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PENALE DAL 1865 FINO AL CODICE DEL 1988. L’ISTITUTO DELLA PERIZIA NEI CODICI DI PROCEDURA CAPITOLO PRIMO

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CAPITOLO PRIMO

L’ISTITUTO DELLA PERIZIA NEI CODICI DI PROCEDURA

PENALE DAL 1865 FINO AL CODICE DEL 1988.

Sommario:

1. La perizia nel codice di procedura penale del 1865. 2. La riforma liberale del codice Finocchiaro-Aprile del 1913. 3. L’impronta inquisitoria del codice Rocco.

4. Cenni sugli effetti della Costituzione Italiana e della normativa pattizia sulla procedura penale e la riforma novellistica del 1955.

5. Il progetto preliminare del 1978.

6. L’attuale codice di procedura penale del 1988. 7. I limiti all’indagine peritale.

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1. La perizia nel codice di procedura penale del 1865.

L'impostazione accolta dalle codificazioni succedutesi nel tempo rende evidente come siano state discordanti le visioni ideologiche concernenti il rapporto tra scienza e processo senza tuttavia delineare un percorso evolutivo razionale dell'istituto della perizia.1

Il primo codice di procedura penale del Regno d'Italia del 1865, modellato sul code d’instruction criminelle del 1808, accusato poi di essere troppo francese, era segnato dalla formazione della prova ante iudicium e dalla presenza di un giudice istruttore.

Nel rapporto tra istruzione e dibattimento permetteva alle parti la

produzione di perizie durante l'istruttoria, con possibilità di effettuare solo schiarimenti in sede dibattimentale e qualora il giudice non avesse disposto una perizia d'ufficio.

Se, invero, la perizia fosse stata disposta, si sarebbe instaurata una sorta di contraddittorio sviluppato all’interno del dibattimento con una

“controperizia”.

L’istituto della perizia veniva disciplinato nella fase istruttoria dagli articoli da. 152 a 159 c.p.p. e questa veniva disposta nei casi in cui si richiedessero speciali cognizioni o abilità per l’esame di una persona o di un oggetto.2

1 P. P. Rivello, “L’istituto della perizia”, in “La prova scientifica”, Giuffrè,2014, p.197. 2 Codice di procedura penale del Regno d’Italia (26 novembre 1865), art.152: “In tutti i casi nei quali per la disamina di una persona o di un oggetto si richiedono

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3 I periti solitamente erano nominati in numero non inferiore a due, salvo i casi in cui l’indagine potesse subire un pericolo nel ritardo o si trattasse di un caso di poca importanza; in tali casi il perito poteva essere uno solo.

Nel caso in cui i due periti fossero stati discordi sull’esito delle operazioni il giudice avrebbe proceduto a nominare un terzo perito o più, ma sempre in numero dispari così si sarebbe potuta formare una maggioranza, rinnovando le operazioni; altrimenti i periti avrebbero avuto la possibilità di reciproci schiarimenti, esponendo poi il loro giudizio motivato sugli esiti a cui erano pervenuti.

Il suddetto codice nella scelta dei periti d’ufficio non vincolava il giudice a stringenti requisiti ma semplicemente questo poteva orientarsi valutando la loro onestà, la mancanza di interessi nel fatto, il possesso di esperienza e di cognizioni scientifiche.3

Il perito doveva prestare un giuramento che verteva sulla correttezza dello svolgimento delle operazioni e sull’obbligo, penalmente sanzionato, di far conoscere al giudice la verità.

In difetto della prestazione del giuramento la perizia veniva dichiarata nulla e se fosse stata disposta su nuovi accertamenti, trattandosi quindi di perizia nuova, doveva essere prestato un nuovo giuramento.

speciali cognizioni o abilità, vi si procederà coll’intervento di periti, di regola in numero non inferiore a due”.

3 Spesso il giudice mostrava poca accuratezza nella scelta poiché sprovvisto della competenza per valutare la professionalità dei periti.

In Germania uno strumento per ovviare in parte a tale problema era stato quello di disporre all’interno dei tribunali un perito Medico-Legale che poteva essere chiamato qualora il giudice ne avesse avuto necessità.

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4 Le preclusioni che valevano per i testimoni venivano estese anche ai periti, così anche le regole per l’esame.

Le cause d’incapacità dei periti venivano osservate più rigidamente rispetto a quelle dei testimoni visto che il perito traeva il suo mandato dalla volontà del magistrato mentre il testimone, narrando i fatti veduti, rendeva il suo apporto esclusivo e necessario4

Ecco che la perizia veniva assimilata ad una testimonianza tecnica, essendo entrambi i soggetti portatori di una conoscenza dei fatti che entrava tramite il loro apporto all’interno del processo.5

Il giudice istruttore dirigeva ed assisteva di regola alle operazioni, salvo il caso ritenesse utile ritirarsi per motivi di moralità o decenza e poteva chiedere schiarimenti in qualunque momento nel corso dell’istruzione.

Il perito dopo essere stato citato doveva comparire altrimenti il magistrato aveva a disposizione due rimedi: rinviare la causa ad altra udienza, in cui le spese sarebbero state a carico del perito stesso, o utilizzare la pubblica forza per accompagnarlo.

Era inoltre punita con una multa di lire cento e con la possibilità di sospensione dall’esercizio della professione la ricusa ma non l’astensione.

4 Codice di procedura penale italiano 1865 commentato da Giuseppe Borsani e Luigi Casorati, Milano, 1876

5 La dottrina distingueva tra fatti transeunti e permanenti, era in relazione al tipo di fatti che si notava la differenza tra testimone e perito.

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5 Nel caso in cui questo rifiutasse senza giusta causa di prestare la sua opera oppure adducesse una falsa scusa andava incontro alle suddette sanzioni.

La perizia nell’istruzione non prevedeva, al contrario del dibattimento, la presenza delle parti ed una parte della dottrina del tempo criticava tale assetto, in particolar modo sostenendo la necessità della partecipazione di difensori ed in alcuni casi dell’imputato stesso, almeno per gli atti non ripetibili, così come era previsto dalla novella austriaca.

Il cuore del processo era dunque l’istruzione dove il giudice provvedeva all’assunzione dei mezzi di prova ed il contenuto della perizia, in particolar modo quella medico-legale, era minuziosamente regolata.

Il giudice doveva fissare con massima chiarezza i punti su cui formulare i quesiti da sottoporre ai periti così che la perizia risultava un “atto giudiziale” ovvero un atto che completava la possibilità per il giudice di ricostruire il fatto-reato.

Al dibattimento o a parte di esso potevano assistere i periti se fosse stato loro ordinato dal presidente o dal pretore, non valeva altrettanto per i testimoni.

La perizia nella fase dibattimentale veniva regolata congiuntamente alla testimonianza6, con cui condivideva le cause di incompatibilità.

Il parere dei periti poteva essere manifestato in forma di relazione sia scritta che verbale e doveva essere da questi sottoscritto e vidimato dal giudice.

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6 La perizia assunta nella fase dibattimentale comportava la presenza del contraddittorio tra le parti, per questo determinò molti inconvenienti quali erano le frequenti ed interminabili “battaglie” tra periti di accusa e di difesa, che andavano a svantaggio della celerità processuale.7

7 A.Saponaro, L’esame della personalità del reo nel processo penale, Cacucci editore, Bari, 2000.

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2. La riforma liberale del codice Finocchiaro-Aprile del 1913.

Il diciannovesimo secolo è contraddistinto per la presenza di due grandi scuole del pensiero penale, la scuola classica, il cui maggior esponente era Francesco Carrara e la scuola positiva di cui faceva parte Enrico Ferri, socialista che poi entrò far parte delle file del fascismo, caratterizzata dalla convinzione che l'uso di scienze sociali all'interno del procedimento penale fosse necessario per permettere un valutazione della personalità e della pericolosità del reo, supportata dai grandi riconoscimenti che ottennero tali scienze agli albori del nuovo secolo.

