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Le Sezioni Unite riscrivono i requisiti (interni ed esterni) del titolo esecutivo: opinioni a confronto intorno a Cass., S.U., n.

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Note a sentenza

ESECUZIONE FORZATA Titolo esecutivo

in genere

Le Sezioni Unite riscrivono i requisiti (interni ed esterni) del titolo esecutivo:

opinioni a confronto intorno a Cass., S.U., n. 11067/2012 Clarice Delle Donne

CPC Art. 474 CPC Art. 482 CPC Art. 499 CPC Art. 612 CPC Art. 624

Cass. civ. Sez. Unite, 02/07/2012, n. 11067 FONTE

Esecuzione forzata, 2013, 1

1. Dei numerosi spunti di riflessione che la sentenza n. 11067/ 2012 offre (1) su diversi piani di lettura, intendo qui limitarmi a cogliere, e solo a livello di prime impressioni, quello delle possibili implicazioni della scelta di campo in favore dell'integrabilità extratestuale, in base cioè ad atti e documenti del processo dichiarativo, del titolo esecutivo giudiziale.

Sostiene la Corte, limitando il discorso all'espropriazione (2), che la circostanza che l'art.

474 c.p.c. imponga l'esatta individuazione del diritto (sub specie di certezza, liquidità, esigibilità) «non implica per sé un'esigenza di compiutezza del documento giudiziario, la cui mancanza impedisca di accedere agli atti del processo in cui il provvedimento è formato, data la funzione propria di quel documento, che è di esprimere il giudizio che sulla base appunto di quegli atti è destinato a doversi formare all'esito della relativa fase del procedimento».

Perno argomentativo ne è il duplice rilievo: a) che le sentenze e gli altri provvedimenti trarrebbero la loro patente di esecutività «dalla valutazione che l'ordinamento esprime circa l'altrettale idoneità dei relativi procedimenti ad accertare i diritti vantati nel processo, idoneità che a sua volta deriva dalla cognizione a loro riguardo da svolgersi nelle pertinenti forme del contraddittorio»; b) che non sarebbe in base al solo documento-titolo che inizia l'esecuzione forzata, ma sulla base di questo e del precetto

«il quale a sua volta deve contenere la specificazione che della prestazione della parte obbligata vi è fatta dalla parte istante».

Sicché, in definitiva, se pure debba affermarsi una sostanziale incertezza, totale o parziale, dell' «estensione dell'obbligo dichiarato in sentenza e negli altri tipi di provvedimenti cui la legge ricollega efficacia esecutiva», ad essa può porsi rimedio ex parte creditoris quantificando la somma nel precetto ed ex parte debitoris «(...) prima dell'inizio dell'esecuzione attraverso il rimedio delle opposizioni che la precedono, ma anche, a processo esecutivo iniziato, attraverso la sollecitazione del potere che pur è riconosciuto al giudice dell'esecuzione in tema di controllo della esistenza del titolo esecutivo».

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La conclusione è dunque nel senso che il giudice dell'opposizione all'esecuzione non può pronunciarne l'accoglimento (3) neppure in presenza di un titolo esecutivo (che abbia constatato essere) carente di requisiti di certezza/liquidità del credito, senza aver prima verificato la possibilità di una sua integrazione, attingendo ad atti e documenti di causa allegati e non contestati dalla controparte, ed in particolare «attraverso l'apporto probatorio della parte istante».

La prima e fondamentale implicazione di questo modo di ragionare è, se ben intendo, che il creditore viene legittimato ad intraprendere il pignoramento nonostante il provvedimento (nella combinazione di dispositivo e motivazione) (4) possa non recare in modo specifico il quantum o i criteri di liquidazione e direi (portando ad consequentias questa logica) prima ancora che sia possibile stabilire se di condanna in senso tecnico si tratti. Suo solo onere sarà quello di calcolare unilateralmente la somma nel precetto.

Né, a fronte della relativa istanza del creditore, l'ufficiale giudiziario (dato che parliamo di espropriazione) potrebbe mai rifiutare il pignoramento mobiliare (5) in base al rilievo che la somma quantificata in precetto non è (agevolmente) ricavabile dal provvedimento, visto che a tale risultato non potrebbe pervenire, per la Corte, neppure il giudice dell'opposizione all'esecuzione, cui siffatta constatazione impone anzi una più approfondita esegesi nella selva degli atti del processo allegati da una parte e non contestati dall'altra!

