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UN CASO DI RIDUZIONE DELLA SUPERFICIE FOGLIARE NEI CEDUI CASTANILI DA FRUTTO SUL MONTE VULTURE (BASILICATA)

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 75 (6): 315-327, 2020

© 2020 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2020.6.02

MICHELE LOPINTO (*)

UN CASO DI RIDUZIONE DELLA SUPERFICIE FOGLIARE NEI CEDUI CASTANILI DA FRUTTO

SUL MONTE VULTURE (BASILICATA)

(*) Ex funzionario del Corpo Forestale dello Stato.

Nell’estate del 2017 si è notato, nei cedui castanili da frutto sul monte Vulture, una microfillia che, per il particolare andamento climatico, è possibile collegare alla deficienza idrica ed alle alte temperature del periodo estivo di quell’anno.

Parole chiave: clima; castagno da frutto; cedui.

Key words: climate; sweet chestnut; coppices.

Citazione: Lopinto M. - Un caso di riduzione della superficie fogliare nei cedui castanili da frutto sul Monte Vulture (Basilicata). L’Italia Forestale e Montana, 75 (6): 315-327.

https://doi.org/10.4129/ifm.2020.6.02

1. INTRODUZIONE

La coltivazione del Castagno sul monte Vulture è sempre stata un’attività fi- nalizzata ad integrare il reddito degli addetti a tale coltura anche se, a causa delle varie vicissitudini patologiche e commerciali (quest’ultime dovute principal- mente alla mancata richiesta di paleria e materiale vario da costruzione), si è do- vuto registrare una sensibile riduzione della redditività.

Seppure in presenza degli altalenanti interessi economici, l’attenzione per la castanicoltura non è mai venuta meno.

2. IL MONTE VULTURE

Il complesso montagnoso del Vulture è sito al limite settentrionale della Ba- silicata e si presenta isolato ed in posizione di dominanza sulla topografia del territorio circostante. La sua linea di cresta si dispone secondo la direttrice N-S.

Tali peculiarità (localizzazione ed orientamento) sono maggiormente esaltate dal particolare posizionamento di tutto il complesso montuoso. Lo stesso, difatti, è ben distanziato dalla catena appenninica lucana ad ovest e, sul versante opposto, è prospiciente al tavoliere pugliese.

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3. I CASTAGNETI

In Basilicata il Castagno è variamente distribuito a formare piccoli complessi su tutto il territorio regionale ma solo nella zona del Vulture è possibile riscon- trarlo in formazioni più consistenti che assumono un particolare interesse eco- logico e fitogeografico perché qui il Castagno partecipa, con il Faggio il Cerro la Roverella ed altre piccole formazioni, alla caratterizzazione della fitocenosi locale.

Rifacendosi a dati del 1970, la consistenza dei castagneti sul Vulture ammonta a complessivi ha 1.930 ripartiti tra fustaie, per ha 380, cedui, per ha 620, e “cedui castanili da frutto” per una superficie di ha 930 (Tab. 1).

Si ha motivo di ritenere che questo riparto colturale, ad oggi, sia variato in favore dei “cedui castanili da frutto” ed a scapito dei cedui da paleria. Nel com- plesso, è presumibile un aumento della superficie complessiva a Castagno per effetto dell’avanzare del bosco nei tratti marginali all’agricoltura.

Tabella 1 - Ripartizione per forma colturale dei castagneti (da Lopinto, 1970).

Tipo colturale Superficie in ha di proprietà Totale

dem.le com.le Enti Privati

Cedui da paleria 345 5 - 270 620

Cedui di castagno da frutto - - - 930 930

Fustaie 180 120 - 80 380

Totale 525 125 - 1280 1930

Questi castagneti, nelle loro varie forme di allevamento, sono radicati tutt’in- torno alla montagna, tra i 600 ed i 1.000 metri di quota, su terreni tipici vulcanici molto permeabili. Sul versante ad Ovest del Vulture il Castagno si spinge sino a 1.200 m ove è consociato al Cerro che, ad altitudini superiori, finisce col preva- lere. Il versante orientale, invece, è occupato prevalentemente dai “cedui castanili da frutto”.

