L’uomo più fortunato del mondo
di Carlo Impellizzeri
L’uomo più
fortunato del mondo giunge, con le tasche piene di sale, nel villaggio dove anche
le case sembrano chiedere l’elemosina. Somigliano a scatole di cartone adagiate
l’una sull’altra in un gioco di fanciulli. I colori sgargianti delle facciate ne
amplificano l’aspetto giocoso: giallo paglia, magenta, turchese, rosso sangue. Ognuno
a fare da contrasto a un pallido verde speranza. Se le finestre sono occhi spalancati,
i balconi bocche da sfamare.
L’uomo più
fortunato del mondo osserva i bambini che, per primi, come sciami di cavallette
impazzite, spaventano oche e galline, sollevano polvere e curiosità, corrono
verso di lui e lo accolgono con abbracci e grida festose di giubilo. Un bimbo,
occhi da volpe, prova a tirargli la giacca ma viene spinto via. L’uomo più
fortunato del mondo lo ignora. Lui non porta caramelle o droga. No. Non è qui
per distribuire armi. Non cerca milizia da assoldare. Lui sparge sale.
Indossa,
anche oggi, l’abito bianco. Quello elegante. Quello del
“finché morte non vi
separi”. Dal taschino, come sporgendosi da un balcone, un vistoso fazzoletto
vermiglio si contrappone all’elegante doppiopetto. Le scarpe, bianche anch’esse,
splendono di vernice lucida. Un occhio attento noterebbe le crepe, ma qui, dove
miseria e povertà fanno a gara con dolore e morte, gli occhi guardano le mani. Le
sue mani.
Sì, perché ciò
che con quelle mani elargisce, quel sale che sparge, è magico.
Lo sanno tutti. Pare
che quell’uomo abbia una fortuna smisurata e ogni granello ne contenga un
pizzico. E quando decide di spargerne un poco, come una benedizione dell’altissimo,
allontana la sfortuna e il malocchio. Così dicono.
L’uomo più
fortunato del mondo è alto di statura. La sua testa è un faro che emerge in un
mare di altre teste. Gli occhi guizzano, ruotano, cercano, smaniano. Se trovano
angoli senza luce, dove la sfortuna più nera costruisce nidi solidi e duraturi,
allora si fermano. Gli spigoli della bocca si allargano e, come da un sipario
che si apre, trentadue denti scintillanti emergono per regalare un sorriso di
speranza.
C’è una
famiglia: padre, madre e due bimbe con i segni della terra sul viso. Indossano stracci
che un tempo volevano essere neri. Destano la sua curiosità.
Non si uniscono
alla folla. Se ne stanno in disparte, immobili, grigi davanti all’uscio della
loro casa grigia.
“Quelli sono
gli intoccabili” bisbiglia un uomo.
“Nessuno
parla con loro, porta male.”
“Lasciali
stare, allontanati, sono impuri.”
Chiarisce
alla folla, deviando verso la casa, che non ascolterà alcun consiglio. Da
vicino sono due ragazzi che la sfortuna del mondo ha fatto vecchi, genitori a
poco più di vent’anni. Le labbra del padre sono serrate e tremano. Gli occhi acquosi,
specchi pallidi di luce velata. La madre è preoccupata.
Nessuno nel villaggio si
avvicina. Nessuno gioca con le sue bambine. Invisibili agli occhi di tutti. Poveri
tra i poveri. I quattro fanno da tenda a una porta che non c’è e quando l’uomo chiede
di poter visitare la loro dimora, non ne comprendono il motivo. All’interno la
miseria appare in ottimo stato. Cartoni per letti di fortuna, un pentolino deformato,
una bambola senza testa, un secchio logoro che funge anche da latrina.
L’uomo più
fortunato del mondo, con gesti lenti e decisi, getta pizzichi di sale in ogni
angolo della stanza e sulla bambola decapitata, poi esce.
Bacia sulla fronte,
tra lo stupore dei presenti, il quartetto, dalla bimba al padre. Partono
applausi, urla di gioia, fischi. La giovane madre si getta ai suoi piedi, gli afferra
le scarpe impolverate, le pulisce, le bacia. Lui con un gesto plateale apre il pugno
e le bagna, di sale, i capelli.
“Che
famiglia fortunata” esclama qualcuno.
“Che casa fortunata.”
Il giovane padre,
incredulo, circondato da braccia e strette di mano, sorride e piange. Piange e
sorride.
Qualche casa
più avanti, l’uomo più fortunato del mondo visita un anziano, costretto a letto
da un male oscuro. C’è poco da fare ormai. Lo sanno entrambi.
