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View of L’IMPORTANZA DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA E VIROLOGIA NELLE STRATEGIE DI CONTROLLO DELLE INFEZIONI NEI PAZIENTI TRAPIANTATI D’ORGANO

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S5.5

ASPETTI PATOGENETICI E MONITORAGGIO CLINICO DELLE LINFOPROLIFERAZIONI EBV-CORRELATE

DEL PAZIENTE TRAPIANTATO Dolcetti R.

Unità Operativa di Immunovirologia e Bioterapie. Dip. della Ricerca Pre-Clinica ed Epidemiologica, Centro di Riferimento Oncologico

-I.R.C.C.S., Istituto Nazionale Tumori, Aviano (PN).

Le linfoproliferazioni post-trapianto (PTLD) EBV-cor-relate comprendono uno spettro di disordini iperproli-ferativi prevalentemente a carico dei linfociti B, che variano da condizioni benigne policlonali a quadri francamente maligni. Le alterazioni delle risposte immuni T cellulari nei confronti di EBV indotte dalla terapia immunosoppressiva sono alla base della com-plessa patogenesi dei PTLD. Ciò è sottolineato anche dai fattori di rischio che favoriscono lo sviluppo di tali disordini: la sieronegatività per EBV (in particolare in presenza di un donatore EBV-sieropositivo), lo svilup-po di un’infezione primaria da EBV (o riattivazioni occasionali del virus), elevati livelli di immunosop-pressione farmacologica, presenza di malattia da CMV e la giovane età. Le evidenze finora ottenute indicano comunque che, oltre all’imunosoppressione, altri fatto-ri sono necessafatto-ri per lo sviluppo dei PTLD. Tra questi sembrano di rilevanza patogenetica alcuni fattori microambientali, quali la frequente presenza di un abbondante infiltrazione di linfociti T CD4+, partico-larmente delle forme ad insorgenza precoce, e l’eleva-ta produzione locale di IL-6. Recentemente è sl’eleva-tato inoltre dimostrato come concentrazioni fisiologiche di glucocorticoidi, ma non altri ormoni steroidei, pro-muovano direttamente la proliferazione di cellule B immortalizzate da EBV. Infine, alterazioni genetiche, in particolare a carico dei geni p53, c-myc e N-ras, sono state associate all’evoluzione di forme policlona-li di PTLD verso quadri francamente monoclonapoliclona-li ed altamente aggressivi.

Nella maggior parte dei casi, le cellule di PTLD espri-mono un pattern di latenza virale che comprende tutti gli antigeni della fase latente, mentre si ritiene che solo una piccola frazione di tali cellule presenti caratteristi-che fenotipicaratteristi-che compatibili con una replicazione di EBV. Dato che l’espressione di alcuni oncogeni virali quali LMP-1 ed EBNA-2 è in grado di promuovere direttamente la proliferazione dei linfociti B, ciò spie-ga come l’EBV rivesta un ruolo diretto nella patogene-si del PTLD. Tuttavia, occorre sottolineare come l’e-spressione dei vari antigeni di EBV sia spesso eteroge-nea nell’ambito dello stesso caso, non essendo

infre-quente il riscontro di sottopopolazioni di cellule con pattern di latenza più ristretti. In tali casi, è probabile che siano intervenute alterazioni genetiche o epigene-tiche in grado di rendere non più necessaria l’espres-sione di oncogeni virali per il mantenimento del feno-tipo trasformato.

