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CAPITOLO III ANALISI E COMMENTO DEI TESTI TRADOTTI

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CAPITOLO III

ANALISI E COMMENTO DEI TESTI TRADOTTI

3.1. INTRODUZIONE

I testi appartengono alla narrativa d’immaginazione del genere noir, mostrano tratti stilistici peculiari e sono fortemente ancorati al contesto culturale di partenza. Per queste ragioni, la strategia generale alla base della traduzione ha seguito un orientamento verso il testo e il contesto culturale di partenza, immaginando un lettore modello interessato e saperne di più sul “lato oscuro” della città di Chicago, rivelato attraverso le storie dei protagonisti dei diversi racconti.

3.2. ALCUNE NOZIONI PRELIMINARI

Prima di proporre l’analisi vera e propria si è pensato di soffermarsi su alcune nozioni di sociolinguistica pertinenti e strumentali all’analisi stessa.

3.2.1 DIMENSIONI DI VARIAZIONE LINGUISTICA

Con il passare del tempo una lingua si modifica, perdendo ma anche acquistando nuovi tratti; questo tipo di cambiamento nel tempo viene definito diacronico e le principali modifiche avvengono a livello geografico, dette variazioni diatopiche, a livello di gruppo sociale, variazioni diastratiche, a livello delle singole situazioni comunicative, dette variazioni diafasiche e, infine, a seconda del canale comunicativo utilizzato, cioè orale o scritto, dette variazioni diamesiche. Inoltre, le varietà presenti in una lingua non risultano essere omogenee all’interno di tutti i gruppi sociali di una comunità di parlanti.

Seguendo queste variazioni possiamo identificare le varietà dell’italiano, ovvero, l’italiano regionale (asse diatopica), il continuum dall’italiano colto a popolare (asse diastratica), dal formale all’informale (asse diafasica) e dallo

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scritto al parlato (asse diamesica). Ovviamente, queste variazioni si intersecano tra di loro creando, per esempio, i gerghi.

A livello di analisi di un testo letterario, ci interessano soprattutto le variazioni diatopica e diastratica, che sono interrelate tra di loro.

Questo tipo di variazione è influenzata da fattori quali l’età, il sesso, il grado di istruzione e i modelli culturali o comportamentali. Di questo livello fa parte l’italiano popolare, espressione con cui si identifica la varietà sociale per eccellenza dell’italiano, ovviamente differente dall’italiano standard. In molti tendono identificare l’italiano popolare con la varietà substandard, ma in realtà non è così, dato che molti tratti dell’italiano substandard si presentano sia nell’italiano considerato basso a livello diastratico sia nel parlato colloquiale. L’italiano popolare è caratterizzato da una spontaneità tipica del parlato che si ritrova nello scritto e dall’suo del che polivalente, ovvero utilizzato come rafforzativo. Nella sintassi ritroviamo l’uso di frasi nominali, accumulo di congiunzioni e i cosiddetti accordi ad sensum, ovvero casi in cui non vengono rispettate le regole di accordo, per esempio, tra nome e aggettivo.

In linguistica si parla anche di colloquialismi, detti anche forme colloquiali, che caratterizzano il livello informale, in particolare della lingua parlata, e sono tipici della varietà substandard dell’italiano. In generale, sono forme che non si attengono alla norma linguistica ma rappresentano semplificazioni ai vari livelli della lingua e possiamo ritrovarli nell’italiano regionale e popolare; alcuni fenomeno sono l’uso di te come soggetto, tipico dell’Italia centro-settentrionale, o la riduzione dell’uso del congiuntivo a favore dell’indicativo. A livello morfologico troviamo difficoltà di distinzione tra li/gli, l’uso frequente del pronome ci e reduplicazioni dei pronomi clitici, mentre a livello verbale notiamo confusione nell’uso e nella scelta degli ausiliari.

Al contrario, la varietà diastratica alta è l’italiano colto. Quando, invece, si parla di italiano standard indichiamo una varietà neutra, ovvero non marcata in nessuna dimensione di variazione, e normativa, cioè codificata.

Parlando del legame tra una varietà linguistica e l’altra, ho nominato i gerghi, o slang in inglese, ovvero varietà parlate da gruppi sociali marginali quali vagabondi, mendicanti, malviventi, come nel caso del testo che ho scelto

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di tradurre, dove ritroviamo, oltre al gergo del mondo criminale, gerghi legati ad alcuni sport, quali baseball e pugilato. I gerghi vengono considerati lingue artificiali e parassitarie1 perché nascono da lingue o dialetti preesistenti, riprendendo e modificando alcuni elementi e proprio per questo sono anche criptici perché creano nuovi termini ed espressioni per nascondere qualcosa e non farsi capire dagli altri. C’è anche chi li considera totalmente in maniera negativa, come forme linguistiche villane e rozze. Ma c’è chi considera gergo anche il linguaggio giovanile, proprio perché utilizzato dai giovani e caratterizzato da espressioni e modi di dire che, per chi è più avanti con l’età, non sono comprensibili. Nei gerghi è frequente l’uso di parolacce o parole oscene, utilizzate come insulti, imprecazioni o in maniera sarcastica; tutto questo fa riferimento al turpiloquio, ovvero una maniera di parlare oscena e volgare.

Quando si parla di varietà linguistiche che si discostano dalla norma, dobbiamo ricordare anche i dialetti, tipici di una comunità di parlanti, e gli idioletti, che, al contrario, rappresentano il modo di esprimersi di un singolo individuo.

3.2.1 STILE E REGISTRO

Le nozioni di stile e registro sono spesso concepite come interscambiabili, soprattutto in riferimento al livello di formalità-informalità.

Quella di stile è una nozione particolarmente pertinente per caratterizzare le scelte linguistiche di un autore: scelte ricorrenti e diverse combinazioni di lessico, grammatica, figure retoriche, punteggiatura, ecc. sono gli elementi che aiutano a definire la modalità espressiva alla base di un testo e il suo significato globale. È anche possibile parlare di stile di un’epoca o di un genere letterario; per esempio, se leggiamo un horror, o nel mio caso un noir, ci saranno determinati aspetti che ritroveremo perché fondamentali in tale genere.

Nel definire che cosa sia lo stile, secondo alcuni studiosi ci sono due punti

1

Maria Teresa Vigolo (2010) <http://www.treccani.it/enciclopedia/gergo_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/> 10 febbraio 2014

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di vista: dualistico, che vede lo stile come la somma di contenuto e forma, e monistico, dove contenuto e forma coincidono. Il primo prevede che la stessa cosa possa essere detta in modi differenti mentre il secondo afferma che un cambiamento della forma causi una modifica a livello di contenuto.2

Alcuni studiosi hanno messo in relazione il concetto di stile con quello di frequenza: l’uso frequente di certe strutture sintattiche o di determinate espressioni può essere utile per analizzare uno stile o, più in generale, un testo.

Non esiste un singolo metodo di studio dello stile, dato che anche il linguaggio in sé è un contenitore immenso di tratti specifici difficili da classificare.

Si può parlare anche di stile sintattico, che riguarda la scelta di particolari strutture frasali e di diversi tipi di relazioni: coordinazione, giustapposizione e subordinazione.

Innanzitutto ricordiamo la differenza tra le tre relazioni sintattiche:

 Nella coordinazione, o paratassi, le proposizioni hanno una propria autonomia e sono collegate da congiunzioni coordinanti.

 Con la giustapposizione vediamo che le proposizioni sono collegate tra loro soltanto attraverso la punteggiatura.

 Nella subordinazione, o ipotassi, troviamo uno stile gerarchico ovvero, una frase principale, autonoma, e le altre, subordinate.

L’autore potrà scegliere tra uno stile segmentato, fatto di frasi brevi e semplici, in un rapporto di coordinazione o giustapposizione, e uno stile coeso, dove prevale l’uso di periodi più lunghi e complessi, quindi con relazioni di subordinazione.

