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Problemi e prospettive in materia di gestione dei servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012

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Problemi e prospettive in materia di gestione dei servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012

Sommario: 1. Il quadro normativo anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012.

2. L‟impatto della sentenza n. 199/2012 sulla disciplina dei servizi pubblici locali. 3. La sentenza n.199/2012 a fronte del “Decreto sviluppo 2” del Governo e delle recenti sentenze in materia della Corte Costituzionale. 4. Riflessioni conclusive.

1. Il quadro normativo anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n.199 del 2012

E‟ constatazione di comune esperienza che le evoluzioni istituzionali hanno condotto alla trasformazione della pubblica amministrazione in soggetto dispensatore di prestazioni alla collettività, prestazioni qualificate come servizi pubblici1 o di pubblica utilità, in ordine ai quali il legislatore non ha mai fornito una definizione unitaria fagocitandosi invece la tripartizione dottrinaria in servizi burocratici, servizi sociali e servizi a rilevanza economica, rispetto ai quali occorre focalizzare l‟attenzione. La gran parte dei servizi economici è oggetto di organiche normative speciali, rispetto alle quali è da sempre stata considerata inderogabile e prevalente la disciplina statale in ordine alle modalità di affidamento e gestione dei servizi medesimi, salve eccezioni di volta in volta individuate dal legislatore. Tra i servizi interessati da tale disciplina generale è da sempre rientrato il servizio idrico integrato le cui modalità di gestione ed affidamento hanno seguito le sorti dell‟incessante opera di rivisitazione normativa che ha coinvolto la normativa generale, di cui occorre fornire un rapido excursus per meglio

comprendere le ragioni degli interventi attuali e soprattutto dei problemi d‟oggi2.

1 Sulla nozione di servizi pubblici si v., ex plurimis, F.BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, I, Padova, 1959, IV ed., 202; U.POTOSCHINIG, I servizi pubblici , Padova, 1964; F.MERUSI, voce Servizio pubblico, in Nuoviss. Digesto ital., 1970, XVII, 215; M.S.GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna, 1986, 69 ss.; P. Ciriello, voce Servizi pubblici, in Enc. giur. 1990, XVIII, 1 ss.

2 G.CAIA, Finalità e problemi dell’affidamento del servizio idrico integrato ad aziende speciali, in Foro amm., Tar, 2011, 663 ss.

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2 I servizi pubblici furono disciplinati per la prima volta in modo organico più di cento anni fa dalla legge 19 marzo 1903, n. 103 ( legge Giolitti), avente ad oggetto la c.d.

municipalizzazione, un intervento volto ad affrancare l‟erogazione dei servizi pubblici dal ricorso obbligato alla concessione ai privati, restii alla riduzione dei prezzi ed all‟introduzione di agevolazioni a favore dei cittadini, attraverso il trasferimento progressivo della gestione ai comuni, considerati i tutori naturali dell‟attività di organizzazione ed erogazione dei servizi stessi in quanto costituenti gli enti territoriali più vicini ai bacini dell‟utenza collettiva. La municipalizzazione fu attuata attraverso l‟individuazione, in alternativa allo strumento concessorio, di forme di gestione diretta dei pubblici servizi rappresentate dalla costituzione di “aziende municipali”, un‟organizzazione differenziata dotata di autonomia amministrativa e contabile, ma priva di personalità giuridica tributata dall‟ente costituente, per la gestione di servizi di notevole entità, e dall‟esercizio “ in economia” estrinsecantesi nella gestione diretta del servizio da parte dell‟ente locale con il proprio apparato di uffici e mezzi per la gestione dei servizi di minore entità. Il sistema in questione fu confermato dal T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, ed il conseguente decreto di attuazione (d.p.r. 602/1926), deputati alla riorganizzazione della congerie di norme successive alla legge 103/1903. Le forme di gestione diretta ed indiretta prospettate nei primi decenni del secolo scorso furono ribadite con modificazioni ed integrazioni ad opera della legge di riforma delle autonomie locali, legge 142/1990, che all‟art. 22 dettò una nuova disciplina dei servizi pubblici locali3, confermando la concessione tra le modalità di gestione indiretta e la tradizionale “ gestione in economia”, tra le modalità di gestione diretta, accomunate dal non comportare la costituzione di strutture organizzative, tipizzando accanto a queste altri tre modelli organizzativi: la costituzione di “ istituzioni”, prive di personalità giuridica pensate per svolgere i servizi sociali, mentre per i servizi di natura economica-imprenditoriale si poteva optare per la costituzione di un‟ “azienda speciale”, figlia della vecchia municipalizzata, ma dotata di personalità giuridica, e la creazione di una “s.p.a a capitale pubblico locale”. La società per azioni originariamente concepita a prevalente capitale pubblico locale4 ha costituito la novità più significativa introdotta con la legge n. 142/1990 usufruibile dai Comuni ove fosse

3 La norma richiamata pur non contenendo una definizione di servizio pubblico ne ha comunque delimitato l‟oggetto e le finalità prescrivendo che questo si sostanzia nella << produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali>>, disposizione successivamente trasfusa nell‟art. 112 del T.U.E.L., d.lgs. n. 267/ 2000.

4 L‟art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, attuato con il .p.r. 16 settembre 1996, n. 553, ha eliminato il vincolo della maggioranza pubblica consentendo la costituzione di s.p.a miste a maggioranza privatistica accanto alle modalità di gestione già consentite con la legge 142/1990.

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3 stata necessaria la presenza di capitali privati per assicurare una migliore efficienza del servizio pubblico evitando al contempo di esternalizzare totalmente la gestione attraverso la concessione.5 Tali modelli gestionali tipizzati, entro i quali i Comuni potevano discrezionalmente scegliere, confluirono nell‟art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, Testo Unico delle leggi dell‟ordinamento degli enti locali, rubricato “forme di gestione” e già oggetto, poco dopo la sua entrata in vigore di una profonda modifica legislativa ad opera dell‟art. 35 della legge finanziaria del 2002 ( legge n. 448/2001). Il richiamato intervento normativo ha integralmente modificato l‟art. 113 T.U.E.L., volto a regolamentare, secondo la dizione fornita dallo stesso legislatore del 2001, i servizi pubblici locali di “rilevanza industriale”6, ed introdotto ex novo l‟ art. 113bis volto a disciplinare le modalità di gestione per i servizi pubblici a rilevanza “ non industriale”.

In merito all‟art. 113 la riforma del 2001 ha provveduto a scorporare la filiera di produzione del servizio distinguendo tra la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni destinati all‟esercizio dei servizi pubblici, l‟eventuale gestione separata di tali strumenti dall‟attività di erogazione del servizio e la gestione del servizio. In merito al primo segmento si è imposta la necessaria proprietà pubblica di tutte le dotazioni 7 afferenti all‟erogazione del servizio onde assicurare la loro funzionalizzazione allo stesso evitando <<di sottrarre così i beni pubblici ai possibili

5 E.SCOTTI, Servizi pubblici locali, in Digesto delle discipline pubblicistiche ( a cura di R.BIFULCO,A.CELOTTO, MOLIVETTI), Torino, 2012.

