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INCREDULITA (L incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto volontario di dare ad essa il proprio assenso CCC 2089)

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INCREDULITA’

(L’incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto volontario di dare ad essa il proprio assenso – CCC 2089)

Preghiamo

Il dono della fede

Ti ringrazio, Signore, con cuore gioioso per il dono della fede.

Credo in te per scelta personale, con rinnovata convinzione.

Voglio vivere con coerenza la mia fede anche a costo di allontanarmi

dalla mentalità benpensante codificata dall'istituzione.

Davanti a te, Signore, percepisco la bellezza gratuita del tuo dono

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e la mia grande debolezza e povertà.

Per questo ti rinnovo il mio impegno.

Ti ho chiesto luce e forza e tu me le hai date facendomi rinascere il gusto della vita.

Vorrei che tutti gli uomini ti conoscessero veramente e imparassero ad ascoltare la tua parola di pace.

S'accorgerebbero con stupore che non è stupida propaganda quello che i credenti affermano

sulla tua azione di salvezza nel mondo.

Il tuo amore per gli uomini è immenso!

Suo metro di misura, Signore,

è l'attenzione che hai per i più poveri e la forza con cui contrasti i violenti.

Quando l'ansia mi attanaglia lo stomaco e la paura mi martella le tempie

per delle situazioni di difficoltà, tu mi rinvigorisci la speranza.

Nelle lotte che devo affrontare per essere coerente con la fede ti sento al mio fianco,

amico fedele che mi infonde sicurezza.

È duro il cammino della fede e spesso mi sento incoerente.

Stammi vicino, Signore,

con l'amore paziente che ti distingue.

Guidami con forza e saggezza;

dona stabilità alle mie scelte e porta a compimento in me l'opera che hai iniziato.

Gv 12,37-50

37 Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui; 38 perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?

E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?

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39 E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora:

40 Ha reso ciechi i loro occhi e ha indurito il loro cuore, perché non vedano con gli occhi

e non comprendano con il cuore, e si convertano e io li guarisca!

41 Questo disse Isaia, quando vide la sua gloria e parlò di lui. 42 Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga: 43 amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

44 Gesù allora gridò a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; 45 chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46 Io, come luce, sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. 49 Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. 50 E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me».

Messaggio

Tutti il brano nel suo insieme è un consuntivo dell’opera di Gesù e un ultimo appello.

«Non credevano in lui», nonostante i segni compiuti davanti a loro. L'evangelista è preoccupato di comprendere il mistero, sempre presente della mancanza di fede. Essa, come la fede, ha il potere di meravigliare il Signore: l'uso che l'uomo fa della sua libertà è qualcosa di inedito,una novità capace di stupire anche chi gliel'ha data.

I segni, compiuti da Gesù e narrati nel Vangelo, hanno un unico fine: portarci a credere in lui, il Figlio, per avere la vita eterna (20,30s). Come si spiega che davanti agli stessi segni c’è chi crede e chi non crede?

Ogni racconto di Giovanni conclude con una valutazione in termini di fede o di incredulità da parte di chi vede. Lo spettatore, come il lettore, è sempre «il terzo», per il quale il segno è compiuto o narrato. Per tutti, infatti, la salvezza è credere nel Figlio dell'uomo che è Figlio di Dio, che è la verità dell'uomo.

Già nel prologo si parla della luce venuta nel mondo e non accolta (1,11): il dramma luce/tenebra, vita/morte e

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fede/incredulità attraversa tutto il Vangelo.

Credere è un atto di intelligenza, che coglie ciò che i segni significano: è vedere l’Invisibile, la gloria che in essi si manifesta, come il significato in una parola.

Giovanni legge l'incredulità sotto vari aspetti: essa non è una novità, poiché tutta la storia della salvezza è contrassegnata dall’incredulità. Ed enuclea tre motivi.

Il primo motivo dell'incredulità nel Figlio dell'uomo innalzato è perché l’opera di Dio è troppo sublime per essere compresa a motivo della nostra debolezza.

