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Il petrolio: dai giacimenti al distributore

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Academic year: 2021

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DAI GIACIMENTI AL DISTRIBUTORE: IL PETROLIO RACCONTA

Fare il pieno di benzina è un atto banale, ma il liquido che mettiamo nel serbatoio ha una storia geologica che risale a milioni di anni fa

I trenta litri di benzina che forse ieri abbiamo immesso nel serbatoio della nostra automobile potrebbero venire dall'Iran dopo un viaggio in mare di 8000 chilometri e potrebbero avere 30-40 milioni di anni. Il liquido che abbiamo ricevuto da una delle 20.000 stazioni di rifornimento distribuite sul territorio italiano è il prodotto di un processo di distillazione del petrolio avvenuto 10-15 giorni fa in qualcuna delle nostre 15 grandi raffinerie.

Entrando in raffineria il greggio (ne importiamo dall'estero più di 80 milioni di tonnellate all'anno), grazie ad una sequenza di torri di distillazione a temperatura e pressione diverse, si fraziona (si chiama: processo di "topping" o raffinazione primaria) in nafta, cherosene, gasolio, gas di petrolio (o GPL) e benzina, più i residui pesanti. In parte i nostri 30 litri di benzina potrebbero provenire da altre torri della raffineria, dove si esegue il trattamento di “cracking termico”. Per tale operazione vengono impiegati appunto i “residui pesanti”.

Il “cracking termico” consiste in una lavorazione dei residui in condizioni di alta temperatura (fra 450 e 600 gradi centigradi) tale per cui le molecole più pesanti di idrocarburi si spezzano e si riaggregano in molecole di dimensioni minori. La benzina così ottenuta è persino migliore di quella proveniente dalla semplice distillazione. Il greggio che viene dall'Iran, uno dei maggiori fornitori di petrolio dell'Italia (dal 15% al 20% delle importazioni totali) deve essere trasportato via mare perchè per ora non esiste un collegamento con il Golfo Persico via oleodotto.

Le navi destinate al trasporto del greggio (le petroliere) hanno raggiunto capacità fino a 500.000 tonnellate. Si è anche ipotizzato di costruire navi da un milione di tonnellate ma il loro limite è di tipo ambientale (se si spezza una di esse i danni ecologici sono enormi) e di transito (il loro pescaggio a pieno carico potrebbe essere di 20-25 metri) e non tutte le rotte e i porti sarebbero agibili. Oggi una superpetroliera può trasportare fino a 1,5 milioni di barili di petrolio greggio (un barile contiene 159 litri di liquido) e può viaggiare a 10-16 nodi, cioè a 20-30 km/ora. La nostra petroliera potrebbe aver caricato il greggio al terminale dell'isola Kharg, in Golfo Persico a sud-est di Abadan. In tal caso avrebbe coperto la distanza dall'Italia in 12-15 giorni o in 25-30 giorni se, a causa del suo pescaggio, non avesse potuto transitare attraverso il canale di Suez (che ha un pescaggio massimo di 17 metri) e avesse dovuto fare il periplo dell'Africa.

Se il greggio di cui parliamo è iraniano, è molto probabile che esso provenga da uno dei più ricchi e più antichi campi petroliferi del mondo che stanno sul versante occidentale della grande catena dei Monti Zagros. Uno di questi, quello di Gach Saran fu scoperto quasi 100 anni fa dagli inglesi della Anglo-Persian Oil Company e tuttora produce. Che la zona fosse ricca di petrolio (il termine viene da "olio di pietra" e fu usato per la prima volta dallo scienziato tedesco Agricola nel 1546 nella sua opera "De natura Fossilium") e di gas naturale già si sapeva da millenni. Zoroastro (o Zarathushtra), che visse in Persia fra il mille e il 600 avanti Cristo, lo scelse come fonte del fuoco, il cui culto si diffuse in questa regione. Ci furono momenti negli Anni 60 in cui la produzione da questo giacimento riempiva una media petroliera in due giorni. Il giacimento di Gach Saran è lungo 80 chilometri e largo 7, con una superficie di circa 500 chilometri quadrati (il doppio del lago Maggiore).

A differenza dei laghi, il petrolio però si trova in profondità e non si presenta come una superficie liquida contenuta in un invaso. Il greggio si trova all'interno degli interstizi del terreno, come l'acqua versata in un mucchio di sabbia. Gli interstizi costituiscono la porosità della roccia che, nella maggior parte dei giacimenti ha un valore del 5-15% sul totale del volume di roccia. Se lo spessore della roccia imbevuta di petrolio fosse stato di 60 metri con una porosità del 10%, il giacimento di Gach Saran all'origine avrebbe contenuto 30 miliardi di metri cubi di liquido e gas pari a circa 200 miliardi di barili (circa 130 - 150.000 petroliere come la nostra). In parte quel petrolio è già stato prodotto (forse il 50%) e in parte non verrà

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prodotto (forse il 40%) perchè con le tecniche di estrazione attuali non tutti gli idrocarburi possono essere portati in superficie.

