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30 maggio 2021, Pisa

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Academic year: 2022

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30 maggio 2021, Pisa

Ore 16.20. Sono all’aeroporto di Pisa, in attesa che aprano il check-in per il volo Ryanair diretto a Brindisi, con partenza alle 18.30 e arrivo alle 19.55. Da lì, Cinzia e Massimo di Associazione Tarantini ETS verranno a prendermi per portarmi in hotel a Taranto (circa un’ora di viaggio).

E’ strano essere qui. La pandemia non è ancora ufficialmente finita ma le vaccinazioni procedono. L’ultima volta in cui ho volato è stato novembre 2019. Ora l’aeroporto è “spento”, nel senso che la maggior parte dei negozi è chiusa, tutti portiamo le mascherine, c’è sempre la distanza sociale…

Tra stasera e domani Cinzia e Massimo mi spiegheranno meglio cosa faremo nei prossimi giorni ma l’idea è incontrare quante più persone possibile (ex operai dell’ex Ilva, genitori che hanno perso i figli…) per raccontare Taranto dall’interno perché va da sé che è allucinante che nel 2021, in un Paese civile e “ricco”

come l’Italia, ci siano ancora persone come i tarantini che devono lottare per quello che, per legge, è un loro diritto umano che acquisiscono, come noialtri, al momento della nascita.

Non so che ore sono. Siamo in volo. Sarà passata circa mezz’ora da quando siamo partiti. Siedo accanto al finestrino (il mio posto preferito) e mentre scrivo vedo un tappeto di nuvole bianche sotto di noi (cioè qualche centinaia di metri sotto di noi). Il cielo è azzurro, il sole brilla. Dovremmo atterrare a Brindisi con circa un quarto d’ora d’anticipo, alle 19.40.

E’ quasi mezzanotte. Sono in hotel. Cinzia e Massimo sono venuti a prendermi all’aeroporto di Brindisi e da lì siamo andati in auto a Taranto. Cinzia e Massimo sono entrambe persone splendide, alla mano, disponibili e simpatiche. Siamo passati vicino all’ex Ilva e al quartiere Tamburi, uno dei quartieri più vicini alla fabbrica – spesso chiamata il “mostro” – e quindi è logico che le persone che ci abitano soffrano di più degli effetti della vicinanza all’ex Ilva, anche se si ammalano e muoiono anche bambini e persone di quartieri più lontani, però ovviamente quelli più vicini ne risentono di più.

Massimo mi ha detto che le dimensioni dell’ex Ilva sono impressionanti, lui sa tutte le misure precise ma poiché eravamo in auto non ho avuto modo di scrivere, comunque mi sembra di ricordare che l’ex Ilva, in quanto a dimensioni, possa ospitare circa 60.000 persone. A Tamburi la gente dipinge di rosso i muri esterni, per evitare di doverli dipingere in continuazione (se, per esempio, li lasciassero bianchi).

Diventerebbero rossi comunque per via delle emissioni di polveri di ferro emanate dall’ex Ilva. Ho visto di sfuggita e da fuori l’ex Ilva e sì, le sue dimensioni sono sicuramente impressionanti. I fumi vanno in cielo.

“La polvere che respiriamo noi”, dice Cinzia, “lo schifo.”

L’ex Ilva è stata costruita nel 1961 e resa operativa pochi anni dopo. Massimo ricorda che, quando era bambino, negli anni ’60, in qualunque quartiere di Taranto e nei dintorni respiravi pura aria di mare.

Quando un bambino di qualsiasi altra città – mettiamo di Milano, Roma, Firenze o Livorno – soffriva di problemi respiratori il medico diceva ai genitori di portarlo al mare a Taranto, perché lì si respirava l’aria buona e pulita. “Io non ricordo nemmeno cosa voglia dire, respirare quell’aria di mare”, ha detto Cinzia.

Abbiamo cenato insieme in un ristorante di cui non so il nome. E’ stata una bella serata. Ho visto dalla macchina la Città Vecchia, il ponte girevole, il Castello, ecc… domattina alle 9 Cinzia e Massimo verranno a prendermi in hotel per essere per le 10, anche prima, alla manifestazione per la sentenza del processo.

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Avrebbero dovuto farla qualche giorno fa, mi sembra sabato, però è stata spostata a domani, chissà se non è un segno del destino, che sia presente anche io. Massimo è ottimista, “anche perché due giudici sono donne”. Cinzia non si sbilancia più di tanto, abituata, purtroppo, a vedere la giustizia che si gira dall’altra parte. Domani incontrerò anche alcune delle altre persone che intervisterò nei prossimi giorni e prenderò appuntamenti per parlare con tutti, vedere l’ex Ilva e magari anche visitare Taranto.