Il monitoraggio del carico del DNA di EBV nel siero/plasma o nelle cellule mononucleate circolanti dei pazienti trapiantati si è dimostrato un supporto molto utile ai fini predittivi e diagnostici, migliorando notevolmente la gestione clinica. Tuttavia, molto rima-ne ancora da fare in termini di standardizzaziorima-ne delle metodiche di indagine utilizzate, ed in particolare per ciò che riguarda la tipologia e la quantità del materiale biologico di partenza, l’identificazione di standard quantitativi di riferimento e la definizione di valori soglia di significato clinico. Occorre inoltre sottolinea-re il fatto che elevati carichi di EBV non sempsottolinea-re sono indicativi dello sviluppo di PTLD e che tali linfoproli-ferazioni possono insorgere anche in assenza di un concomitante incremento della quantità del DNA di EBV circolante. Ciò suggerisce come la sola determi-nazione del carico di EBV non sia sufficiente a predi-re il rischio di PTLD. Appapredi-re quindi evidente come sia necessario integrare la quantificazione del carico di EBV con altri parametri, prevalentemente di natura immunologica, al fine di poter meglio valutare l’equi-librio dinamico esistente tra l’EBV e il sistema immu-ne dell’ospite trapiantato. Ciò consentirà di definire con maggior precisione tempi, tipologie e modalità degli interventi terapeutici a livello del singolo pazien-te, particolarmente di quelli che prevedono l’infusione di linfociti T citotossici EBV-specifici.

S5.6

L’IMPORTANZA DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA E VIROLOGIA NELLE STRATEGIE DI CONTROLLO DELLE INFEZIONI NEI PAZIENTI

TRAPIANTATI D’ORGANO Lazzarotto T.

U.O. di Microbiologia, Laboratorio di Virologia, Policlinico S.Orsola Malpighi,

Università degli Studi di Bologna, Bologna.

Il trapianto d’organo è oggi l’unica cura che permette la sopravvivenza per patologie terminali a carico di organi vitali quali cuore, fegato, polmone e pancreas o il miglioramento della qualità di vita (trapianto di rene nei pazienti dializzati, di intestino per chi si nutre solo per via endovenosa).

Il rigetto e le infezioni sono i due principali e com-plessi fattori che condizionano l’evoluzione clinica del

volume 19, numero 2, 2004 RELAZIONI

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trapianto, a breve e a lungo termine, e sono due pro-cessi intimamente associati e interdipendenti.

Il rischio di infezione nel soggetto ricevente l’organo è determinato dall’interazione tra l’esposizione a sor-genti infettive ambientali e lo stato funzionale del sistema immunitario, a sua volta frutto di un comples-so equilibrio tra diversi fattori quali il tipo, la dose e la durata della terapia immunosoppressiva impiegata per il trattamento del rigetto, la comorbidità e la presenza di disturbi metabolici.

Le sorgenti di infezione possono essere di tipo endo-geno, in particolare dovute al ruolo patogeno che pos-sono assumere i microrganismi saprofiti presenti a livello della cute e mucose, e di tipo esogeno da ricer-care nell’organo trapiantato, nella trasfusione di san-gue ed emoderivati e nell’ambiente.

Le complicanze infettive si possono presentare a cari-co di vari organi ed apparati e la maggior parte di esse avvengono nei primi mesi post-trapianto. Gli agenti eziologici patogeni, sia convenzionali che opportuni-stici, sono prevalentemente di natura batterica (ad ori-gine sia ospedaliera che comunitaria) e virale, ma per la loro gravità particolare attenzione viene anche data ad alcune complicanze fungine e protozoarie. La diagnostica di laboratorio permette nella maggior parte dei casi di interpretare e orientare correttamente i segni e i sintomi che la medicina clinica e strumentale evidenzia nei pazienti.

Quindi la prevenzione, la diagnosi appropriata e tem-pestiva, unite ad una gestione ottimizzata delle com-plicanze infettive, costituiscono i principali obiettivi della medicina di laboratorio dei trapianti con la finali-tà di ridurre la mortalifinali-tà non correlata a recidiva della malattia di base.

Con il progredire delle conoscenze e della ricerca nella diagnosi precoce e nella terapia precoce delle infezio-ni, l’intervallo tra l’espressione clinica di una malattia da infezione e la sua diagnosi si è gradualmente modi-ficato a tal punto che la diagnostica di laboratorio si è resa indispensabile nell’ottenere informazioni circa i fattori di predittività per la comparsa di infezione e di malattia, i fattori per il controllo della progressione della malattia e quindi i fattori che permettano di con-trollare l’efficacia delle terapia o di rivelare precoce-mente l’eventuale insuccesso.

Il perfezionamento tecnico delle metodiche di labora-torio ha portato una vera e propria rivoluzione nei metodi diagnostici rendendo sempre più necessario migliorare le potenzialità della ricerca nel settore.

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