Il giacimento di Gach Saran si trova a 2600 metri di profondità in una roccia formatasi nell'era geologica del terziario miocenico inferiore (tra 7 e 26 milioni di anni fa), quando si verificò il più imponente parossismo della orogenesi alpino - himalaiana. Al giacimento, il petrolio arrivò dopo un lungo viaggio provenendo dalla "roccia madre" dove è stato generato.

I giacimenti attuali sono il punto di arrivo oltre il quale il petrolio non può più migrare; ma il punto di partenza è la "roccia madre", il terreno sedimentario costituito da particelle terrose mescolate con una biomassa di sostanze organiche che, per trascinamento dalle acque della crosta terrestre e successiva sedimentazione, si depositò sul fondo di bacini lacustri o marini. Quando uno di questi bacini sedimentari, per spinte orogenetiche venne portato in profondità, si verificò la trasformazione della sostanza organica in idrocarburi. Il tempo di questa trasformazione dipende dalla temperatura e dalla pressione ma di solito va da 10 a 50 milioni di anni.

VARVELLI RICCARDO (Tratto da Tuttoscienze - La Stampa)

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STRATOSFERA

Ossido di carbonio e idrocarburi incombusti permangono in quota fino a qualche mese

Il cittadino si chiede spesso come mai si emanino leggi per contenere le emissioni inquinanti delle auto e non si adottino analoghi provvedimenti per il traffico aereo. Ai velivoli - si dice scherzosamente - non è stata imposta neppure la marmitta catalitica. In realtà le preoccupazioni per gli effetti dell'aviazione sull'atmosfera hanno dato impulso a vari programmi di ricerca da vent'anni a questa parte. L'attuale situazione vede una molteplicità di iniziative, tanto che la Commissione Europea ha ritenuto opportuno istituire un ente di coordinamento (Corsaire, Coordination of Research for the Study of Aircraft impact on the environnement) per definire una strategia comune. Un primo risultato di questo ente è la pubblicazione di una vasta sintesi delle conoscenze acquisite, la base per un programma di lavoro sinergico tra le nazioni partecipanti.

Va subito detto che la quantità di sostanze nocive dovuta al trasporto aereo è modesta rispetto a quella prodotta al suolo da autoveicoli, centrali termoelettriche, attività industriali. Degli oltre 3 mila milioni di tonnellate di idrocarburi consumati ogni anno nel mondo, solo 200 milioni vengono bruciati nelle turbine dei velivoli. Va anche ricordato che i prodotti del processo ideale di combustione sono l'anidride carbonica e l'acqua ma che, in pratica, le cose vanno diversamente; si verifica, ad esempio, la presenza di ossido di carbonio, di idrocarburi incombusti e di particelle carboniose. Inoltre l'elevata temperatura delle parti più calde dei motori fa in modo che l'azoto dell'aria di combustione non si comporti più come gas inerte ma subisca una parziale ossidazione che dà origine ad ossidi di azoto in ragione di quasi 2 grammi per ogni chilo di combustibile bruciato. Questi composti nocivi vengono anche ritenuti corresponsabili dei danni all'ozono e delle piogge acide (formando acido nitroso e nitrico con l'umidità dell'aria). Un fattore aggravante è quello della loro lunga permanenza in quota, che cresce con l'altitudine (da qualche giorno ad alcuni mesi) e che dà luogo a un accumulo intorno ai corridoi di volo e specialmente nella stratosfera, dove operano il Concorde e gli aerei supersonici militari. Quanto alle particelle solide sub-microscopiche dei gas di scarico, questi agiscono come germi di condensazione e ghiacciamento dell'acqua atmosferica, influendo sul clima con la formazione di nubi e con l'innesco delle precipitazioni.

Come si vede, le variazioni climatiche generate dall'aviazione civile sono limitate rispetto ad altre cause, ma gli sviluppi ipotizzati nel settore per i prossimi decenni potrebbero comportare un notevole peggioramento della situazione. È indispensabile, perciò, procedere sin da ora lungo la sola via praticabile: quella di costruire aerei meno inquinanti. Occorrono macchine innovative che siano meno pesanti, più aerodinamiche, soprattutto con propulsori di maggiore efficienza forse alimentati da combustibili diversi dagli attuali. Inoltre, le altitudini di volo non dovranno superare la tropopausa, così da ridurre i danni alla fascia dell'ozono (il che, di conseguenza, esclude la costruzione di vettori civili supersonici). Tutto ciò collide, purtroppo, con i lunghi cicli di rinnovo delle flotte, con le esigenze finanziarie, con le lentezze procedurali, con le probabili inadempienze di alcuni Paesi. Nel frattempo occorre abbassare i consumi di carburante, e quindi l'impatto ambientale, riducendo le attese al suolo e in volo e ottimizzando le rotte (con la guida satellitare) e il carico (attualmente inferiore al 70 per cento): obiettivi che l'Associazione delle compagnie di linea europee ha fatto propri nell'assemblea tenutasi il 31 ottobre scorso a Berlino.

PAPULI GINO

LETTURE

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(Tratto da Tuttoscienze - La Stampa)

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