezza, poiché alcune delle loro caratteristiche non possono essere verificate neanche dopo

il processo di acquisto e consumo.119 La possibilità dunque che sul

mercato si manifestino rappresentazioni fuorvianti della qualità dei prodotti produce una serie di implicazioni sul fronte delle garanzie dei

consumatori, fino ad arrivare a vere e proprie frodi.120

In ragione dell’introduzione da parte del legislatore nel Codice del consumo del divieto di pratiche commerciali scorrette (vedi sopra art. 20), si è aperto uno spazio per una considerazione più realistica dei processi decisionali dei consumatori e, di conseguenza, della loro tutela più incisiva. Spesso le decisioni sono influenzate dal modo in cui le informazioni sono rappresentate, così come da informazioni periferiche, cioè irrilevanti dal punto di vista della teoria della scelta razionale.121

119

A. GERMANÒ, Prodotti di erboristeria tra integratori alimentari e medicinali, in Dir. giur. agr., 2007

120 Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Alimentazioni particolari, www.salute.gov.it

121

Fonte Wikipedia: la teoria del comportamento del consumatore si fonda su un modello razionale di scelta che si può riassumere dicendo che fra tutte le alternative possibili il consumatore sceglie quella che egli ritiene migliore. La teoria neoclassica del consumatore trae la sua origine dagli scritti degli autori marginalisti, in particolare

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Manipolando il modo in cui le informazioni sono rappresentate o il contesto in cui i consumatori prendono la loro decisione è possibile influenzarne le scelte. A questo proposito infatti, al tema dell’etichettatura degli alimenti, non è estranea la disciplina della pubblicità ingannevole, soprattutto se si accoglie la definizione che

l’etichetta rappresenta anche la sede del messaggio pubblicitario. 122

La distribuzione sul mercato di un ampia gamma di prodotti funzionali, ha naturalmente inciso sulla consapevolezza, di molti consumatori, di poter monitorare in autonomia la relativa assunzione, senza che vi sia stato un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. La giurisprudenza amministrativa ha, ad esempio, avvertito la necessità di richiedere precisi obblighi di avvertenza nella presentazione di una serie di alimenti responsabili di effetti collaterali per talune categorie di consumatori, tanto che il loro uso, del tutto innocuo alle dosi consigliate, potrebbe presentare un rischio grave per

la salute di particolari gruppi di consumatori.123 La ricerca psicologica

nelle motivazioni del consumatore è entrata da molto tempo nelle

strategie di comunicazione e di marketing aziendale. Le deviazioni dal modello del decisore razionale non sono

semplicemente oggetto di interesse accademico: «La scoperta di queste trappole, limiti e distorsioni nella elaborazione delle informazioni ha portato i ricercatori a mettere a punto delle tecniche

Hermann Heinrich Gossen, Léon Walras, Francis Ysidro Edgeworth e Vilfredo Pareto. I

due pilastri di questa teoria sono il vincolo di bilancio e le preferenze.

122 Lucifero N., Etichettatura degli alimenti, comunicazione legale e comunicazione

volontaria, rivista di diritto alimentare, 2009, 18

123

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 luglio 2010, Decisione n. 4894. Nella fattispecie, l’etichetta di un integratore alimentare di fibre non riportava i possibili rischi del prodotto per i soggetti affetti da patologie cardiovascolari e da ipertiroidismo e la potenziale interferenza sull’efficacia dei farmaci per diabetici.

(19)

74

di influenza che mirano ai comportamenti dei consumatori».124

Naturalmente, dal punto di vista del diritto, il problema resta quello di individuare in quali casi si può parlare di un’induzione in errore, ovvero di un indebito condizionamento. Rimane chiaro, infatti, che non si può ritenere vietata qualsiasi pratica volta a influenzare il comportamento dei consumatori, inducendoli ad assumere decisioni

di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso. In noi prevale una forma di pressione interna che ci spinge a non

rinunciare alle nostre decisioni o ad agire in modo coerente. Una volta intrapreso un corso di azione, è difficile tornare indietro,

anche se le premesse della decisione iniziale si rivelano infondate o vengono meno. Lo stesso legislatore ha dimostrato di esserne consapevole; per esempio, inserendo in una “lista nera” di pratiche considerate sempre ingannevoli, e quindi vietate, il c.d. bait advertising.125

124

N.Gueguen, Psicologia del consumatore, Il Mulino, 2010

125

Bait advertising, è un epressione coniata dalla Federal Trade Commission che sta ad indicare un elenco di pratiche commerciali aggressive nei confronti dei consumatori, nel programma Protecting America’s Consumer. Fonte: https://www.ftc.gov/.