Veniamo al debitore. Egli ha la possibilità di opporsi all'esecuzione contestando la concreta quantificazione della somma richiesta ma non più, e qui sta tutta la portata dirompente della pronuncia, per la "banale" circostanza che non sia dimostrabile per la non completezza "formale", alla luce dei criteri di certezza, liquidità ed esigibilità, del provvedimento-titolo. Una completezza formale che dunque, (pur se) assente ex ante, potrà essere il risultato di una ricostruzione proprio in sede di opposizione e che dà al debitore «il sicuro vantaggio» (questa la tranquillante espressione usata dalla Corte) dell'alternativa tra subire un pignoramento sine titulo (o in base a provvedimento che si ignora, al momento, se sia titolo esecutivo) ovvero opporsi all'esecuzione consentendo, in quella sede, proprio la nascita di quel titolo esecutivo per un diritto "certo, liquido, esigibile", che il creditore non aveva quando ha intrapreso il pignoramento!

Il tutto, naturalmente, mentre proprio il pignoramento è già stato effettuato lanciando il processo esecutivo verso la sua ineluttabile meta, perché, come rilevato da Capponi (6), sarà ben difficile che (persino) una opposizione a precetto sortisca gli auspicati effetti inibitori nel breve termine dilatorio dell'art. 482 c.p.c.

Ma anche perché, aggiungo io, la nuova lettura del titolo esecutivo giudiziale non quale documento autosufficiente ma quale «giudizio che sulla base appunto di quegli atti è destinato a doversi formare (...)» sembra spostare sensibilmente l'asse attorno a cui ruota(va)no le valutazioni sia del giudice delle opposizioni all'esecuzione chiamato a decidere sulle istanze sospensive/inibitorie; sia dello stesso giudice dell'esecuzione nell'esplicazione dei poteri di rilevazione officiosa dell'esistenza del titolo esecutivo.

Quanto al primo mi limito ad osservare (ma sarebbe interessante un approfondimento anche alla luce dell'impatto sulla realtà applicativa) come la valutazione del fumus di fondatezza dell'opposizione non potrebbe più basarsi sull'esame del documento inteso come sommatoria di dispositivo e motivazione, perché dovrebbe abbracciare l'apprezzamento, sia pure sommario, delle allegazioni del processo dichiarativo, verificare la non contestazione del convenuto (quantomeno rispetto a quelle di esse ritenute rilevanti) e solo poi concludere se sia effettivamente impossibile risalire al quantum della pretesa creditoria.

Il che, a sua volta, implicherebbe la comprensione di cosa, e con quali mezzi, il povero debitore debba provare per sperare nell'accoglimento della sua istanza. Una istanza, è bene rimarcarlo, che, al ricorrere delle condizioni oggi previste dall'art. 624, 3° co.,

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c.p.c. potrebbe portare, ove accolta, alla chiusura della procedura nei suoi confronti, sicché l'innalzamento della soglia di valutazione del fumus ha, alla luce delle recenti linee evolutive del sistema, ricadute molto gravi sulla posizione del debitore.

Lo stesso è a dirsi per la rilevazione officiosa della carenza di titolo esecutivo (che in vari punti nevralgici dell'esecuzione viene in rilievo e sempre ammessa dalla giurisprudenza), che il giudice dell'esecuzione non potrebbe più agevolmente limitarsi a fondare sul solo "esame obiettivo" del documento-titolo (7).

Ma altri contraccolpi notevoli potrebbero ancora immaginarsi.

Penso, ed anche qui solo a livello di impressione, al meccanismo di verifica immaginato dal legislatore del 2005 nell'art. 499, u. c. sul presupposto di una espropriazione retta ed aperta solo da ed a creditori "titolati".

Che senso conserva, in termini di garanzia per il debitore intendo, il mancato riconoscimento del credito e la degradazione a mera aspettativa della posizione dei creditori non titolati quando lo stesso concetto di titolo esecutivo giudiziale, che è poi ciò che a questi creditori si impone di perseguire, si diluisce nel modo indicato dalla Corte, blindando la posizione dei suoi titolari?

È questo un altro profilo che, come quello relativo alla valutazione del fumus dell'opposizione, pone la pronuncia fuori dal contesto attuale della disciplina positiva e della filosofia che la ispira.