In campo traduttivo la faccenda si complica dato che bisogna tenere conto dello stile del testo di partenza, e quindi della relativa lingua, e del testo e lingua di arrivo, e bisogna rimanere il più possibile fedeli senza stravolgere gli scopi dell’autore dell’originale; per esempio, un autore può scegliere di caratterizzare un personaggio facendolo parlare in modo volgare o in maniera

2

Geoffrey N. Leech, Michael H. Short, Style in fiction. A linguistic introduction to English

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molto formale e questo, ovviamente dovrà rispecchiarsi anche nella traduzione. Con registro, invece, si fa riferimento alle scelte lessicali e grammaticali fortemente dipendenti dal grado di formalità o informalità, mettendo, in questo modo, in contrasto registri bassi e registri alti. Questi, però, sono determinati da scelte lessicali e grammaticali in base al contesto d’uso, che creano vicinanza o distanza tra gli interlocutori, e che sono particolarmente pertinenti, ad esempio, in ambiti specialistici.

Il grado di formalità viene definito dalle norme sociali che regolano le interazioni tra membri di una stessa comunità linguistica, mentre il livello di informalità è marcato dalla frequenza di fenomeni legati all’eloquio veloce e trascurato. Ciò porta, ad esempio, a riduzioni morfofonologiche, come l’uso di notte per buonanotte, o a metatesi, per esempio dire areoporto al posto di aeroporto. Inoltre è caratterizzato anche dall’impiego di un lessico ristretto e generico, abbreviazioni, ordini marcati e frasi brevi, oltre che di interiezioni o parole oscene.

3.2.3. LA PRESENTAZIONE DEL PUNTO DI VISTA

Quando si analizza un testo letterario, uno degli aspetti fondamentali è il punto di vista. In un testo si trovano enunciati di ogni genere, intesi sia come atti di locuzione, sia come espressioni di un’attività mentale, facendo riferimento ai pensieri dei personaggi e, quindi, sono utili per comprenderne emozioni e stati d’animo.

Gli enunciati possono dividersi in discorsi diretti, discorsi diretti liberi, discorsi indiretti e discorsi indiretti liberi.

Il discorso diretto riporta parole o frasi nella maniera esatta in cui sono state dette, quindi è una resa oggettiva di ciò che un personaggio dice e da ciò deriva un effetto di verosimiglianza, rafforzato dall’uso di esclamazioni o interiezioni tipiche del parlato. Nel testo possiamo riconoscere questo tipo di discorso anche grazie agli indicatori grafici, che segnano la presa di parola da parte di un personaggio, e dalla frase citante, introdotta da verbi quali dire, rispondere, affermare, ecc. Può essere un dialogo fra due o più personaggi, un monologo,

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quando parla soltanto un personaggio, o un soliloquio, quando un personaggio esprime i propri pensieri sotto forma di discorso.3

Per fare un esempio:

«Marco dice: “Domani andrò al mare.”»

Quando gli indicatori grafici mancano o non si introduce la frase citante, si parla di discorso diretto libero, che permette uno spostamento del punto di vista e l’idea che scaturisce è quella di uno scambio di battute teatrali. L’importante è che il lettore possa collegare ogni battuta al personaggio corrispondente.4

«Marco dice: “Domani andrò al mare.” Beatrice lo guarda e sorride. “Bella idea.”

“Dai, allora organizziamo e speriamo che ci sia il sole.”»

Il discorso indiretto è caratterizzato, invece, da un unico sistema enunciativo, quindi un unico centro deittico; possiamo considerarlo come una parafrasi delle parole altrui perché viene riportato ciò che un’altra persona ha detto, quindi ha una carica soggettiva inferiore rispetto al discorso diretto.5

«Sai cosa ha detto Marco? Che domani vuole andare al mare.»

Infine, con discorso indiretto libero si intende una forma di citazione più libera ma al tempo stesso più complessa delle precedenti; rappresenta, infatti, un tratto fondamentale dell’interiorizzazione di un personaggio che permette di conoscerne i processi mentali e le emozioni. Non c’è un verbo citante ma viene utilizzata la terza persona. Ciò che ne deriva è l’idea di una “seconda voce” perché si alternano voce narrante e voce del personaggio senza una netta distinzione tra le due ma il lettore può notare subito il cambio di focalizzazione; il narratore inserisce la frase citante e la voce del personaggio

3

Paola Faini, Tradurre. Manuale teorico e pratico, (Roma: Carocci Editore, 2008), 145.

4

Ivi, 155.

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aggiunge interiezioni o elementi tipici del parlato. Ovviamente in una traduzione è fondamentale rispettare questo tratto e fare attenzione in quanto è molto facile cadere nel discorso diretto libero.6

Per fare un esempio:

«Maria era sconvolta e non sapeva che cosa dire. È meglio se parlo con lei e chiariamo la situazione, che ragazzaccia.»

3.3. CHICAGO NOIR

Da un punto di vista linguistico, Chicago Noir è un testo molto ricco; presenta colloquialismi, termini dello slang americano, anche legati al mondo della criminalità e dello sport, e strutture linguistiche fuorvianti ma tipiche del parlato. Inoltre, è molto legato alla città protagonista della raccolta e, quindi, molti termini o espressioni sono radicate nella sua cultura e proprio in questi casi bisogna fare un lavoro di comprensione generale, tenendo ben presente questa componente, prima, e di avvicinamento da parte della nostra cultura, dopo, visto che la strategia “globale” è stata quella di optare per l’orientamento alla cultura di partenza.

Nei racconti che ho tradotto predomina l’uso di queste forme che mostrano un livello di alta informalità sebbene, molto spesso, non sia stato possibile mantenere lo stesso grado di informalità rispetto all’originale, anche per mancanza di corrispondenze linguistiche tra le due lingue.

Di seguito presenterò un’analisi linguistica, analizzando alcuni aspetti fondamentali di ogni racconto tradotto, le mie scelte traduttive e le difficoltà incontrate.

6

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XLIII 3.3.1 INTRODUCTION

Soltanto leggendo l’introduzione, scritta da Neal Pollack, si può capire subito che tipo di testo abbiamo davanti: per poterlo comprendere a pieno, infatti, viene richiesto un minimo studio della città di Chicago, soprattutto di ciò che era un tempo e di come è cambiata.

Innanzitutto ho deciso di tradurre il piccolo sottotitolo:

1. «Once there was a city»

con la forma tipica delle favole:

1a «C’era una volta una città»

per dare più enfasi alla volontà dello scrittore di voler mostrare l’evoluzione di Chicago nel tempo.

È interessante notare che sin da subito viene nominato un personaggio famoso legato al mondo della politica di questa città e luoghi altrettanto conosciuti. Richard M. Daley, sindaco dal 1989 al 2011, che ha portato un enorme sviluppo, soprattutto in campo turistico ma, in generale, a livello economico. Viene anche ricordato per essere stato un uomo politico di grande influenza che ha lasciato il segno.

Più avanti nomina anche l’architetto canadese Frank Gerhy, famoso a Chicago per aver costruito il Millenium Park, importante centro civico nato grazie a un’idea del sindaco Daley; è uno dei più grandi parchi nel centro di Chicago, simbolo dell’architettura moderna.

Infine, cita il Soldier Field, uno stadio, che ospita i Chicago Bears, una delle squadre di football.

Vengono menzionati anche scrittori: Saul Bellow, premio Nobel per la letteratura nel 1976, Theodore Dreiser, poeta e scrittore del realismo statunitense e considerato il padre del romanzo moderno, James Farrell, uno dei maggiori esponenti della Scuola di Chicago, Studs Terkel, vincitore del

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premio Pulitzer per la saggistica nel 1985 e, infine, Richard Wright, ricordato non solo per essere stato uno scrittore ma anche per la sua lotta contro il razzismo.

Passando a un’analisi lessicale e semantica, vorrei segnalare un termine come chicagoans, che in italiano deve essere reso con una parafrasi e non con un’unica parola: sarebbe stata una traduzione troppo letterale e un calco utilizzare chicagoniani. È un tipo di scelta traduttiva che ricorre spesso nei racconti tradotti.

Andando più avanti nella lettura, viene nominato un elemento fondamentale per questa città sin dalla sua nascita: il lago. Per molti, anche per me a una prima lettura, questa parola si sarebbe potuta tralasciare e leggerla come una qualsiasi altra parola nel testo, ma non è così. Fonte di ricchezza sin dalla fondazione della città, alla metà dell’800 il lago ha permesso un forte sviluppo economico grazie al suo essere navigabile.