31 maggio 2021

Valter Grubissa: “Stamani c’è la sentenza primo grado del processo ambiente svenduto con gli imputati storici nella gestione dello stabilimento che per tanti anni è stato in mano all’Ilva, da quando venne svenduto dal governo Prodi, tenuto senza manutenzione, senza nessun progetto di ammodernamento.

Oggi la produzione di acciaio non può più essere sostenuta con un metodo tradizionale, ormai si va verso la de-carbonizzazione. Lì ci sono gli imputati eccellenti, quelli che nelle intercettazioni telefoniche si prendevano gioco della gente, Vendola rischia 5 anni. Ci sono i due Riva, ci sono poi quelli per i quali hanno chiesto 28 anni, le pene più pesanti. Questa sentenza è importante perché, a nostro parere, a Roma aspettano questa per regolarsi di conseguenza, c’è la sentenza del Consiglio di Stato, è quella che dovrebbe sancire la validità o meno di quella del TAR, della sezione di Lecce, che ha dato ragione al Sindaco Melucci.

Questa deve essere convalidata dal Consiglio di Stato che noi riteniamo sia un organo politico più che giudiziario. Temiamo, nonostante la sentenza di oggi, che dovrebbe essere di condanna per tutti gli imputati, che rimanga avversa in nome della modernizzazione, nemmeno del lavoro, perché questo viene calpestato lì dentro. Anche se la sentenza fosse a favore, da parte del Consiglio di Stato, Giorgietti potrebbe impugnare un eventuale sentenza del Consiglio di Stato a loro sfavore per rendere possibile sempre il funzionamento della fabbrica perché ritenuta dal governo un Sito d’Interesse Nazionale. Questo farebbe a cazzotti con la Costituzione. Stiamo aspettando anche la sentenza della CEDU perché già la prima sentenza di condanna nei confronti dello Stato italiano è stata disattesa, ma è stata fatta un’altra richiesta, sono state aggiunte altre prove, è stato provato che lo Stato italiano non si è adattato alle misure che avrebbe dovuto osservare. L’Europa e le leggi europee sono al di sopra delle leggi italiane; è ovvio che un’altra sentenza italiana sarebbe una mazzata per chi si ostina a non capire. Dal punto di vista economico, c’è da dire, uno stabilimento come l’ex Ilva non ha più ragioni di esistere. I tentativi di dimostrare che con la de- carbonizzazione e l’uso dell’idrogeno una fabbrica come quella sarebbe andata avanti sono tecnicamente impossibili.”

Oggi è il quarto anniversario della salita al cielo di Ambra, una bambina, racconta una donna. “I bambini di Taranto vogliono vivere, devono vivere!” dice al TG1; “La situazione ci porta a pensare di andare via”, dice una mamma di quattro figli.

Simona, mamma di Andrea, 8 anni, e di una ragazza di 19 anni. “Andrea è nato con mutazione genesox4, non è ereditata da nessuno. Una sindrome che causa malformazioni a organi, cervello e scheletro. Alcuni sintomi sono: cardiopatia, epilessia, ipovisione, ritardo mentale, incontinenza, dismotività intestinale, ecc…

Siamo seguiti all’ospedale S. Orsola di Bologna nel reparto multispecialistica, malattie rare. La malattia non ha un nome, non esiste in medicina e non c’è una motivazione valida.”

Le chiedo se pensa ci siano collegamenti fra l’ex Ilva e la malattia del figlio: “Questo gene si modifica alla 14esima settimana del feto ed è la causa della malformazione degli organi già in gravidanza. Influisce sulla crescita di scheletro e cervello. Vorrei fare esami specifici per capire se è collegata all’ex Ilva perché non ha nome e non è ereditaria. Non sappiamo l’aspettativa di vita. Andrea ne è il portavoce, è stato uno dei primi bambini nel mondo a essere diagnosticato.”

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Maria Delia, mamma di Leoluca: “Nel 2012 mio figlio Leoluca si è ammalato a 15 anni. E’ iniziato tutto con un piccolo dolore al polpaccio, sottovalutato, non immaginando un cancro. Era un dolore che andava e veniva, la gamba si era gonfiata, è stato sottoposto a esami approfonditi. Qui a Taranto ci dissero “sospetto sarcoma” e ci hanno spediti a Bologna, al Rizzoli. Indagini, biopsia, esame istologico: sarcoma delle parti molli IV stadio. Avremmo dovuto tentare con la chemio prima di amputare. Se il tumore si fosse ridotto avrebbero cercato di salvare la gamba. Il tumore era di circa 14cm. Dopo tre cicli di chemio, il tumore si era un po’ ridotto, hanno asportato i muscoli, lasciando l’osso intatto. Intervento.

Quattro cicli di chemio più trentuno di radio. Un anno intero, su e giù Taranto-Bologna e Bologna-Taranto. Nel 2012 non c’era ancora un reparto di oncologia pediatrica qui. Leoluca ha ripreso la sua vita anche senza muscoli del polpaccio, quindi con una disabilità visibile e permanente.