Il Codice del Consumo dedica gli artt. 21, 23, 24, 25 e 26 a una grande categoria di pratiche commerciali scorrette è costituita dalle pratiche commerciali ingannevoli e aggressive. La norma (art. 24): “È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Anche per la pratica aggressiva il legislatore si è preoccupato di evitare comportamenti da parte del professionista che abbiano il risultato di alterare la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole; ma mentre per le pratiche ingannevoli vi è la mancanza di messa a disposizione del consumatore di informazioni adeguate, veritiere e sufficienti, tanto da provocare un effetto distorsivo e fuorviante nella sua scelta, in questo caso vi è una riduzione forzata della libertà del consumatore di autodeterminarsi e di prendere in via autonoma e liberamente la decisione che sente sua. Viene così protetta dall’ordinamento la libertà di comportamento dell’utente, in modo che egli non possa essere sottoposto a indebiti condizionamenti e compressioni della sua volontà, da parte di un professionista che sfruttando debolezze emotive, caratteriali e culturali può spingerlo a prendere decisioni positive o negative che altrimenti non avrebbe mai adottato.

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Questo può considerarsi un valido strumento di tutela del consumatore a fronte di una più ampia serie di casi in cui le imprese tendono a sfruttare la spinta alla coerenza dei consumatori, spingendoli a una scelta o a un’azione iniziali che poi influenzeranno il loro comportamento in modi imprevedibili.

3.6 L’olio di oliva come esempio di alimento funzionale e “naturale”, nel contesto della dieta mediterranea quale regime alimentare tradizionale.

Mediterranei sono il clima, il mare, l’ambiente geografico e geologico, gli usi ed i costumi sia delle regioni che dell’ltalia mediterranea fanno parte, sia di gruppi di popolazione di altri Paesi (Grecia, Spagna, la stessa Francia, i Paesi settentrionali dell’Africa e del vicino Oriente)

che geograficamente si trovano in un ambiente molto simile. Fra gli usi e i costumi sono compresi quelli alimentari, basati sugli

stessi alimenti, fatti di prodotti che in questi luoghi nascono,

tramandatisi nel corso dei secoli di generazione in generazione. Il “modello” alimentare mediterraneo, è una vera e propria “tradizione

alimentare” che ha messo negli usi della gente radici tanto solide da riuscire a resistere abbastanza bene al trascorrere dei secoli e, ultimamente all’incalzare prepotente di nuove abitudini e di nuovi

modelli apparentemente molto più “moderni” ed attraenti.126

L’alimentazione degli italiani si è profondamente modificata negli ultimi decenni, vale a dire nel passaggio da un periodo in cui il nostro Paese usciva dalle gravi restrizioni della guerra e del dopoguerra a

126

Nel 2007 l'Italia propose all'UNESCO di iscrivere la Dieta mediterranea nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità. Il 16 novembre 2010 a Nairobi, in Kenya, ad esito di convegno internazionale, l'Unesco ha iscritto la Dieta Mediterranea nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'Umanità, riconoscendo tale patrimonio appartenere a Italia, Marocco, Grecia e Spagna. Nel novembre 2013 tale riconoscimento è stato esteso a Cipro, Croazia e Portogallo. Fonte: http://www.unesco.org/Mediterraneandiet

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76

periodi in cui il livello di reddito pro-capite (e quindi di benessere) è

andato via via aumentando, per giungere fino ai nostri giorni. Caratteristica fondamentale è stata il generalizzato aumento della

gran parte dei nostri consumi alimentari.