E arriviamo a una nota simpatica di questa breve introduzione. Pollack racconta, infatti, una barzelletta che gli abitanti di Chicago conoscono:

2. «“What are the three Chicago streets that rhyme with vagina?” The answer, “Malvina, Paulina, and Lunt.”»

2a «“Quali sono le tre vie di Chicago che fanno rima con vagina?” La risposta è “Malvina, Paulina e Lunt.”»

A una prima lettura, per uno straniero non è possibile ridervi su, ma basta cercare il significato della parola lunt per capire meglio: oltre a essere il nome di una via, viene usato volgarmente per riferirsi a donne dagli atteggiamenti promiscui o all’organo genitale femminile7

.

In generale, l’introduzione, a livello grammaticale, presenta frasi brevi e semplici; solo la lettura di queste prime pagine introduttive, anticipa la ricchezza che questo libro presenta e riassume le tematiche principali che verranno affrontate, in maniera tale da dare un’idea completa dei vari tasselli

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che compongono questa città, in particolare a livello sociale, dato che nomina le etnie che, dal secolo scorso, convivono in questa metropoli.

Come lo stesso Pollack afferma:

3. «So I’ve organized the book by intersection…»

3a «Così ho deciso di organizzare il libro in sezioni…»

Vedremo, infatti, che ogni racconto avrà come sottotitolo il quartiere di riferimento e, per questo motivo, possiamo considerare la raccolta un tour della città attraverso racconti che sono più o meno fedeli alla realtà, sia storica che contemporanea.

3.2.3 GOODNIGHT CHICAGO AND AMEN

Il primo racconto che ho tradotto è stato Goodnight Chicago and Amen, di Luciano Guerriero, il primo della raccolta nonché uno dei più complessi da un punto di vista linguistico e, proprio per questo, ha richiesto un grande lavoro.

Si racconta la storia di un criminale, Zane, che, appena uscito di prigione, viene ingaggiato per commettere un omicidio, per aiutare un amico, Blue; la storia viene raccontata in prima persona dallo stesso protagonista, con continui flashback che mantengono viva la suspense e invogliano il lettore ad andare avanti e scoprire cosa succederà, perché, come in ogni noir che si rispetti, niente è come sembra. E questo è proprio quello che io stessa ho pensato arrivando alla fine del racconto.

In generale, presenta un linguaggio forte, a tratti anche volgare, e strutture linguistiche a un primo sguardo “strane” ma, proprio per questo, hanno permesso di pormi svariate domande su quali potessero essere le mie scelte traduttive e rapportarmi con un linguaggio substandard. È evidente l’uso di un linguaggio molto colloquiale, vicino al parlato e tipico di persone di bassa estrazione sociale, quali sono i protagonisti, e sono numerosi gli elementi che permettono di entrare subito in contatto con questa forma di parlato.

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Procederò analizzando il livello lessicale, grammaticale e l’uso di frasi idiomatiche.

A livello lessicale possiamo osservare sin dalle prime righe come, spesso, le parole sono scritte “come pronunciate”, come le forme contratte, quali long as e less usate con il significato di as long as e unless, gangsta che sta per gangster e s’posed che sta per supposed; questo è un tratto tipico di un livello culturale basso e di una maniera di parlare molto colloquiale.

Per quanto riguarda le forme verbali, spesso prevale l’uso del present simple in luogo del present perfect e past simple, come:

4. «I get connected cuz after the heist my car gets slammed by a mail track…»

È una frase riferita a un evento passato e per questo ho preferito tradurre con il passato prossimo:

4a«Mi hanno incastrato perché dopo la rapina un furgone della posta si è schiantato contro la mia macchina…»

Spesso manca anche l’ausiliare, come nel caso di:

5. «They smart»

5a «Sono intelligenti»

6. «I always been an all-purpose guy»

6a «Sono sempre stato un tipo tutto fare»

Inoltre, viene frequentemente omessa la s della terza del present simple, come nella frase:

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XLVII 7a «Lei sa che ci distrae»

Spesso ho reso il present simple con il presente indicativo italiano e non, come nel caso di un registro più standard, con il congiuntivo, perché, come già detto, i protagonisti sono dei criminali di bassa estrazione sociale e, quindi, non mi sembrava adatto utilizzare il congiuntivo, che, invece, caratterizza il livello standard della lingua e contesti più formali. Per fare qualche esempio:

8. «…I’m impressed as hell with the fact Blue and Katrina bringing me in this way, me being white and all.»

8a «…Sono davvero colpito dal fatto che Blue e Katrina mi hanno coinvolto, visto che sono un bianco e per tutto quello che ne viene.»

9. «And I’m wondering how I got this lucky all of a sudden, money in my pocket, beautiful woman all into me.»

9a «E mi chiedo come mai mi è capitata tutta questa fortuna così all’improvviso, ho soldi in tasca e una donna bellissima.»

In alcuni, casi, però, ho utilizzato il congiuntivo perché altrimenti avrei creato frasi troppo sgrammaticate, come nel caso di:

10. «…they make sure every single minute you do inside is a living hell.»

10a «…Si assicurano che ogni minuto che passi dentro sia un autentico inferno.»

Frequente è anche l’uso delle forme ain’t e gonna, tipiche dell’inglese colloquiale; vediamo qualche esempio:

11. «…I know it ain’t too swift to go on parole for armed robbery and right away do some cop murder.»

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XLVIII

11a «Lo so che è stupido andare in libertà condizionata per rapina a mano armata e subito uccidere un poliziotto.»

12. «I can just picture Katrina later, telling everybody in the bar how I’m one hell of an actor, which I’m gonna love.»

12a «Mi immagino Katrina che, più tardi, racconta a tutto il bar che gran pezzo di attore sono, cosa che mi farebbe piacere.»

È possibile notare anche un uso improprio della forma done. Secondo alcuni studiosi, nel caso di frasi come:

13. «I done murders too.»

13a «Ho messo a segno anche omicidi.»

14. «I done one for half price once…»

14a «Una volta ne ho fatto uno a metà prezzo…»

non si dovrebbe usare do, ma un altro verbo come, ad esempio, il verbo to finish: questa è una variazione tipica dell’American English8.

Nel testo il verbo to do viene usato frequentemente per il suo essere polisemico ma in italiano ho preferito utilizzare, a seconda del contesto, verbi differenti, come nelle seguenti frasi:

15. «Usually I do murders for five heavy, my rate.»

15a «In genere li commetto per cinquemila bigliettoni, la mia tariffa.»

O ancora:

16. «I’m playing along, freezing when she do, giving nobody reason to squint their

8

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XLIX eyes at me later.»

16a «Reggo il gioco, raggelando quando lo fa, così da non dare poi a qualcuno motivo di guardarmi con sospetto.»

Interessante è l’uso informale di alcuni verbi, come:

to buy, tradotto con il verbo italiano abboccare nella frase:

17. «She tells me later in her room that Hector even buys her excuse why they can’t go somewhere and do it tonight…»

17a «Dopo nella sua stanza mi racconta che Hector ha persino abboccato alla sua scusa del perché non potevano andare da qualche parte e farlo stanotte…»

To lock up, con il significato informale di mettere al fresco, nella frase: 18. «“You saying Blue helping Eddie Mac lock up the bad guys?”»

18a «“Mi stai dicendo che Blue aiuta Eddie Mac a mettere al fresco i ragazzacci?”»

Interessante notare che spesso la traduzione italiana può avvenire anche tramite la scelta di diminutivi, accrescitivi o, come in questo caso, peggiorativi, dato dal suffisso –acci, in ragazzacci.

To gross out, con significato di far rivoltare lo stomaco, 19. «Sight gross me out»

19a «La vista mi fa rivoltare lo stomaco»

Da notare anche l’uso di them con significato di suoi, come nelle frasi:

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L wet sod.»

20a «Ma mi accorgo anche che quasi cade all’indietro quando i tacchi dei suoi stiletto affondando nel terreno bagnato.»

