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Rumore del WC in condominio: c è risarcimento?

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Rumore del WC in condominio: c’è risarcimento?

Autore: Carlos Arija Garcia | 30/07/2021

È possibile agire contro il vicino che va spesso in bagno anche di notte e fa troppo chiasso con lo scarico? Ecco cosa ne dice la Cassazione.

«Giovanni, mi sa che il vicino non sta bene: è già la quinta volta che va in bagno stasera. Gli porto un po’ di riso in bianco». Il marito risponde solo che va bene,

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perché ha capito benissimo come ha fatto la moglie a sapere che il vicino è andato così tanto al gabinetto: con il fracasso che fa lo scarico del water ogni volta che il dirimpettaio preme il pulsante dell’acqua, vuoi che non se ne sia accorta? «Portagli pure il riso, ma digli che questa storia deve finire», aggiunge il marito infastidito.

Non è la prima volta che minaccia di dirlo all’amministratore o, addirittura, di fare causa. Quell’uomo starà anche male, ma non si può fare un salto nel letto ogni volta (e non sono poche le volte) che «quello là» tira lo sciacquone di notte. Ha anche chiesto alla moglie: «Senti, non è che per il rumore del wc in condominio c’è il risarcimento? Perché qui non si chiude occhio e la mattina dopo si lavora».

La moglie si limita ad alzare le spalle come a dire «e che ne so io» e a controllare se il riso è cotto. Dovesse fare effetto, forse stanotte si dorme.

Scenetta da sitcom, certo. Ma, a parte il riso in bianco, è molto più abituale di quel che si potrebbe pensare. Tant’è che recentemente anche la Cassazione si è dovuta occupare di un caso come questo: una coppia che non chiudeva occhio di notte perché il vicino si alzava spesso per andare in bagno e quando tirava lo scarico a momenti tremava il muro. Tutta colpa di chi ha posizionato la cassetta del wc dentro la parete che divide il luogo di «ritirata» di uno con la camera da letto degli altri. Un po’ va bene ma quando è troppo, è troppo. Si decide che se il vicino non pone rimedio al disturbo, si va in tribunale. Che sia il giudice a costringerlo a risolvere il problema. E, già che ci siamo, che dica anche se per il rumore del wc in condominio c’è il risarcimento.

Rumore del wc in condominio: come difendersi?

Immagina di avere ospiti a casa, magari quella sera in cui avete invitato a cena la famiglia della fidanzata di vostro figlio per fare reciproca conoscenza. «Buona sera, piacere», «piacere, buona sera», «prego accomodatevi in sala che ora servo l’aperitivo», invita cortesemente tua moglie. Nel mentre che gli ospiti fanno per sedersi sul divanetto, dall’altra parte del muro si sentono le cascate del Niagara: il rumore di uno sciacquone che, non essendo abbastanza potente da portare con sé tutto ciò che doveva, si ripete una seconda volta. La mamma della fidanzata fa un leggero sussulto, il padre una smorfia evidente. La scena si ripeterà poco prima di servire il pesce, il dolce e l’amaro. A fine serata, ironicamente, il futuro consuocero ti chiederà: «Mi perdoni, trovo per caso un bagno?».

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Imbarazzo e disturbo causati dal rumore del wc del condomino che vive a fianco e che ha deciso di fare uno dei due bagni proprio confinante con la sala del vicino. L’altro è dall’altra parte del muro della camera da letto, proprio quello in cui appoggia la testiera, perché le modeste dimensioni del locale non consentono di fare altrimenti.

Come mai tutto quel fracasso? Chi subisce il rumore ha il diritto di chiamare un perito affinché faccia delle misurazioni acustiche e dei rilievi sul corretto posizionamento della cassetta dello scarico. Perché questo, come si dimostra nel caso analizzato dalla Cassazione, è una delle cause dell’eccessivo rumore: il fatto che «la cassetta di incasso del water era stata installata nel muro divisorio, avente lo spessore di 22 centimetri, mentre avrebbe potuto trovare collocazione nel locale bagno». Insomma, è stata messa dentro il muro e non fuori. Si capisce perché tremava tutto come mai si sentiva un rumore «superiore alla soglia di tollerabilità» ogni volta che al vicino scappavano i bisogni.

Chi ha avuto la brillante idea di non impedire che la cassetta di scarico venisse incassata nel muro divisorio con la camera del vicino rischia di dover eseguire una serie di «opere idonee a ridurre le immissioni» e di dover pagare un risarcimento ai dirimpettai per compensare quella che i giudici hanno ritenuto una lesione del diritto dei vicini «alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana».