6 Formula che sostituendo il riferimento alla “rilevanza imprenditoriale”, contenuto nell‟originaria dizione dell‟art. 113 T.U.E.L.,dato che tutti i servizi pubblici sono ormai svolti in forma imprenditoriale, era stata utilizzata per indicare le attività di produzione di servizi potenzialmente produttive di utili.

7 Al principio della necessaria proprietà pubblica delle reti la legge n. 448/2001, nel modificare l‟art. 113 ha previsto al suo comma 13, una deroga consentendosi agli << enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato dalle normative di settore>> di << conferire la proprietà delle reti degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società di cui detengono la maggioranza, che è incedibile>> ed imponendo alle società cessionarie di mettere a disposizione le dotazioni dei gestori delle stesse o dei gestori del servizio, a fronte del pagamento di un canone stabilito << dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali>>, prescrivendosi, altresì, a conclusione del comma in parola, che a tali società gli enti avrebbero anche potuto << assegnare ai sensi della lett. a) del comma4 la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui al comma 5 >>. Secondo tale previsione, dunque ,non solo era possibile il conferimento anche a vantaggio di società miste pubblico/private, a condizione che la maggioranza delle azioni fossero detenute dagli stessi enti locali che avevano conferito i beni, ma si prevedeva altresì che questi ultimi potessero attribuire la gestione delle gare per l‟affidamento del servizio alle società proprietarie delle reti. Tuttavia la partecipazione, anche se minoritaria, di soggetti privati nelle società cessionarie non era perfettamente in linea con le ragioni della riforma: da un lato, infatti, non garantiva un totale controllo pubblico sui beni essenziali alla prestazione dei servizi, frustrandosi le ragioni che avevano ispirato la necessaria appartenenza pubblica delle dotazioni, dall‟altro la presenza di privati mal si conciliava con il ruolo di stazione appaltante delle società titolari, soprattutto in mancanza di una norma che impedisse ai privati di essere contestualmente soci delle società proprietarie e di società che aspirano all‟assegnazione dei servizi ai quali la gara si riferisce.I rischi lamentati sono è sono stati neutralizzati, come si chiarirà nel prosieguo della trattazione, dalla riforma ad opera del d.l. n. 269 del 2003, convertito in n. 326 del 2003. Del tutto in linea con la tutela della concorrenza non si prestava neanche la previsione del comma 14 dell‟art. 113 T.U.E.L. che nel prevedere l‟ipotesi in cui le reti, gli impianti e le dotazioni afferenti al servizio fossero di proprietà di << soggetti diversi dagli enti locali >>, autorizzava questi ultimi, senza un confronto concorrenziale a gestire i servizi o i loro segmenti, in modo integrato. Previsione che, in linea con il dichiarato intento di tutelare la concorrenza, è stata abrogata dal d.p.r. n.

168 del 2010, in attuazione del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.

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4 effetti negativi conseguenti alle cattive gestioni dei servizi>>8. Anche con riferimento al segmento relativo alla gestione delle dotazioni il legislatore ha previsto una regola generale in forza della quale di norma essa è associata al segmento dell‟erogazione del servizio, là dove invece le discipline di settore possono prevedere i casi in cui la gestione delle dotazioni è separata dallo stesso. 9 Ma è in merito all‟ultimo segmento della filiera del servizio che il legislatore ha introdotto la novità più importante:

recependo i principi comunitari di non discriminazione e trasparenza, ha sancito l‟abbandono della concessione, come sistema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, ed ha liberalizzato l‟erogazione del servizio prevedendo che venga svolta in regime concorrenziale con conferimento della titolarità della gestione a società di capitali individuate attraverso l‟espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica. Soltanto per i servizi privi di rilevanza industriale l‟art. 113bis manteneva ferme le modalità gestionali tradizionali: gestione “in economia”, creazione di istituzioni, aziende speciali, affidamento diretto a s.p.a. miste partecipate dall‟ente locale. Nel 2001, dunque, il legislatore escludeva per i servizi di rilevanza industriale qualsiasi forma di affidamento diretto ponendo come regola generale per l‟accesso all‟affidamento del servizio l‟esperimento di procedure ad evidenzia pubblica. Tale assetto non ha avuto modo di consolidarsi che è stato travolto da un‟ ulteriore modifica normativa ad opera del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, che ha in primo luogo sostituito alla distinzione tra servizi di rilevanza industriale e non quella tra servizi di “rilevanza economica” e servizi di rilevanza “non economica”10, che sono rimasti rispettivamente disciplinati dagli articoli 113 e 113bis T.U.E.L. , ribadendo in relazione al primo la separazione della filiera del servizio nei diversi segmenti individuati nel 2001, con modifiche, attualmente vigenti, rese necessarie dall‟esigenza di eliminare le contraddizioni delle precedenti previsioni normative11. Si è così confermata la necessaria proprietà pubblica delle reti e delle dotazioni del servizio e la deroga di cui al comma 13 dell‟art. 113 T.U.E.L.

8 Cfr. M.DUGATO,La disciplina dei servizi pubblici locali, in Giorn. dir. amm..,n. 2, 2004, 124.

9 Con riferimento al caso di gestione delle dotazioni separata dall‟erogazione del servizio la riforma del 2001 aveva previsto al comma 4 dell‟ art. 113 T.U.E.L. che in tal caso gli enti locali avrebbero potuto affidare la stessa in via diretta a società a capitale pubblico locale di maggioranza o in alternativa procedere all‟affidamento ad << imprese idonee>> da individuarsi con procedura ad evidenza pubblica. Tale previsione, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo della trattazione, è stata incisa dal d.l. n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003.

10 In assenza di una disposizione legislativa che fornisca una definizione di tale formula, onde individuare la sussistenza o meno della rilevanza economica del servizio pubblico, la giurisprudenza ha suggerito di ricostruirne il significato alla luce delle indicazioni comunitarie fornite dalla Commissione europea che ha identificato i servizi di interesse economico come i servizi forniti dietro una retribuzione che va oltre la copertura dei costi di produzione e che, poiché finalizzati a soddisfare bisogni fondamentali dell‟utenza, sono assoggettati dagli Stati membri a specifici obblighi di prestazione.