Circa l’indigenato del Castagno in questa zona, Pallottino (1880) asserisce: “il Castagno è la pianta per antonomasia di questa regione; esso vegeta da per tutto, nelle più profonde valli come sulle più alte vette del monte, e il Terracciano lo dice spontaneo per queste contrade”.

Vari, però, sono i convincimenti contrari alla sua autoctonia. È certo, invece, che questa specie è presente sul Vulture da vecchia data e l’azione antropica sugli originari complessi risale a tempi molto antichi. Le profonde manomissioni sull’originario assetto forestale non consentono una attenta verifica ed una esatta interpretazione (Lopinto, 1988; 1989).

Basta evidenziare la presenza di castagneti a filari e la stessa coltivazione a

“ceduo castanile da frutto” che, nel tempo e per gli adattamenti alle nuove esi- genze, ha subito varie modifiche colturali (Lopinto, 1989).

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4.CARATTERISTICHE AMBIENTALI DEL TERRITORIO DEL VULTURE

Tutto quanto in precedenza evidenziato circa la localizzazione, il posiziona- mento e l’orientamento del massiccio del Vulture fa comprendere come, nel complesso, il clima di questa zona viene fortemente condizionato dai suoi tre principali elementi: vento, temperatura e precipitazioni. Difatti, proprio per il suo particolare posizionamento, tutto il complesso montagnoso è battuto, specie sulle pendici ad est ed ovest, dai venti e dalle correnti di varia provenienza (Lo- pinto, 1988). In particolare, il versante occidentale della montagna è esposto a correnti umide e fresche di origine atlantica e di provenienza dalla catena appen- ninica lucana, mentre il versante orientale è soggetto a correnti secche e più tem- perate di provenienza adriatica.

Questa diversificata situazione ambientale fa sì che, tra i due versanti, non si concretizza una continuità climatica. Tutto questo, assieme alle particolari loca- lizzazioni che si riscontrano (ad ovest) nella conca del cratere vulcanico ove si realizza un’oasi climatica al riparo dalle varie correnti, giustifica la presenza, in questa zona, di alcune particolarità vegetazionali quali:

l’inversione delle fasce climatiche tra il Faggio ed il Cerro;

la presenza di alcune nicchie ecologiche a Leccio.

Dalla retta termografica, elaborata da Raglione (1978) per il monte Vulture e relativa al cinquantennio 1921-1970 sui dati forniti da sei stazioni situate nelle vicinanze della zona in esame, si rileva una costante riduzione della temperatura col progredire della quota (Fig. 1). Difatti, il quoziente termico annuale risulta essere di -0,8°C per ogni 100 m di aumento di quota e tale variazione risulta costante sui due versanti del Vulture, sia in estate che in inverno.

Figura 1 - Retta termografica annuale del Vulture (da Raglione, 1978). Elenco delle stazioni ter- mometriche con le relative quote e temperature medie annue.

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Nel complesso ed in linea con l’andamento stagionale delle zone temperate, gennaio risulta essere il mese più freddo ed il calo della temperatura intorno allo 0°C è in relazione all’altitudine del territorio. Nelle zone più elevate, difatti, si pos- sono registrare cali termici anche fino a -10°C sulla vetta del Vulture a m 1327.