Ha frequentato la scuola dentro il Rizzoli (due anni), ha conseguito il diploma e ora lavora. E’ un ragazzo forte e sereno. Per noi quello è stato l’anno 0. Da lì in poi ogni dolore o fastidio è motivo d’indagine approfondita, sia per lui sia per gli altri due figli.”

Le chiedo se pensa che la malattia di Leoluca sia collegata all’ex Ilva: “Certo. I dottori chiaramente non ce l’hanno mai confermato. Il sarcoma è direttamente collegato alle emissioni di diossina e metalli pesanti.”

Perché la gente del resto d’Italia dovrebbe preoccuparsi di cosa succede qui a Taranto? “Dovrebbero preoccuparsene perché respiriamo tutti la solita aria. Noi non abitiamo vicino all’ex Ilvia eppure…L’incidenza di sarcomi aumenta vertiginosamente, quando ci dicono che è un tumore “raro”.

Dobbiamo lottare per i bambini e i ragazzi, perché loro sono le nuove generazioni.”

Le chiedo cosa si aspetta dalla sentenza di oggi. “Giustizia per qualcosa che riguarda il passato. Una sentenza storica che faccia da guida per i reati commessi dal 2013 in poi. Il Covid-19 ha fermato tutto il mondo ma l’ex Ilva continua a lavorare, dal 2013 fino a oggi. Abbiamo il diritto di sapere quanti bambini si sono ammalati dal 2013 a oggi e fare giustizia per loro. Mittal si ritenga avvisata.”

Mancano pochi minuti alla lettura della sentenza. Sento una mamma che ha appena scoperto che deve far operare il bambino di sette anni di ernia inguinale o iatale, non sento bene, non sta parlando direttamente con me. “Ha una pallina così. Quando l’ho vista ovviamente mi è preso un colpo.”

“Spero che non sia l’ennesima delusione”, dice una mamma.

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C’è un megafono da cui comunicano gli esiti. Si capisce poco o niente, la voce va e viene. Una mamma: “Ho la pelle d’oca.” Li stanno facendo tutti colpevoli. La gioia e soddisfazione delle persone. “Oddio, sto tremando” dice una donna. Una cosa più unica che rara che qui (e non solo) venga fatta giustizia. “Tutti colpevoli” confermano delle persone. “In attesa di certezze sugli esiti, una notizia è sicura: tutti condannati!” Le persone battono le mani, “Chi gestisce gli impianti è un criminale e per anni l’abbiamo detto solo noi. Questi impianti sono ancora aperti e producono acciaio, morte e inquinamento ambientale.

Devono essere chiusi. Anni di lotte e denunce per dire che questa terra merita giustizia. A dire che gli impianti sono criminali è un tribunale, ora, non siamo più solo noi!”

Ada Le Noci: “Ho iniziato nel 2011. Una delle attività è stata la creazione del Comitato Verità per Taranto con lo scopo di portare in piazza le persone che non ci sono più in forma di sagome di cartone a dimensioni reali perché spesso sentiamo parlare solo delle percentuali senza capire che tutte quelle vite sono state spezzate, vite di adulti e bambini. Sono sempre accompagnata, nel cuore, da queste sagome. Oggi è una grande soddisfazione, è venuta a galla la verità. Noi parlavamo di dover chiudere l’ex Ilva quando nessun altro lo faceva. Siamo partiti in pochi e sempre più persone poi hanno aderito.

Una menzione particolare va agli avvocati che hanno seguito le costituzioni di parte civile, in particolare l’avvocato Annalisa Montanaro che ci ha creduto sino alla fine, difendendo le persone senza mezzi. Oggi è una grande vittoria. Oggi ha vinto la gente semplice, a Taranto, era impensabile soverchiare il sistema potente ma delle persone semplici ci hanno creduto, abbiamo soverchiato il sistema politico corrotto. A Taranto oggi c’è stata giustizia!”

Candida Fasano, ricercatrice in genetica oncologica: “Io insieme a Cristiano Simone, professore universitario; Ada Le Noci;

Vincenzo Fornaro; Annamaria Moschetti, pediatra; Antonella Pecoraro; Davide Pallotta (genitori di Sofia, bambina morta a causa di un tumore cerebrale); Fabio Millante, del WWF di Taranto; Ida Gatto e Fido Guido abbiamo racconto 22.000 firme per l’istituzione, a Taranto, del primo reparto di onco-ematologia pediatrica che oggi è una realtà anche grazie a quelle 22.000 firme. La dottoressa Moschetti ha elaborato un progetto per costruire quel reparto, che oggi esiste, così i bambini di Taranto non devono più andare lontano per curarsi.”