11 Vedi nota n. 4.

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5 prevedendosi però, salvo il limite delle discipline di settore, che la proprietà possa conferirsi dall‟ente locale, o da più enti locali associati, soltanto a società a capitale interamente pubblico, con il vincolo dell‟incedibilità dello stesso, superandosi, con una disposizione ancora attuale, l‟originaria previsione12 e vietando, di conseguenza, i rischi connessi al coinvolgimento di capitali privati. E‟stata altresì riaffermata la possibilità che le discipline di settore consentano la gestione separata delle reti, impianti e dotazioni dall‟erogazione del servizio che, come in passato, ed ai sensi del comma 4 dell‟art. 113 T.U.E.L., può avvenire secondo due diverse opzioni: con affidamento diretto a società di capitali, costituita allo scopo a partecipazione pubblica totalitaria, diversamente dalla originaria previsione novellata dalla riforma del 2001 che ammetteva l‟affidamento a società miste13, sulla quale gli enti titolari del capitale sociale esercitino un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che

“realizzi la parte più importante della propria attività con gli enti pubblici controllanti”, oppure mediante affidamento ad “ imprese idonee, da individuarsi mediante procedure ad evidenzia pubblica”14. Ma così come si era registrato nel 2001, anche la riforma del 2003 ha segnato le sue novità sostanziali più importanti in ordine all‟individuazione delle modalità di gestione sia con riferimento ai servizi a rilevanza economica che non. In relazione ai primi, la novella ha previsto la possibilità di derogare alla regola generale dell‟obbligo di indire una procedura ad evidenza pubblica per la scelta della società cui affidare il servizio ed, in controtendenza con l‟intervento del 2001, ha introdotto forme di affidamento diretto. Sulla scorta dei principi elaborati in sede comunitaria e ribaditi nella lettera della Commissione europea del 26 giugno 2002 se, da un lato, era permanente l‟esigenza di evitare il ricorso alle concessioni fiduciarie, operate in assenza di procedure ad evidenza pubblica, dall‟altro il ricorso a quest‟ultime si poteva evitare ove ricorressero effettivamente i presupposti degli affidamenti c.d. in house. 15 La gara, infatti, non era

12 Vedi nota n. 4.

13 Vedi nota n. 6.

14 Cfr. A.GRAZIANO, Servizi pubblici locali: modalità di gestione dopo le riforme di cui alla legge 24 novembre 2003, n. 326 e alla legge 24 dicembre 2003, n. 350 e compatibilità del modello dell’ in house providing alla luce delle ultime pronuncie della Corte di Giustizia (sentenze Stand Hall dell’ 11 gennaio 2005, Parching Brixen del 25 novembre 2005 e Modling del 10 novembre2005), in www.giustiziamministrativa.it,2005.

15 Il modulo dell‟affidamento in house, in forza del quale l‟ente pubblico locale costituisce una società di capitali cui conferisce la gestione diretta del servizio, è frutto dell‟elaborazione della giurisprudenza comunitaria in materia di appalti pubblici, poi successivamente estesa dalla stessa anche in materia di concessioni di servizi pubblici. La Corte di Lussemburgo nella “sentenza Teckal” del 1999 ha infatti affermato che << l‟applicazione della normativa europea in materia di appalti pubblici è obbligatoria tutte le volte che il contratto sia stipulato, da una parte, da un ente locale, e, dall‟altra, da una persona giuridicamente distinta da quest‟ultimo>>, e che << può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l‟ente eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo da esso a quello esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l‟ente o con gli enti che la controllano>>. La

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6 richiesta, ai sensi del 5° comma, lett.c), dell‟art. 113 T.U.E.L. , consentendosi l‟affidamento diretto, ove si fosse trattato di <<società a capitale interamente pubblico a condizione che l‟ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l‟ente o gli enti pubblici che la controllano>>, disposizione richiamante la previsione comunitaria di affidamento in house; in via alternativa la gara non era altresì richiesta, ai sensi della lett. b), 5° comma art. 113 T.U.E.L. , ove si fosse potuto procedere ad un affidamento diretto a favore di una “società a capitale misto, pubblico-privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l‟espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”. In via speculare la medesima novella, modificando l‟art. 113bis, per i servizi privi di rilevanza economica confermava la gestione “ in economia”, la possibilità di costituire aziende speciali, istituzioni, ma eliminava l‟affidamento diretto a società miste contemplando, in sua vece, l‟affidamento in house a società interamente pubbliche, modalità che ancora oggi caratterizzano il panorama normativo e che rispondono alla logica di totale sottrazione al mercato dei servizi privi di rilevanza economica in ragione del fatto che il mercato non è in grado o non richiede di assorbire questa tipologia di servizi e perché, comunque, trattandosi di servizi sociali, si ritiene che la migliore garanzia di una loro equa erogazione sia ancora data dalla identificazione della gestione con la titolarità.16 Nonostante tali alterne vicende, la disciplina dell‟affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica17, è stata oggetto di un‟ulteriore rettifica ad opera dell‟ art. 23 bis del d.l. del 25 giugno 2008 n. 112 (c.d. Decreto Ronchi), convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 13318, che ha abrogato l‟art. 113 T.U.E.L. per la parte incompatibile con la nuova disciplina. Questa, applicabile a tutti i servizi pubblici, salve le eccezioni ivi ratio del c.d. affidamento domestico va individuata nel fatto che, in presenza dei due requisiti richiesti, l‟affidamento diretto avviene a favore di un soggetto che pur se dotato di personalità giuridica nella sostanza si presenta come un‟articolazione interna dell‟ente affidante, non sussistendo, pertanto, una situazione di alterità soggettiva sostanziale tra amministrazione affidante ed affidatario tale da far supporre la lesione del principio della parità di trattamento degli operatori economici, il cui rispetto implicherebbe, diversamente, l‟applicazione dei principi comunitari. Giova ricordare che la stessa giurisprudenza amministrativa, sulla scia di quella comunitaria, ha qualificato il rapporto de quo in termini di “ delegazione interorganica” tra soggetti di un unico plesso amministrativo, giustificando così la sottrazione del servizio alle regole del mercato, cfr. Tar Campania, sez. I, sentenza n. 1494/2003.

16 Si rimanda a G.NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici locali, Bologna, 2005.

17 Sul punto si v. G.PIPERATA, I servizi pubblici nel sistema locale: una risorsa economica contesa, in Istituzioni del federalismo, n.

2/2009, 331.

18 Cfr. S.COLOMBARI, La disciplina dei servizi pubblici locali: carattere integrativo e non riformatore dell’art. 23bis del d.l. n.

112/2008, in www.giustamm.it .