Le temperature più elevate si riscontrano nei mesi di luglio ed agosto (Ra- glione, 1978) ma non di rado si possono verificare delle impennate termiche nei mesi di maggio e giugno (Maccha e Lopinto, 1983) che, in genere, coincidono con l’arrivo di forti venti caldi dal quadrante meridionale (Fig. 2). Assieme alla temperatura, i cui estremi costituiscono dei limiti alla diffusione delle varie specie (Lopinto, 1986), è parimenti importante la distribuzione delle piogge nel corso dell’anno. In genere si registrano precipitazioni modeste (500-600 mm) alle quote di 200-300 m sul mare e, progredendo in altitudine, le stesse aumentano sino a pervenire ai 1.300 mm alle quote più elevate (Fig. 3). Il periodo più pio- voso è quello autunnale (in particolare il mese di dicembre) in cui si hanno pre- cipitazioni pari al 34-35% del totale annuo. Viceversa il periodo più asciutto è dato dal trimestre giugno, luglio, agosto (con precipitazioni pari all’11-13% del totale annuo) durante il quale le temperature raggiungono le punte più elevate (Lopinto, 1988).

Figura 2 - Andamento delle temperature massime giornaliere dei mesi di maggio e giugno 1969.

Stazione termometrica di Monticchio Bagni (da Macchia e Lopinto, 1983).

L’andamento dell’evapotraspirazione reale calcolata secondo Thornthwaite manifesta proprio nei mesi di giugno e luglio valori elevati, chiaro indice della massima crescita e produttività delle specie vegetanti nella zona (Fig. 4).

I bilanci idrici, poi, calcolati per Melfi (Fig. 5) e Monticchio Bagni (Fig. 6) dimostrano che la disponibilità d’acqua del suolo, con una capacità di campo di 300 mm, non costituisce il fattore limitante la vegetazione forestale spontanea in quanto nel periodo critico di giugno, luglio ed agosto si ha ancora una relativa disponibilità di riserve idriche nel terreno (Macchia et al., 1983).

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Figura 3 - Curva ietografica annuale del Vulture (da Raglione, 1978). Elenco delle stazioni plu- viometriche con le relative quote e precipitazioni medie annue.

Figura 4 - Evapotraspirazione reale calcolata per una capacità di ritenzione del suolo pari a 100 mm ed a 300 mm di pioggia (da Macchia e Lopinto, 1983).

MONTICCHIO BAGNI

300 mm

100 mm

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Figura 5 - Bilancio idrico della stazione termopluviometrica i Melfi (PZ) secondo Thornthwaite (1957) calcolato per una capacità di campo pari a 300 mm. Valori medi riferiti al trentennio 1951- 1980 (da Macchia e Lopinto: non pubblicato).

Figura 6 - Bilancio idrico della stazione termopluviometrica di Monticchio Bagni (PZ) secondo Thornthwaite (1957). Dati relativi a un trentennio 1951-1980 (da Macchia e Lopinto, 1983).

Dalla analisi di questi parametri meteorologici (venti, temperature e precipi- tazioni) risulta in maniera evidente la tipicità del clima, peraltro comune a tutta l’Italia meridionale in genere, dovuto al coincidere delle alte temperature estive con il periodo in cui le precipitazioni sono molto ridotte.

Con quanto sin qui esposto si è voluto analizzare e descrivere le caratteristiche climatiche ed ambientali che hanno qualificato il territorio del Vulture nei de- cenni scorsi e ciò al fine di meglio approfondire, nel raffronto con i dati relativi agli andamenti climatici più recenti, le problematiche insorgenti.

Lo scopo della presente nota è di segnalare il caso di una riduzione dei lembi fogliari del Castagno, rilevata nei “cedui castanili da frutto” su monte Vulture, nel corso dell’estate 2017.

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5.MANIFESTAZIONI DI MICROFILLIA NEI CEDUI CASTANILI DA FRUTTO

DEL VULTURE

Nell’estate 2017 sono state riscontrate, nei frutteti di Castagno del Vulture, delle produzioni abnormi di foglie. Tali manifestazioni, rilevate a vista, erano presenti anche nei complessi governati a ceduo e fustaia.