21. «She know she distracting us, which I can tell by how she folds her arms across her chest, hiding them nips like we ain’t already been checking them two.»

21a «Lei lo sa che ci distrae, lo vedo da come incrocia le braccia sul petto

nascondendo i capezzoli, come se non avessimo già dato una controllatina anche a quelli.»

Di nuovo la scelta di un diminutivo, controllatina, per dare una sfumatura di sarcasmo.

L’uso di them in queste frasi è informale e popolare, difficile da trovare nell’inglese standard.

Inoltre, nella frase finale:

22. «…in the big, bad Southside…»

l’aggettivo bad presenta il significato colloquiale di meraviglioso:

22a «…nel grande e magnifico Southside…»

A livello di resa in italiano, vediamo lo “scioglimento” di alcune espressioni a riprova del fatto che, spesso, l’inglese risulta essere più efficace rispetto all’italiano, come nelle seguenti frasi:

23. «I always been an all-purpose guy»

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LI 23a «sono sempre stato un ragazzo tutto fare»

24. «Dig it my way, Hector, head-deep.»

reso con:

24a «La scavi come dico io, profonda fino alla testa.»

E infine, l’espressione stand-up guy, utilizzata dallo stesso protagonista per descrivere se stesso e tradotta con uno che resiste a tutto, in relazione al periodo trascorso in prigione:

25. «Or as easy as any time can get in prison, which sucks any way you look at it. But it could be a lot worse, is what I’m saying, cuz I’m one stand-up guy about the whole thing.»

25a «Insomma, per quanto possa esserlo in prigione, che è uno schifo totale. Ma potrebbe andare molto peggio, è quello che mi dico, perché sono uno che resiste

a tutto.»

Molto spesso ho deciso di cambiare le categorie grammaticali di alcuni elementi presenti, come nella frase:

26. «Katrina tells me before we come here ghost all taken care of, nothing to worry

about…»

26a «Prima di venire qui, Katrina mi ha raccontato di uno sbirro di cui tutti si occupanp, niente di preoccupante…»

in cui ho reso il verbo to worry about con l’aggettivo preoccupante; in frasi in cui nell’originale non compare la negazione ho tradotto inserendo l’avverbio non, come nel caso di:

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LII

27. «Sight gross me out, man, don’t know why cuz I seen that before»

resa con:

27a «La vista mi fa rivoltare lo stomaco, amico, non so perché dato che non è la

prima volta che vedo una cosa del genere».

Spesso l’autore utilizza la doppia negazione che, nell’inglese standard, non è accettabile; per esempio:

28. «I can’t see nothing.»

28a «Non riesco a vedere niente.»

Interessante è anche l’impiego di frasi idiomatiche, quali:

29. «if seeing is believing»

30. «to play both sides of the street»

31. «you singing my song»

32. «easy as pie»

33. «go deaf and dumb»

tradotte rispettivamente con:

29a «provare per credere»

30a «tenere due piedi in una scarpa»

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LIII 32a «un gioco da ragazzi»

33a «fare lo gnorri»

Singing my song significa letteralmente tu conosci la mia canzone ma, non avendo alcun senso in italiano, se tradotta letteralmente, e dato che non esiste un’espressione corrispondente, non è stato possibile mantenere l’uso di una frase fatta e ho preferito tradurre con tu sai di cosa parlo.

Un’altra espressione idiomatica incontrata è nella frase:

34. «…I guess to keep Hector’s head in the right place.»

To keep someone’s head significa far mantenere la calma e per questo ho deciso di tradurre:

34a «… credo per non spaventare Hector.»

Ironico è l’uso dell’espressione:

35. «Katrina is truly hot enough to get Hector thinking with the little head…»

In inglese vi è la distinzione fra big-head, il cervello, e little head, l’organo genitale maschile. In italiano non esiste un’espressione come questa, il significato è semplicemente che spesso l’uomo, di fronte a una bella donna, pensa “con le parti basse” e per la mia traduzione ho scelto:

35a «Katrina è abbastanza provocante al punto da non fargli più funzionare il

cervello…»

Vediamo l’uso di interiezioni come yeah, tradotto con già, well, tradotto con l’esclamazione be’, e marcatori del discorso quali see, reso con sai, o look, tradotto con vedi, tutte inserite a inizio frase e riconducibili alla sfera dell’inglese parlato, quasi come se il testo fosse un monologo e il protagonista

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LIV

lo stesse recitando al lettore.

Interessanti sono i giudizi che lo stesso protagonista dà di sé stesso con la frase Kind of guy I am, tradotta con Sono fatto così, che utilizza più volte. Quando il protagonista racconta il motivo per cui in passato è stato mandato in prigione e ciò che pensa del commettere un nuovo crimine dopo essere stato appena rilasciato, utilizza termini che rimandano all’ambito giuridico:

36. «…take the whole weight of it on myself, cop myself a plea for a reduced sentence and no trial, no further investigation.»

36a «… mi sono preso tutta la colpa, ho ottenuto una riduzione della pena e così nessun processo, nessun’altra indagine.»

Cop a plea è un’espressione dello slang inglese utilizzata in America per indicare il patteggiamento, ovvero il caso in cui l’imputato ammette la propria colpa per avere poi una pena ridotta; trial, invece, indica il processo in tribunale.

E andando avanti nella lettura troviamo:

37. «… I know it ain’t too swift to go on parole for armed robbery and right away do some cop murder.»

37a «… lo so che è stupido andare in libertà condizionata per rapina a mano armata e subito uccidere un poliziotto.»

Nel descrivere Hector, l’aiutante di Zane che si scoprirà essere un poliziotto sotto copertura, viene utilizzato il termine uncle che, oltre al significato di zio, presenta altri significati, più colloquiali e soprattutto tipici dell’American English, e fra questi anche amico e vecchio.

Inoltre, viene utilizzato spesso il termine ghost che, nello slang criminale, indica i poliziotti; vediamo l’esempio nella seguente frase, dove ho deciso di tradurre questo termine con sbirro, per mantenere la sfumatura d’informalità:

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LV

38. «I’m thinking mostly about this ghost watching us.»

38a «Più che altro penso allo sbirro che ci sta guardando.»

Sempre in relazione allo slang criminale troviamo il termine hitter, che è la forma colloquiale utilizzata per indicare killer professionisti; in italiano non esiste un termine come questo, quindi ho preferito tradurre semplicemente con killer.

Altri termini o espressioni colloquiali sono:

39. «In a freakin’ heartbeat»

dove freakin’ viene usato come rafforzativo e ho deciso di tradurre la frase come segue:

39a «In un fottuto secondo»

E ancora:

40. «…I don’t give a shit»

40a «…non me ne frega niente»

Nell’originale è un’espressione molto più forte ma, in questo caso, ho preferito non mantenere lo stesso livello di colloquialità, scegliendo di tradurla in maniera meno volgare.

Un’altra espressione che vorrei mettere in risalto è prison daddy, nella frase:

41. «And I’m thinking later she uses me maybe like some prison daddy might…»

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Prison daddy è un’espressione tipica del linguaggio della prigione e rimanda al fatto che i carcerati intrecciano relazioni di protezione in cambio di altro. All’interno di tali relazioni si creano gerarchie e prison daddy è proprio il senior partner9: non per forza è un violentatore ma può abusare di un altro compagno offrendogli in cambio la propria protezione.

Sempre per quanto riguarda il mondo della prigione, il nostro protagonista utilizza il termine stretch nella frase:

42. «I even hear about Bad-ass Eddie Mac when I’m on the street before I do my

stretch.»

42a «Ho sentito parlare del fottuto Eddie Mac anche quando ero per strada prima che

mi mettessero dentro.»

Ho deciso di tradurre in questo modo perché stretch indica un lungo periodo di carcere.

Altri termini che fanno parte dello slang sono gigs, che significa lavoretto e bloody, utilizzato come rafforzativo nella frase:

43. «…like a bloody tea saucer.»

e che ho deciso di tradurre con fottuto per sottolinearne la volgarità:

43a «come un fottuto piattino da tè insanguinato.»

E ancora, to get nab, nella frase:

44. «I get connected cuz after the heist my car gets slammed by a mail truck and it break up my leg pretty good, so I get nabbed.»