Nonostante la battaglia dottrinale, il codice Finocchiaro Aprile del 1913, che prende il nome dal ministro di grazia e di giustizia, accentuò i tratti liberali della scuola classica.

Questo anticipò il contraddittorio tra i periti alla fase istruttoria e riservò la possibilità di nominare un perito di parte solo nelle ipotesi in cui il giudice avesse preventivamente nominato un perito d'ufficio ai sensi dell'art 208 c.p.p.

Qualora la perizia non fosse stata ordinata il P.M o una delle parti potevano proporre istanza al giudice e la decisione era successivamente appellabile.

Il momento privilegiato per espletare perizia era divenuto la fase istruttoria e veniva consentito un ampio ricorso alla perizia, considerata un valido strumento per la scoperta della verità.

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8 Tale anticipazione del contraddittorio mirava ad evitare che l'udienza si trasformasse in una sorta di accademia oratoria, uno scontro orale tra periti colmo di pathos e retorica che culminava spesso nell'esposizione delle diverse impostazioni scientifiche, offrendo raramente una risposta univoca.8

Dopo la scelta del perito da parte del giudice, la nomina del secondo perito, ossia del perito di parte, veniva preceduta dall’avviso all’imputato che avrebbe potuto scegliere un esperto anche per mezzo del proprio difensore.

Per la scelta dei periti non erano previste liste ufficiali ma solo indicazioni di categorie professionali da preferire per le funzioni di perito.

Nel caso di pluralità di imputati e dissenso nella scelta, questa era rimessa al giudice sulla base della rosa dei nomi indicati da loro.

Un secondo perito veniva nominato a pena di nullità anche nel caso in cui l’autore del reato fosse ignoto o non presente al momento dell’istruzione o nel caso non fosse stato scelto un perito dagli imputati o questo non si fosse presentato.

Ecco che i due periti a norma dell’art.214 c.p.p. avrebbero proceduto insieme alle operazioni.

Nel caso in cui i periti non si fossero accordati o non avessero riferito immediatamente il giudice procedeva alla scelta di un terzo perito che avrebbe assunto l’ufficio di relatore.

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9 Le successive operazioni sarebbero state esperite congiuntamente dai tre esperti e all’occorrenza era possibile la rinnovazione.

Era esclusa la facoltà di nominare ulteriori periti durante lo stesso dibattimento e, secondo l'art.213 c°1, qualora ricorressero circostanze di urgenza o quando per la semplicità di indagine o tenuità del reato il giudice non la ritenesse necessaria, era esclusa la possibilità di una "perizia di parte", veniva quindi omessa la nomina del secondo perito.9

Doveva comunque essere comunicato all’imputato a pena di nullità che la perizia era stata eseguita, avendo inoltre il diritto di far esaminare le risultanze da un esperto da lui scelto.

Solo nel caso in cui non si fosse raggiunta unanimità o vi fosse stata discordanza delle conclusioni peritali era ammessa la citazione dei periti in dibattimento al solo scopo di chiarimento.

La possibilità di una perizia dibattimentale veniva concessa solo nel caso in cui la necessità fosse emersa durante il dibattimento stesso e possedesse i requisiti di facilità e brevità di indagine ovvero quando fossero sufficienti indagini ed osservazioni da compiersi in udienza.10

Una novità interessante introdotta dal codice fu senza ombra di dubbio la nozione di perizia psichiatrica, anche se andava semplicemente a ricalcare la

9 V. Relazione a S.M. il Re del ministro guardasigilli Finocchiaro-Aprile presentata nell’Udienza del 27 febbraio 1913 per l’approvazione del testo definitivo del codice di procedura penale.

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10 perizia per giudicare lo stato di mente degli imputati prevista dal previgente codice.

Questa doveva essere affidata a direttori di cliniche specializzate o

manicomi o a medici particolarmente esperti in psichiatria ed il giudice era obbligato ad ordinare il ricovero dell’imputato in strutture che consentissero di svolgere le operazioni necessarie e di procedere a perizia.

Se l’imputato fosse stato prosciolto per infermità mentale, i periti dovevano altresì stabilire se la sua libertà potesse essere pericolosa per lui o per gli altri.11

Tali norme costituivano la prima affermazione positiva della perizia personologica sebbene ai soli fini dell’imputabilità.

Il perito giurava di bene e fedelmente procedere nelle operazioni a lui affidate e non avere altro scopo che quello di far conoscere al giudice la verità.

Nell'obbligo di prestare giuramento il perito di parte era parificato in toto al perito d'ufficio.

Tale previsione evidenziava un'insormontabile contraddizione impegnando un soggetto nominato per sostenere le ragioni di una parte ad un obbligo di verità che doveva far conoscere per mezzo della relazione peritale.

L’ impostazione del codice risentiva dell'humus culturale positivistico che si aspettava dalla scienza una sola risposta, certa ed univoca, che recasse in sé

11 Art. 215 c.p.p. 1913

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11 la verità assoluta e non finisse per prostrarsi al servizio ora dell'accusa, ora della difesa.

Il codice era ricalcato sul modello tedesco del 1877 e la sua forza liberale veniva apprezzata per la presenza della difesa ai principali atti istruttori ma risultava comunque “figlio di un compromesso” e per questo non privo di incongruenze.12

Compromesso realizzato in particolar modo attenuando la concezione rigida dell’istruttoria ed ampliando al contempo la possibilità per la difesa di accertare il fatto materiale, tramite una vera e propria perizia di parte, in contraddittorio.

Stigmatizzando la figura del perito di parte, ibrido costretto dal dovere di verità ed allo stesso tempo dalla necessità di supportare le ragioni di uno dei contendenti, presto si prospettò la sua eliminazione.

12 Così P.Ferrua, Oralità del giudizio e lettura di deposizioni testimoniali, Giuffrè, Milano, 1981

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3. L’impronta inquisitoria del codice Rocco.

Con l'ascesa del regime fascista nel 1930 venne alla luce il famoso "codice Rocco" che pose fine all’antinomia prevista dal codice previgente,

eliminando in radice la possibilità di nominare un perito di parte e

sostituendo a tale figura quella del consulente tecnico peritale, veniva così ripristinato il suo collegamento univoco con la parte nel cui interesse operava.13

Tale nuova impostazione finì così per sminuire questa figura, sostenendo la scarsa attendibilità degli esiti scientifici dovuta dalla necessità di sostenere le tesi di parte.

Era inoltre inesistente la figura della consulenza tecnica cd. extraperitale, negandola nei casi in cui non fosse disposta perizia.14

Lo spazio operativo del consulente tecnico di parte era inoltre angusto, non potendo esercitare alcun controllo immediato né sollecitare

approfondimenti nel corso delle operazioni peritali visto la portata dell'art.323 che prevedeva che la parte, nei 3 giorni dallo scadere del termine stabilito dal giudice per l'esame della perizia, potesse scegliere un consulente per mezzo del suo difensore e a proprie spese, della nomina

13 “Se oggi, come è indubitato, i periti principalmente interessati a travisare la verità sono quelli di parte, conviene eliminarli dal processo penale, non già col negare alle parti la facoltà di giovarsi dell’opera d’esperti ma col togliere a questi la qualità che, anche per effetto del giuramento, si presenta al giudice come una garanzia di sincerità”, Lavori preparatori. Rel. Minist. al progetto preliminare, vol VIII, pag.63. 14 Novissimo Digesto, v. “Perizia”, p.964

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13 doveva essere dato avviso al pubblico ministero ed all'istruttore nello stesso termine, con dichiarazione scritta.15

Il suo ruolo era collocato ai margini di un secondo momento, potendo esaminare le perizie ed averne copia e, qualora il giudice lo consentisse, potendo essere ammesso ad esaminare persone o cose oggetto di perizia, secondo il disposto dell’art.324 e sempre che l’ispezione accordata non ritardasse la chiusura dell’istruttoria.

