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L uomo più fortunato del mondo

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Academic year: 2022

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L’uomo più fortunato del mondo

di Carlo Impellizzeri

L’uomo più

fortunato del mondo giunge, con le tasche piene di sale, nel villaggio dove anche

le case sembrano chiedere l’elemosina. Somigliano a scatole di cartone adagiate

l’una sull’altra in un gioco di fanciulli. I colori sgargianti delle facciate ne

amplificano l’aspetto giocoso: giallo paglia, magenta, turchese, rosso sangue. Ognuno

a fare da contrasto a un pallido verde speranza. Se le finestre sono occhi spalancati,

i balconi bocche da sfamare.

L’uomo più

fortunato del mondo osserva i bambini che, per primi, come sciami di cavallette

impazzite, spaventano oche e galline, sollevano polvere e curiosità, corrono

verso di lui e lo accolgono con abbracci e grida festose di giubilo. Un bimbo,

occhi da volpe, prova a tirargli la giacca ma viene spinto via. L’uomo più

fortunato del mondo lo ignora. Lui non porta caramelle o droga. No. Non è qui

per distribuire armi. Non cerca milizia da assoldare. Lui sparge sale.

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Indossa,

anche oggi, l’abito bianco. Quello elegante. Quello del

“finché morte non vi

separi”. Dal taschino, come sporgendosi da un balcone, un vistoso fazzoletto

vermiglio si contrappone all’elegante doppiopetto. Le scarpe, bianche anch’esse,

splendono di vernice lucida. Un occhio attento noterebbe le crepe, ma qui, dove

miseria e povertà fanno a gara con dolore e morte, gli occhi guardano le mani. Le

sue mani.

Sì, perché ciò

che con quelle mani elargisce, quel sale che sparge, è magico.

Lo sanno tutti. Pare

che quell’uomo abbia una fortuna smisurata e ogni granello ne contenga un

pizzico. E quando decide di spargerne un poco, come una benedizione dell’altissimo,

allontana la sfortuna e il malocchio. Così dicono.

L’uomo più

fortunato del mondo è alto di statura. La sua testa è un faro che emerge in un

mare di altre teste. Gli occhi guizzano, ruotano, cercano, smaniano. Se trovano

angoli senza luce, dove la sfortuna più nera costruisce nidi solidi e duraturi,

allora si fermano. Gli spigoli della bocca si allargano e, come da un sipario

che si apre, trentadue denti scintillanti emergono per regalare un sorriso di

speranza.

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C’è una

famiglia: padre, madre e due bimbe con i segni della terra sul viso. Indossano stracci

che un tempo volevano essere neri. Destano la sua curiosità.

Non si uniscono

alla folla. Se ne stanno in disparte, immobili, grigi davanti all’uscio della

loro casa grigia.

“Quelli sono

gli intoccabili” bisbiglia un uomo.

“Nessuno

parla con loro, porta male.”

“Lasciali

stare, allontanati, sono impuri.”

Chiarisce

alla folla, deviando verso la casa, che non ascolterà alcun consiglio. Da

vicino sono due ragazzi che la sfortuna del mondo ha fatto vecchi, genitori a

poco più di vent’anni. Le labbra del padre sono serrate e tremano. Gli occhi acquosi,

specchi pallidi di luce velata. La madre è preoccupata.

Nessuno nel villaggio si

avvicina. Nessuno gioca con le sue bambine. Invisibili agli occhi di tutti. Poveri

tra i poveri. I quattro fanno da tenda a una porta che non c’è e quando l’uomo chiede

di poter visitare la loro dimora, non ne comprendono il motivo. All’interno la

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miseria appare in ottimo stato. Cartoni per letti di fortuna, un pentolino deformato,

una bambola senza testa, un secchio logoro che funge anche da latrina.

L’uomo più

fortunato del mondo, con gesti lenti e decisi, getta pizzichi di sale in ogni

angolo della stanza e sulla bambola decapitata, poi esce.

Bacia sulla fronte,

tra lo stupore dei presenti, il quartetto, dalla bimba al padre. Partono

applausi, urla di gioia, fischi. La giovane madre si getta ai suoi piedi, gli afferra

le scarpe impolverate, le pulisce, le bacia. Lui con un gesto plateale apre il pugno

e le bagna, di sale, i capelli.

“Che

famiglia fortunata” esclama qualcuno.

“Che casa fortunata.”

Il giovane padre,

incredulo, circondato da braccia e strette di mano, sorride e piange. Piange e

sorride.

Qualche casa

più avanti, l’uomo più fortunato del mondo visita un anziano, costretto a letto

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da un male oscuro. C’è poco da fare ormai. Lo sanno entrambi.