Dal dopoguerra ad oggi le abitudini ed il comportamento alimentare degli italiani hanno abbandonato certi nostri tradizionali modelli basati sulla parsimoniosa utilizzazione delle risorse disponibili, per passare a scelte tipiche di una società opulenta, con la sempre più

diffusa adozione di “prestigiosi” modelli alimentari di importazione. Il risultato è stato di moltiplicare le spese destinate all’acquisto di

prodotti alimentari, di aumentare considerevolmente l’incidenza di certe malattie che, ormai lo si è accertato, sono favorite anche dalle scelte alimentari. L’attenzione alla salute deve comunque essere mediata dal sapore. E’ importante sottolineare che il successo di alcuni alimenti è da attribuire proprio al merito ed ai risultati che essi

riscuotono nell’ambito della salute. 127 I protagonisti di questa

tradizione ci sono ben noti: l’olio d’oliva, la pasta, il pane, il vino, i legumi, la frutta (agrumi in particolare) e di tutta la vasta gamma degli ortaggi. Questi prodotti, ben combinati fra loro, con l’aggiunta di giuste quantità di prodotti animali, assicurano un’ alimentazione valida, equilibrata, adatta a qualsiasi età ed anche in grado di ridurre considerevolmente il rischio che insorgano certe malattie che sono tipiche della nostra epoca. La tradizione mediterranea come risultato ha prodotto quelle certe abitudini che oggi sono segnalate come le più adatte a provocare un comportamento alimentare che presenta svariati vantaggi, fra i quali quello di proteggere la salute, nel senso di rendere più difficile la comparsa di quelle malattie che la alimentazione “moderna” (ricca e squilibrata) al contrario facilita e

127

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77

aggrava.128 Si tratta di un modello di consumo nel quale occupano una

posizione preponderante, come fonte di energia, i prodotti vegetali, frequente e notevole presenza di legumi, altri ortaggi, verdure, frutta e grassi vegetali, l’olio d’oliva soprattutto. Tutti alimenti che danno un grosso contributo sia nell’integrare la qualità dell’apporto proteico assicurato dai cereali sia nell’equilibrare la razione lipidica con le giuste quantità di acidi grassi insaturi, sia infine nel fornire una

quantità fisiologicamente adeguata di fibra alimentare. 129 La

riscoperta della validità e della convenienza del modello alimentare mediterraneo ha preso consistenza negli anni ’70 per il preoccupante aumento di certe malattie tipiche delle moderne società progredite

dell’Occidente130. Oggi quindi si pensa che anche sotto il profilo della

salute ci si debba preoccupare non solo della “quantità” della dieta, ma anche della sua “qualità”, essendo il modo di alimentarsi uno dei più importanti e controllabili fattori di rischio che possono rendere più

facile e più probabile la comparsa delle citate malattie.131

L’alimentazione “moderna”, “occidentale”, “americanizzata”, che a tanti sembra ancora così più attuale, desiderabile, seducente e logica delle nostre “vecchie” abitudini, e che tanti proseliti ha fatto soprattutto nelle nuove generazioni, rappresenta la strada più facile verso quegli errori, quegli eccessi e quegli squilibri che tanta parte hanno avuto nel favorire la diffusione delle “malattie da benessere”. In Italia la prima spinta alla riscoperta della validità salutare del modello alimentare mediterraneo è stata data agli inizi degli anni ’80 dall’lstituto Nazionale della Nutrizione, sia sulla base delle conoscenze

128

M.Bianchi, La mia cucina italiana, Mondadori, 2015

129 Giuca, S. (2009b) La commercializzazione di prodotti biologici, in Abitabile, C. e

Marino, D. (a cura di), Filiere mediterranee biologiche e convenzionali, Università degli studi di Perugia.

130 malattie da benessere” o “malattie da civilizzazione”, quali obesità, diabete,

aterosclerosi, ipertensione, malattie cardiovascolari in genere, calcolosi, ecc.