L’istituto della perizia inoltre non era valorizzato a dovere, ricercandone i motivi nell'evidente diffidenza verso l'introduzione nel processo di scienze non giuridiche, il giudice poteva infatti farne a meno, ritenendo sufficiente la propria preparazione culturale.

Il dettato normativo impiegava infatti una formula che attribuiva al giudice la facoltà di ricorrere allo strumento peritale, mai un obbligo.16

Il perito era un collaboratore diretto del giudice nella formazione della decisione e risultava avere quindi una mera funzione ancillare di questo.

Il codice aveva senza dubbio dei pregi tecnici di un sistema misto, ma conservava natura inquisitoria tanto che una parte della dottrina sperava nell’evoluzione del processo penale nel senso di accentuare “il carattere della lotta drammatica tra accusa e difesa”.17

15 E. Altavilla, Manuale di procedura penale, 1935

16 Enciclopedia Giuridica, fondata da Giovanni Treccani s.p.a., 1990 17 Giovanni Leone, Manuale di diritto processuale penale, 1971

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4. Cenni sugli effetti della Costituzione Italiana e della normativa pattizia sulla procedura penale e la riforma novellistica del 1955.

Negli anni successivi la caduta del regime fascista si avvertì l’esigenza di affermare solennemente i diritti fondamentali dell’individuo ed

escludendone la possibilità di una modifica da parte del legislatore vennero cristallizzati all’interno di una Costituzione rigida che entrò in vigore nel 1948.

Le norme della nuova carta fondamentale dello stato Italiano posero attenzione anche al processo penale. In particolar modo si ricorda l’art 27 c°2 Cost., dove viene affermata la presunzione di innocenza dell’imputato, in netta controtendenza rispetto l’impostazione inquisitoria del codice Rocco.

Nel 1950, a Roma, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali delineò al suo art.6 i caratteri di un processo equo e pubblico a cui ognuno avrebbe avuto diritto, ribadendo la presunzione di innocenza dell’accusato di un reato fino a quando la sua colpevolezza non fosse stata accertata legalmente ed il suo diritto alla difesa.

Nel 1955 un importante intervento riformatore si ebbe con la legge del 18 giugno n.517 che, modificando l’art 314 del codice di procedura penale del 1930, aprì la strada ad una discrezionalità vincolata in relazione al potere del giudice di disporre perizia, sostituendo la dizione “può disporre” con un perentorio “dispone”.

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15 Lasciava piena libertà al giudice solo in ordine alla valutazione sull’effettiva necessità della perizia, margine di libertà ineliminabile ma ora temperato grazie alla consapevolezza dell’anacronismo dell’idea esasperata dello “iudex peritus peritorum”.18

Nonostante fosse ridotto in tal modo lo spazio di discrezionalità del giudice nella scelta di ricorrere ad un esperto per integrare il proprio sapere, veniva comunque mantenuto il divieto di perizia psicologica come garanzia per l’imputato, per evitare un’introspezione del soggetto agente che potesse condizionare il giudice.

La riforma novellistica ammetteva inoltre la difesa ad assistere a molti atti istruttori e tale apertura liberale finì per favorire una libera utilizzazione di questi dal giudice in dibattimento, ecco che la semplice presenza del difensore non permetteva un reale controbilanciamento dell’unilateralità dell’assunzione della prova; riformatore solo nelle intenzioni ma non nel risultato tale stagione si ricorda con il nome di “garantismo inquisitorio”.

18 In questo senso: P. Rivello, La prova scientifica, cit., pag.210; Progetto Preliminare 1978, pag. 184

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5. Il progetto preliminare del 1978.

Agli albori degli anni ’60 iniziarono a susseguirsi progetti di riforma del codice di procedura penale del 1930 e leggi-delega.

Una delle più importanti fu senza dubbio la legge-delega del ’74 sulla cui base il Governo avrebbe dovuto redigere il progetto preliminare del nuovo codice.

La commissione ministeriale presieduta da Gian Domenico Pisapia terminò i lavori nel 1978, presentando ad aprile il nuovo progetto.

La legge delega nel punto 10 enunciava una serie di principi:

<<riordinamento dell’istituto della perizia, con particolare riferimento alla perizia medico-legale, psichiatrica e criminologica, assicurando la massima competenza tecnica e scientifica dei periti, nonché nei congrui casi, l’interdisciplinarità della ricerca peritale e la collegialità dell’organo cui è affidata la perizia; facoltà di compiere indagine psicologica della parte offesa quando questa sia minore e si tratti di reati contro la moralità pubblica ed il buon costume; tutela dei diritti delle parti in ordine alla effettuazione delle perizie>>.

L’art 209 1°c del progetto disciplinava così l’oggetto della perizia: “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”.

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17 Il richiamo alla perizia artistica era dovuto dall’art. 9 legge 20 novembre 1971 n. 1062, che confermò l’opportunità dell’enunciazione espressa in relazione alla regola di tassatività delle prove mentre la duplice

specificazione di indagini o valutazioni era funzionale ad indicare sia la possibilità di svolgere accertamenti sia quella di formulare giudizi.

Per ricordare il clima dell’epoca porto alla mente le parole con cui si chiedeva “un effettivo giudizio sulla personalità dell’imputato e

l’acquisizione di elementi che avrebbero consentito la completa conoscenza del soggetto”19

Veniva ribaltata la prospettiva dell’art 314 2°c dell’ancora vigente codice del 1930, prevedendo al 2°c che ai fini del giudizio sulla personalità e sulla pericolosità, la perizia potesse avere per oggetto la personalità dell’imputato anche in ordine alle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche e considerando al successivo art 212 tre tipi di perizia: medico-legale, psichiatrica e criminologica.

In particolar modo si enunciava che le perizie relative a quesiti sulla personalità e pericolosità dovevano essere affidate a specialisti in criminologia ovvero ad un medico specialista in psichiatria o psicologia.

La perizia criminologica era così finalmente disciplinata, dopo anni di intensi dibattiti dottrinali, tenendo conto del costante aumento di scuole di

19 G. Ponti, “Criminologia e processo penale”, in AA.VV “L’investigazione scientifica e criminologica nel processo penale”, convegno di studi, Cedam, pag.112.

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18 specializzazione in criminologia e del nodo gordiano che sempre più spesso sul piano della realtà univa indagini criminologiche e psichiatriche.20

La commissione per interpretare compiutamente il punto 10 necessitò del richiamo alle indicazioni del punto 9 della legge delega dove si prevedeva necessario un effettivo giudizio sulla personalità dell’imputato e

l’acquisizione in ogni stato e grado del giudizio di merito e in

contraddittorio, di elementi che consentono una compiuta conoscenza del soggetto, con esclusione di informazioni generiche e di voci correnti.

L’effettivo giudizio sulla personalità non doveva limitarsi all’indagine sull’imputabilità ma doveva essere finalizzato essenzialmente

all’individuazione del trattamento, aggiungendo la perizia criminologica agli altri strumenti probatori diretti ad acquisire elementi per la migliore conoscenza della personalità. 21

Abbandonata dalla commissione l’idea di un seppur ridotto processo bifasico per ridurre i casi in cui far ricorso a tale perizia, si pensò di

delimitarne i contenuti all’art.518, interpretandolo non come un divieto di disporla in un momento precedente ma come indicazione per evitare un ricorso generalizzato a tale strumento, giustificato solo qualora vi fosse un

20Sul punto si ricordano le parole di G. Canepa “Rilevo infine con riferimento al divieto di perizia sulla personalità che indubbiamente si tratta di un’indagine particolarmente problematica per le implicazioni etico-deontologiche che può determinare. Ma questo avviene e l’ho sperimentato personalmente, anche per la perizia psichiatrica il che non ha mai costituito un motivo valido per vietarla” in “L’investigazione scientifica e criminologica nel processo penale”, Cedam,1989. 21 Sono stati sottolineati i rischi di indagini sulla personalità di qualsiasi imputato. In particolar modo si ricordano le critiche dell’On. Valiante nella seduta della commissione Giustizia del 2 febbraio 1966.