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Chiara e Andrea sono i genitori di Ambra, morta quattro anni fa, a sette anni. “Oggi sono quattro anni dalla sua morte. E’ morta di leucemia. Si è ammalata nel febbraio 2014, a quattro anni e mezzo. Fino a ottobre 2014 faceva le chemio ricoverata in ospedale, al Moscati di Taranto, a ottobre entrò in remissione quindi controlli mensili ed esami ematologici una volta la settimana. Dopo l’esame midollare nel febbraio 2016, di nuovo positivo, recidiva. A febbraio 2016 le prime chemio al Moscati. A maggio il trapianto di cellule staminali, trasferiti al Bambin Gesù di Roma. Dopo tante chemio e recidive, a ottobre trapianto di cellule staminali. Io ero il donatore, ero compatibile al 50%, è stata fatta, prima, una ricerca su scala mondiale.

Stava andando tutto bene. Altro controllo, un’altra recidiva. Altre chemio più forti fino a maggio 2017;

all’ultimo controllo midollare risulta che il midollo è troppo compromesso e i dottori ci dicono di portarla a casa e farle vivere gli ultimi giorni come desiderava. L’abbiamo portata allo zoo safari, all’ippodromo di Taranto (lei amava i cavalli), voleva diventare stilista e allora, grazie a un’Associazione, abbiamo realizzato un suo modello… il 31 maggio 2017 è morta” racconta il papà. Chiedo loro se pensano che ci sia un collegamento fra l’ex Ilva e la malattia e morte della figlia: “Sicuramente. Se andavamo sulla spiaggia vedevamo i capannoni dell’ex Ilva. I dottori non si sono mai voluti esporre, non hanno confermato…

tuttavia non è genetica, quindi è stata per forza una cosa ambientale. Quello che è successo oggi ci solleva, speriamo che altri bambini non muoiano, ma ci ripaga al 50% perché loro avranno 22 anni di galera ma a noi nostra figlia non ce la riporterà nessuno.

“Lei diceva sempre: “A luglio (quando avrebbe festeggiato il compleanno) farò una grande festa, quindi non si era resa conto di quanto fosse grave la situazione; noi eravamo in un pianto continuo perché sapevamo che al compleanno non ci sarebbe arrivata.”

E’ stato emozionante essere presente, vedere da un lato la gioia e la soddisfazione delle persone che lottano da anni, anche perché, come hanno detto alcune di loro, adesso non sono più gli unici a dire che la fabbrica è criminale. Dall’altro lato il dolore dei genitori che hanno perso un figlio, la loro dignità, come nessuna pena sarà mai abbastanza per chi ha ucciso i loro figli.

Veloce pausa in hotel. I tarantini con cui ho parlato sostengono che le persone considerate colpevoli oggi dalla sentenza faranno ricorso in appello. C’erano tante persone stamani, ma, come ho detto una persona con cui ho parlato, queste cose succedono anche per via del disimpegno dei tarantini. In effetti, guardando

quelle persone stamani, erano un bel po’, ma non così tante se pensiamo a una città di circa 190.000 abitanti. Ovvio, era lunedì mattina, c’erano la scuola e il lavoro, ma diverse persone che erano lì avevano

chiesto il permesso per assentarsi dal lavoro.

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Sono le 17.00, sono sulla spiaggia, fa caldo ma l’acqua è molto fredda. Niente bagno. Prima sono andata con Aldo alla Città Vecchia, alle 14.30 circa, da morire di caldo, e lui mi ha raccontato come abbia lavorato all’ex Ilva per tanti anni, poi è in cassa integrazione da due anni, da sempre attivo per la tutela dell’ambiente, in merito alla poca partecipazione di stamani ha detto: “La gente è sfiduciata. Dopo tanti anni di lotta senza mai ottenere niente, la gente ha smesso di combattere.” Oltre al problema dell’ex Ilva, c’è la criminalità nel senso delle bande, anche se ora la situazione è sotto controllo, e, per esempio nella Città Vecchia, è tutto desolato, i pochi locali che ci sono o falliscono o sono in mano alla criminalità. Chi è al potere non vuole che Taranto cresca e si modernizzi come città. In effetti a vederla sa di città di cui non ci si prende cura abbastanza. Smantellata la fabbrica, bisognerebbe rivalutare la città. Dalla spiaggetta dove sono ora sul lungomare si vede parte dell’ex Ilva.

Riflettendo è chiaro che chi è al potere è una sorta di gigantesca mano invisibile che schiaccia i tarantini. I giovani vanno via, chi può va via. Una persona mi ha detto: “Io a metà giugno me ne vado. Non sono sposato, non ho figli, non ho il mutuo da pagare…

ricomincerò una nuova vita altrove.” Chi rimane qui si è abituato a vedere le persone morire perché, come dice Massimo, “qui si muore senza differenze di età o di sesso – anziani, adulti e bambini – né di occupazione o di posizione sociale.”