9

Stephen Donaldson, (29/04/2006), <http://peteflow.blogspot.it/2006/04/prison-punks-and-daddies.html> 5 gennaio 2014

(22)

LVII

44a «Mi hanno incastrato perché dopo la rapina un furgone della posta si è schiantato contro la mia macchina e mi sono rotto ben bene una gamba, quindi mi hanno

acciuffato.»

Vediamo, poi, che Zane utilizza dat come forma colloquiale, tipica del parlato, di that, nella frase:

45. «But ‘tude always counts for a lot with chicks and I got plenty a dat…»

tradotta con:

45a «Ma lo charme conta sempre con le tipe e io ne ho avute tante…»

Andando più avanti nella lettura, nella descrizione di Katrina fatta dal protagonista, viene usata l’espressione, stone freak amazon lady:

46. «This stone freak amazon lady is surprising the hell outta me, all pure aggressiveness and shit…»

Ho tradotto il termine stone con perfetta, perché in generale la descrizione rimanda alla bellezza di questa donna che, per il protagonista, è molto più di quanto abbia mai avuto. Inoltre ho tradotto l’aggettivo freak con l’espressione colloquiale da paura. Quindi la traduzione finale è:

46a «Questa perfetta amazzone da paura è così sorprendente che mi fa perdere il controllo, solo pura aggressività e bella roba..»

E ancora più avanti troviamo un’altra espressione informale:

47. «I mean, I take the job for the money alone, but she show me some personal interest and it’s just what the doctor ordered.»

(23)

LVIII

con un’espressione comunque informale:

47a «Voglio dire, ho accettato il lavoro solo per i soldi, ma lei mi sta mostrando un interesse personale che è proprio quello che fa per me.»

Quando Katrina spiega a Zane chi è in realtà Hector, viene detto:

48. «She tells me they find out he the one sours a whole bunch of gigs they got going on while I’m in the joint, tells me it’s Hector put some of Blue’s key guys in jail…»

Key guy non è una collocazione ma ho deciso di tradurre utilizzando l’espressione italiana asso nella manica:

48a «Mi racconta che hanno scoperto che è il tizio che ha mandato all’aria un mucchio di lavoretti che avevano iniziato mentre ero in galera, mi spiega che è stato Hector a mandare dentro qualche asso nella manica di Blue…»

Stessa scelta nel caso della frase:

49. «Some cop watching me do away with his partner puts me in mind that this job could toss me in the deepest of shit…»

49a «Uno sbirro che mi guarda mentre faccio fuori un suo collega mi fa pensare che questo lavoro mi metterà nella merda…»

Toss me in the deepest of shit non è un’espressione idiomatica ma ho scelto di tradurre con una frase informale quale mi metterà nella merda.

Vi sono, poi, due termini che sono tipici dell’American English: crib, che significa casa, e nabe, che è la forma abbreviata di neighboorhod.

Nel descrivere Blue, l’amico gangster del protagonista, il protagonista dice:

(24)

LIX mind…»

In italiano non esiste un’espressione come the brothers and sisters e, per non utilizzare parole o espressioni offensive, ho preferito tradurre in maniera neutrale con:

50a «Mi fa ridere il fatto che gli uomini e le donne di colore hanno sempre in testa la loro pelle…»

A livello grammaticale, è possibile notare la particolarità dell’organizzazione frastica: si nota l’alternarsi di periodi brevi e periodi più lunghi, quindi un uso piuttosto omogeneo della coordinazione. I periodi si fanno sempre più brevi nelle ultime pagine, come ad esempio:

51. «Time short now. I can’t see nothing.»

51a «Il tempo sta per scadere. Non riesco a vedere niente.»

O ancora:

52. «I coulda finished high school, coulda fixed cars. I could say I shoulda done all that. But this is what I want, so this is what I do, and this is what I get, no big deal.»

52a «Avrei potuto finire il liceo, riparare macchine. Potrei dire che lo farò. Ma questo è ciò che voglio, quindi è ciò che faccio e ciò che ottengo, nessun grande affare.»

Non vi sono molti dialoghi ma, quando presenti, sono molto brevi e danno proprio l’idea di dialoghi reali, fatti di esitazioni, false partenze e interiezioni. Anche questa, forse, è una tecnica scelta dall’autore per tenere viva la suspense.

È stato un racconto che ha richiesto un grande lavoro, soprattutto per riuscire ad avvicinarsi il più possibile all’informalità e colloquialità del testo originale; non è stato facile pensare a modalità espressive adatte a trasmettere il

(25)

LX

punto di vista dei criminali e utilizzare in qualche caso forme che risultano errate nell’italiano standard. In generale, non ho mantenuto la forte colloquialità presente nel testo di partenza, anche perché, a differenza della cultura angloamericana, il contesto comunicativo e culturale italiano tende a essere meno volgare e meno tollerante nei confronti del turpiloquio.

Se pensiamo al noir e ai suoi tratti principali, si può dire che l’autore sia riuscito ad avvicinarsi molto a questo genere: usa un linguaggio scarno, molto diretto, pochi dialoghi e descrizioni. La descrizione più dettagliata che viene fatta è su Katrina, che viene descritta come la classica femme fatale che riesce a far sì che gli uomini facciano ciò che vuole lei. Vediamo che anche le sue poche battute sono tipiche di una donna che sa cosa vuole e che cerca di avere tutto sotto controllo. Questo lo si può ben capire dalla sua battuta:

53. «Dig it my way…»

53a «La scavi come dico io…»

Ciò che è veramente importante è l’azione, cioè ciò che avviene e come si sviluppa tutta la storia.

Vi sono criminali e una femme fatale che sono, come sappiamo, fra gli ingredienti base di questo genere.

L’elemento che maggiormente differenzia questo racconto dal noir è il fatto che l’omicidio avviene alla fine, e non all’inizio creando la rottura degli equilibri. Allo stesso tempo, però, rimane la scia di mistero: non si scopre il motivo di quello che avviene e il protagonista finisce il suo racconto come dice lui stesso, con quattro semplici parole silenziose:

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LXI 3.2.4 ALEX PINTO HEARS THE BELL

Alex Pinto Hears the Bell racconta la storia di un ex pugile che, dopo anni di silenzio, torna sul ring, per alcuni incontri amatoriali; ritornerà al vigore di quando era giovane ma scopriremo che, dietro a questi incontri, si nasconde qualcosa che scatenerà una sua violenta reazione.

Dal punto di vista lessicale, è possibile dire che, anche rispetto al racconto precedente, viene utilizzato un linguaggio più vicino alla norma linguistica, seppur con elementi dell’inglese colloquiale, come i vocativi pops e homes, tradotti rispettivamente con vecchio e amico, o l’abbreviazione champ, l’imprecazione damn, resa con diamine, e forme verbali contratte, come goin’ e ain’t, tutti aspetti che conferiscono autenticità e informalità.

Vediamo anche espressioni idiomatiche quali:

55. «He saw himself as a young Latin boxer about to make his mark on a city»

Tradotta, come segue, mantenendo l’uso di una frase idiomatica:

55a «Si rivide come un giovane pugile latinoamericano che stava per lasciare il segno

in città.»

E ancora:

56. «He had to be pushing sixty…»

56a «Doveva avere quasi sessant’anni…»

57. «“Hey, champ, you made it.”»

57a «“Ehi, grande, ce l’hai fatta.”»

(27)

LXII 58. «They had no sense of the neighborhood.»

58a «Non avevano il minimo senso civico.»

59. «It was all a waste. To end as the butt of a joke on a street-corner video box.»

59a «Era stata tutta una perdita di tempo, finita, per uno scherzo del destino, in un video all’angolo della strada.»

Il protagonista, salutando un conoscente, dice:

60. «“… you ignorant Boricua.”»

60a «“… Boricua maleducato.”»

Ho deciso di non tradurre il termine Boricua perché indica in maniera specifica persone di nazionalità portoricana che sono emigrate in altri paesi o città, come New York. Riguardo le migrazioni dei bianchi, viene ricordato anche il White Flight, letteralmente volo bianco, espressione che fa riferimento alle migrazioni avvenute a inizio ’900 da parte dei bianchi che, da zone dove vivevano soprattutto altre minoranze etniche, come latinoamericani o afroamericani, se ne andavano verso luoghi in cui potevano convivere con altri bianchi.