2. Già queste impressioni mostrano, da sé sole, come la questione della riferibilità del titolo esecutivo, anche giudiziale, esclusivamente ad un diritto certo, liquido ed esigibile secondo la lettera dell'art. 474 c.p.c, e quella connessa della cd. "astrattezza"

dell'azione esecutiva non rivestano solo il carattere di una polverosa disputa teorica e tutto sommato surrogabile da nuove e più accattivanti letture del sistema.

Neppure è dunque così facile scardinare quel sistema semplicisticamente vedendo nelle opposizioni esecutive il luogo di elezione del contraddittorio tra il creditore procedente, che nel precetto deve indicare esattamente «la prestazione richiesta e i suoi perché», ed il debitore, tenuto a contestare «con altrettanta precisione (...) ciò che ritenga non dovuto». Risultato di questa lettura è infatti «la effettiva definizione della controversia (...)», cioè, se bene intendo, la possibile enucleazione di quel quantum dovuto che, quand'anche non già cristallizzato nel dispositivo o ricavabile dalla sua varia combinazione con la motivazione, può essere "snidato" e ricostruito, per l'appunto, attraverso la dialettica tra le parti.

Ma una dialettica di tal fatta non ha cittadinanza nei processi esecutivi disegnati dal Libro III del c.p.c., ed in particolare nell'espropriazione.

È bensì vero che l'esecuzione forzata (8), essendo tesa alla realizzazione del dictum da eseguire, è caratterizzata dalla dialettica tra la pretesa in tal senso del beneficiario e la posizione di soggezione dell'obbligato (9).

Ed è altrettanto vero che, proprio in quanto processo, essa si caratterizza in modo costante per essere funzionale alla verifica dell'esistenza del binomio pretesa- soggezione ai fini dell'attivazione del meccanismo complesso di attività, materiali come giuridiche, strumentali alla surrogazione dell'obbligato. Ciò che ben si spiega dato che deve mostrarsi in grado di consentire da un lato la ricognizione della consistenza della Normsituation da realizzare; e dall'altro la prova che non vi è stato adempimento volontario e che sussistono, al contempo, tutte le altre condizioni legittimanti l'accesso manu militari alla sfera giuridica dell'obbligato.

Ma è proprio sotto questo profilo che i diversi modelli di esecuzioni forzate noti al nostro ordinamento si divaricano, esibendo diversità anche notevoli nel modo di consentirne la

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(ri)cognizione e la decisione.

Nelle esecuzioni forzate del Libro III del c.p.c. è proprio la (oggi) vituperata "astrazione"

(10) indotta dal titolo esecutivo quale unica condizione legittimante dell'azione esecutiva che riduce tale ricognizione alla soglia minima (11). L'astrazione è infatti conseguenza della formalizzazione del binomio pretesa–soggezione proprio nel titolo, sicché il solo esame formale dello stesso basta a legittimare l'invasione della sfera giuridica dell'obbligato o l'aggressione di porzioni del suo patrimonio.

Ad essa si correla, quale altra faccia della stessa medaglia, la scelta di organizzare il rapporto tra il progredire delle operazioni di adeguamento della realtà al contenuto del dictum e la verifica del binomio pretesa-soggezione, in modo che le prime richiedano la previa verifica anche delle seconde solo in quanto espressamente consacrate nel titolo.

Viceversa, per gli aspetti che ivi non emergono la verifica, divenendo più complessa ed articolata, è affidata ad una separata sede (12).

Esiste dunque corrispondenza biunivoca tra formalizzazione dell'obbligo da eseguire nel titolo (certezza, liquidità, esigibilità)/astrattezza dell'azione esecutiva e contraddittorio solo differito sulle condizioni legittimanti l'accesso alla sfera giuridica dell'obbligato:

simul stabunt, simul cadent.

E non è un caso che attraverso i processi esecutivi disegnati dal Libro III del c.p.c. gli unici dicta eseguibili forzosamente siano le condanne in senso tecnico, intese cioè come precisa formalizzazione di una prestazione di fare-dare inadempiuta e da eseguire.