Rumore del wc in condominio: la soglia di tollerabilità

A nulla vale tentare di convincere la Suprema Corte con il fatto che le misurazioni acustiche sono state fatte senza tenere conto del rumore di fondo. Va ricordato, a questo proposito, che la soglia di tollerabilità scatta di giorno (tra le 6 e le 22) oltre i 5 decibel sopra il normale rumore di fondo (si tiene conto del traffico, dei clacson, delle voci della gente per strada, ecc.) e di notte (tra le 22 e le 6) oltre i 3 decibel.

Secondo i giudici della Cassazione, «le normative tecniche speciali che prescrivono i livelli di accettabilità delle immissioni, perseguendo esclusivamente interessi pubblici, operano in negativo nei rapporti fra privati e pubblica amministrazione, al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete». Se ne

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deduce – continuano gli Ermellini -, che «la disciplina delle immissioni moleste nei rapporti fra privati va applicata anche quando dette immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse generale». Sarà il giudice a decidere di volta in volta se il limite di tollerabilità viene superato o meno.

In altre parole, si legge ancora nella sentenza, «la soglia di normale tollerabilità dell’immissione rumorosa non ha carattere assoluto, ma dipende dalla situazione ambientale, dalle caratteristiche della zona e dalle abitudini degli abitanti, tutelando il diritto al riposo, alla serenità e all’equilibrio della mente, nonché alla vivibilità dell’abitazione che il rumore e il frastuono mettono a repentaglio».

Rumore del wc in condominio: il risarcimento

La Cassazione sostiene nella sentenza in commento che «il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare è uno dei diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo», principio valido anche per la «tutela alla vivibilità dell’abitazione e alla qualità della vita all’interno delle mura domestiche».

Insomma, un attacco di diarrea dove la cassetta dello scarico dentro il muro provoca troppo rumore del wc in condominio potrebbe anche violare i diritti dell’uomo.

Va riconosciuto, dunque, «un consistente risarcimento del danno morale, e tanto pur non sussistendo alcuno stato di malattia», cioè una patologia che costringa a fare dei frequenti viaggi in bagno.

Note

[1] Cass. ord. n. 21649/2021 del 28.07.2021.

Sentenza

Cass. civ., sez. VI - 2, ord., 28 luglio 2021, n. 21649

Presidente Cosentino – Relatore Giannaccari Fatti di causa

Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da F.P. e Z.R. innanzi al Tribunale di

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La Spezia, con la quale chiesero di accertare che la realizzazione di un secondo bagno da parte di M.C. , M.S. , M.D. e M.N. , proprietari dell'appartamento confinante, provocava immissioni sonore intollerabili derivanti dagli scarichi; gli

attori chiesero l'eliminazione di dette immissioni ed il risarcimento dei danni. Il Tribunale di La Spezia rigettò la domanda. La Corte d'appello di Genova dispose CTU ed accertò che il secondo bagno era stato realizzato in una parete adiacente la stanza da letto dell'appartamento confinante ove era posta la testiera del letto;

accertò inoltre che l'appartamento degli attori, di modestissime dimensione, non consentiva una diversa dimensione degli spazi. Il CTU evidenziò non solo un notevole superamento della normale tollerabilità ma anche lo "spregiudicato "uso

del bene comune", posto che la cassetta di incasso del wc era stata installata nel muro divisorio, avente lo spessore di cm 22 mentre avrebbe potuto trovare collocazione nel loro locale bagno. La corte di merito accertò che le immissioni

arrecavano disturbo al riposo anche nelle ore notturne e nelle prime ore del mattino, pregiudicando la normale qualità della vita in un luogo destinato al riposo.

Il CTU individuò una serie di opere idonee a ridurre le immissioni e la corte ne ordinò la realizzazione sulla base di dette indicazioni; infine, liquidò il danno in via

equitativa in Euro 500,00 l'anno all'attualità, con decorrenza dal 2003,

considerando il disturbo nelle ore notturne, aggravato dal frequente uso del bagno in tali ore notturne da parte del convenuto, con ciò configurandosi una lesione del

diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana, diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall'art. 8 CEDU. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.C. , M.S. , M.D. e M.N. sulla base di due

motivi. F.P. e Z.R. hanno resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza, i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative Il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., di manifesta infondatezza del

ricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 844 e 2697 c.c., degli artt. 115,116,194,195 e 166 c.p.c., in relazione all'art.