Inoltre, proprio nelle prime pagine il narratore ripercorre gli anni ’70, quando Pinto era un giovane pugile, ricordando un provvedimento del presidente Ford, Whip Inflation Now, per combattere ed eliminare il problema dell’inflazione; non esiste una traduzione letterale, che sarebbe “combattiamo l’inflazione ora” e, quindi, ho preferito mantenerla in lingua originale perché nella storia dell’economia americana è diventata un vero e proprio slogan e anche leggendo saggi e interventi di economisti italiani viene sempre scelta la forma originale.

(28)

LXIII

gergo legato a questo sport. Si parla, ad esempio, di smoker, che viene tradotto con l’espressione incontro dilettantistico,10

e questo rimanda di nuovo al contrasto tra l’immediatezza dell’inglese e l’essere meno conciso dell’italiano. Viene nominato anche il Golden Glove, un campionato americano per pugili dilettanti iniziato nel 1928. Vengono anche utilizzati verbi specifici, come to shadowbox, che significa allenarsi con la propria ombra, to bob and to weave, rispettivamente andare su e giù e muoversi a zig zag; nella boxe, però, questi due verbi indicano il movimento che un pugile deve fare per dare e allo stesso tempo schivare pugni. Per quanto riguarda nomi legati a questo sporto, troviamo jabs e hooks, rispettivamente diretti e montanti, corner che indica l’allenatore e puncher’s chance, espressione che indica che, anche se un lottatore è vecchio e con poche forze, riesce lo stesso a mettere fuori combattimento l’avversario con il colpo finale. La troviamo nella frase:

61.«Bob Foster […] was smart, quick, and was always in fight because he had a powerhouse right that gave him a puncher’s chance.»

tradotta come segue:

61a «Bob Foster […] era veloce, scaltro e sempre pronto a combattere perché aveva la carica giusta che gli permetteva di rifilare il colpo di grazia al suo

avversario.»

Interessante è anche l’uso di Smokin’ e Punchin’ nella seguente frase:

62. «Welcome to our first smoker. In this our first fight we got Smokin’ Alex Pinto going up against Punchin’ Jan Pulaski.»

62a «Benvenuti al nostro primo incontro amatoriale. Nel primo match si sfideranno lo

Smokin’ Alex Pinto e il Puncher Jan Pulaski.»

10

<http://forums.sherdog.com/forums/f61/what-smoker-fight-terms-469294/> 10 gennaio 2014.

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LXIV

Ho deciso di mantenere i termini in lingua originale perché un pugile degli anni ’70, che ancora oggi viene ricordato per essersi battuto tre volte contro Muhammad Alì, era stato soprannominato Smokin’ Joe; puncher, invece, indica un pugile con tecnica completa, abile soprattutto a combattere a distanza ravvicinata che lo aiuta a mettere fuori combattimento l’avversario anche con un solo pugno.

La prima volta che Pinto incontra Paco, il ragazzo che organizza gli incontri e che scatenerà la sua ira, questi gli consegna un volantino dove si legge:

63.«THE JOKER SMOKER

SEE THEM FIGHT. SEE THEM BLEED BET ON THE BEST. BOO THE BUMS…»

È imperniato su allitterazioni, consonanze e assonanze, rime e parallelismo strutturale; per questo ho deciso di tradurlo:

63a «L’INCONTRO INCOGNITA

LI VEDRAI LOTTARE. LI VEDRAI SANGUINARE. PUNTA SUL MIGLIORE. FISCHIA IL FANNULLONE.»

Vediamo che in questo modo ho potuto compensare la rima joker-smoker con l’allitterazione –inco, data da incontro-incognita; lo stesso vale per la seconda parte del messaggio, per la quale ho scelto una rima paronomastica, ovvero caratterizzata da suoni simili tra loro, migliore-fannullone, e l’allitterazione fischia-fannullone.

La narrazione avviene in terza persona e, oltre a continui flashback, per raccontare il passato del protagonista quando era un famosissimo pugile, è importante notare i cambiamenti del punto di vista, tecnica che può stranire chi legge il racconto per la prima volta e che non permette di capire da che

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LXV

prospettiva venga narrata la storia, quasi come se, a volte, il narratore fosse lo stesso Alex Pinto.

Si tratta dell’impiego di discorsi indiretti liberi, ovvero casi in cui vengono riportati i pensieri del protagonista in prima persona, attraverso i quali possiamo conoscere lo stato d’animo e le emozioni; vediamo qualche esempio:

64. «Pinto put the paper in his back pocket and continued his run. While he circled the lagoon he saw himself in the ring ducking a punch and laying his opponent out.

That is how it will go Friday night. A guy my age stands no chance against me, he thought.»

64a «Pinto se lo mise nella tasca posteriore e continuò la sua corsa. Mentre girava intorno al lago vide l’immagine di se stesso sul ring mentre schivava un colpo e stendeva il suo avversario. Ecco come andrà venerdì sera. Un tizio della mia età

non ha nessuna possibilità con me, pensò.»

65 «He went to the speed bag and got a good rhythm. […] No way an older man can

take the punishment I can still dish out.»

65a «Andò al saccone e prese un bel ritmo. Lo colpiva violentemente. […] In nessun

modo un uomo più vecchio di me potrà sottrarsi alla punizione che posso ancora infliggergli.»

In entrambe le frasi vediamo alcuni dei tratti tipici del discorso indiretto libero, ovvero la mancanza dei segni grafici e della frase citante: il pensiero di Pinto, infatti, viene inserito durante la narrazione ed ecco perché in casi come questi è evidente il cambiamento del punto di vista.

Questo fenomeno si può notare anche nella scelta di espressioni temporali e spaziali quali tomorrow, this e here, al posto di the following day. that e there. Nella traduzione ho rispettato questo tratto importante proprio per mantenere vivi gli stessi scopi dell’autore e farlo risaltare dato che è uno dei tratti tipici del noir.

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LXVI

A livello grammaticale il testo non presenta forme marcate, salvo nei dialoghi, dove spesso manca l’ausiliare o vengono utilizzati vocativi, spesso offensivi, come nei seguenti esempi:

66. «“You dead, homes.”»

66a «“Sei morto, amico.”»

67. «“You punks!”»

67a «“Voi gente da quattro soldi!”»

68. «“Come on, papi.”»

68a «“Dai, papi.”»

Papi, è un termine usato in Sudamerica per chiamare qualsiasi persona di sesso maschile, un amico, il proprio padre, ecc. e, proprio perché tipico di questa cultura, ho deciso di non tradurlo.

Anche per pato, nella frase:

69. «“Call 911! Tell them the boxer, Alex Pinto, has a gun to this punk’s head because Alex Pinto came to claim back his dignity which this pato tried to rob.”»

69a «“Chiamate il 911! Dite che Alex Pinto, il pugile, ha una pistola puntata alla testa di questa carogna perché Alex Pinto è tornato per riprendersi la dignità che questo pato ha cercato di portargli via.”»

ho optato per la stessa scelta traduttiva perché è un termine offensivo sudamericano per indicare una persona omosessuale.

Quando si descrive lo stato d’animo di Pinto dopo aver scoperto i video che vendono sul pugilato tra barboni, che si scoprono essere gli incontri a cui è

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LXVII

stato invitato con l’inganno, vengono utilizzati due termini che vorrei segnalare:

70. «The village idiot.»

che ho potuto tradurre con la stessa espressione italiana:

70a «Lo scemo del villaggio.»

E:

71. «He was the laughing stock of Humbolt Park.»

che corrisponde all’italiano zimbello:

71a «Era lo zimbello di Humboldt Park.»

Più avanti nella narrazione, quando sta per mettere in atto la sua vendetta, il narratore racconta che Alex Pinto si è messo in un angolo con la testa bassa e lo descrive in questo modo:

72. «He was hot. Red hot.»