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19 problema nell’individuazione del trattamento, quando fatti e responsabilità risultassero già accertati ed i fatti ed i soggetti avessero particolare rilevanza criminologica.

Gli anni di piombo e l’omicidio di Aldo Moro, contestuale al progetto preliminare, sconvolsero il paese gettandolo nel panico, il terrorismo politico necessitava di una soluzione, ecco che il governo lasciò cadere il progetto per fronteggiare le drammatiche vicende dell’epoca ed occuparsi della legislazione d’emergenza.

Si nota la svolta autoritaria già nella legge delega del 1974 dove si fa un largo uso della carcerazione preventiva.

Le aperture registrate negli anni ‘70 verso l’introduzione nel processo delle scienze sociali ed in particolar modo verso la criminologia non vennero però cristallizzate nella seconda legge-delega del 1987.

Questa infatti restava in silenzio sul punto ed i compilatori del nuovo progetto pensarono di interpretarlo in senso negativo, tanto che, quando venne alla luce in nuovo codice nello stesso anno, all’art 220 c°2 era stato reintrodotto il divieto.

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6. L’attuale codice di procedura penale del 1988

Il primo codice di procedura penale dell’Italia repubblicana, approvato con D.P.R. 22 settembre 1988, segna il passaggio da un sistema inquisitorio, tipico di un regime autoritario, ad uno tendenzialmente di stampo accusatorio, ispirato a principi liberali e democratici.

Come già osservato la legislazione d’emergenza dal 1974 aveva compresso fortemente i diritti dell’imputato, in particolar modo il diritto di difesa e la presunzione di innocenza.

La legge-delega 16 febbraio 1987 n.81 fissò le direttive sulle quali la Commissione Ministeriale sarebbe pervenuta alla redazione del testo definitivo.

Il codice ispirato al modello accusatorio viene spesso paragonato al sistema processuale anglosassone ma in realtà la radice romanistica e la dottrina italiana di cui il già ricordato Francesco Carrara che desiderava “tutto si faccia con il metodo accusatorio puro, cioè in pubblico e nel costante contraddittorio dell’imputato e del suo difensore” hanno portato i loro contributi.

Si nota come tale codice rifugge dall’idea di un processo che prendesse ad oggetto il reato e non il fatto, da mezzi di scoperta della verità assoluta, quale la tortura ed il metodo delle prove legali, dalla presenza di un giudice istruttore, dalla presenza di un’istruttoria scritta e segreta; si accoglie invece

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21 una serie di principi tra cui la terzietà del giudice, il contraddittorio come fulcro del dibattimento, la parità delle armi di accusa e difesa.

In ordine a questo ultimo principio non sono mancate critiche.

Si sottolineava come mancasse nel nuovo codice l’attuazione completa di tale principio e non fosse sufficiente la difesa dell’imputato.

Il principio del contraddittorio era infatti attuato in dibattimento ma nella fase procedimentale vi era un favor dell’accusa, con il corollario di ampi poteri spettanti al pubblico ministero.

Il nuovo codice aveva struttura accusatoria di un processo di parti ma era mitigato da una parte di iniziativa del giudice nell’acquisizione della prova che veniva utilizzata per contemperare la difesa sociale con i diritti individuali.

Il giudice infatti poteva provocare la formulazione di un’imputazione, la ricerca di nuove prove e di ulteriori indagini da svolgere.

I tratti essenziali della riforma risiedevano in alcuni punti quali: la celerità del processo, l’oralità e la pubblicità, la parità delle armi, la predisposizione di un sistema di garanzie per l’imputato, diritto di difesa, diritto alle prove, il principio del contraddittorio.

Per quanto riguarda il diritto alle prove e con particolare riguardo alle prove scientifiche, una parte della dottrina ha aderito all’epistemologia

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22 considerate vere superati i tentativi di falsificazione cui esse si siano

esposte, vedendola come estrinsecazione di un sistema accusatorio.

L’attività istruttoria esplica una funzione della difesa o dell'accusa, in quanto guidata da un’ipotesi soggettiva, così ricerca e ammissione delle prove devono competere alle parti che hanno la possibilità di esaminare le persone che introducono nel processo quali fonti di prova ed il diritto ad un controesame, il c.d. esame incrociato.

Le parti hanno perciò il diritto di chiedere al giudice l’espletamento di una perizia, ai sensi dell’art. 190 e, nel caso in cui sia chiesta da queste, essa non è una “prova neutra”, potendo risultare a carico o a discarico a seconda dei risultati.

La smentita della presunta neutralità della perizia appare anche dall’art. 468 che prevede la possibilità di chiedere l'esame dei periti ed al c°4 la richiesta di citazione a prova contraria dei periti non ricompresi nella propria lista, evidenziando il potere di iniziativa in capo alle parti anche in detto ambito.22

Il contraddittorio nel nuovo codice risulta quindi attuato pienamente anche nel momento di formazione della prova, i consulenti tecnici adesso non partecipano passivamente allo svolgimento della perizia ma possono concorrere nella formazione dell’atto.

22 P. Tonini, “Dalla perizia “prova neutra” al contraddittorio sulla scienza” in Dir. Pen. Proc., 2011, pag. 367.

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23 La consulenza tecnica chiesta dal pubblico ministero o dal difensore può essere affidata ad un esperto anche nel caso in cui non vi sia stata la nomina di un perito.

Viene così alla luce un nuovo strumento definito consulenza tecnica “extraperitale”, prima sconosciuto nel panorama processuale.

Con essa si intende realizzare l'esigenza per cui ciascuna delle parti possa usufruire di un esperto per realizzare e risolvere quesiti squisitamente tecnici evitando che l'indagine tecnica sia condizionata in modo rigoroso da iniziative "ex officio".

Sempre nell’ottica dell’attuazione dei principi cardine del nuovo sistema processuale penale si colloca il divieto dell'art 220 c°2 c.p.p. che trova la sua ratio nel corollario delle garanzie per l'imputato più che nell'avversità verso le "scienze personologiche".

Con tale previsione si voleva evitare che il giudizio sulla responsabilità, sulla colpevolezza dell'imputato in ordine al fatto-reato, potesse essere alterato da un'indagine sulla psiche che, al contrario dell'attribuzione del fatto, è entità intima, la cui interpretazione è per natura ambivalente e soggettiva, senza però rinunciare ai contributi che solo questo tipo di scienze possono offrire al processo.

Ecco che notiamo che al divieto è fatta deroga "salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza".

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24 In questo senso emerge il contributo appartenente alla Scuola Positiva, con attenzione al concetto di pericolosità sociale del reo e, con l'evolversi delle scienze psicologiche, anche alla funzione rieducativa della pena.

Durante la fase esecutiva e penitenziaria del processo, terminata la fase di cognizione, il giudice non potrebbe attribuire valore di movente ad un "cattivo carattere" disegnato dall'indagine personologica ed in particolare non risulta compromesso per l'imputato né il principio di riservatezza né il principio di presunzione di innocenza dettato dall'art 27 c°2 cost., anzi, l'indagine sarebbe funzionale alla valutazione della richiesta di una misura alternativa alla pena detentiva.23

Nel codice dell'88 venivano idealmente consacrati principi di un sistema accusatorio, nuova esperienza della storia dello Stato, ma la realtà si doveva confrontare con l'esigenza di predisporre strumenti per il funzionamento degli organi della giustizia.