Unica fonte di
sostegno alla famiglia, sta per andarsene. Non sa decidere, il poveretto, quale
sia il male minore tra la fine di una vita di sofferenze e un futuro incerto
per i suoi cari. Tuttavia l’uomo vuole dispensargli speranza.
Gli apre le dita
raggrinzite, versa un pizzico del suo sale sul palmo e gli stringe il pugno.
“Dicono che se
la fortuna è cieca, la malasorte non porta occhiali scuri o bende sugli occhi. Se
dovesse trovarti anche nell’altro mondo, questo ti aiuterà a tenerla lontana.”
I parenti
del vecchio lo toccano, lo ringraziano, gli baciano la mano.
Lui sparge sale.
Ancora una
volta, occhi di volpe, prova a tirargli la giacca. Lo trattengono.
“Cosa c’è
ragazzo? Cosa vuoi dirmi?”
“Sei davvero
l’uomo più fortunato del mondo?”
“Così
dicono” risponde cauto.
“Forse lo
dicono perché sei tu a dirlo.”
“So di esserlo.”
“È il nipote
della strega” lo avverte qualcuno. “Mandalo via.”
“Perché le
tue scarpe sono vecchie e crepate? Non puoi acquistarne un paio nuove?”
“Cosa vuoi?”
lo ammonisce l’uomo. “Cosa posso fare per te?”
“È per mia
nonna. Ti vuole vedere. Mi ha mandato a chiamarti, ma questa gente me lo impedisce.”
“Non andare
da quella megera, signore. È un demonio.”
“Ti
incanterà. Lo ha già fatto con il resto del villaggio.”
“Seguimi. La
sua casa è laggiù in fondo.” Il bimbo gliela indica.
“Non
lasciarti corrompere” obietta una donna. “Quello è un luogo di perdizione.”
La casa
della fattucchiera è nera come la pece. Sul davanzale della finestra ha
adagiato carcasse di bestie cornute, candele accese e fiori che hanno smesso di
vivere. Nessuno tra la folla osa seguirlo. All’interno non c’è nessuno a parte
un’accozzaglia di fiale, flaconi e oggetti misteriosi. L’uomo si aggira per la
stanza perplesso sulla reale efficacia di quelle stranezze.
Alle sue spalle una
voce interrompe l’esplorazione:
“È tutta
scena. Specchietti per le allodole.”
L’uomo più
fortunato del mondo si volta verso la donna che ha appena risolto i suoi dubbi.
Un sudario le copre la testa.
Lei lo alza
e aggiunge con malizia: “Come il tuo sale.”
È attraente.
Né troppo giovane, né troppo vecchia. Le forme sode e invitanti Disegni sul
volto esaltano le pupille di smeraldo. Ha un fantoccio in mano trapunto da
decine di spilloni. Con gesti lenti continua ad aggiungerne altri.
“E così tu
saresti l’uomo più fortunato del mondo? Dalle descrizioni ti credevo un gigante.”
L’uomo
attende in silenzio il motivo della convocazione.
“Gran bel
vestito.” Gli guarda le scarpe e inarca le sopracciglia.
“Quello a
cosa ti serve?” Indica il pendaglio che l’uomo porta al collo:
un piccolo imbuto d’oro.
Il viso
dell’uomo è una maschera di cera.
“Che cosa vuoi?”
“Solo
conoscerti, in fondo sei un bell’uomo e io una donna sola” Il tono è allusivo.
“Hai una moglie?
Ma certo che ce l’hai. Com’è?” la sua voce è civettuola.
“Sei sicuro
di conoscere tutte le fortune che un letto ti può offrire?” Si volta e indica
con un gesto invitante la stanza sul retro.
L’uomo
accenna un sorriso beffardo. Dalle dita lascia cadere pizzichi di sale. Gli
occhi della fattucchiera guizzano rapidi seguendo i piccoli cristalli che toccano
il pavimento e si sparpagliano. Gli agita il fantoccio sotto il naso con fare
derisorio.
“Già. I
nostri superpoteri.” Si siede su una poltrona ornata che le fa da trono.
“Quindi hai già
tutto? Non posso offriti nulla? Che uomo fortunato.” Il suo tono adulatorio
stride come una forchetta tra i denti.
“Cosa vuoi da me?”
“Siamo
simili noi due. Entrambi venditori di fumo e di speranza. È facile. Voglio che
tu te ne vada e che non torni più. Mi rovini la piazza. Lascia questa gente
alle loro miserie. Non puoi sovvertire l’ordine delle cose.”
L’uomo non
smette di fissare i suoi occhi. Occhi severi. Occhi sibillini.
Occhi perfidi.
“Questo è il
mio villaggio” gli gracchia. “Io decido cosa è bene e cosa è male. Ti preoccupi
che il mio lavoro porti alla rovina queste persone? Oh, ti do una notizia mio
caro, loro sono già rovinate e il tuo sale non può farci nulla.”