Unica fonte di

sostegno alla famiglia, sta per andarsene. Non sa decidere, il poveretto, quale

sia il male minore tra la fine di una vita di sofferenze e un futuro incerto

per i suoi cari. Tuttavia l’uomo vuole dispensargli speranza.

Gli apre le dita

raggrinzite, versa un pizzico del suo sale sul palmo e gli stringe il pugno.

“Dicono che se

la fortuna è cieca, la malasorte non porta occhiali scuri o bende sugli occhi. Se

dovesse trovarti anche nell’altro mondo, questo ti aiuterà a tenerla lontana.”

I parenti

del vecchio lo toccano, lo ringraziano, gli baciano la mano.

Lui sparge sale.

Ancora una

volta, occhi di volpe, prova a tirargli la giacca. Lo trattengono.

“Cosa c’è

ragazzo? Cosa vuoi dirmi?”

“Sei davvero

l’uomo più fortunato del mondo?”

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“Così

dicono” risponde cauto.

“Forse lo

dicono perché sei tu a dirlo.”

“So di esserlo.”

“È il nipote

della strega” lo avverte qualcuno. “Mandalo via.”

“Perché le

tue scarpe sono vecchie e crepate? Non puoi acquistarne un paio nuove?”

“Cosa vuoi?”

lo ammonisce l’uomo. “Cosa posso fare per te?”

“È per mia

nonna. Ti vuole vedere. Mi ha mandato a chiamarti, ma questa gente me lo impedisce.”

“Non andare

da quella megera, signore. È un demonio.”

“Ti

incanterà. Lo ha già fatto con il resto del villaggio.”

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“Seguimi. La

sua casa è laggiù in fondo.” Il bimbo gliela indica.

“Non

lasciarti corrompere” obietta una donna. “Quello è un luogo di perdizione.”

La casa

della fattucchiera è nera come la pece. Sul davanzale della finestra ha

adagiato carcasse di bestie cornute, candele accese e fiori che hanno smesso di

vivere. Nessuno tra la folla osa seguirlo. All’interno non c’è nessuno a parte

un’accozzaglia di fiale, flaconi e oggetti misteriosi. L’uomo si aggira per la

stanza perplesso sulla reale efficacia di quelle stranezze.

Alle sue spalle una

voce interrompe l’esplorazione:

“È tutta

scena. Specchietti per le allodole.”

L’uomo più

fortunato del mondo si volta verso la donna che ha appena risolto i suoi dubbi.

Un sudario le copre la testa.

Lei lo alza

e aggiunge con malizia: “Come il tuo sale.”

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È attraente.

Né troppo giovane, né troppo vecchia. Le forme sode e invitanti Disegni sul

volto esaltano le pupille di smeraldo. Ha un fantoccio in mano trapunto da

decine di spilloni. Con gesti lenti continua ad aggiungerne altri.

“E così tu

saresti l’uomo più fortunato del mondo? Dalle descrizioni ti credevo un gigante.”

L’uomo

attende in silenzio il motivo della convocazione.

“Gran bel

vestito.” Gli guarda le scarpe e inarca le sopracciglia.

“Quello a

cosa ti serve?” Indica il pendaglio che l’uomo porta al collo:

un piccolo imbuto d’oro.

Il viso

dell’uomo è una maschera di cera.

“Che cosa vuoi?”

“Solo

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conoscerti, in fondo sei un bell’uomo e io una donna sola” Il tono è allusivo.

“Hai una moglie?

Ma certo che ce l’hai. Com’è?” la sua voce è civettuola.

“Sei sicuro

di conoscere tutte le fortune che un letto ti può offrire?” Si volta e indica

con un gesto invitante la stanza sul retro.

L’uomo

accenna un sorriso beffardo. Dalle dita lascia cadere pizzichi di sale. Gli

occhi della fattucchiera guizzano rapidi seguendo i piccoli cristalli che toccano

il pavimento e si sparpagliano. Gli agita il fantoccio sotto il naso con fare

derisorio.

“Già. I

nostri superpoteri.” Si siede su una poltrona ornata che le fa da trono.

“Quindi hai già

tutto? Non posso offriti nulla? Che uomo fortunato.” Il suo tono adulatorio

stride come una forchetta tra i denti.

“Cosa vuoi da me?”

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“Siamo

simili noi due. Entrambi venditori di fumo e di speranza. È facile. Voglio che

tu te ne vada e che non torni più. Mi rovini la piazza. Lascia questa gente

alle loro miserie. Non puoi sovvertire l’ordine delle cose.”

L’uomo non

smette di fissare i suoi occhi. Occhi severi. Occhi sibillini.

Occhi perfidi.

“Questo è il

mio villaggio” gli gracchia. “Io decido cosa è bene e cosa è male. Ti preoccupi

che il mio lavoro porti alla rovina queste persone? Oh, ti do una notizia mio

caro, loro sono già rovinate e il tuo sale non può farci nulla.”