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7 menzionate19, e destinata a prevalere su tutte le discipline di settore incompatibili, prevedeva che l‟affidamento con gara fosse l‟unica modalità di gestione “ordinaria”, stabilendo, in deroga, che in peculiari situazioni l‟affidamento potesse avvenire nel rispetto della disciplina comunitaria , senza far riferimento né all‟affidamento in house né all‟affidamento a società mista, ai quali, secondo la maggioranza degli interpreti, intendeva far riferimento l‟originaria formulazione. Ad eliminare le incertezze in ordine all‟esatta portata dell‟art. 23bis è successivamente intervenuto l‟articolo 15 del d.l. 25 settembre 2009 n. 135, convertito nella legge 20 novembre 2009, n. 16620, il quale modificando il comma 2 dell‟art. 23bis, alla lett.b) prevedeva espressamente tra le modalità “ordinarie” di gestione, accanto alla procedura di gara, prevista dalla lett. a) della stessa norma, l‟affidamento diretto a società miste in cui il socio privato fosse stato scelto mediante procedure competitive ad evidenzia pubblica le quali avessero avuto ad oggetto “al tempo stesso la qualità di socio e l‟attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio”e che al socio fosse stata attribuita “una partecipazione non inferiore al 40 per cento”; all‟affidamento in house,invece, si sarebbe dovuto procedere in ipotesi residuali ed eccezionali21. La riforma del 2008 fu, infine, completata dal Regolamento attuativo dello stesso articolo 23bis, d.p.r. 7 settembre 2010, n. 168, che il Governo era stato delegato ad emanare secondo i criteri direttivi previsti dal comma10 dell‟art. 23bis il quale, vincolò gli enti locali ad individuare i servizi da liberalizzare rispetto a quelli che, invece, mantenevano i c.d.“diritti di esclusiva” e verso solo i quali si applicavano i meccanismi concorrenziali per l‟affidamento della gestione22. Questa la situazione faticosamente raggiunta dal legislatore al settembre del 2010.

19 Si pensi alla distribuzione del gas naturale e dell‟energia elettrica, come al trasporto regionale ferroviario e alla gestione delle farmacie comunali.

20 Cfr. D.AGUS, I servizi pubblici locali e la concorrenza, in Giorn. Dir. amm.,n.5/2010, 464 ss;BGILBERTI,L.PERFETTI,I.RIZZO, La disciplina dei servizi pubblici locali alla luce del d.l. 135/2009, in Urb. e app., n. 3/2010, 257 ss.

21 All‟affidamento in house, ai sensi del comma 3 dell‟art. 23bis, si poteva ricorrere soltanto <<per situazioni eccezionali>>, tali essendo quelle che << a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato.

Coerentemente con il carattere eccezionale che il legislatore aveva dato, il comma 4 della norma in parola prevedeva che l‟opzione per l’in house fosse adeguatamente pubblicizzata e motivata sulla base di un‟analisi di mercato che rendesse evidente la sussistenza delle condizioni che ne legittimavano il ricorso, si rafforzava inoltre il ruolo dell‟Autorità garante per la concorrenza e il mercato alla quale dovevano essere trasmessi gli esiti della verifica per l‟espressione di un parere preventivo da rendersi entro sessanta giorni dalla recezione della relazione, decorso inutilmente il quale era disposta la formazione del silenzio assenso.

22 Cfr., G.GUZZO, I spl di rilevanza economica dopo il restyling del d.l n. 138/2011: “nuove” regole e vecchie questioni, in LexItalia .it, n.7-8/2011, 2.

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8 2. L‟impatto della sentenza n. 199 del 2012 sulla disciplina dei servizi pubblici locali

Per comprendere le ragioni della pronuncia d‟incostituzionalità del luglio del 2012 occorre dar conto del quadro normativo che ha investito le modalità di gestione dei servizi pubblici locali dal 2011 alla prefata sentenza.

A fronte della disciplina, sopra descritta, delineata dal legislatore non era mancato chi aveva obiettato che il restringimento del campo di applicazione dell‟in house realizzato dall‟art. 23bis del d.l.112/2008, aveva finito per sbilanciare in favore dei privati il mercato dei servizi pubblici imponendo “una drastica svolta verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali”23. Proprio le diffuse istanze di ripubblicizzazione sono state alla base dell‟indizione di un referendum abrogativo, svoltosi nelle giornate del 12 e 13 giugno 2011, chiamato mediaticamente “contro la privatizzazione dell‟acqua”, il quale però aveva ad oggetto l‟intero art. 23bis, relativo, salve le esclusioni in esso menzionate, a tutti i servizi pubblici di rilevanza economica, quindi anche e non solo il servizio idrico,24 a cui erano però dedicati gli altri due quesiti referendari, riguardanti, il secondo, l‟abrogazione dell‟art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell‟ambiente), relativo alla scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato, ed il terzo l‟abrogazione dell‟art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 ( Codice dell‟ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della remunerazione del capitale investito.

L‟abrogazione dell‟articolo 23 bis ( e la conseguente caducazione del Regolamento attativo) ad opera della volontà referendaria provocò, tuttavia, un vero e proprio vuoto normativo nella materia de qua25, tale che il legislatore, soprattutto in riferimento all‟individuazione dei meccanismi di affidamento

23 E.FURNO, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ovvero l’art. 23bis della l. 20 novembre 2009, n. 166, in www. Giustamm.it .2009.

24 Ex plurimis, A.CONTIERI, Servizio idrico integrato, sistemi di gestione e loro evoluzione , in Gazzetta amministrativa, n.1/2009;

M.INTERLANDI, Rilevanza giuridica della qualità dei servizi pubblici e disciplina del servizio idrico integrato nell’attuale processo di liberalizzazione e regolazione nel mercato, in Giustamm.it, 10/2012, 21.

25 Disciplina che appena un anno prima era stata già oggetto di censura della Corte Costituzionale mediante la sentenza n. 325/2010 nella quale si dichiarava l‟illegittimità costituzionale dell‟art. 23 bis nella parte in cui prevedeva l‟assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno.

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della gestione, ritenne di intervenire nuovamente nella disciplina mediante l‟art. 4 del d.l. n. 138/2011( convertito con modifiche dalla l. n. 148/2011) . In nome del principio di liberalizzazione e di gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali ed in coerenza con i principi desunti dal diritto comunitario e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia26, nonché di quella amministrativa interna27, si stabilì, contrariamente alle indicazioni provenienti dal risultato referendario28, di non considerare gli affidamenti in house una modalità ordinaria di affidamento dei servizi pubblici locali.29 Ne conseguì, che la costituzione delle società miste mediante unica gara a doppio oggetto quale modalità per la scelta del soggetto affidatario nelle gestioni in esclusiva fu preferita al modello dell‟indizione della gara. Anzi, rispetto alla precedente disciplina abrogata dal referendum ex art. 75 Cost., in cui ancora persisteva l‟alternativa tra gara e affidamento diretto, il legislatore del 2011 rincarò ulteriormente la dose invitando gli enti locali a ricorrere esclusivamente al mercato, vincolandoli a motivare e ad elencare dettagliatamente i relativi benefici qualora, contrariamente, avessero previsto per alcuni servizi una modalità di affidamento diretto.30 Ed è proprio in un tale quadro ordinamentale di riferimento che irrompe la sentenza della Corte Costituzionale n. 199/ 2012.

A seguito di distinti ricorsi, cinque Regioni31 hanno promosso in via d‟azione questioni di legittimità costituzionale concernenti norme contenute nell‟art. 4 del d.l. n. 138/2011, convertito con modifiche dalla l.n. 148/201132. In base

26 Si v. in dottrina, P.SCARALE, La Corte di Giustizia modifica la propria giurisdizione sull’in house?, in Riv. trim. degli appalti, 2009, fasc. 1, 203 ss.