Ciò confermava che la microfillia interessava il Castagno nelle sue varie forme di allevamento, sia sul versante orientale come su quello opposto, ed alle diverse altitudini. Dopo questo primo riscontro si è ritenuto utile procedere, solo per i

“cedui castanili da frutto” a verifiche confacenti anche perché, per questa singo- lare formazione, si disponeva di dati fenologici rilevati sugli ecotipi ivi in produ- zione (Lopinto, 2005).

Nel periodo a cavallo tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, si è dato corso alle previste operazioni che hanno interessato le località:

Santa Maria;

Noce Scancanata;

Valle delle Pome.

Siti, questi, posizionati a diverse altitudini e ben distanziati. Senza procedere alla identificazione degli ecotipi, che nella zona sono distribuiti in maniera sparsa ed anche perché tutti i soggetti evidenziavano la stessa anomalia, si è passati a localizzare, per ogni sito individuato, due gruppi ben spaziati di cinque piante ciascuno. Sulle complessive trenta piante prescelte sono state prelevate, in ordine sparso, un campione di cinque foglie per pianta. Su tutta la campionatura di 150 foglie, si è proceduto (con l’uso del calibro) ad una attenta misurazione della lunghezza e della larghezza dei lembi fogliari.

Tabella 2 - Caratteristiche biometriche delle foglie (Lopinto, 2005).

Cultivar Dimensione foglie Lunghezza

(cm) Larghezza (cm) Clone PZ 1 18,47 ± 1,36 5,89 ± 0,22 Clone PZ 2 18,04 ± 1,83 5,69 ± 0,14 Clone PZ 3 19,46 ± 2,18 6,11 ± 0,34 Clone PZ 4 19,63 ± 2,17 9,34 ± 1,00 Clone PZ 5 22,65 ± 4,62 8,62 ± 0,82

Tutti i dati acquisiti sono stati messi a raffronto con quelli rilevati nel 2005 (Tab. 2). La comparazione ha evidenziato, per l’anno 2017, una evidente ridu- zione della superficie delle foglie.

Mentre la media delle dimensioni fogliari rilevate nel 2005 è di cm. 19,67 in lunghezza e cm 7,13 in larghezza, i dati acquisiti nel 2017 risultano essere

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rispettivamente cm 17,80 e cm 6,05. Dal raffronto risulta che la riduzione fogliare ha interessato lo sviluppo dei lembi nella loro interezza ed ha maggiormente impegnato lo sviluppo longitudinale.

In aggiunta a quanto appena esposto si riferisce che, sempre nel 2017 ma nel periodo della caduta a terra dei frutti maturi, si è osservato la presenza di parecchi ricci verdi chiusi ancora in formazione e con frutti non utilizzabili. Queste frut- tificazioni erano integre e non mostravano alcuna anomalia se non la ridotta di- mensione e lo stato di eccessivo ritardo nella maturazione.

6. ANDAMENTO CLIMATICO NEI TEMPI PREGRESSI

Al fine di meglio comprendere le cause che hanno indotto le malformazioni osservate e per rilevare eventuali varianti rispetto al normale andamento clima- tico della zona in osservazione, si è voluto condurre una indagine sullo sviluppo del clima negli anni trascorsi.

Partendo dal 1928, si è inteso analizzare l’andamento delle temperature e delle piogge nel novantennio 1928-2017.1

Questi dati, elaborati seguendo il metodo Bagnouls e Gaussen, hanno consentito di ricavare un diagramma (Fig. 7) la cui lettura evidenzia le caratteristiche tipiche del clima mediterraneo con un lungo periodo di siccità, da giugno a metà agosto.

Figura 7 - Melfi: novantennio 1928-2017.

Volendo restringere il tempo di osservazione, in maniera analoga si è passati ad analizzare i dati climatici del trentennio 1988-2017.

1Le rilevazioni delle precipitazioni e delle piogge, alle quali questo lavoro si riferisce, sono state effettuate presso la stazione meteorologica dell’ALSIA (Azienda Lucana per lo Sviluppo e Innovazione in Agricoltura)

“Incoronata” di Melfi (PZ) sita ad un’altitudine di 581 m s.l.m. e ad una latitudine nord di 40°59’ e longi- tudine est di15°39’. Questa stazione è sita sul versante orientale del Vulture ed è posizionata al limite infe- riore della zona occupata dai “cedui castanili da frutto” (Scalcione et al., 2000).