Dato che in italiano non è possibile creare la ripetizione, ho deciso di tradurre utilizzando due termini che sono sinonimi tra loro ma che danno l’idea della rabbia che aumenta sempre di più:

72a «Era furioso. Furibondo.»

Quartiere “protagonista” della storia è Humboldt Park, da sempre abitato da portoricani, sudamericani e bianchi; in particolare, fra gli anni ’50 e ’60, i portoricani rappresentavano la fetta maggiore di popolazione. Nelle prime

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LXVIII

pagine, il narratore racconta di come Alex Pinto si sia dovuto abituare ad avere a che fare con persone di differenti nazionalità e di come il quartiere sia diventato sempre più il punto di ritrovo delle bande criminali. Ecco, infatti, che nomina anche gli Spanish Cobras e i Latin Kings, due famose bande malavitose che giravano in questo quartiere.

Analizzando trama e personaggi, notiamo che non vengono rispettati i canoni del classico racconto noir, l’unico elemento riconducibile a tale genere può essere il cambiamento nell’atteggiamento di Alex Pinto che, nella parte conclusiva, si trasforma in assassino per vendicarsi. In questo caso conosciamo sia l’assassino sia il motivo della sua azione insensata, diversamente da un classico noir dove tutta la trama è incentrata proprio sulla ricerca delle motivazioni del crimine. E, come abbiamo visto, anche il linguaggio non è tipico del noir, sebbene, soprattutto alla fine del racconto, venga utilizzato un linguaggio più forte e diretto.

Forse l’autore non voleva scrivere una vera e propria storia noir ma, semplicemente mettere in scena alcuni degli aspetti che mostrano il lato negativo, non solo di questa città ma della società contemporanea, e la fragilità degli animi, tratti che indubbiamente contraddistinguono il noir.

3.6.4. BOBBY KAGAN KNOWS EVERYTHING

In Bobby Kagan knows everything abbiamo, di nuovo, tutto un altro scenario

A livello di trama, apparentemente, non ha niente a che vedere con il noir: la storia è quella di un piccolo quartiere sconvolto da continui furti e la curiosità di un ragazzino, insieme a un amico, di scoprire chi siano i colpevoli. La storia viene raccontata dal punto di vista di un adolescente, chiamato probabilmente Ben, dato che le uniche volte in cui viene chiamato per nome sono quando Bobby, uno dei personaggi chiave, usa dei nomignoli, quali Benny o Benito. Niente di sconvolgente fino al finale, che rimane aperto, come vuole la tradizione del noir: non sapremo mai cosa è successo realmente e cosa

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LXIX

significa l’ultima battuta del protagonista:

73. «I didn’t see a thing»

Molto probabilmente è una frase utilizzata semplicemente per ripetere ciò che la madre, nelle pagine precedenti, gli aveva già detto, dopo essere stati derubati.

A livello lessicale si può affermare che viene utilizzato un inglese standard e, quindi, nel tradurlo ho rispettato le scelte linguistiche dell’originale. Soltanto nei dialoghi vediamo l’uso di vocativi, come dork, tradotto con scemo, forme verbali colloquiali, come oughta e ain’t, termini tipici del turpiloquio, quali freak, tradotto con coglione, e l’espressione:

74. «What’s the fuck is your problem, man?»

74a «Oh, che cazzo fai?»

In questa frase vorrei evidenziare anche la traduzione di man. Sappiamo che viene usato colloquialmente con il significato di amico, ma, in questo caso, non sarebbe stata una buona scelta considerando il contesto: chi pronuncia questa frase, Jason Rubinstein, amico del protagonista, è arrabbiato ed ecco perché ho preferito tradurre inserendo l’interiezione oh, che molto spesso in italiano viene utilizzata proprio per dare l’idea di una frase detta in modo sgarbato.

Interessante anche la scelta di scrivere i nomi mamma e nonno con la prima lettera maiuscola, forse per mostrarne il valore affettivo, anche perché non vengono detti i loro nomi.

Da segnalare è l’uso frequente di termini legati al baseball e di nomi di squadre americane. In particolare:

75. «Bat Day»

(35)

LXX 77. «Inning»

78. «.500»

79. «Sox farm team»

Il Bat Day è stata una trovata di marketing degli anni ’60 per promuovere le vendite dei biglietti delle partite: a tutti i ragazzi sotto i 14 anni che andavano a vedere la partita veniva regalata una mazza con il nome di un giocatore.

Twi-night doubleheader è un’espressione che indica un incontro serale: un doubleheader indica due partite tra due squadre nello stesso giorno. Twi-night, usato proprio insieme a doubleheader, indica che le partite vengono giocate nel tardo pomeriggio.

Il termine inning, invece, che può essere tradotto con ripresa, indica ognuna delle parti in cui è divisa una partita di baseball, durante la quale le due squadre si alternano in attacco e difesa e ogni fase termina quando tre giocatori vengono eliminati.11

L’espressione:

80. «we had played .500»

si riferisce all’aver vinto metà delle partite di campionato.

Infine, Sox farm team indica la squadra satellite dei Sox, conosciuti meglio come White Sox, una delle due più importanti squadre di baseball di Chicago.

Come nel racconto precedente, da notare è lo sfasamento del punto di vista, come nella frase:

81. «I lay in bed listening to my mother talking to Bobby on the phone, telling him what had been stolen, then saying that tomorrow night would be great, and yes, she would meet him downtown.»

11

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LXXI

e che ho mantenuto nella traduzione:

81a «Rimasi a letto ad ascoltare mia madre che parlava al telefono con Bobby e gli raccontava cosa ci avevano rubato, poi disse che domani sera sarebbe stata grandiosa, e sì, l’avrebbe incontrato in centro.»

Possiamo notare che l’introduzione di tomorrow sposti la prospettiva da quella del protagonista verso quella della madre.

Si parla anche di El, che ho mantenuto come nell’originale perché è il nome del trasporto pubblico di Chicago, il secondo sistema di trasporti più grande negli Stati Uniti, dopo quello di New York. Viene nominato Kiddieland, un parco giochi costruito nel 1929 e demolito nel 2010, dopo che già nel 2004 i proprietari del parco erano stati accusati di avere una polizza assicurativa non idonea.

A parer mio, il lato noir di questo racconto sta proprio nella parte conclusiva: non avviene nessun omicidio, però presenta un finale aperto perché non sappiamo bene che cosa sia successo tra la madre e Bobby e il motivo per cui l’abbia maltrattata e, soprattutto, perché il signor Klein, l’uomo che sa tutto sui furti che avvengono:

82. «didn’t come out all day.»

3.6.5. THE GREAT BILLIK

The Great Billik, della scrittrice Claire Zulkey, è un testo che si differenzia molto da quelli precedenti non soltanto per la trama, ma anche dal punto di vista del tessuto linguistico.

Si racconta di un uomo che, con la famiglia, si trasferisce vicino alla casa della protagonista, una ragazza di nome Mary. L’arrivo dell’uomo sconvolgerà la sua vita fino a un tragico evento, la sua morte, che avviene proprio a fine racconto. Tutto viene raccontato in prima persona da Helen, la cugina di Mary.

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LXXII

Niente di diverso dal resto dei racconti: si inizia presentando la vicenda, gli intrecci e le evoluzioni nelle azioni dei personaggi fino allo scioglimento finale, ovvero quando, in alcuni dei testi tradotti, avviene la morte del personaggio principale.

A livello lessicale vediamo l’uso di un inglese prevalentemente standard, senza incursioni in livelli linguistici più bassi; questo è un elemento che lo differenzia dal genere noir, caratterizzato, invece, da un linguaggio più crudo e spesso violento. Non troviamo mai forme contratte di nomi o verbi, però nei dialoghi si ritrovano formule tipiche del parlato, come for godness’ sake, resa con per l’amor del cielo, o l’espressione to be off nella frase:

83. «I’m off to go visit her now, actually.»

83a «In realtà, stavo per andare da lei.»

E ancora, periodi frammentati e riformulazioni, che nel testo sono rese attraverso l’utilizzo dei puntini di sospensione o, nel caso dell’esempio numero 84, di un trattino, che indica un discorso lasciato a metà:

84. «“…I think you’re a bit too caught up with this Billik person. Forget about him. Why don’t you – ”

“No, thank you,” Mary cut me off.”»