27 Ex plurimis, Consiglio St., sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440.

28 Si cfr. le due sentenze nn. 32 e 33/1993, nelle quali la Consulta ha ribadito il principio che vieta al legislatore di ripristinare la disciplina oggetto dell‟abrogazione referendaria.

29 A dire il vero la normativa in parola restringeva ulteriormente le ipotesi per l‟affidamento della gestione dei servizi in house, stabilendo una soglia quantitativa massima pari ad euro 900.000 annui in relazione al valore economico del servizio oggetto dell‟affidamento. Con l‟entrata poi in vigore dell‟art. 25 d.l. n. 1/2012 le ipotesi di affidamento diretto venivano fissate ad un valore massimo pari a 200.000 euro. In dottrina si v., C. VOLPE, Servizi pubblici locali e liberalizzazioni. Dall’articolo 23 bis al decreto legge “crescita” la produzione normativa non ha mai fine, in www.giustamm.it, n.

7/2012.

30 Sul punto, ex plurimis, B.SPADONI, La nuova disciplina dei servizi pubblici locali. I riflessi sulla concorrenza e sulla politica industriale, in Diritto dei servizi pubblici, 2012, 4.

31 Regioni Puglia,Lazio,Marche,Emilia-Romagna,Umbria e della Regione autonoma Sardegna, iscritti rispettivamente ai nn.124, 134,138,144,147,160 del registro ricorsi 2011.

32 C‟è da aggiungere che successivamente all‟instaurazione del ricorso l‟art. 4 del d.l. n.138/2011 è stato modificato, in primis, dall‟art. 9 della l. n.183/2011(disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità per l‟anno 2012) ; poi dall‟art. 25 del d.l. n.1/2012( disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27/2012).

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anche ad un consolidato orientamento giurisprudenziale33 tutte le ricorrenti, ad eccezione della Regione autonoma della Sardegna, hanno impugnato la normativa rubricata “ Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell‟Unione europea” in quanto si è ritenuto che essa non solo riproduceva sostanzialmente la norma oggetto dell‟abrogazione referendaria (art. 23 –bis del d.l. n.112/2008) e di alcune sue disposizioni attuative, di cui al D.P.R., 7 settembre2010, n.168( Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell‟articolo 23-bis, comma 10, d.l. 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n.133), violando il principio desumibile secondo il quale è fatto espresso divieto il ripristino della normativa oggetto dell‟abrogazione referendaria34 ex art. 75 Cost., ma, imponendo una disciplina in ordine alle ipotesi di affidamenti diretti( in particolare di gestione in house) dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ulteriormente limitativa35, ledeva, altresì, il principio di autodeterminazione e le relative sfere di competenze delle Regioni e degli enti locali di cui agli articoli 5,114, 117 e 118 Cost.. Censure particolari poi hanno proposto le Regioni Puglia, Emilia-Romagna e Umbria.

Poiché a seguito dell‟abrogazione dell‟art. 23 –bis sono da considerare direttamente applicabili nel nostro ordinamento le norme comunitarie conferenti, la Regione Puglia ha impugnato la violazione dell‟art.77 Cost. da parte della normativa in oggetto in quanto sarebbero venuti meno le prescritte ragioni di “straordinaria necessità ed urgenza “ per l‟adeguamento della legislazione interna alle direttive europee; invece, le Regioni dell‟Emilia Romagna e l‟Umbria hanno invocato l‟illegittimità del comma 14 dell‟articolo in questione, nella parte in cui era previsto l‟assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno, per le medesime ragioni per le quali la Corte Costituzionale con la suddetta sentenza n. 325 del 2010 aveva dichiarato l‟illegittimità costituzionale del comma 10, lettera a) dell‟art. 23-bis del d.l. n.

33 Si cfr. Corte Cost., sentt. nn. 32 e 33/1993.

34 Si v. G. Ferri, Abrogazione popolare e vincolo per il legislatore: il divieto di ripristino vale affinchè non intervenga un cambiamento del “quadro politico” o “ delle circostanze di fatto”, in Consulta on line,2012; D.BALDAZZI, La sentenza n.199 del 2012 : tra intenzione del Comitato promotore e tutela della volontà referendaria, in Quad. Cost., n. 4/2012, 872 ss.

35 Tra i primi commenti, si v. A.LUCARELLI, La sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012 e la questione dell’inapplicabilità patto di stabilità interno alle s.p.a. in house ed alle aziende speciali, in Federalismi.it, 2012.

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112 /2008. In ultima analisi, la Regione autonoma della Sardegna ha impugnato l‟art. 4 della legge in esame in violazione degli art. 3 e 4 dello Statuto, nella parte in cui si attribuisce direttamente agli enti locali la disciplina delle modalità di erogazione dei servizi pubblici a discapito della legislazione primaria della Regione. Occorre prima di tutto sottolineare che, successivamente all‟instaurazione del giudizio, l‟articolo 4 della l. n. 148/2011 era stato oggetto di numerose modifiche, nelle quali, rispetto al testo originario, si riscontravano ulteriori limiti per l‟attività degli enti locali in ordine alle ipotesi di affidamento dei servizi pubblici. 36 Tali considerazioni sono importanti in quanto le modifiche suddette, adottate prima che la Corte si pronunciasse, sollevavano una questione di compatibilità di esse con il “thema decidendum”oggetto della decisione della Consulta. A tal riguardo e in via preliminare, la Corte ha ritenuto, sulla base del principio di effettività della tutela giurisdizionale, di estendere il sindacato alla nuova formulazione dell‟art.4 del d.l. n.138 del 2011, ribadendo un principio, peraltro già sancito in una precedente pronuncia37, secondo il quale le norme riproduttive di una disposizione dichiarata successivamente incostituzionale dalla Corte sono da considerare abrogate in via implicita. Successivamente, la Corte entrando nel merito della questione di legittimità costituzionale( e dichiarandola fondata) ha, in prima analisi, chiarito un dubbio inerente all‟oggetto del giudizio: esso non andava ricercato nella presunta lesione delle sfere di competenza regionali e degli enti locali in materia di servizi pubblici a rilevanza economica, atteso che la violazione del principio del divieto di ripristino della normativa( peraltro dedotta da tutte le ricorrenti) ex art. 75 Cost. di per se l‟assorbiva38. Alla luce di quanto preliminarmente stabilito e conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale39, la Corte Costituzionale ha dichiarato l‟illegittimità costituzionale dell‟art. 4 del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.