131

(23)

78

scientifiche ormai disponibili132 (studi condotti in varie parti del

mondo sul rapporto fra dieta e malattie, esperimenti sull’uomo e in laboratorio, ecc.), sia sulla base di confronti che dimostrano come la razione alimentare dei Paesi dell’area mediterranea sia la più simile a quel modello di alimentazione che oggi è considerato il migliore per conservare la salute, e che è fotografato in quei “Dietary Goals”(obiettivi nutrizionali) che sono stati stabiliti nel 1977 da una apposita Commissione di Esperti all’uopo nominata dal Senato degli USA.133

Il gruppo multidisciplinare di esperti convocato dall’Istituto Nazionale della Nutrizione al fine di formulare le “Linee Guida per una sana alimentazione” per il nostro Paese, individuò proprio nel modello delle più tradizionali abitudini alimentari mediterranee, lo strumento per “star meglio mangiando meglio”. Confrontando i Dietary Goals con la struttura delle razioni consumate mediamente nei Paesi occidentali progrediti, si vede che la razione italiana è fra tutte di gran lunga la più vicina allo schema ideale (anche se, purtroppo, da questa situazione di privilegio tendiamo ad allontanarci, sotto la spinta delle “mode” alimentari emergenti). Infatti, soltanto la nostra dieta media contiene quantità di carboidrati complessi e di grassi insaturi abbastanza vicine a quelle consigliate, ed è l’unica che risulti esente da clamorosi eccessi nel consumo di grassi animali (prevalentemente saturi) e di zuccheri semplici: è questo certamente il risultato della nostra abitudine di consumare regolarmente pane e pasta (per i carboidrati complessi) ed olio d’oliva (come condimento principale),

132 Dati presentati per la prima volta a Londra ad una Conferenza sulla Alimentazione

Umana organizzata dalla CEE nel 1980

133

M. Kushi, Il nuovo libro della macrobiotica, Edizioni Mediterranee, 1988: The

recommendation of a U.S. Senate committee in 1977 outlining the levels of consumption of complex carbohydrates, sugar, protein, fat, cholesterol, and salt for diets necessary to enhance the health status of Americans.

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79

nonché svariati prodotti vegetali (per l’equilibrio dei grassi. E’ ormai provato che consumare molti grassi animali (saturi) aumenta la

frequenza delle malattie dei vasi e del cuore.

Ebbene, nell’alimentazione mediterranea i grassi animali sono presenti in quantità particolarmente ridotta e sono invece presenti in quantità notevoli quegli acidi grassi monoinsaturi (tipicamente rappresentati dall’acido oleico che abbonda nell’olio d’oliva) che oggi destano grande interesse per le loro azioni protettive e riequilibratrici nei confronti del tipo e del livello del colesterolo presente nel

sangue.134 I meccanismi protettivi dell’olio d’oliva risiedono proprio

nella sua composizione perché è ricco in acido oleico e contiene importanti composti minori ( vitamina A, vitamina E, fenoli e fitosteroli).135

L’insieme di questa formulazione dona virtù nutrizionali e “terapeutiche” all’olio d’oliva. Il modello alimentare mediterraneo esercita effetti favorevoli anche su soggetti affetti da diabete e da elevati livelli sanguigni di grassi e di colesterolo, e che in ogni caso consumare abitualmente giuste quantità di pane, pasta, pesce, prodotti vegetali ed olio d’oliva costituisce per chiunque una protezione nei confronti del rischio delle malattie cardiovascolari (che sono fra le prime due cause di morte precoce nel mondo moderno) e delle altre malattie degenerative che sono tipicamente in grande

espansione nelle moderne società industrializzate.136 Erano gli anni

Cinquanta quando Ancel Keys, biologo nutrizionista statunitense, rimase stregato dalla bassa incidenza di patologie cardiovascolari e di disturbi gastrointestinali in Italia e in Grecia e decise di studiarne le

134

Fonte: www.greenme.it

135

Documento EFSA 2011, Aspetti salutistici legati al consumo di olio d’oliva, adattabili come vanti nutrizionali.

136

V.Teti, Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell'alimentazione mediterranea, Il Mulino, 2010

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80

ragioni. A lui che dobbiamo la codifica di un vero e proprio tesoro: la dieta mediterranea, uno stile alimentare naturalmente alleato del nostro benessere. Riduzione del rischio cardiovascolare, protezione dal declino cognitivo, effetto antinfiammatorio, maggiore longevità e una migliore percezione di sé sono solo alcuni dei benefici che seguire questo regime comporta. 137 Sul territorio comunitario sono presenti