Nelle esecuzioni forzate non organizzate intorno al titolo esecutivo (come il giudizio di ottemperanza, ma anche le cd. esecuzioni per autorità del creditore (13)) infatti, proprio perché può non aversi nel provvedimento da eseguire la formalizzazione ex ante del binomio pretesa-obbligo, non è consentito forzare la sfera giuridica dell'obbligato a prescindere dal suo consenso senza la ricognizione del diritto di procedere in executivis, che ha perciò carattere preventivo nel senso che condiziona l'an ed il quomodo delle operazioni di modifica della realtà.

Che ratio del distinguo sia proprio l' "astrazione" quale conseguenza della certezza/liquidità/esigibilità imposte dall'art. 474 c.p.c. è testimoniato dalla minore impermeabilità nei rapporti tra (ri)cognizione e modifica della realtà quando, proprio nell'esecuzione retta dal titolo esecutivo, gli obblighi da eseguire appaiono più evanescenti nella struttura, come accade per quelli di fare-non fare: qui il giudice dell'esecuzione è chiamato a determinare ex ante, il concreto modus exequendi di un obbligo che pure è già cristallizzato nella sentenza-titolo esecutivo (art. 612 c.p.c.) (14), ma anche a valutare preventivamente l'esistenza delle altre condizioni legittimanti l'accesso alla sfera giuridica dell'obbligato.

Il che dà la misura di quanto il riferimento ad adiuvandum delle Sezioni Unite al caso dell'esecuzione per obblighi di fare, ove effettivamente si ammette, in sede di determinazione delle modalità di esecuzione ex art. 612 c.p.c., il ricorso "integrativo"

alle consulenze acquisite al giudizio dichiarativo, sia fuorviante: qui infatti l'integrazione esterna al titolo può agevolmente ammettersi, visto che, finché non saranno formalizzate, nel nuovo provvedimento assunto dal giudice dell'esecuzione in contraddittorio, le operazioni di adeguamento della realtà alla pronuncia, non vi è accesso alla sfera giuridica dell'obbligato (dialettica preventiva).

Diversissimo è invece il caso delle condanne pecuniarie, ove prima che il provvedimento sia vagliato da un giudice e che il debitore possa obiettare l'assenza del diritto di agire in executivis, viene effettuato il pignoramento.

Il ricorso ad elementi integrativi esterni deve allora essere mantenuto entro stretti limiti. Per le condanne a trattamenti previdenziali/assistenziali o di tipo retributivo, la

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circostanza che vi possa essere in motivazione un esplicito rinvio, per i conteggi del dovuto, a dati ufficiali e dunque accessibili e controllabili piuttosto facilmente (quali gli indici ISTAT o il saggio legale degli interessi), rende in astratto accettabile un'integrazione esterna del provvedimento ai soli fini della quantificazione complessiva.

Diversa è invece l'ipotesi in cui si tratti addirittura di verificare se di condanna in senso tecnico si tratti (ad esempio, come mi pare sia accaduto nel caso che ha originato la rimessione alle S.U., ove non appare chiaro se la pronuncia verso la quale è stata avanzata l'opposizione all'esecuzione fosse di condanna generica o meno) o l'incertezza riguardi il dies a quo della corresponsione o le voci retributive da considerare, e che potrebbero ricostruirsi solo esaminando gli atti di causa o peggio ancora ricostruendo

«ciò che il giudice di merito deve essere stato messo in grado di accertare ed è dimostrabile abbia accertato».

Essendo qui estremamente evanescente e difficoltosa la stessa quantificazione/identificazione del credito, non si giustifica più l'aggressione preventiva:

ed ecco spiegato, in termini molto pratici, anche il senso della "regola d'oro" che il titolo esecutivo deve sussistere già prima dell'inizio dell'esecuzione e permanere per tutto il suo corso. Nulla executio sine titulo: non massima tralaticia sepolta da secoli di storia, ma precisa garanzia per il debitore esecutato.

Sicché, in buona sostanza, anche ad ammettere che il giudice dell'opposizione all'esecuzione possa ricostruire la portata precettiva della condanna pecuniaria attraverso gli atti di causa, e con essa un preciso quantum che prima mancava, ciò non basterebbe a legittimare ex post una aggressione patrimoniale nata sostanzialmente sine titulo.