148, sia nel testo originario sia in quello risultante dalle successive modificazioni, motivando, in primis, (punto 5.2 considerato in diritto) che la

36 Cfr. art. 25 d.l. n. 1/2012

37 Corte Cost., sent. n.142/2012.

38 Corte Cost. sent. n. 33/2011.

39 Corte Cost., cit. sentt. n. 32 e 33/1993.

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disciplina contenuta dall‟articolo in esame ha riprodotto nei principi, e talora anche testualmente, l‟abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, individuando, così, in entrambi i provvedimenti un‟identica ratio ispiratrice decisamente orientata a favorire la concorrenza tra i servizi pubblici locali e la conseguente apertura al mercato 40. In secondo luogo, i giudici costituzionali hanno evidenziato il concreto ridimensionamento del ruolo dell‟ente locale e della Regione in sede di organizzazione dei servizi inerenti alla sfera dei beni comuni e dei diritti fondamentali, determinatosi automaticamente(punto 5.2.

considerato in diritto)con la compressione delle modalità di gestione dei servizi in esame in affidamento diretto. D‟altro canto, la Corte ha accolto nella sua ricostruzione argomentativa il principio secondo il quale il ricorso agli affidamenti diretti nella gestione dei servizi pubblici locali non contrasta la normativa comunitaria quando si è in presenza di un regime concorrenziale che, in diritto o in fatto, comprometta la speciale “missione dell‟ente pubblico”(

art. 106 TFUE).41 A fronte delle brevi considerazioni suddette la sentenza della Corte Costituzionale ha indubbiamente rappresentato una svolta dirompente in un settore sì economicamente e socialmente cruciale, ma estremamente delicato.

In effetti, la decisione de qua sembra allinearsi a quella ratio ispiratrice che ha caratterizzato la normativa italiana precedente al d.l. 112/08, secondo la quale in capo agli enti locali non esisteva necessariamente un obbligo di aprire al mercato le proprie partecipate42. Ciò contribuisce a rafforzare l‟ipotesi, pur nel rispetto dei criteri argomentativi avallati dai giudici costituzionali, che il passaggio atteso da un regime monopolistico a quello nel quale vige la concorrenza del mercato per la gestione dei servizi pubblici locali sia, alla luce della sentenza in esame, ancora un percorso lungo e pieno di ostacoli43. Inoltre, non possono essere ignorate eventuali ricadute che potrebbero in futuro

40 In realtà i giudici della Consulta sottolineano che in fondo l‟unico punto di novità nell‟art. 4 è dato dalla drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici rispetto alla disciplina precedente. A tal riguardo si cfr.

Corte Cost. sent. n.68/1978; Corte Cost. ord. n.9/1997. In dottrina, G.CLEMENTE DI SAN LUCA, Approfondimenti di diritto ammnnistrativo, II, Napoli, p. 301ss.

41 C‟è da aggiungere che la Consulta non ha tenuto conto delle motivazioni dell‟Avvocatura dello Stato che aveva invece richiesto l‟infondatezza dei ricorsi atteso che la realizzazione di un sistema del mercato contenuta nell‟art. 23 bis non era rinvenibile nella disciplina dell‟art. 4 propensa , invece, alla realizzazione di una concorrenza di mercato. A tal riguardo, si cfr. Corte Cost., sent. n. 401/2007.

42 Cons. St., sez. V, n. 552/2011. In dottrina ex plurimis, M.CLARICH, Le società partecipate dallo Stato e dagli enti locali fra diritto pubblico e diritto privato, in Le società pubbliche( a cura diF.GUERRERA), 2010, 7 ss.

43 C.IBBA, Dall’ascesa al declino delle partecipazioni pubbliche, in www.giustamm.it., n. 1/2011.

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manifestarsi sulla disciplina. Per esempio, l‟argomentazione addotta dalla Corte in relazione alla restrizione delle ipotesi di affidamento diretto che si determinerebbe automaticamente nella disciplina dichiarata inconstituzionale

<<…a prescindere da qualsivoglia valutazione dell‟ente locale, oltre che della Regione .……ed anche in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria>>44 porta a concludere che la sottrazione dei servizi privi di rilevanza economica dal mercato in ragione del fatto che quest‟ultimo non richiede questa tipologia di servizi , sia ormai una logica abbandonata dal giudice costituzionale45. Ma se da un lato l‟annullamento della normativa in oggetto ha contribuito a far luce sull‟effettivo orientamento della Corte Costituzionale riguardo la dicotomia( ancora esistente?) tra servizi pubblici di rilievo economico e servizi che ne sono privi 46, dall‟altro, il ritorno a modalità di gestione di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali, in sostanza, ripropone uno schema che sembrava ormai appartenere ad un lontano passato;

in effetti, non è forzato affermare che per i servizi imprenditoriali, nell‟attuale (desolato) quadro normativo, sembra riemergere il modello (riesumato) dell‟azienda speciale47, per il quale, pur diversamente denominato, il legislatore aveva incentivato a disfarsi a vantaggio delle società di capitali, in quanto ritenuto, già decenni fa, un modello confusionario e inefficace48. Ad influenzare lo sviluppo del ragionamento, va aggiunto che la legittimità della scelta operata dalla Corte in favore di un sistema nel quale la gara tra società di capitali non è più l‟unico(o il principale) strumento per l‟affidamento del segmento erogativo del servizio, ma che ad esso si (ri)affianca l‟affidamento in house e quello, anch‟esso diretto, a vantaggio di una società mista a condizione che il socio

44 Corte Cost., n. 199/2012, punto 5.2.1 considerato in diritto.

45 Contra, Cons. Stato, sez. V, n. 6529/2010. Tuttavia c‟è da aggiungere che il grado di opinabilità dell‟interpretazione sul significato dell‟espressione “rilevanza economica” è davvero molto alto, essendovi casi in cui il criterio dell‟imprenditorialità, da solo, si rileva inadeguato a costituire elemento scriminante tra i servizi di rilievo economico e non.

46 Cfr. Corte Cost., sent. n.. 272/04. In dottrina, si cfr. V.MOLASCHI, La gestione dei servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica”: prospettive e problemi in materia di servizi sociali a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 272/2004, in Foro .it, 2005; A.LUCARELLI, La Corte Costituzionale dinanzi al magma dei servizi pubblici locali: linee fondative per un diritto pubblico europeo dell’economia , in Giur.cost., fasc. 6, 2010, 4645.

47 In tal senso, V.LEPORE, La normativa sui servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, in Amministrazione in cammino, 2012, 7.

48 S.RIZZONI, La gestione dei servizi pubblici: da aziende speciali a società in house. Le multitility socieeconomiche raccontate nel percorso di trasformazione delle municipalizzate alle holding, Roma, 2008, 66ss; mi sia consentito,F.ZAMMARTINO, Origini, evoluzione e nuove tendenze del welfare State. Problemi e prospettive nell‟esperienza italiana, Guida, 2012, 181 ss.