Abitare nei quartieri meno vicini alla fabbrica non è garanzia di non ammalarsi. Oggi ho visto una piazza con un monumento che rappresenta l’ex Ilva e la produzione d’acciaio. Una persona ha detto: “Quando chiuderanno l’ex Ilva, la smantelleremo. Sarà un sorta di muro di Berlino.”

E, sempre come ha detto Massimo, e come già pensavo da sola, è assurdo che chi è venuto prima di noi e ha pagato con le lacrime, il sudore e il sangue per redigere documenti come la Costituzione Italiana veda vani i suoi sacrifici. Quei documenti sono stati scritti per evitare che noi, che siamo venuti dopo, ci ritrovassimo ancora a combattere e invece, ovviamente, c’è ancora tanto per cui combattere. Vedo una città meravigliosa che però non riesce a risollevarsi; a cui non permettono di risollevarsi. Taranto viene lasciata nel disagio, se s’investisse per farla vivere davvero, avrebbe ancora di più da dare, anche turisticamente. C’è ancora scetticismo. C’è felicità per la vittoria di stamani ma ci sono anche dubbi e certezze, per esempio su cosa accadrà visto che confischeranno l’ex Ilva.

“Sarà come se confiscassero una macchina ma gli permettessero comunque di usarla”, ha detto una

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persona. Molta gente si aspetta un qualche trucco a loro svantaggio. Io sono voluta a venire a vedere con i miei occhi perché trovo assurdo che una situazione del genere esista oggi, in Italia, un Paese considerato evoluto e democratico. Sarebbe ingiusto, sbagliato e assurdo in qualsiasi parte del mondo, ma i tarantini sono miei connazionali e, da qualunque punto guardi la cosa, non c’è una spiegazione logica, o che renda dal punto di vista umano e morale, per cui fra tre giorni io tornerò in Toscana, tornerò ad avere dei diritti – perché qui anche io ho perso, seppur temporaneamente, alcuni miei diritti, in primis quello alla salute – e le persone di Taranto, invece, saranno ancora qui. Sono italiani come me eppure devono lottare (sapendo di combattere contro un mostro pressoché impossibile da sconfiggere) perdendo vite, bambini, lavori ecc., per il diritto alla salute, per non dover scegliere fra lavorare e vivere. Devono convivere con la morte di genitori, parenti e, la peggiore di tutte, figli… loro non hanno i miei stessi diritti e probabilmente non hanno neanche i diritti che hai tu che stai leggendo. Il diritto alla salute è l’articolo 32 della Costituzione Italiana ma fa parte anche di altre numerose dichiarazioni internazionali. Questi documenti non sono lì per sfizio, vanno letti e rispettati. Chi è al potere non può scegliere quando e per chi applicare quei diritti. I tarantini vorrebbero solo poter respirare aria pulita e poter vivere in una città valorizzata; smettere di seppellire i loro figli, poter vivere davvero. Ci riusciranno mai?

1/06/2021

Oggi pomeriggio Aldo e Fabrizio, entrambi ex operai dell’ex Ilva, mi accompagneranno a vedere la fabbrica.

Mi aspettano all’angolo fra dieci minuti ma volevo scrivere che, per quanto senza speranza possa sembrare una situazione (come questa) è nostra responsabilità, di tutti, pretendere una soluzione.

“I lavoratori sono stati messi in esubero temporaneo fino a quando l’azienda non sarà “messa a norma”, dice Aldo. “Ma non succederà mai” aggiunge Fabrizio. “Nel 2023 dovrei rientrare”, riprende Aldo, “E’

un’operazione fatta dall’azienda per togliere chi è scomodo e spesso senza dare motivazione. Chi è rimasto dentro non ha mai combattuto la fabbrica.” Svoltiamo verso la zona industriale. Vicino alla fabbrica c’è l’area delle bonifiche, ci sono persone chiamate per le bonifiche. Per via del Covid-19, puoi scegliere se andare o meno. “Avevo scelto di andare a Novi Ligure” racconta Aldo, “nella sezione anti-incendio. Non mi hanno voluto nemmeno lassù.” Chiedo loro se, chi lavora all’ex Ilva, è consapevole di cosa fa, di come inquini e di come uccida i concittadini, mettendo a rischio anche la salute dei propri figli. Mi dicono che queste persone sono convinte che non capiterà mai niente di male a loro o ai loro figli, poi se e quando accade cominciano a maledire l’ex Ilva, ma finché non li tocca, no.