Il nuovo codice all’art.220, comma 1, disciplina l’oggetto della perizia, disponendo che è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche, artistiche.

Scomparso il riferimento alla “necessarietà”, viene adesso praticata l’obbligatorietà del ricorso allo strumento tecnico ed un ampliamento dei confini dell’ammissibilità della perizia e tende a razionalizzare il

23 M. Montagna, “I confini dell’indagine personologica nel processo penale”, Aracne editrice, 2012.

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25 convincimento del giudice nella consapevolezza dell’anacronismo dell’idea dello “iudex peritus peritorum”.24

La duplice specificazione di indagini o valutazioni, riferita al tipo di attività devolute al perito, indica la possibilità che queste possano essere esperite anche solamente in una delle due direzioni, così da evitare un’invasione illegittima, anche se richiesta, della sfera decisionale propria del giudice.25

Il sapere del giudice deve essere integrato da specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche per fini di accertamento nel settore delle indagini stricto sensu o nella formulazione di giudizi.

Ammettendo la possibilità di acquisizione di dati inoltre vengono definitivamente dissipati i dubbi, che per anni sono stati portati

all’attenzione della dottrina, sulla collocazione della perizia nei mezzi di prova, quando non sia limitata all’acquisizione di dati questa comprende anche un giudizio che non può essere effettuato dal giudice, pur restando una prerogativa di questo aderirvi o meno.

L’elenco delle specifiche competenze si affina rispetto la dizione del codice previgente di” determinate scienze o arti” distinguendo adesso tra scienza e tecnica, avendo solo la seconda norme con finalità pratiche ed aggiungendo anche la perizia artistica, introdotta in precedenza dalla l.20 novembre 1971 n.1062.

24 V.: V. Mastronardi, Manuale per operatori criminologici, Dott. A. Giuffrè editore, Milano, 1989, pag.479.

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26 Il codice detta le linee guida dirette alla scelta del perito (art221 c.p.p. e 67 disp.att.), istituendo un Albo suddiviso per categorie, delineando così un corpus di discipline su cui fondare l’affidabilità delle scelte26.

Accanto a tale criterio principale è possibile nominare anche un esperto dotato di particolare competenza nella specifica disciplina, si pensi a settori altamente specializzati, consigliando per tale scelta al giudice di aver riguardo di soggetti che svolgano la propria attività in un ente pubblico.

La perizia collegiale risulterà possibile “quando indagini e valutazione risultino di notevole complessità” o nel caso in cui vi sia un’indagine che richieda conoscenze multidisciplinari, differenziate competenze tecniche.

Il giudice dispone anche d’ufficio la perizia con ordinanza motivata ed in parallelo le parti private ed il Pubblico Ministero hanno facoltà di nominare consulenti tecnici per ogni parte, non superiore al numero dei periti e valendo per entrambi le stesse situazioni di incapacità ed incompatibilità.

Le parti hanno a disposizione vari strumenti per far acquisire al processo contributi di esperti ed il codice introduce una novità significativa a riguardo, prevedendo la possibilità di consulenza tecnica “extraperitale”.

Nei casi in cui non sia stata disposta perizia ciascuna parte potrà nominare consulenti, in numero non superiore a due, i quali potranno presentare memorie scritte o esporre il proprio parere al giudice.

26 Si ha riguardo alla differenza tra grafologia ed analisi grafica, terminologie affini ma con metodi di indagine profondamente diversi. “Dal punto di vista grafologico” l’analisi passa attraverso l’esame della personalità grafica incontrando il divieto di perizie psicologiche dell’art.220 c°2.

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27 Ecco che un contributo esterno può essere valutato dal giudice anche per convincersi della convenienza di disporre perizia.27

Nella previgente disciplina tali valutazioni erano considerate alla stregua di mere memorie difensive, prive del valore probatorio di una perizia mentre ,soprattutto dopo la riforma sul giusto processo, la consulenza tecnica adesso assume una propria autonomia; si ricordano le parole "non può essere revocato in dubbio in questa sede che la consulenza extraperitale è suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza e che pertanto il giudice non è vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano

oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti".28

27 In questo senso: V. Mastronardi, Manuale per operatori criminologici, cit., 1989; 28 Sentenza Corte Costituzionale 19 febbraio 1999, n.33

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7. I limiti all’indagine peritale.

Come già osservato, il dibattito sull’introduzione nel giudizio di cognizione della possibilità di una perizia avente i caratteri di un accertamento psico-criminologico dell’imputato è stato poi risolto con il divieto posto all’art 220,2°co., c.p.p., che non consente perizie dirette a “stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la

personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche” che riproduce in toto la formula dell’art 314 c.p.p. del 1930.

Tale divieto nel precedente codice risultava un corollario logico della struttura di un processo inquisitorio e quindi predisposto per evitare intromissioni basate su indagini somatiche nella valutazione della capacità a delinquere che doveva rimanere prerogativa del giudice, alla luce del suo “buon senso”; vi era inoltre una certa diffidenza nell’ “ammettere nel processo penale contributi di scienze non giuridiche”.29

Nel nuovo processo il divieto nel corso del processo di cognizione ha la sua ratio in differenti motivazioni quali, ad esempio, l’effetto pregiudiziale che potrebbe avere una tale perizia personologica sul convincimento del magistrato in ordine all’accertamento della colpevolezza; la violazione dell’integrità psico-fisica dell’imputato per l’indagazione nella sfera più

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29 intima del soggetto; una possibile lesione della presunzione di non

colpevolezza sancita dall’art. 27 co.2 della Costituzione.

Ecco che la soluzione più adeguata è stata estromettere dal giudizio di cognizione ogni possibilità di poter far discendere il concetto di imputabilità a quello di personalità del reo; avendo riguardo al contrario esclusivamente al fatto e all’attribuibilità di questo all’autore del reato, secondo il

paradigma classico.

La soggettività è delegata invece al momento esecutivo, infatti il divieto posto dall’articolo in esame pone la sua eccezione nelle parole: “salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza”.

L’indagine criminologica “interviene pienamente nel momento della

esecuzione, ove deve essere determinante il paradigma positivo-soggettivo. Senza utopie, senza false sicurezze, senza sentimento di onnipotenza scientifica: ma armata del suo sapere piuttosto che di trionfalismi risocializzativi. Capace però di offrire un “servizio” (al detenuto ed alla giustizia), piuttosto che un “metro” per giudicare.

Per queste ragioni la criminologia deve trovare il suo spazio “investigativo” sulla persona solo nel momento della esecuzione penale, e non in quello del processo”.30

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30 L’analisi della personalità in tale fase rappresenta un sostegno necessario per l’individuazione di un trattamento risocializzante e sembra dimostrare che il legislatore abbia assunto un’ottica favorevole ad una concezione “bifasica” del processo, tale da distinguere la fase di accertamento della responsabilità penale da quella esecutiva, successiva alla condanna, in cui debba essere calibrato il trattamento sanzionatorio sulle basi di

caratteristiche soggettive e personalissime del reo.31

31 P.P. Rivello, “La perizia”, in “La prova penale”, a cura di P. Ferrua, E. Marzaduri, G. Spangher, G. Giappichelli editore, Torino, 2013

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8.La riforma sul “giusto processo”.

In un contesto di divergenti interpretazioni della giurisprudenza e di campagne dell'avvocatura ispirate ai principi di un effettivo contraddittorio nella formazione della prova, superando quella che si può definire una deriva del diritto delle prove, venne modificato l'art.111 Cost. consacrando i principi del giusto processo, modellati sulle fonti pattizie sui diritti umani, in particolar modo sull'art. 6 C.e.d.u., con la legge n. 63 del 2001.