360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto il CTU non avrebbe tenuto conto dei rumori di fondo, avrebbe svolto le misurazione in periodo di bassa stagione turistica e soltanto nella stanza

da letto ovvero nelle immediate vicinanze della parete divisoria e con le finestre chiuse. Nel valutare il superamento della normale tollerabilità, il giudice di merito non avrebbe tenuto conto che si trattava di un luogo ad alta vocazione turistica nel

periodo estivo ed invernale sicché le misurazioni si sarebbero dovute svolgere in periodo estivo e con finestre aperte. Il motivo non è fondato. In primo luogo, va precisato che le normative tecniche speciali, che prescrivono i livelli di accettabilità

delle immissioni, perseguendo esclusivamente interessi pubblici, operano in negativo nei rapporti fra privati e pubblica Amministrazione, al fine di assicurare

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alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. Esse possono valere come indici valutativi del limite di intollerabilità nei rapporti orizzontali di vicinato, ai sensi dell'art. 844 c.c., (Cassazione civile sez. II, 01/10/2018, n. 23754) La disciplina delle

immissioni moleste in "alienum" nei rapporti fra privati va rinvenuta, infatti, nell'art. 844 c.c., alla stregua delle cui disposizioni, quand'anche dette immissioni

non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice

che tenga conto delle particolarità della situazione concreta (conf. Cass. n.

17281/2005 che ribadisce che la valutazione compiuta sul punto, con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di

legittimità). L'art. 844 c.c., affida al giudice il compito di individuare nel caso concreto il significato da attribuire a tale locuzione così ampia e generica, dal momento che la soglia di normale tollerabilità dell'immissione rumorosa non ha carattere assoluto, ma dipende dalla situazione ambientale, dalle caratteristiche della zona e dalle abitudini degli abitanti, tutelando il diritto al riposo, alla serenità

e all'equilibrio della mente, nonché alla vivibilità dell'abitazione che il rumore e il frastuono mette a repentaglio. L'accertata esposizione ad immissioni sonore

intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza (Cass.

n. 26899 del 2014). Nel caso di specie, la corte di merito ha accertato il superamento della normale tollerabilità sulla base delle conclusioni cui era pervenuto il CTU, il quale ha rilevato un significativo superamento di tre decibel rispetto agli standard previsti dalla normativa specifica (pag. 9 della sentenza) ed

ha evidenziato come le immissioni sonore fossero inevitabili in relazione alle caratteristiche costruttive del secondo vano bagno, dal momento che lo scarico era

stato installato nel muro divisorio ed al confine con la stanza da letto, tenuto conto del frequente utilizzo nelle ore notturne da parte del convenuto. Quanto all'erroneità del criterio di rilevamento delle immissioni sonore, avvenute nelle ore

notturne e quindi in assenza di rumori di fondo, la corte di merito si è conformata al principio secondo cui il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai

assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla

quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd.

criterio comparativo), sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata (Cassazione civile sez. II, 05/11/2018, n. 28201). Nel caso di specie, infatti, il giudice di merito, nel tenere conto della rumorosità di fondo, ha

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accertato in concreto che le immissioni rumorose prodotte da un bagno possono essere anche notturne e, in questo caso, verificarsi in una situazione di rumore di

fondo pressoché inesistente. Cosicché non è illogico il giudizio della corte distrettuale operato in situazione di scarso rumore di fondo, ovvero alle 10 del mattino di un giorno feriale piovoso. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la

violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., artt. 2043,2697 e 2727 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito liquidato il

danno senza che ne fosse stata fornita la prova, pur trattandosi di danno conseguenza. Il motivo è infondato. È stato affermato da questa Corte che il diritto

al rispetto della propria vita privata e familiare è uno dei diritti protetti dalla Convenzione Europea dei diritti umani (art. 8). La Corte di Strasburgo ha fatto più

volte applicazione di tale principio anche a fondamento della tutela alla vivibilità dell'abitazione e alla qualità della vita all'interno di essa, riconoscendo alle parti

assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale, e tanto pur non sussistendo alcuno stato di malattia. (Cass. sez. 3, n.

20927, 16/10/2015, Rv. 637537). Si è analogamente affermato che pur quando non risulti integrato un danno biologico, la lesione del diritto al normale svolgimento

della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sono pregiudizi

apprezzabili in termini di danno non patrimoniale (Cass. n. 7875 del 2009). A tali principi si è conformata la corte di merito che ha accertato la sussistenza di un

danno risarcibile correlato al pregiudizio al diritto al riposo, che ridonda sulla qualità della vita di un individuo e conseguentemente sul diritto alla salute costituzionalmente garantito. Non si tratta di danno in re ipsa ma di danno- conseguenza, che, secondo l'accertamento della corte di merito, è stato provato in

termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa. Il ricorso va pertanto rigettato; Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato

atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il

ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2000,00 oltre Iva e cap come per legge oltre ad Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore

importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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