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Le ciminiere che svettano, i capannoni, il grigiore, come l’acciaio. “E’ assurdo fotografare questo posto”

dice Fabrizio. Gli avevo chiesto il permesso di fare due foto a testimonianza, per far vedere ai lettori cos’è l’ex Ilva, perché mi era parso un po’ contrariato, al che lui ha spiegato: “No, il problema non sei tu, capisco perché devi scattare le foto. E’ solo che è triste, perché in altre città chi viene da fuori fotografa le bellezze del posto. Nonostante la sentenza di lunedì non sono contento e non lo sarò fino a quando non chiuderanno l’ex Ilva.” Mentre viaggiamo, sulla sinistra c’è un bellissimo acquedotto romano.

Confisca impianti. L’area a caldo non può essere chiusa se non ci sono tre gradi di giudizio. Se la spegni, non la puoi più riaccendere. I processi si dilungheranno, le condanne saranno più che dimezzate, mi dicono.

Siamo nel quartiere dei Tamburi. “Vuoi morire? Prendi una casa qua”. E’ il quartiere dove si muore di più, a ridosso della fabbrica.

Oggi è un Wind Day, le finestre devono rimanere chiuse, perché le polveri svolazzano. E’ tutto rosso per via delle polveri. Vedo una nuvola grigia. “E’ tutto normale”, mi dicono.

“Abbiamo un aeroporto che non è destinato ai voli civili, un porto a uso esclusivo della grande industria, che potrebbe essere usato per commercio e turismo ma è stato dato a uso esclusivo al “mostro.” E’ una città senza stimoli. Avremmo potuto vivere di altro. Qui c’è un’isola, della marina, come quella accanto.

Gran parte di quello che racconta la stampa è falso. Questa città è da rifare, non vogliono che si evolva, vogliono farci rimanere schiavi… vogliono che qui ci siano principalmente ignoranti, delinquenti, poveri.

Zero sport, cultura, ecc. così continuano a fare quello che vogliono. Lo fanno da oltre 60 anni. Le cozze le importiamo dalla Grecia.”

La gente di Taranto a volte fa le battute sulla situazione, magari senza nemmeno rendersene conto del tutto, delle serie, rido per non piangere. Prima di venire qui pensavo che l’ex Ilva fosse l’unico problema di Taranto, qui ho capito che il “mostro” causa tutti questi problemi. C’è ovviamente l’inquinamento ma più che altro hanno tolto ai tarantini la possibilità di crescere, evolvere, godere del proprio mare e della propria storia. Come hanno detto alcuni di loro: “Non siamo padroni in casa nostra.” Tutti questi discorsi portano sempre alla stessa domanda: come mai lo Stato, che dovrebbe proteggere i cittadini, in questo caso li

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schiaccia sotto una mano invisibile? Stiamo parlando di gente costretta a lasciare la propria città se vuole vivere, e magari respirare aria pulita, di persone (fra cui bambini e ragazzi) che muoiono, di una sorta di città fantasma che lo Stato non vuole valorizzare, dove non vuole investire, perché ovviamente è più facile, così, controllarla. Prendiamo tutte le varie dichiarazioni, le varie leggi… dove sono, qui, i diritti umani? Non vengono applicati e continuo a dire che non va bene che io, toscana, abbia dei diritti che queste persone che ho conosciuto in questi giorni non hanno.

Mi ha appena telefonato Antonella, appuntamento alle 17.00 davanti al mio hotel per fare un giro in centro. Quello che queste persone chiedono non è niente di strano, non è la luna, vogliono una vita come la mia o la tua, vogliono respirare aria pulita come faccio io e, suppongo, come fai tu. Vorrei tanto tornare a Taranto per assistere alla chiusura della fabbrica ma la situazione è davvero complessa e quello sarebbe appunto il primo, fondamentale passo, ma non l’unico da fare.

Antonella: “Io ho visto tanti posti nel mondo e ho scelto di vivere a Taranto perché c’è energia viscerale. Sto bene anche fuori ma quando torno qua mi ricongiungo con la terra di appartenenza. Per chi pensa solo ai lati negativi penso sia meglio andar via… Sono per la chiusura dell’ex Ilva, tanti ragazzi che hanno vissuto qui stanno tornando e stanno investendo. L’obiettivo era “renderci pecore”, un posto al Sud doveva essere sacrificato e hanno scelto Taranto. La politica non ha fatto in modo che venissimo tutelati. Il mio discorso è globale, io ho girato per il mondo e ho visto altri posti come le favelas di Rio De Janeiro o la plastica infinita in India e in Africa; la mia lotta parte da Taranto ma vorrebbe allargarsi al pianeta. Non abbiamo più tempo.

La notizia di ieri mattina è stata bellissima. Ci battiamo da anni, abbiamo cominciato nel 2008 con grosse manifestazioni, pian piano la gente si è arresa, per noi che siamo rimasti è stata una vincita fortissima. Noi ci abbiamo sempre creduto, cioè, ci siamo demoralizzati quando abbiamo visto che non si poteva scardinare il sistema ma comunque non ci siamo arresi. E’ probabile che sia un “contentino per farci stare buoni”. Le chiedo se, secondo lei, chiuderanno mai l’ex Ilva. “La transizione ecologica, puntando a usare l’idrogeno, ma quanto tempo dobbiamo aspettare? L’Italia è già stata condannata dalla CEDU. Parliamo dell’assurdo perché abbiamo tutte le carte per farla chiudere.” Lo Stato è diventato parte della fabbrica, che è diventata Acciaierie Italiane.