Del nuovo art.111 si riportano sotto i primi cinque commi per facilità nell'esposizione:

"La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono

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32 dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita."

Quanto al secondo comma dell’art. 111 sul principio del contraddittorio si è ormai chiarito in dottrina che questo non deve essere interpretato in senso unitario ma ha al contrario un significato duplice, oggettivo e soggettivo.

Il primo periodo del 4°c. prevede il senso oggettivo, inteso come strumento di formazione della prova, contraddittorio come metodo per l'accertamento giudiziale dei fatti che esalta la funzione conoscitiva dialettica del processo e consente che le influenze sul giudice derivanti da una parte siano bilanciate da quelle effettuate dalle altre parti.

Il diritto a confrontarsi trova la sua garanzia nell'inutilizzabilità delle

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33 principio in questione che è collegata ad una riaffermazione della

separazione tra fase procedimentale e processuale.

Il terzo comma ed il secondo periodo del quarto pongono in luce il significato soggettivo, la garanzia per l'imputato di confrontarsi con il proprio accusatore.

Il contraddittorio così inteso costituisce il principale pilastro nella

ricostruzione del modello processuale accusatorio, basato sull'idea guida del metodo dialettico, nella "convinzione che il miglior prezzo per saggiare la fondatezza di un'accusa sia di instaurare il contraddittorio tra chi, avendola formulata, ha interesse a sostenerla, a verificarla e chi, essendone il destinatario, ha interesse a confutarla, a falsificarla".32

Non vengono semplicemente proclamate garanzie soggettive ma viene costruita una giurisdizione basata sul metodo del “giusto processo”.

Il diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost. trova applicazione pratica nel processo penale, sistema di stampo tendenzialmente accusatorio, nel detto principio del contraddittorio che deve essere rispettato sia per le prove dichiarative sia per le prove scientifiche, fallibili quanto le prime.

Al contraddittorio è inscindibilmente legato il principio della parità delle parti nel processo con il necessario corollario della parità delle armi e solamente attraverso il riconoscimento alla difesa della possibilità di

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34 attingere alle stesse condizioni dell'accusa al materiale probatorio questo può essere portato a pieno compimento.

La legge n. 397/2000 sulle investigazioni difensive segna una rivoluzione in tal senso.

Il diritto di difesa non viene più inteso solo in senso privatistico come garanzia per l'imputato ma nel più complesso quadro dell'accertamento giudiziale.

Il difensore diviene egli stesso ricercatore degli elementi di prova che potranno fornire al giudice apporti per giungere al proprio libero

convincimento, potendo svolgere fin dall'incarico investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova in favore del proprio assistito anche per mezzo di sostituti quali investigatori privati autorizzati e consulenti tecnici.

L'oggetto della consulenza tecnica di parte è da intendersi identico alla perizia.

Il consulente tecnico può essere può essere autorizzato a visionare ciò che è stato oggetto di perizia oppure esaminare oggetti nel caso in cui non sia stata disposta perizia al fine di compiere valutazioni da presentare al giudice anche sotto forma di memorie per sostenere le tesi della difesa.33

C'è da chiedersi se detta autonomia può essere sufficiente per superare i limiti dettati dall'art 220 2° c.p.p. per la perizia.

33 V.: Art.233, c°1 bis, c.p.p.

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35 Ben si potrebbe sostenere che un accertamento personologico potrebbe essere condotto dalla difesa solo in un'ottica di favor verso l'imputato e in tal modo subordinarne l'espletamento al consenso dello stesso, potendo questo non ritenersi pregiudicato nella propria libertà morale ed escludendo la percezione di un’invasione nella propria psiche e nel proprio privato.34

Vista però l'identità dell'oggetto di perizia e consulenza tecnica sembra difficile poter superare un divieto posto dal legislatore a tutela dell'imputato e del corretto svolgimento della funzione giudiziale mediante il semplice consenso dato che le "insidie" di un eventuale accertamento personologico non sono da ricercarsi solamente in una una invasione della sfera intima del soggetto ma anche nel timore di un condizionamento sull'attribuzione del fatto reato all'imputato, determinando un contrasto con la presunzione di innocenza.35

Inoltre visto l'oggetto di una valutazione personologica, per sua natura complesso e indeterminato si tende ad attribuirle scarsa attendibilità derivante, più che dall'avversione verso le scienze umane, da una difficile "controllabilità" e verificabilità.

34 V.: G. Ponti, “Criminologia e processo penale” in “L’investigazione scientifica e criminologica nel processo penale”, Convegno di studi, Cedam, 1989

35 M. Montagna, “I confini dell’indagine personologica nel processo penale”, Aracne, 2012

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CAPITOLO SECONDO

IL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE NEL PROCESSO

PENALE ED IN PARTICOLAR MODO NELLA VALUTAZIONE

DELLA PROVA SCIENTIFICA.

Sommario:

1. Dalle prove legali all’intimo convincimento.

2. Il libero convincimento del giudice per la realizzazione della difesa sociale del regime nel codice italiano di procedura penale del 1930.

3. Dal rifiuto di un giudice istruttore verso la statuizione positiva di regole legali di ammissione, acquisizione delle prove…

3.1. (Segue)…e criteri legali di valutazione…

3.2. (Segue)…In vista di una decisione “giusta”, oltre ogni ragionevole dubbio.

4. Lo spazio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova scientifica.

4.1. La prova scientifica al confine tra tipicità ed atipicità probatoria.

4.2. Il doppio stadio della valutazione della prova scientifica.

5.La riformulazione del concetto dello “Iudex peritus peritorum” alla luce della garanzia dell’obbligo di motivazione e della regola di giudizio

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dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, argini contro le fallacie della prova scientifica.

6.Le sentenze Franzese e Quaglierini: la prova scientifica inserita nella logica dialettica della disciplina della prova in generale.

7.Le sentenze Cozzini e Cantore precisano il ruolo degli esperti e del giudice nella valutazione della prova scientifica.

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1. Dalle prove legali all’intimo convincimento.

Il convincimento del giudice nel corso dei secoli è stato posto al centro di intensi dibattiti ed è mutato al mutare di molteplici visioni politiche e filosofiche oltre che strettamente sistematiche e processuali.

Nell’arco della storia si nota come la formula del libero convincimento si sia dimostrata un “guscio vuoto”, che si è andato riempiendo di antitetici significati a seconda delle ideologie, delle visioni dei rapporti tra autorità ed individuo e soprattutto dei modelli processuali adottati in un dato

momento.

Ecco che per indagare l’evoluzione di tale principio non si potrà fare riferimento alla secca contrapposizione tra questo ed il metodo delle prove legali, al contrario sarà necessario indagare i rapporti intercorrenti tra sistema inquisitorio e prove legali ed un modello processuale di stampo accusatorio con il corollario logico di una libera valutazione delle prove.36

Agli albori del diciottesimo secolo la procedura inquisitoria, cresciuta sotto l’influenza della concezione canonistica del reato e della pena, era applicata in tutta Europa.

36 In questo senso: M. Nobili, “Il principio del libero convincimento del giudice”, Milano, 1974, pag. 101.

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39 Nel medioevo l’oggetto del processo era il reato, non il fatto, si pensi alla tortura che veniva utilizzata come mezzo per la scoperta della verità, intesa come verità assoluta.

Tale metodo di indagine era funzionale ad una logica di tipo autoritario dove l’accentramento del potere e la teoria delle prove legali divenivano

caratteristiche essenziali al fine di permettere l’acquisizione di certezza in ordine alla responsabilità dell’imputato che solitamente avveniva in una fase preliminare, fuori dal processo.