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Anche in questo caso il grafico ricavato (Fig. 8) mostra le stesse caratteristiche del precedente differenziandosi per la durata del tempo di crisi idrica estiva che qui risulta alquanto limitato.

Figura 8 - Melfi: trentennio 1988-2017.

Andando ancora oltre, si è passati a restringere ulteriormente il tempo di os- servazione al decennio 2008-2017. Pure in questo caso il diagramma (Figura 9) evidenzia la tipicità del clima mediterraneo.

Figura 9 - Melfi: decennio 2008-2017.

Si è quindi passati ad analizzare il solo anno 2017. Il diagramma ricavato (Figura 10) mostra chiaramente come, nel corso dell’intera annata, si siano verificati (a gennaio, settembre e novembre) solo tre picchi di pioggia e, nel lungo tratto di tempo tra l’inizio di maggio e la seconda decade di agosto, si è avuto un

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continuo ed intenso periodo di crisi idrica accompagnato da un caldo torrido e persistente. La particolare combinazione delle elevate temperature con la totale assenza di precipitazioni ha comportato un andamento anomalo che ha prodotto il realizzarsi di un periodo particolarmente siccitoso e torrido con temperature percepite prossime ai 40°C ed oltre: il tutto in un ambiente senza un benché minimo alito di vento.

Figura 10 - Melfi: anno 2017.

Figura 11 - Melfi: anno 2016.

Il totale delle precipitazioni, nell’anno 2017, ammonta a mm 643 che risulta essere al di sotto della media del novantennio (mm.830 circa) con uno scarto di 187 mm. È interessante rilevare ancora come, in contrapposizione a quanto ve- rificatosi nel 2017, l’anno 2016 ha fatto registrare un andamento climatico tipico di un ambiente temperato mite e, difatti, il grafico relativo (Figura 11) non evi- denzia alcun periodo di deficienza idrica. La positività di questa annata è stata evidenziata dai buoni raccolti agricoli del 2016.

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Anche Scalcione e Cappiello (2000) nel loro studio sull’analisi di 79 anni (dal 1921 al 1999) di dati meteorologici del territorio di Melfi, hanno rilevato un an- damento altalenante nelle precipitazioni. Gli autori infatti evidenziano come, nel periodo esaminato, la media delle precipitazioni è risultata pari a 818,6 mm. Con un campo di variazione abbastanza ampio: si va dai 360 mm del 1932 ai 1.259,4 mm del 1976 con una ampiezza della variabilità di 899,4 mm.

7. CORRELAZIONI TRA LE ESCURSIONI CLIMATICHE E LA FUNZIONALITÀ DELLA VEGETAZIONE ARBOREA

Vari studi hanno chiarito come gli effetti del cambiamento climatico siano un rischio immanente per la sopravvivenza dei popolamenti delle varie specie fore- stali nelle diverse fasce climatiche (Gullotta et al., 2016). Queste modificazioni climatiche, in vero, interferiscono sui vari processi vegetazionali (quali la rinno- vazione naturale, la crescita dei vari organi e la produttività) determinando di- sfunzioni tali sino a compromettere la vitalità delle piante stesse.

È generalmente riscontrabile difatti come, specie nelle aree meridionali, le tem- perature medie, nel raffronto con il passato, siano più elevate così come le preci- pitazioni risultano molto ridotte in alcuni periodi dell’anno e tendono a concen- trarsi in altri con conseguenti fenomeni di ruscellamento e dilavamento dei terreni.

Questo porta al convincimento che si stia in una fase di tropicalizzazione del clima locale caratterizzato proprio dalle alte temperature e da una scarsa disponi- bilità idrica nei periodi di maggiore necessità per le coltivazioni agricole e forestali.