“Lo vedremo.”
L’uomo si volta e va via. Uscendo lascia sul pavimento, dietro di sé, piccole
scie bianche di avvertimento.
La strada
del ritorno verso casa segue un rituale collaudato. L’uomo più fortunato del
mondo la affronta ogni giorno con peso e responsabilità crescenti. Le foglie
cadute creano mulinelli sui bordi del marciapiede. Le osserva.
Si sforza di
rimanere a testa bassa, ma arrivato davanti alla villa è costretto ad alzare lo
sguardo. Quanti anni sono passati? Lo sfarzo, la bellezza, ormai solo un
lontano ricordo. Il cartello vendesi c’è ancora, mezzo sbiadito. L’auto di
lusso che sostava nel garage è andata persa, insieme a quella casa, dove viveva
con sua moglie e il bambino. Variazioni
di borsa. Sei fuori. Mi dispiace. Così lo avevano liquidato, all’apice
del suo successo. Questo, poco prima dell’incidente. Dal pugno chiuso un rivolo
di sale raggiunge le foglie secche.
L’ora è
quella, la luce sempre la stessa, un arancio dorato che illumina il vialetto d’ingresso
della villa, suo figlio lo aspettava giocando col triciclo senza mai scendere
in strada. Il ricordo è ancora nitido. Tutto stonava con la magia del tramonto.
Il gracchiare delle radio pattuglie, le luci pulsanti delle volanti, la misura enorme
del lenzuolo steso a terra per coprire una forma così piccola, le macchie di
sangue sulla scarpetta.
L’uomo più
fortunato del mondo rimane immobile, come ogni sera, davanti a quella che era
stata la sua vita, il suo mondo. Pensa alla bottiglia che lo attende a casa. Tocca
il piccolo imbuto dorato. La mano si apre, il sacchetto penzola e l’intero
contenuto salino raggiunge la madre terra.
È sera. L’uomo
più fortunato del mondo si ferma davanti a un condominio incolore. Sale i
gradini fino a una mansardina sul tetto. È qui che adesso vive. Sul comodino c’è
una bottiglia che lo aspetta. Lì, dove aveva trovato la corda, il cappio e il
corpo penzolante di sua moglie, c’è ancora la foto che immortala loro tre in un
istante di felicità. Osserva la bottiglia mezza vuota, anonima, senza
etichetta. Ce ne sono altre in bella mostra, tutte uguali, già riempite e
sigillate. Il pezzo di carne sotto il suo petto è una diga pulsante che sta per
straripare. Seduto sul bordo del letto, prende la foto, la bottiglia e lascia
che i singhiozzi sconquassino gli argini. L’intero corpo inizia a tremare, la
vista si appanna, lacrimoni grossi come perle iniziano a fluire e si
trasformano in affluenti di fiume verso il mare. Solcano le forme del viso. Sfortune
e avversità raggiungono le labbra che ne assaporano il gusto salato, piroettano
fino a confluire sul mento per poi lasciarsi cadere. E cadono.
Dentro il
piccolo imbuto dorato che le cattura in un vortice e le spinge giù, nella bocca
avida della bottiglia, contenitore di disperazione e malasorte, dove le lacrime
che si accumulano sono mare in tempesta agitato dal tremore del suo corpo. Ogni
goccia dentro la bottiglia un ricordo da confinare. Ogni goccia dentro la
bottiglia un dolore da segregare.
Il tempo scorre
e lascia che le lacrime si raccolgano. Ogni sera un tempo diverso gli ricorda
che nonostante tutto lui è ancora vivo. Che grazie al suo ricordo lo sono anche
loro.
Quando i
singhiozzi si quietano e i fiumi si asciugano, il mare di lacrime nella
bottiglia torna calmo e placido. L’uomo più fortunato del mondo la sigilla, per
evitarne l’evaporazione. Consuma un pasto frugale e prepara un sacchetto di
sale per l’indomani.
Pensa all’incontro
con la donna del villaggio. Così diversi, così simili. Gli uomini sono il sale
della terra, ma se lo dimenticano, se il sale diventa insipido, con che cosa
gli si renderà il sapore? Con la speranza. Li illuderanno? È probabile, ma
regaleranno, a ognuno di loro, il sogno di sentirsi protetti da qualcosa che
non si vede e di cui non si può smentire l’esistenza.
Disteso di
lato, sotto le coperte, osserva le sue sfortune rinchiuse e sigillate dentro le
bottiglie. Se solo sapesse, quella donna, la
fortuna che il suo letto può offrirgli: un sonno sereno e un cuscino
asciutto.
Che uomo fortunato.