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privato sia individuato mediante procedura ad evidenza pubblica, oltre a contraddirsi con un sua precedente decisione nella quale è affermato il divieto di gestione diretta49, nasconde un rischio concreto che si annida nell‟esigenza stessa della scelta operata. In effetti, l‟obiettivo della parità di trattamento tra gli operatori economici con la conseguente esclusione della concorrenza per (o nel) mercato50 che in fondo legittima la scelta dell‟autoproduzione, può, a sua volta, favorire i ricorsi al giudice amministrativo 51 , atteso che fondamento dell‟autoproduzione è la sussistenza dei requisiti del “controllo analogo” 52 e

“destinazione prevalente”53,la cui mancanza (anche di uno di essi) potrebbe coinvolgere la P.A in una responsabilità extracontrattuale54. Alla luce della sentenza n. 199/2012, quindi, l‟affidamento in house ritorna ad essere una modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici locali rispetto alle società miste e all‟affidamento concorrenziale ad operatori privati,55 soprattutto se si considera che con l‟annullamento dell‟articolo 4 della l. n. 148/2011, gli affidamenti diretti ritornano ad essere disciplinate dalla normativa comunitaria56; quest‟ultima prevede che a tali modelli si ricorre a condizione che la società sia a totale capitale pubblico, che si eserciti da parte dell‟ente sulla società il cosiddetto “controllo analogo” e che la società fornisca servizi essenzialmente agli enti facenti parte della compagine sociale57. Ma se è comunemente pacifico affermare che il modello dell‟autoproduzione è considerato in sede comunitaria del tutto alternativo a quello dell‟esternalizzazione58, c‟è da aggiungere, però, che la giurisprudenza europea non esclude a priori la possibilità di adottare regole al fine di favorire l‟assetto concorrenziale del mercato, atteso che esso costituisce solo un minimo

49 Corte Cost., sent. n. 325/2010

50 Ex plutimis, A.POLICE, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007.

51 Cons. Stato, sez. V, n. 8376/09. Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato conferma anche dalla Corte di Cassazione, S.U., n.16856/2011.

52 Cfr., Tar Puglia,8 novembre 2006, n.5197; Cons. St., sez. V., 30 agosto 2006, n. 5072.

53 Da ultimo cfr. Corte giust. CE, sent. 5072/2009.

54 A.M.SANDULLI, Il partenariato pubblico-privato istituzionalizzato nell’evoluzione normativa, in Federalismi.it, n. 4/2012, 3.

55 Contra, Cons. Stato, Ad. plen., n.17/2011.

56 Si cfr. E.FURNO, S.p.a. pubblica e affidamento diretto: la Corte di Giustizia rifinisce “l’in house frazionato” in una sentenza foriera di conseguenze”, in Giustamm. it, n.1/2013.

57 Corte giust. CE,11 gennaio 2005, Causa C-26/03. Recentemente si cfr. Cons. Stato, VI sez., n.762/2013.

58 Sul punto, si v. E.VISCA, In house providing- partenariato pubblico-privato ed affidamento di servizi a società miste , in Giustamm. it, 2008.

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inderogabile per gli Stati membri 59 . Ciò contribuisce ad incrementare l‟incertezza che regna nell‟intero comparto dei servizi pubblici locali e a comprendere quanto arduo sia il compito prossimo del legislatore nel delineare una vera strategia organica in virtù anche del vuoto normativo nel frattempo venutosi a creare60, atteso che un primo segnale che conferma la complessità del tema ci viene offerto proprio dalla improvvisata soluzione che nel frattempo è stata predisposta dal Governo con l‟approvazione del <<decreto sviluppo 2>> e che sarà successivamente analizzata. La seconda questione affrontata nella sentenza in esame concerne il problema della definizione delle sfere di competenze legislative spettanti allo Stato e alle Regioni. La Corte Costituzionale, infatti, alla luce anche di alcune sentenze 61, ha sancito, che la violazione dell‟art.75 Cost. ha provocato, tra l‟altro, l‟indiretta lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, atteso che primario obiettivo della volontà referendaria era quello di favorire le modalità di gestione degli affidamenti diretti compresse dall‟art. 23-bis. a vantaggio di una riespansione delle competenze delle autonomie locali nel settore dei servizi pubblici e che, invece, il legislatore statale aveva compromesso con l‟approvazione dell‟art.4. Il tema diventa particolarmente delicato soprattutto se si pensa che il tema della ripartizione costituzionale delle competenze legislative in materia tra Stato e Regioni pochi mesi prima è stato oggetto della sentenza n. 62, che, pur riguardante specificatamente il servizio idrico integrato, ha dato in questa occasione una lettura del quadro delle attribuzioni costituzionali delle Regioni sostanzialmente diversa rispetto a quanto delineato dalla sentenza n. 199.

Infatti, con la decisione del 21 marzo del 2012, n. 62, la Consulta62 ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo avverso la legge regionale pugliese che, affidando direttamente la gestione del servizio idrico integrato ad un‟azienda pubblica( denominata Acquedotto Pugliese), affermava che la regionalizzazione della gestione del servizio idrico integrato

59G. URBANO, Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e amministrativizzazione, in Amministrazione in cammino, 2012, 36.

60 L‟instabilità del quadro normativo oggetto dell‟indagine ha origini nei decenni scorsi, a tal proposito si v. U.

POTOTSCHNIG, Servizi pubblici locali, cit.; F.MERUSI, Servizi pubblici instabili, Bologna, 1990.

61 Corte Cost. sentt. , n. 303/2003, n. 33/2001, n.22 e n. 80 /2012.

62 Si cfr.A.ZITO, I riparti di competenza in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Dir.amm., 2003, fasc. 2, 387 ss. Si cfr. anche Corte Cost. n. 272/2004.

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non si limitasse solo all‟individuazione dell‟Autorità d‟ambito nella persona giuridica della citata azienda pubblica, ma, altresì, imponesse in capo alla stessa autorità anche una diretta gestione del servizio.63 Nel merito la Corte ha statuito che, anche successivamente all‟abrogazione referendaria dell‟art. 23-bis del d.l.n.112 del 2008, la disciplina statale continua a precludere alla potestà legislativa regionale l‟esercizio diretto delle funzioni del servizio idrico integrato, potendo, tale potestà, invece, individuare sia il soggetto competente a deliberare la forma di gestione del servizio in esame, sia disciplinare le modalità di aggiudicazione della gestione stessa.64. Così inquadrato il tema, la decisione n. 62 della Corte Costituzionale, risulta più incisiva e innovativa della sentenza in epigrafe, atteso che essa, vietando al legislatore regionale di disciplinare ope legis forme di pubblicizzazione per la gestione del servizio idrico integrato ad aziende pubbliche, si pronuncia non solo dettando regole più definite in tema di attribuzione delle competenze legislative tra i due soggetti, ma, attraverso un più ampio iter motivazionale, vieta che la discrezionalità delle Regioni possa spingersi fino al punto di alterare le regole di funzionamento del mercato e di conseguenza i livelli di tutela della concorrenza delineati dalla legislazione nazionale65. Ne consegue che al servizio idrico integrato, in seguito alla decisione n. 62/2012 e in assenza di una specifica normativa di settore, si continua ad applicare la legislazione specifica in vigore (d.lg.n.152/2006), nonché i principi comunitari in materia66, mentre in sede di affidamenti, si assiste ad una effettiva equiparazione nella scelta sia di modelli organizzativi a società di capitali ed a società miste, sia di modelli gestionali in house. Nelle pieghe della sentenza n. 199/2012, invece, non si riscontrano dirette statuizioni in ordine alla delimitazione degli ambiti di intervento del legislatore statale e alla sua violazione degli spazi riconosciuti alle Regioni e agli enti locali67, nonostante la Corte sia stata sollecitata a prendere decisione in merito.