Tramite il sistema delle prove legali veniva predeterminato il carattere ed il valore di ogni prova ed ogni indizio predisponendo una rigida gerarchia che escludeva il giudice dal compito di valutare le prove secondo il proprio intelletto.

Necessità questa che doveva essere servente all’esigenza di legalità, intesa come prevalenza del momento normativo, evitando che il giudizio sul fatto da parte del magistrato potesse degenerare in arbitrio.37

Il giudice era sovrano assoluto nell’applicazione delle pene ma

completamente estraneo alla possibilità di qualsivoglia critica probatoria.

La sfiducia nella razionalità dell’organo giudicante era giustificata dall’inadeguatezza culturale e tecnica di questo ed il metodo delle prove legali era sembrato fino ad allora il mezzo più sicuro per arginare possibili

37 In questo senso: M. Nobili, Il principio, cit., 1974 p.108;

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40 distorsioni decisorie e per evitare che prove “fallaci” potessero entrare all’interno del processo.

Il sistema inquisitorio così descritto conteneva già in sé i presupposti per un suo superamento.

Con la rivoluzione francese, la critica illuminista portatrice di un’esigenza di “nuova razionalità” e fautrice della teorica dei diritti naturali dell’individuo, diffuse tematiche nuove quali la libertà, l’uguaglianza, la dignità della persona che inevitabilmente condizionarono anche la visione del processo.

Istanze giusnaturalistiche e razionalismo illuminista si fondevano per far nascere una nuova concezione del rapporto tra individuo e società che doveva spiegarsi anche all’interno del processo penale.

L’istituzione di giudici popolari e l’adozione di un criterio che intendeva la ragione come appartenente all’intelletto dell’individuo che, osservando criticamente i fatti poteva giungere alla scoperta della verità, venivano a porre le basi per quel nuovo modo di intendere il ruolo del giudice, non più come essere senz’anima, meccanico applicatore del comando normativo ma come portatore di una intima convinzione, che negli anni a seguire venne ad essere interpretata come espressione di un irrazionalismo intuitivo.38

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41 Ecco che l’istituzione e la valorizzazione di una giuria veniva ad essere il veicolo per introdurre nel processo principi affini ad un modello accusatorio quali l’oralità e l’immediatezza.39

L’ideale romantico di “intime conviction”, intuizione naturale ed irrazionale di verità che nasceva nel pensiero del giudicante che veniva poi espressa in un verdetto immotivato, si attirò critiche non di poco conto, l’arbitrio che si era tentato di scongiurare attraverso il rifiuto del metodo delle prove legali non veniva debellato visto che rimaneva non arginata la discrezionalità nel momento della valutazione sul fatto.40

Il giudice sembrava adesso essere vincolato al dato normativo per quanto atteneva alla tipologia di reato ma libero invece nella capacità di apprezzare il fatto e quindi nel proprio convincimento.

Ecco che tra i “filosofi del processo” nasceva l’esigenza di limitare il dogmatismo epistemologico che alimentava quella visione irrazionalistica del libero convincimento e si tentò di immaginare la possibilità di limiti

39 G. Della Monica, “la parabola del principio libero convincimento”, in “La prova penale” trattato diretto da A. Gaito, volume terzo, Utet, 2008, pag.273

40 “Si sarebbe tentati allora di auspicare che ogni predeterminazione legale fosse abolita e che non vi fosse altro al suo posto che la coscienza e il buon senso dei magistrati.

Ma chi risponderà che questa coscienza e questo buon senso non si smarriscano?” Ecco che le parole di Voltaire costituivano una predizione non di poco conto, restituendo al magistrato la libertà sul giudizio veniva messa in luce la problematica di come arginare, indirizzare e limitare tale discrezionalità per evitare che

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42 interni alla formazione del giudizio che vennero a coincidere con espressioni quali “certezza morale” e “comune buon senso”.41

Antidoto contro l’arbitrio divengono quindi la certezza soggettiva, intesa non più come verità assoluta ma come verità storica a cui approda il giudicante al cessare dei dubbi interiori, ed un criterio oggettivo del buon senso comune, di stampo umanistico, che permette al giudicante di esprimere giudizi fondati sugli elementi offerti dalle parti in un confronto dialettico sulla base di una capacità logica propria di ogni uomo.42

Mentre la prima teorica francese dell’intime conviction, meglio nota come “preuve morale”, era accusata di una cieca passionalità e di una

componente irrazionale adesso la libertà del giudice voleva essere intesa come individualità razionale che passava attraverso il vaglio della diretta osservazione critica nella valutazione dei fatti.43

Veniva auspicato così un definitivo abbandono delle logiche inquisitorie ma ben presto lo sviluppo delineato dagli ideali rivoluzionari ed illuministi si

41 In questo senso: G. De Luca, “il contraddittorio nella formazione della prova e la decisione sulla questio facti” in AA.VV., Il libero convincimento del giudice penale, cit,”, 2004, pag.27;

G. Della Monica, la parabola, cit, in “La prova penale”,cit, pag.274

42“Il criterio morale è il crogiuolo della certezza storica nei giudizi di fatto: esso consiste nella coscienza della cessazione del dubbio”, così G.De Luca, “Profilo storico del libero convincimento del giudice”, in Aa Vv., “Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale”, QCSM, 1992, pag.22 43 L’istituzione delle giurie e la conseguente fiducia nella nuova magistratura giudicante con la presunzione della mancanza di condizionamenti derivanti dalla detenzione stabile del potere giudiziario si può notare anche nelle parole di Beccaria che afferma: “è più sicura l’ignoranza che giudica per sentimento” e“per giudicare …non si richiede che un semplice ed ordinario buon senso”, C. Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, XIV, Ed. Francioni, pag.59.

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43 arrestò, cedendo il passo già dal 1975 alla sperimentazione in Francia di un sistema misto.

La formula dell’intimo convincimento nel mutato assetto normativo finì definitivamente con il perdere i tratti disegnati in precedenza, con l’approvazione durante il regime napoleonico del code d’instruction criminelle del 1808, caratterizzato da una logica fortemente autoritaria che influenzò la procedura penale italiana negli anni successivi.

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2. Il libero convincimento del giudice per la realizzazione della difesa sociale del regime nel codice italiano di procedura penale del 1930.

Il principio del libero convincimento, nelle sue evoluzioni ed involuzioni su basi storico-ideologiche, ha dimostrato essere malleabile alle più disparate applicazioni dei modelli processuali che, plasmandolo secondo il loro fine o le loro necessità, l’hanno reso ora forma di tutela, ora forma di potere arbitrario.

Le teorizzazioni di tale principio che si sono andate a succedere nei primi anni del ‘900 dimostrano come si svilupparono i pensieri delle scuole penalistiche italiane, influenzate dal consolidarsi della dottrina penale fascista con la degenerazione più evidente nella codificazione del nuovo codice di procedura penale del 1930, qualificato negli anni successivi come un periodo di “ritorno puro e semplice all’inquisizione”.44

Il modo in cui il giudice doveva pervenire all’accertamento della verità materiale, del fatto, fu influenzata dal modo di intendere lo Stato ed il rapporto intercorrente tra questo ed ogni individuo.

Istanze reazionarie autoritarie della dottrina italiana, in seno alla scuola positiva, portarono a piegare il principio del libero convincimento per rispondere alle esigenze di difesa sociale, prima necessità dello stato e dell’uomo in quanto appartenente al primo.45

44 L. Lucchini, “i semplicisti (antropologi, psicologi, sociologi) del diritto penale”, Torino, 1886, p.247ss.;

M. Nobili, Il principio, cit., 1974, pag.225 45 A. Iacobini, Prova legale, cit., 2006, pag.74.

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45 Le aspirazioni autoritarie della scuola positiva in Italia portarono ad una nuova concezione del processo penale, del suo fine ultimo, dei poteri del giudice e del suo conoscere giudiziale, della teoria delle prove.