Le brevi riflessioni che precedono consentono dunque di concludere che astrattezza dell'azione esecutiva, e certezza/liquidità/esigibilità del credito portato dal titolo esecutivo, lungi dall'essere vuote e "superabili" formule, esprimono l'intima logica di un sistema complesso, nel quale più è evanescente e difficoltosa la identificazione preventiva del diritto ai fini esecutivi, che nel caso di crediti monetari si confonde con la quantificazione delle somme (sub specie di riferibilità immediata al decisum), più si affievolisce l'astrattezza dell'azione esecutiva e meno si giustifica l'aggressione del patrimonio dell'obbligato in assenza di previo esame giudiziale in contraddittorio con quest'ultimo.

Perciò la pronuncia in esame reca un principio di diritto inaccettabile perché, nel mentre continua a consentire l'aggressione esecutiva del creditore pur in assenza di quella soglia di sufficiente giustificazione costituita dal diritto certo liquido esigibile che deve emergere dal titolo (il che spiega origini storiche e concettuali del titolo stesso), continua anche a relegare il contraddittorio con l'obbligato ad un momento successivo a tale aggressione e non in grado di influenzarne/condizionarne immediatamente le sorti.

Un monstrum che non trova riscontro né nella logica né nella disciplina positiva, e a sconfiggere il quale non vale l'inutile contraddittorio in sede oppositiva vagheggiato dalla Corte.

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(1) Per una serie di spunti e riflessioni su queste problematiche cfr. BUCOLO, Appunti, segnalazioni e proposte sull'interpretazione del titolo esecutivo, cit., 136 ss.

E puntualmente messi in rilievo dal commento di CAPPONI, Autonomia, astrattezza, certezza del titolo esecutivo: requisiti in via di dissolvenza?, CorG, 2012, 1169 ss., e da quello di Sassani pubblicato in questo fascicolo, 78 ss.

(2) Ma non risparmiando, come si vedrà, riferimenti all'esecuzione in forma specifica ed in particolare a quella per obblighi di fare-disfare, che risultano alquanto incongrui ed anzi in grado di confermare, semmai, la conclusione opposta a quella patrocinata. Ma di questo più oltre nel testo.

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(3) In particolare rilevando d'ufficio la carenza dei requisiti dell'art. 474 c.p.c., come avvenuto nel caso di specie.

(4) V. amplius SASSANI, nel già richiamato commento che precede.

(5) Per quello immobiliare è lo stesso creditore a predisporre l'atto scritto da notificare al debitore: art. 555 c.p.c.

(6) CAPPONI, Autonomia, astrattezza, certezza del titolo esecutivo, cit.

(7) Altro velo andrebbe poi sollevato (ma i limiti di queste prime impressioni lo sconsigliano) sull'apprezzamento, da parte del giudice delle opposizioni ex art. 615 c.p.c. e dello stesso giudice dell'esecuzione, dell'inverarsi di una non contestazione, dalla Corte evocato quale criterio di valutazione delle allegazioni rilevanti, e che potrebbe, in limine, non solo essere di non facile soluzione ma anche divergere da quella compiuta dal giudice che ha reso il provvedimento dichiarativo o da quello dell'impugnazione.

(8) LUISO, L'esecuzione "ultra partes", Milano, 1984, i cui risultati sono ripresi e sviluppati da SASSANI, Dal controllo del potere all'attuazione del rapporto, Milano, 1997, 68 ss. e 180 ss., in riferimento al giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo.

(9) Che non può sottrarsi a quanto necessario al raggiungimento di tale scopo:

SASSANI, Dal controllo del potere, cit., 66 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano, 2011, 53 ss.

(10) V., per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, cit., III, 53.

(11) V., per tutti, ancora SASSANI, Dal controllo del potere, cit., 19 ss., ove anche i necessari riferimenti bibliografici.

(12) Valgano in tal senso le considerazioni di LUISO, Diritto processuale, cit., III, 30 ss., sulla differenza tra titolo esecutivo in senso documentale e titolo esecutivo in senso sostanziale, e sulla circostanza che chi intende far valere l'assenza di quest'ultimo, cioè del diritto di procedere ad esecuzione forzata, è gravato dell'onere di promuovere un giudizio di cognizione a ciò deputato, in forma di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c.,

(13) V. amplius, per queste ultime, VACCARELLA, L'esecuzione forzata dal punto di vista del titolo esecutivo, in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 41 ss. e passim.

(14) Ancora SASSANI, op. loco ult. cit.

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