2/06/2021

Sono all’evento organizzato da Antonella per accogliere i crocieristi. Siamo vicino alle due colonne, nella Città Vecchia. C’è la mostra dei quadri, c’è l’esibizione di “pizzica”… oggi vedo una Taranto bella, che attira e accoglie i turisti, quelli che sono venuti per la gara con i catamarani dei prossimi giorni, c’è più vita, ci sono relax e tradizioni. In hotel ho dovuto cambiare camera perché in quella accanto alla mia c’era un uomo che ha urlato minimo per due ore ieri notte, non facendomi chiudere occhio.

Sono a pranzo da sola nella Città Vecchia, a cinque minuti dal Duomo. Oggi, come ho già accennato, Taranto è vivace e attiva; è calda e bella, accoglie e si mostra con la sua vitalità. Ecco perché è importante aiutarla a evolversi e a crescere. Vista e vissuta così sembra che l’ex Ilva non esista, che tutte quelle persone e quei bambini morti non appartengano a questa realtà, ma è importante ricordare che purtroppo tutto quello che ho visto e sentito nei giorni scorsi (dalla manifestazione di lunedì mattina in attesa del risultato della sentenza, alla visita all’ex Ilva, alle storie che mi hanno raccontato le persone) è reale e intrinseco in questa città. E’ fondamentale che tutti, da una parte, c’impegniamo a visitare Taranto e aiutarla dal punto di vista turistico e dall’altro è necessario formare un fronte unito, in Italia ma anche nel mondo, perché il

“mostro” venga definitivamente spento e la città venga risollevata.

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Sono alla spiaggia. Ho fatto il bagno.

E’ facile “dimenticare”, o comunque abituarsi, all’ex Ilva e a tutto ciò che comporta. Gli eventi, il mare, la spiaggia, i negozi… e poi ti volti e, ovviamente, la fabbrica è ancora lì e lì sono anche i ricordi di tutte le persone che non ci sono più.

3/06/2021

Stamani sto facendo una passeggiata davanti al Castello (cioè, sono dall’altro lato della strada). Ci sono due uomini che manifestano con un cartello con scritto:

L’AMBIENTE IN MANO AI NEMICI DELL’AMBIENTE.

“Protestiamo da tre mesi e mezzo per un posto di lavoro, 700 Euro il mese, preferiamo non prendere il reddito di cittadinanza perché a noi tarantini piace lavorare, non è vero che al Sud ci piace vagabondare.

Sono passati quasi tre anni e non riescono a trovare il bando della matassa, nonostante i soldi che hanno, non vogliono far lavorare queste famiglie, 130 operai, all’80% mancano pochi mesi o anni per andare in pensione. Stiamo protestando per un posto di lavoro di uno o due anni prima della pensione, poi

“toglieremo il disturbo.” Siamo gli ex lavoratori dell’Isola Verde, unica azienda partecipata d’Italia ad aver fallito e nessuno ha pagato per questo. Ha fallito quasi senza motivazione, c’era un buco di 300.000/400.000 Euro, non impossibile, e i soldi arrivavano per la manutenzione delle strade. Hanno voluto chiuderla per motivi X, diciamo. Domenica protesteremo, poi tutte le settimane. Protestiamo dal 25 febbraio e continueremo finché avremo la salute. Non ce lo toglie nessuno, quello di poter protestare è un diritto, se ci firmassero un contratto di lavoro ovviamente smetteremmo. Se avremo delle carte firmate (le parole se le porta via il vento) ce ne andremo. Non siamo dipendenti dell’ex Ilva ma in qualche modo ne

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siamo legati perché avremmo dovuto fare le bonifiche intorno all’ex Ilva. Ad Amburgo c’è una fabbrica simile all’ex Ilva, producono acciaio, e se andiamo a vedere la loro mortalità comparata a quella di Taranto qui è almeno triplicata o quadruplicata, perché qua se ne fregano tutti. Le condanne di lunedì sono una presa di giro ma in realtà sono stati condannati in pochi, i Riva. Questa sentenza doveva essere il risanamento dell’ambiente, il sequestro dei soldi di Riva. Io dico questo, oltre all’ex Ilva, gli autobus della città e le forze dell’ordine… non ci sono lavori a Taranto. Licenziare 1.500 persone, come accadrebbe se chiudessero l’ex Ilva, non risolverebbe un problema. Dobbiamo fare leva sull’ambiente perché i soldi ci sono. Se chiudi l’ex Ilva il danno raddoppia. Quella fabbrica c’è da circa 60 anni. I nostri problemi ambientali superano di gran lunga quelli di Bagnoli. Vanno fatte le bonifiche a tutte le aree dell’ex Ilva prima di chiuderla, fatte dagli operai che ora ci lavorano e man mano che vanno via non assumi più nessuno. E’ un freno all’economia e a tutto il resto. Mio fratello ha 50 anni e lavora nell’ex Ilva, se chiudesse, dove andrebbe? Chi lo prenderebbe a lavorare, a 50 anni?”