Mediante un iter motivazionale attento in primo luogo a ricostruire soprattutto

63 Si v. M.GRECO, Per la gestione delle risorse idriche né con Marx né contro Marx, in www.leggioggi.it, 2012.

64 Cfr. Corte Cost., n. 128/2011.

65 Per un approfondimento sul tema si v., G.PIPERATA, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali, Milano, 2005.

66 Si v.A.AZZARITI, I servizi pubblici locali di rilevanza economica dopo il referendum: le novità e le conferme della legge 148/2011, in Istituzioni del federalismo, n. 3/2011, 551 ss.

67 G.PIPERARATA, Tipicità , autonomia nei servizi pubblici locali, Milano, 2005.

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l‟evoluzione della materia per stabilirne la coerenza o meno con l‟esito referendario, la Corte ha deciso di assorbire, come è stato anticipato, nell‟ambito dell‟accoglimento della censura per violazione dell‟articolo 75 Cost. le istanze delle Regioni ricorrenti aventi ad oggetto la presunta violazione delle competenze regionali ( e l„indiretta compromissione di quelle degli enti locali) in ossequio al principio processuale “ne eat judex extra petita partium” , mentre ha dichiarato l‟inammissibilità della questione promossa dalla Regione Puglia in riferimento alla presunta violazione dell‟art. 4 con l‟art. 117, comma 1, Cost., con gli artt. 14, 106 e 345 del Trattato sul Funzionamento dell‟Unione Europea, l‟art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione Europea, nonché con il principio della c.d. preemption, motivando tale statuizione per <<l‟assoluta genericità ed indeterminatezza delle censure proposte con riguardo alla pretesa violazione dei principi comunitari anch‟essi genericamente invocati>>68. E‟

probabile che tale orientamento intrapreso sia spiegato dal fatto che la Corte, dovendosi esprimere riguardo all‟intero comparto della gestione dei servizi pubblici locali (peraltro travolto dall‟esito referendario), non ha voluto invischiarsi in un terreno qual è il raccordo tra i due ordini di poteri legislativi statale e regionale che, sebbene strategico, è obiettivamente molto scivoloso e caratterizzato, a più di un decennio della riforma del Titolo V della Costituzione, da equilibri molto precari(si pensi alle problematicità derivanti dall‟individuazione dell‟interesse nazionale e delle sedi deputate a tracciare le decisioni unitarie negli spazi lasciati del legislatore regionale)69. Tuttavia, non può sottovalutarsi l‟evidente asimmetria che attualmente si è venuta a creare, con le sentenze n. 62 e 199, tra la specifica disciplina del servizio idrico integrato e quella che regola i servizi pubblici locali in genere; quest‟ultimi, allo stato attuale rischiano di trovarsi nella paradossale situazione di dover ricorrere per la gestione diretta di un servizio pubblico di rilevanza economica in sostanza ad un‟unica soluzione organizzativa (società pubblica di capitali), atteso che per i modelli gestionali c.d. tradizionali quali aziende e consorzi persistono forti reticenze sia sulla loro alterità soggettiva tale da dubitare sul loro effettivo ruolo

68 Corte Cost., sent. n. 199/2012, punto 4 considerato in diritto.

69 Per una prima definizione delle nuove materie oggetto del riformato articolo 117 Cost., si v. , tra gli altri, A.D‟ATENA, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni costituzionali, 2003, fas., n. 1, p. 15 ss.

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di diramazione dell‟ente pubblico, sia sul corretto funzionamento degli stessi troppe volte conclusosi con il fallimento della società pubblica.70

Nel suo procedere argomentativo la Corte Costituzionale, infine, ha affrontato anche il tema delle liberalizzazioni che nell‟art. 4 del d.l. n. 138/2011 aveva trovato nuova linfa, nonostante l‟esito referendario. La sentenza in esame, invece, ne provoca, una drastica battuta di arresto, atteso che la Corte ha ritenuto di abbandonare quell‟interpretazione giurisprudenziale71 che, in nome della tutela della concorrenza, ha riconosciuto in questi anni legittimo persino la deroga delle previsioni comunitarie di in house providing, con il conseguente ridimensionamento dell‟autoproduzione quale modello di gestione di un servizio pubblico72. Del resto, occorre precisare che la Corte per garantire un funzionamento omogeneo del mercato a livello nazionale ha talvolta avallato la compromissione della potestà regolatoria delle Regioni in materia concorrenziale di un‟attività economica da parte della legislazione statale73. In tema, però, la sentenza n.199/2012, offre spunti interessanti in quanto, pur ribadendo principi più volte affermati già in precedenti decisioni quali il carattere trasversale della materia de qua 74, stabilisce che la tutela della concorrenza anche se rimessa alla potestà esclusiva dello Stato non si sottrae comunque alla volontà referendaria che si espressa favorevolmente per l‟aumento delle possibilità di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali75. Ne è conseguito che, alla luce di tale affermazione e in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza costituzionale 76 in base alla quale le Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli solo <<allorquando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni>>77 e queste

70 Corte Cost., sentt., nn. 450/2005 e 119/2010.

71 Corte Cost., sentt., nn.,14/2004; 401 e 431 del 2007.

72 Si v. F.IERVOLINO, Accordi tra pubbliche amministrazioni e tutela della concorrenza, in Giustamm.it. n.1/2013.

73 Si v. M. D‟ALBERTI, La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Dir. amm. n. 4/2004, 705ss; V.L.CASSETTI, La Corte e le scelte di politica economica: la discutibile dilatazione dell’intervento statale di tutela della concorrenza, in www.federalismi.it, n. 7/2004; e più recentemente, E.Carloni, L’uniformità come valore. La Corte oltre la tutela della concorrenza, in Regioni, 2010, 672.

74 Corte Cost., sent. n. 272/2004. In dottrina si v. L.CUOCOLO, La Corte Costituzionale “salva” la disciplina statale sui servizi pubblici locali, in Gior. dir. amm., 2011, n. 5, 486 ss.

75 Corte Cost., n. 199/2012 punto 5.1 considerato in diritto.

76Corte Cost., sent., n. 303/2003.

77 Ibidem. Nel medesimo senso, sentt. nn. 22 e 80 del 2012.

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