Il secondo motivo è che l'uomo non «vuole», anzi non «può»

credere (v. 39), perché è misteriosamente accecato.

II terzo e ultimo motivo è che l'uomo, cercando la gloria che viene dagli uomini (v. 43), non conosce quella che viene da Dio.

L'uomo è fatto per la luce della verità, che è l'amore di Dio per lui. Ma questo non può essere imposto: è liberamente accettato da chi lo conosce e necessariamente rifiutato da chi lo ignora. Chi ignora l'amore del Padre, non può riconoscere il Figlio, se stesso come figlio e gli altri come fratelli.

L'incredulità è causa della croce. Ma proprio sulla croce Dio rivela il suo amore «incredibile», unico antidoto all'incredulità (cf. 3,14-16; 8,28; 12,32). Possiamo dire che il non credere produce il motivo ultimo per credere: la croce. È l'astuzia di Dio, che volge tutto al bene (Rm 8,28), anche il nostro male. Credere nel Figlio è «la decisione» che salva l'umanità dell'uomo: lo rende ciò che è, figlio di Dio. Dio ha fatto di tutto per condurlo a credere al suo amore e fargli conoscere la verità che lo fa libero.

Questo è il senso globale della Scrittura e dell'opera di Gesù, che compie verso i fratelli l'opera del Padre. Questa riflessione sull'incredulità è posta dopo l'ultimo annuncio del Figlio dell'uomo innalzato e prima del suo innalzamento.

Il problema della fede si pone davanti al mistero della croce: è l'accettazione di un Messia, anzi di un Dio crocifisso. Ciò che è stupidità e debolezza per gli uomini (cf. 1Cor 1-3), rivela la gloria di quel Dio che nessuno mai ha visto e che il Figlio ha rivelato.

Gesù è il Figlio, inviato dal Padre per comunicare ai fratelli la sua stessa vita di figlio. La diffidenza che incontra è «il» peccato, vecchio come la menzogna che ha allontanato l'uomo da Dio. È l'incredulità, denunciata da Mosè e Isaia, da legge e profeti, che sarà la causa della croce. La Chiesa ha le sue resistenze a credere, come tutti; ma sperimenta anche la resa di chi vede compiersi in esse e attraverso di esse il grande mistero di Dio: la croce, rivelazione sua e salvezza nostra.

Giudizio e salvezza.

Nei vv. 48-50 si vuol vedere un riferimento a Dt 18, 18- 19: « Susciterò per loro un profeta come te, porrò le mie parole sulla sua bocca ed egli dirà loro tutto ciò che io gli ordinerò. lo stesso domanderò conto a chi non ascolterà le

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parole che egli proferisce in mio nome ». Come si vede, Giovanni inverte le due parti (prima il giudizio poi la promessa), ma il tema sembra essere uguale. Ovviamente Giovanni applica a Gesù quanto il Deuteronomio diceva del profeta simile a Mosè, e non si tratta più per lui di una promessa, di un futuro, ma di una consapevolezza, di un fatto ormai constatato. E mentre il Deuteronomio presenta Dio come attore del giudizio, Giovanni attribuisce tale ruolo alla Parola. Ma non è soltanto Dt 18,18-19 che entra in gioco. Altri temi sono deuteronomici; si può pensare, per esempio, a Dt 32,46-47 e 8,3 (il motivo del « comando» che è strada di vita). Questo sfondo deuteronomico può ulteriormente confermare quanto già è stato detto: il discorso è un ultimo appello di Gesù, come le parole di Mosè in Dt 32,45-47.

Quali sono i temi già sviluppati nei precedenti discorsi e qui ribaditi? Anzitutto l'affermazione che il Figlio è la tra- sparenza del Padre: questo è detto all'inizio (vv. 44-45) e alla fine (vv. 49-50). £ il motivo chiave dell'intero vangelo. Gesù è mandato dal Padre ed è il suo unico rivelatore. Questa è la ragione che rende decisivo l'in- contro con lui: accoglierlo o rifiutarlo significa accogliere o rifiutare il Padre. Gesù è venuto nel mondo per essere luce e vita, per salvare, non per condannare (vs. 47; cfr.