tradizioni agricole e pratiche di estrazione e miscelazione molto diverse tra loro che danno origine ad un’ampia varietà di oli; alcuni di essi, inoltre, sono ottenuti mediante miscelazioni di oli comunitari con oli provenienti da Paesi extracomunitari ma queste informazioni non sempre arrivavano chiaramente al consumatori. Ciò a scapito di una piena rintracciabilità del prodotto e, soprattutto, della completa protezione e tutela del consumatore. L’olio è uno dei prodotti più a rischio di sofisticazioni, d’inganni, di piccoli trucchi e furbizie che,

coinvolgono produttori, grossisti, commercianti.138 L'olio deodorato è

la frode principale. Si tratta di un olio di bassissima qualità, difettato, che viene trattato con un sistema blando di raffinazione che lascia poche tracce chimiche che non vengono scovate dai test ufficiali anti frode. Questo olio neutro e scadente viene mescolato con un olio un po' più buono per dargli un po' di colore e venduto sul mercato come

extravergine. Poi ci sono truffe più grossolane. Infine, c'è un problema di etichetta.

È immorale avere un marchio tipo “Olio Genova” e produrre quell'olio in Tunisia. Al supermercato le persone sono sicure di comprare olio italiano senza sapere che l'azienda che l'ha prodotto di italiano ha solo

137 M. Bianchi, La mia cucina italiana, Mondadori, 2015 138

Scandalo recente: inchiesta a Torino, indagate 7 aziende italiane.

Il pm Raffaele Guariniello ha aperto fascicolo su sette aziende italiane leader nel settore tra cui Carapelli e Bertolli. L’accusa: vendevano olio d’oliva come extravergine «Olio d’oliva venduto come extravergine».

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il nome. Questo penalizza sia i produttori onesti che i consumatori.139

I regolamenti comunitari che si sono succeduti nel corso di questi ultimi anni proprio in materia di etichettatura dell'olio di oliva, al fine di tutelale il consumatore dalle dilaganti truffe e contraffazioni. L'etichetta dell'olio di oliva racchiude la storia del prodotto e rappresenta il “biglietto da visita” presentato al consumatore finale, e deve quindi fornire le necessarie informazioni per comprendere l'identità del prodotto, il suo livello di qualità e le indicazioni sulla provenienza dell'olio. Il 1 luglio 2009 è entrato in vigore il nuovo Regolamento CE 182/2009 il quale, modificando il precedente Regolamento CE 1019/2002, ha introdotto interessanti novità in materia di commercializzazione ed etichettatura dell’olio d’oliva vergine ed extravergine. La modifica più importante introdotta dal suddetto provvedimento riguarda l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del prodotto, sposando così appieno la politica italiana che già da tempo aveva reso obbligatoria tale informazione per l’olio commercializzato sul territorio nazionale. Il Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali, con il Decreto del 10 ottobre 2007, infatti, aveva introdotto l’obbligo di indicare l’origine dell’olio di oliva vergine ed extravergine commercializzato in Italia. Il Decreto del 2007 aveva reso obbligatoria l’indicazione in etichetta del Paese di coltivazione delle olive e di quello dove è sito il frantoio. Detto provvedimento aveva stabilito, inoltre, che nel caso di provenienza delle olive da più Paesi, l’etichetta avrebbe dovuto riportare l’elenco di tutti gli Stati membri e/o Paesi terzi di coltivazione, in ordine decrescente per quantità utilizzate. Il provvedimento nazionale fu, tuttavia, oggetto di una dura contrapposizione con la Commissione Europea che lo interpretò come atto protezionistico ed in contrasto

139

T.Mueller, Extraverginità. Il sublime e scandaloso mondo dell'olio d'oliva, Edizione

(27)

82

con la normativa comunitaria la quale stabiliva come facoltativa

l’indicazione dell’origine.140 Fu pertanto avviata una procedura di

infrazione nei confronti del nostro Paese che limitò, fino a sospendere, l’applicazione del citato Decreto. Le principali novità introdotte dal suddetto provvedimento riguardano l’indicazione dell’origine e delle caratteristiche organolettiche. In particolare, l’indicazione dell'origine diventa obbligatoria per l’olio extravergine di oliva e per l’olio di oliva vergine, e deve figurare sull’imballaggio e/o sull’etichetta del prodotto. Sono esclusi da quest’obbligo gli oli di oliva DOP o IGP

poiché soggetti a specifica normativa.141 Le fattispecie contemplate

dal Regolamento CE 182/2009 per indicare l’origine sono tre: olio ottenuto nello stesso Stato Membro di raccolta delle olive; olio ottenuto in uno Stato Membro con olive provenienti da altri Stati