Borghetti (1992), concentrando l’attenzione sugli esiti della ridotta disponibi- lità di acqua nei rapporti con la vegetazione, evidenzia che “gli effetti del deficit idrico a livello morfologico e fisiologico sono innumerevoli” e le manifestazioni sono date dal ridotto accrescimento fogliare, dall’alterazione dei ritmi fenologici e dall’azione limitante sulla fotosintesi.

A tal riguardo Grasso (1956) riferisce di aver osservato ai primi di settembre 1956, in alcune zone dell’alto Molise e sempre a seguito di periodi siccitosi ac- compagnati da alte temperature, molte piante di Faggio che presentavano foglie intensamente arrossate oltre a rami e rametti che “mostravano già una accentuata filloptosi”. Sibilia (1952), inoltre, dopo aver evidenziato le particolari condizioni di siccita accompagnata da alte temperature, del decennio 1943-1953, descrive i danni derivati a diverse specie ed anche al Castagno. Quest’ultimo, stremato dalle avverse condizioni climatiche, ha subito anche danni per l’attacco da Mycosphae- rella maculiformis. In maniera analoga Cantiani (1958), parlando delle faggete coe- tanee dell’alta Irpinia, riferisce come le stesse siano state interessate, nell’agosto 1958, da una forte crisi per deficienza idrica accompagnata da persistenti tempe- rature elevate. L’effetto di questi due eventi ha prodotto l’ingiallimento e l’ar- rossamento delle foglie di Faggio ed una forte filloptosi oltre ad una parziale caduta dei frutti.

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8. CONCLUSIONI

I risultati a cui si è pervenuti con questo studio evidenziano come le variazioni dell’andamento climatico influenzano pesantemente la funzionalità dell’am- biente vegetazionale e la relativa funzionalità.

Nel caso specifico dei castagneti del Vulture è da considerare che questi hanno subito, sei anni addietro, l’attacco da cinipide (vespa cinese) e gli stessi si trovano oggi all’inizio della fase di riequilibrio del sistema Castagno.

Alla luce di quanto rilevato è lecito ritenere che la microfillia e la mancata maturazione di parte del prodotto di castagne nell’anno 2017 siano da attribuire, in maniera prevalente, al particolare andamento climatico verificatosi nell’annata stessa e, quale possibile concausa, allo stato di stress del Castagno indotto dallo attacco da cinipide.

Il grave problema del cambiamento climatico preoccupa il mondo intero e, in quest’ambito, la tropicalizzazione dell’ambiente mediterraneo risulta essere molto assillante.

In ambito agrario e forestale il campo scientifico è chiamato a suggerire i cor- rettivi più idonei per meglio affrontare tale evenienza sia attraverso la ricerca ed individuazione di ecotipi più idonei e meglio adattabili alle nuove esigenze e sia attraverso l’adozione di modalità colturali più rispondenti al caso.

Come passo iniziale, il castanicoltore deve contribuire col ricorrere a metodi più confacenti per favorire l’immagazzinamento dell’acqua piovana ed evitare ogni dispersione della stessa. A tal fine è utile eludere ogni forma di lavorazione del terreno favorendone una buona copertura verde integrata, semmai, da pac- ciamatura.

RINGRAZIAMENTI

Sono molto grato alla dot.ssa Paola Mairota, del Dipartimento di Scienze Agroalimentari e Territoriali dell’Università degli studi di Bari, per i vari consigli e suggerimenti fornitimi per l’elaborazione di questo lavoro.

SUMMARY

A case of leaf area reduction in chestnut coppices for fruit production on the Vulture Mountain (Basilicata, Southern Italy)

In the summer of 2017 a microphyllia was noticed in the chestnut coppices for fruit produc- tion on the Vulture mountain. Due to the particular weather conditions, it is possible to connect it to the water deficit and the high temperatures which characterized the summer of that year.

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