3,17). Ciò nonostante la sua venuta rappresenta un giudizio, e il giudizio coincide con l'accettazione o il rifiuto della sua Parola.

* Dal CCC, 591

Gesù ha chiesto alle autorità religiose di Gerusalemme di credere in lui a causa delle opere del Padre che egli compiva. Un tale atto di fede, però, doveva passare attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita “dall'alto” (Gv 3,7), sotto lo stimolo della grazia divina. Una simile esigenza di conversione di fronte a un così sorprendente compimento delle promesse permette di capire il tragico disprezzo del sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore. I suoi membri agivano così per « ignoranza» e al tempo stesso per 1'« indurimento » dell'incredulità.

** Da G.S. 19. Forme e cause dell'ateismo

La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si

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affida al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato fra le Cose più gravi del nostro tempo, e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine di « ateismo» vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di Lui; altri poi prendono in esame il problema relativo a Dio con un metodo tale per cui questo sembra privo di senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, così pare, ad affermare l'uomo più che a negare Dio. Altri si immaginano Dio in modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano in nessun modo è il Dio del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine non di rado o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'Assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio.

Perfino la civiltà moderna, non per se stessa ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio. Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti, l'ateismo considerato nella sua interezza, non è qualcosa di originario, bensi deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, e in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.

*** Da D.H. 14

Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro

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che non hanno fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità (2 Coro 6, 6-7).

Infatti il discepolo è tenuto dall'obbligo grave verso Cristo Maestro di conoscere la verità, da Lui ricevuta, sempre meglio di annunciarla fedelmente, di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo però la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e pazientemente gli esseri umani che sono nell'errore o nella ignoranza circa la fede. Si deve quindi avere riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere predicato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura della grazia data da Dio per mezzo di Cristo all'uomo, che viene invitato ad accettare e a professare spontaneamente la fede.

Preghiamo

La fede è grazia e ricerca

Tu, o Signore, sei luce e bellezza, sei amore, pace e riconciliazione;

non sarò più tormentato dall' ansia, dalle paure per il presente e il futuro.

Quando ascolto notizie di violenze, di disastri e di guerre fratricide, non diventerò sempre più pessimista, non dirò che ogni uomo è corrotto.

Se i valori e i grandi ideali

sono calpestati dalla logica dell'interesse e sviliti a tradizioni folcloristiche,

non mi arrenderò alla cultura dominante.

Una cosa sola ti chiedo, Signore, solo questa mi interessa veramente:

gustare con la mente e con il cuore il messaggio che Gesù ci ha rivelato.

La sua Parola meditata ogni giorno L’eucaristia che allieta le feste

sono la sorgente e la forza inesauribile di una vita vissuta nella fede.

Dio è riparo, appoggio e consolazione nei momenti di lotta e di prova;

Dio è libertà, coraggio e servizio.

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La fede è un dono e una forza che guida e tempra alla vita;

ma non è solo un cammino gioioso:

passa anche dalla notte dello spirito.

La fede è una ricerca continua del volto di un Padre che ama, ma può anche diventare l'angoscia di sentirsi abbandonati da lui.

Come Cristo sul suo scomodo trono ogni uomo sperimenta il terrore di sentirsi abbandonato da tutti, d'essere solo di fronte alla morte.

Guardiamo con fiducia al Nazareno così vicino ad ogni uomo che soffre;

con lui ci sentiremo più capaci di affidarci nelle mani del Padre.

Nelle insicurezze sulle scelte da fare, nelle tempeste del cuore e dei rapporti, nelle miserie della nostra fragilità non smetteremo d'invocarti, Signore.

L'amore e la misericordia di Dio sono più grandi di ogni peccato;

lasciamoci amare da lui e

accogliamo il suo messaggio di pace.

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