Membri/Paesi terzi; miscele di oli comunitari e/o non comunitari.142

A seguito della entrata in vigore del Regolamento CE 182/2009, sono comunque rimaste in vigore le vigenti disposizioni nazionali a carico delle imprese di confezionamento, atte a verificare la corrispondenza

della zona geografica con quella dove è situato il frantoio. Infatti, come previsto dal DM 14 novembre 2003, le imprese di

confezionamento devono essere iscritte nei registri regionali al fine di ottenere il codice identificativo alfanumerico riportante la sigla della provincia nel cui territorio sono ubicati gli impianti di confezionamento. Per quanto riguarda le indicazioni sulle caratteristiche organolettiche, esse possono figurare esclusivamente sulle etichette degli oli

140 REGOLAMENTO (CE) N. 1019/2002 DELLA COMMISSIONE del 13 giugno 2002 relativo

alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva

141

REGOLAMENTO (CE) N. 510/2006 DEL CONSIGLIO del 20 marzo 2006relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari

142

(28)

83

extravergini di oliva e degli oli di oliva vergini. 143 Successivamente

all’entrata in vigore del Regolamento CE 182/2009, che ha abrogato unicamente la disciplina relativa all’etichettatura dell’olio di oliva, mantenendo in vigore il precedente Regolamento CE n. 1019/2002 in materia di commercializzazione dell’olio di oliva, la normativa sia con riguardo all’etichettatura che alla commercializzazione dell’olio di oliva è stata soggetta, in quest'ultimi anni, a continue modifiche e

rivisitazioni da parte del legislatore in ambito comunitario.144

A tal proposito, particolare importanza deve essere attribuita nella materia in oggetto al dettame di cui al Regolamento CE n. 1169/2011 il quale ha apportato una maggiore tutela al “made in Italy“ mediante l’introduzione di nuove norme per un’etichettatura contenente una informazione ancora più trasparente ed uniforme su tutto il territorio

europeo, oltre che aver esteso la portata innovativa del regolamento

CE n. 182/2009. L’82 per cento degli italiani è disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e provenienza italiana del prodotto alimentare che acquista e tra questi quasi la metà è disposto a pagare dal 5 al 20 per cento in più e il 12 per cento oltre il 20 per cento, dimostra che in una situazione di difficoltà economica bisogna portare sul mercato il valore della trasparenza a vantaggio dei consumatori e dei produttori agricoli, con l’introduzione dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza per tutti i prodotti

143

Come stabilito dal Regolamento CE182/2009, che ne conferma la volontarietà. Inoltre, gli aggettivi che fanno riferimento ad un attributo positivo dell’olio di oliva (ad esempio “intenso”, “medio”, “leggero”, associati ad attributi quali fruttato, verde, maturo, ecc.) sono ammessi unicamente se fondati sui risultati di una valutazione oggettiva effettuata con il metodo previsto dal “Consiglio oleicolo internazionale per la valutazione organolettica degli oli di oliva vergine”, e descritto all’allegato XII del Regolamento C.E 2568/91.

144

G. FUGARO, F. G. LUCCHESI. Etichettare con l’origine l’olio di oliva norme e sanzioni per una corretta etichettatura, Edizioni agricole, 2010

(29)

84

alimentari.145 Questi risultati portano a sottolineare il ruolo

fondamentale che l’informazione e la conoscenza assumono nelle dinamiche di mercato e quanto effettivamente influiscono sulla domanda.

145

Risultati della consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal ministero delle Politiche Agricole (Mipaaf) che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015. Si tratta di una iniziativa promossa sulla base del regolamento comunitario N. 1169 del 2011 entrato in vigore il 13 dicembre del 2014 che consente ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole in merito alla rilevanza delle dicitura di origine ai fini di una scelta di acquisto informata e consapevole. Nel momento dell’acquisto per 8 persone su 10 è decisivo che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia, a seguire il 54 per cento controlla che sia tipico, il 45 per cento verifica la presenza del marchio Dop e Igp, mentre per 3 su 10 conta che il prodotto sia biologico.

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