84a «“Credo che tu sia un po’ troppo presa da questo Billik. Dimenticati di lui. Perché non – ”

“No grazie,” tagliò corto Mary.”

E ancora:

85. «“I just wanted to know if maybe… he could tell me things.”»

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LXXIII

La storia è ambientata a inizio ’900, quindi in un periodo storico totalmente differente da quello delle altre storie: nella nostra mente difficilmente collegheremo a quest’epoca un linguaggio volgare.

Vediamo che, come in altri racconti, in certi casi vengono utilizzati termini che fanno parte dell’American English, come, in questo caso, casket, che equivale a coffin, ovvero bara, nickel, che in America corrisponde a una moneta da cinque centesimi, e fall, termine americano per autunno.

Interessante la scelta del termine spinster, per descrivere la cugina Mary: non è un termine contemporaneo ma corrisponde al termine italiano zitella, che ancora oggi si utilizza con connotazione negativa.

Interessante l’uso dei verbi nella frase:

86. «“My second cousin Ruth was downtown yesterday and she ran into her friend Sophia, who told her that she heard something unusual from Emma Vzral. Seems like Mary’s gentleman friend is even stranger than we thought. Emma’s father was delivering the milk to Billik and Billik stops him and gives him a strange look, and then says, ‘Your enemy is trying to destroy you.’”»

86a «“La mia seconda cugina Ruth ieri era in centro e per caso ha incontrato la sua amica Sophia, che le ha detto di aver sentito strane voci da Emma Vrzal. Sembra che il gentiluomo amico di Mary sia ancora più strano di quanto pensassimo. Il padre di Emma stava portando il latte a Billik, Billik lo ferma, lo guarda in modo strano e poi dice, ‘Il tuo nemico ti distruggerà.’”»

Come si può notare, mentre, all’inizio, viene utilizzato un past continuous, was delivering, più avanti si sceglie il present simple: questo passaggio da passato a presente rimanda alla sfera del parlato e alla mancanza di pianificazione del discorso.

Come già riscontrato in altri racconti, vediamo che l’autore in alcune frasi quali:

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LXXIV 87. «I did get the money.»

87a «Ma certo che ho avuto i soldi.»

88. «I do have powers.»

88a «Io ho dei poteri.»

decide di utilizzare il verbo to do per dare maggiore enfasi.

Mary, nel descrivere la moglie di Martin Vzral, utilizza un’espressione molto informale:

89. «The mother is a fool. She’s holding onto that house of theirs. She would be better off to sell it to Herman. She can’t rattle around in there like the crazy old bat she is.»

89a «La madre è una pazza. Si è tenuta quella casa. Farebbe meglio a venderla a Herman. Non può continuare a viverci come una vecchia pazza quale è.»

Crazy old bat è un’espressione offensiva che si può utilizzare nel descrivere una vecchia donna pazza. In italiano non ho individuato un’espressione corrispondente e per questo ho deciso di tradurre con vecchia pazza, così da mantenere il tono arrogante di Mary.

Vediamo altri esempi di corrispondenze di frasi idiomatiche tra l’inglese e l’italiano:

90. «Spero che i Vzrals si siano fatti quattro risate.»

90a«I hope the Vzrals got a good laugh out of it.»

91. «È una cosa orribile che sia in prigione ma adesso che mio padre è morto, mi ha detto che il suo spirito non è più tra i piedi.»

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LXXV

91a «It’a terrible thing that he’s in prison but now that my father’s dead, he’s told me that his spirit isn’t in the way anymore.»

È interessante, poi, notare che Billik non ha un livello di inglese standard, in quanto, come viene detto nel testo:

92. «His English was not completely right, but he spoke with hardly any accent.»

Lo possiamo capire anche da come formula le domande, per le quali utilizza una forma tipica del parlato e non standard, come ad esempio:

93. «She bring some friends?»

All’interno di questa frase notiamo anche la mancanza della s della terza persona del present simple, tempo che ho deciso di tradurre con il passato prossimo:

93a «Ha portato delle amiche?»

Vediamo che nella traduzione italiana non vi sono problemi: è la forma standard anche perché una scelta sgrammaticata o dialettale avrebbe potuto veicolare significati aggiuntivi che devono essere evitati.

Inoltre, mentre nell’originale Helen si rivolge all’uomo utilizzando il pronome personale you, in italiano ho preferito tradurre utilizzando il pronome lei, così da dare l’idea della distanza tra i due interlocutori.

94.«“Tell her to stay away,” he said. “She waste my time.”

“I tried telling her to stay away. She thinks you have powers.”»

94a «“Dille di starmi alla larga,” disse. “Mi fa perdere tempo.” “Ho provato a dirglielo. Pensa che lei abbia dei poteri.”»

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LXXVI

A livello grammaticale assistiamo a una maggiore frequenza del discorso diretto libero, anche rispetto agli altri racconti; i dialoghi sono soprattutto fra le cugine ed è proprio anche grazie a questi che la storia si sviluppa.

Per quanto riguarda l’organizzazione frastica, possiamo notare che spesso viene utilizzato un ordine marcato, in cui prima appare la subordinata e poi la principale, come nella frase:

95. «After about twenty minutes, we got up.»

resa con:

95a «Dopo circa venti minuti, ci alzammo.»

Ho cercato, quindi, di mantenere questa scelta perché è un modo per dare enfasi e per dare al testo un ritmo più lento che invoglia il lettore ad andare avanti nella lettura.

Anche in questo racconto ci sono riferimenti a luoghi e personaggi storici. Si nominano, infatti, la Scuola Domenicale, che si svolge nelle chiese evangeliche che si rifanno alla riforma protestante, il college femminile di Alverno, a Milwaukee, frequentato da Helen, e un assassino conosciuto con il nome di Holmes. Herman Webster Mudgett, conosciuto come Dr. Henry Howard Holmes, alla fine dell’800 aveva costruito un hotel proprio per avere un luogo sicuro dove commettere i suoi omicidi e, avendone messi a segno più di una ventina, viene considerato il primo grande serial killer di tutta l’America. Le sue vittime morivano asfissiate a causa di gas o soffocate e i loro corpi venivano abbandonati negli scantinati del suo “hotel”, dove venivano anche dissezionati per poi dare organi o altre parti alle scuole di medicina.

Probabilmente l’autrice ha voluto creare un parallelo tra il killer della sua storia, Herman, e questo killer storico, il cui vero nome era proprio Herman; quindi, diversamente dagli altri racconti, siamo di fronte a un vero assassino seriale.

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LXXVII

domanda Perché?, tipica di ogni noir. Sappiamo chi commette gli omicidi ma non ne conosciamo il motivo e rimane nel mistero anche la morte di Mary.

3.6.6. MARTY’S DRINK OR DIE CLUB

Leggendo il racconto Marty’s Drink or die Club di Neal Pollack veniamo subito catapultati nel mondo del noir classico.

Si racconta la storia di Carlos, un barista che si ritrova coinvolto in circostanze alquanto sinistre; una sera nel suo bar muore un ragazzo e scopre che faceva parte di un gruppo, Il Club di Marty: bevi o muori. Non è un semplice gruppo di amici ma un club segreto e chi ne viene a conoscenza ne deve entrare a far parte, altrimenti viene ucciso. Carlos cercherà gli altri membri e scoprirà tutti i loro segreti, ma cosa succederà al nostro protagonista lo scopriremo soltanto nelle ultime pagine.

A livello lessicale, a una prima lettura non notiamo niente di particolare: Pollack utilizza un inglese standard, con qualche termine o espressione più colloquiale, soprattutto nei dialoghi. Ma vediamo più nel dettaglio, iniziando con espressioni che catturano subito l’attenzione del lettore.

All’inizio del terzo paragrafo leggiamo:

96. «Carlos spoke wino.»

Wino significa vagabondo alcolizzato e ho deciso di tradurre con la frase che segue:

96a «Carlos rispose da ubriacone.»

Fuori dal contesto, la frase non ha molto senso, ma se continuiamo con la lettura possiamo capire: il ragazzo vuole da bere e lui lo accontenta con del buon whisky.

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