Sono all’aeroporto. Cinzia e Massimo mi hanno accompagnata in auto da Taranto a qui, all’aeroporto di Brindisi. Il volo partirà alle 16.00, sono già al gate. Ho chiesto a Massimo cosa ne pensa di ciò che hanno detto i due manifestanti di stamani, di come la fabbrica non andrebbe chiusa ma bonificata e lui ha detto che non è d’accordo, la fabbrica va spenta. L’idea che mi sono fatta io in questi giorni, ovviamente avendo parlato con le varie persone ho mantenuto sempre un atteggiamento imparziale perché si sentissero libere di esprimersi e di raccontare la loro storia e la loro visione della faccenda, però l’idea che mi sono fatta è che sì, l’ex Ilva andrebbe spenta per sempre perché qui la gente, fra cui i bambini, continua ad ammalarsi e a morire ed è una ragione sufficiente per chiuderla definitivamente. Tuttavia, penso che lo Stato non dovrebbe chiuderla e basta ma strutturare una rivalutazione della città, occupandosi delle zone che potrebbero ottenere più turismo e che ora sono praticamente lasciate a sé stesse, aprendo l’aeroporto di Taranto ai voli commerciali, permettendo ai tarantini di godere della vista del loro mare, organizzando eventi e iniziative turistiche e supportando l’apertura e la gestione di bar, ristoranti, alberghi… al momento tutto ruota intorno all’ex Ilva. Lo Stato dovrebbe supportare la gente, inclusi coloro che ora lavorano nell’ex Ilva, offrendo loro alternative concrete per evolversi e non “costringendoli” a lasciare la città, perché ovviamente non sarebbe una costrizione forzata, nel senso non li caricherebbero da qualche parte con la forza per portarli via, ma al momento tanta gente se n’è già andata via, altre persone pianificano di andarsene presto e molti sognano di poterlo fare, ma non ne hanno i mezzi o le possibilità. Chiudere la fabbrica perché uccide e, come dice uno striscione, TUTTO L’ACCIAIO DEL MONDO NON VALE LA VITA DI UN SOLO BAMBINO. Ripeto, dobbiamo partire dalla chiusura dell’ex Ilva e poi dovrà esserci un impegno concreto da parte dello Stato per aiutare i tarantini, incluso chi ora lavora all’ex Ilva. C’è molto da fare, specialmente perché finora la giustizia “sembra fermarsi ai bordi di questa città”, come ha detto una persona, e di conseguenza c’è molta sfiducia fra i tarantini e ci sono molte persone, fra cui molti genitori, per i quali niente sarà mai abbastanza perché i loro figli ormai sono morti.

Questo breve viaggio mi ha dimostrato che vedere una realtà, un luogo, la sua gente, con i propri occhi, mescolarsi alle persone che vivono quella realtà ogni giorno, ascoltandole e cercando di capire, è l’unico modo per provare a comprendere quello che succede nel mondo, che sia in Italia o più lontano da noi, perché spesso la stampa racconta solo parte della storia, e alcuni argomenti non li tocca neppure.

“Spero che ti porterai un pezzetto di Taranto nel cuore” ha detto Massimo prima di salutarmi poco fa all’aeroporto sì, ormai c’è, Taranto, la sua bellezza, la sua desolazione, la sua gente e quel “mostro” che, invece, non dovrebbe esserci.

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Spero di tornare a Taranto, un giorno non troppo lontano, per assistere alla chiusura dell’ex Ilva e da lì di tornarci in vacanza varie volte perché ormai sarà una città bella, evoluta, turistica, dove respirare aria pulita sarà davvero un diritto per cui non sarà più necessario lottare. Non sarà più né un lusso né un sogno.

Questo diario rappresenta la trascrizione di conversazioni, o parte di esse, con alcuni tarantini e i miei pensieri personali che non sono necessariamente gli stessi delle realtà menzionate o di altre realtà della città e dintorni, e viceversa. Potete pubblicare (senza scopo di lucro) e/o condividere questo diario per intero o in parte purché, in ogni caso, sia inserito il nome dell’autrice – Maricla Pannocchia – e almeno un riferimento al suo sito web e/o ai suoi canali social/e-mail. I dettagli sono:

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