“Lo vedremo.”

L’uomo si volta e va via. Uscendo lascia sul pavimento, dietro di sé, piccole

scie bianche di avvertimento.

La strada

del ritorno verso casa segue un rituale collaudato. L’uomo più fortunato del

mondo la affronta ogni giorno con peso e responsabilità crescenti. Le foglie

cadute creano mulinelli sui bordi del marciapiede. Le osserva.

Si sforza di

rimanere a testa bassa, ma arrivato davanti alla villa è costretto ad alzare lo

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sguardo. Quanti anni sono passati? Lo sfarzo, la bellezza, ormai solo un

lontano ricordo. Il cartello vendesi c’è ancora, mezzo sbiadito. L’auto di

lusso che sostava nel garage è andata persa, insieme a quella casa, dove viveva

con sua moglie e il bambino. Variazioni

di borsa. Sei fuori. Mi dispiace. Così lo avevano liquidato, all’apice

del suo successo. Questo, poco prima dell’incidente. Dal pugno chiuso un rivolo

di sale raggiunge le foglie secche.

L’ora è

quella, la luce sempre la stessa, un arancio dorato che illumina il vialetto d’ingresso

della villa, suo figlio lo aspettava giocando col triciclo senza mai scendere

in strada. Il ricordo è ancora nitido. Tutto stonava con la magia del tramonto.

Il gracchiare delle radio pattuglie, le luci pulsanti delle volanti, la misura enorme

del lenzuolo steso a terra per coprire una forma così piccola, le macchie di

sangue sulla scarpetta.

L’uomo più

fortunato del mondo rimane immobile, come ogni sera, davanti a quella che era

stata la sua vita, il suo mondo. Pensa alla bottiglia che lo attende a casa. Tocca

il piccolo imbuto dorato. La mano si apre, il sacchetto penzola e l’intero

contenuto salino raggiunge la madre terra.

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È sera. L’uomo

più fortunato del mondo si ferma davanti a un condominio incolore. Sale i

gradini fino a una mansardina sul tetto. È qui che adesso vive. Sul comodino c’è

una bottiglia che lo aspetta. Lì, dove aveva trovato la corda, il cappio e il

corpo penzolante di sua moglie, c’è ancora la foto che immortala loro tre in un

istante di felicità. Osserva la bottiglia mezza vuota, anonima, senza

etichetta. Ce ne sono altre in bella mostra, tutte uguali, già riempite e

sigillate. Il pezzo di carne sotto il suo petto è una diga pulsante che sta per

straripare. Seduto sul bordo del letto, prende la foto, la bottiglia e lascia

che i singhiozzi sconquassino gli argini. L’intero corpo inizia a tremare, la

vista si appanna, lacrimoni grossi come perle iniziano a fluire e si

trasformano in affluenti di fiume verso il mare. Solcano le forme del viso. Sfortune

e avversità raggiungono le labbra che ne assaporano il gusto salato, piroettano

fino a confluire sul mento per poi lasciarsi cadere. E cadono.

Dentro il

piccolo imbuto dorato che le cattura in un vortice e le spinge giù, nella bocca

avida della bottiglia, contenitore di disperazione e malasorte, dove le lacrime

che si accumulano sono mare in tempesta agitato dal tremore del suo corpo. Ogni

goccia dentro la bottiglia un ricordo da confinare. Ogni goccia dentro la

bottiglia un dolore da segregare.

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Il tempo scorre

e lascia che le lacrime si raccolgano. Ogni sera un tempo diverso gli ricorda

che nonostante tutto lui è ancora vivo. Che grazie al suo ricordo lo sono anche

loro.

Quando i

singhiozzi si quietano e i fiumi si asciugano, il mare di lacrime nella

bottiglia torna calmo e placido. L’uomo più fortunato del mondo la sigilla, per

evitarne l’evaporazione. Consuma un pasto frugale e prepara un sacchetto di

sale per l’indomani.

Pensa all’incontro

con la donna del villaggio. Così diversi, così simili. Gli uomini sono il sale

della terra, ma se lo dimenticano, se il sale diventa insipido, con che cosa

gli si renderà il sapore? Con la speranza. Li illuderanno? È probabile, ma

regaleranno, a ognuno di loro, il sogno di sentirsi protetti da qualcosa che

non si vede e di cui non si può smentire l’esistenza.

Disteso di

lato, sotto le coperte, osserva le sue sfortune rinchiuse e sigillate dentro le

bottiglie. Se solo sapesse, quella donna, la

fortuna che il suo letto può offrirgli: un sonno sereno e un cuscino

asciutto.

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Che uomo fortunato.

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