L’individuo ed i suoi valori soggettivi venivano assorbiti in una concezione dello Stato realizzatore della difesa sociale, proprietario ed utilizzatore dei diritti del singolo che rispetto a questo, in ossequio alle teorie nazionalsocialiste tedesche, assumeva una posizione organica, in un nesso di compenetrazione subordinata.46

Si andava costruendo una teoria unitaria del processo, che voleva fungere da sintesi tra le varie necessità motrici del sistema processuale penale che adesso poneva come suo fine generico la difesa sociale e come fine specifico la ricerca della verità materiale con il corollario dei larghi ed intensi poteri affidati al giudice inquisitore in materia di ammissione, assunzione e valutazione delle prove.

Ogni volontà di predisporre metodi probatori veniva accantonata nella presunzione che la libertà di apprezzamento discrezionale del giudice fosse autosufficiente per il giudizio, ed il principio adesso permeava tutto il processo, non solo il momento valutativo delle prove ma anche quello dell’acquisizione,47per divenire un “mezzo di investigazione obiettiva” al fine

46 Per una compiuta analisi del principio della difesa solciale si noti come il Manzini nelle varie edizioni del suo Trattato enfatizza il ruolo della difesa dello Stato rispetto alla tutela dell’innocenza che spesso viene posta in contrasto con l’accertamento della verità “materiale”.

47 P. Ferrua, “Il libero convincimento del giudice penale: i limiti legali”, in AA.VV., il libero convincimento, cit., 2004, pag.62;

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46 di lasciare che l’attività conoscitiva del giudice potesse attingere dovunque elementi per accertare la “verità materiale”.48

Il giudice istruttore era arbitro senza limiti in un processo dotato di tecnicismo dove la giurisdizionalità ed il principio di legalità venivano annullati in un sistema in cui i poteri del giudice dovevano essere di coercizione e di repressione in funzione dello scopo di difesa sociale; la razionalità del giudicante posta come garanzia di un suo eventuale arbitrio, poiché funzionario “colto” e non giurato popolare mosso da convinzioni “passionali”.

Venne condannato come “falsa interpretazione” il convincimento intimo della sua accezione irrazionalistica anche a causa della rivalutazione della giuspositivistica “teoria scientifica della prova” che per sua natura prevedeva un isolamento del giudicante rispetto al dialogo tra le parti, rifiutando di offrire una concezione dialettica ed argomentativa delle prove e del processo poiché indifferente o addirittura ostacolante lo scopo di ricerca della verità.

Equiparando la scienza giuridica alle scienze naturali si denaturava un principio che fu mosso da esigenze reazionarie progressiste di tutela individuale, rifiuto delle prove legali e da un’ideale di giudicante quale era il giurato popolare, voce del popolo in quanto elettivo, in un sistema accusatorio.

A. Nappi, “Libero convincimento, regole di esclusione, regole di assunzione.”, in “Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale”, QCSM, 1992, pag. 45-46.

48 Si ricorda il dettato dell’art.299 c.p.p. del 1930 che prevedeva che il giudice istruttore aveva “l’obbligo di compiere tutti e soltanto gli atti che in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell’istruzione appaiono necessari per l’accertamento della verità”.

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47 Tale concezione, che faceva confluire i caratteri della ricerca dello scienziato della natura all’interno dell’accertamento giudiziale,49ha condotto a svalutare l’aspetto “etico normativo” dell’esperienza processuale; il giudice doveva essere portatore di una neutralità del diritto tramite il carattere tecnico e avalutativo dell’interpretazione giudiziale , guidato nella ricerca della verità dal fine della difesa del Regime.

49 “…può qui rammentarsi il tentativo di recupero dell’esigenza di scientificità dell’accertamento giudiziale, in vista dello scopo del processo penale, inteso come accertamento della verità “materiale” a discapito della cd. verità formale.”; A. Iacobini, prova legale, cit., 2006, pag 74

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3. Dal rifiuto di un giudice istruttore verso la statuizione positiva di regole legali di ammissione, acquisizione delle prove…

Il principio del libero convincimento del giudice e la materia delle prove, come abbiamo avuto già modo di osservare, si modificano in base ai modelli processuali recepiti da un dato ordinamento nel corso della storia.

La necessità di una razionalizzazione organica della materia delle prove ha dato i suoi frutti con la cristallizzazione positiva della disciplina probatoria nel libro III del codice di procedura penale del 1988.

Un nuovo modo di intendere la ricerca della verità all’interno del processo, ora pensato in stampo tendenzialmente accusatorio, vede come protagoniste le parti quali Pubblico Ministero ed imputato, titolari di un diritto di iniziativa, di scelta ed introduzione della prova nel giudizio.50

La prova viene a formarsi in dibattimento, elaborata nel contraddittorio tra le parti, emblema questo ultimo del nuovo modello processuale accusatorio, elevato a principio con la riforma costituzionale del 1999.51

Proprio nel contraddittorio si rivela l’essenza del concetto mutato di verità, ora plausibile, probabile, connotata da sperimentazione e falsificazione; elevandosi questo a miglior strumento possibile di accertamento del fatto, ogni prova dovrà essere ponderata successivamente in sede di valutazione

50 E. Amodio, “Dalla intime conviction alla legalità della prova”, Riv. it. dir. e proc. Pen., fasc.1, 2012, pag.19

51 Art 111 c°4 Cost.: “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”.

(49)

49 dal giudice alla luce di “garanzie legali” e regole di ammissione e ed assunzione processuali che dettano presupposti e modalità del loro impiego in tutto l’arco del processo.52

Il contraddittorio diviene non solo garanzia dei diritti delle parti ma metodo gnoseologico per la formazione della prova e per l’accertamento di una verità intesa ora “plausibile”, “probabile”, al fine di una decisione “giusta” informata a criteri di ragionevolezza.53

Superando il vuoto di disciplina del codice del 1930 rispetto agli argini in ordine al libero convincimento del giudice, vengono introdotti limiti indiretti, quali sono i limiti che afferiscono all’introduzione della prova nel giudizio che consistono nel divieto di acquisire o utilizzare determinati elementi di prova ai fini della decisione.

Limiti indiretti proprio perché incidono su un momento logico successivo quale è la valutazione, senza però orientare direttamente la formazione della decisione.

Il codice del 1988 pone quale principale limite d’uso del materiale conoscitivo la nozione di inutilizzabilità che diviene successivamente divieto di valutazione della prova ma non attiene alla valutazione stricto senso,

52 S. Renzetti,”la prova scientifica nel processo penale: problemi e prospettive”, in Rivista di diritto processuale n.2/Marzo-Aprile 2015, Cedam, pag.404.

53 In questo senso: O. Dominioni, “La prova penale scientifica.

Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione”, Giuffrè editore, 2005, pag.59.

(50)

50 “semmai la previene, perché nega alla base la natura di prova del dato, lo estromette dalle premesse probatorie”.54

Compito del legislatore è costruire la fattispecie criminosa, quelle regole di ammissione, acquisizione ed esclusione probatoria ma l’attività di valutazione, intesa come processo inferenziale necessariamente intriso di “valori”, resta di pertinenza giudiziale.55

La libertà di valutazione del giudice trova come corollario logico un contenuto nella previa verifica dell’ammissibilità della prova ed uno successivo nell’obbligo di motivazione essendo i tre momenti intrinsecamente connessi.

Il libero convincimento del giudice, diviene rifiuto delle prove legali ma necessita di una metodologia fatta di regole legali al fine di essere esercitato su prove legittimamente acquisite; la libertà di giudizio deve fare i conti in un momento precedente con la legalità della prova e con regole che estromettono determinate prove dalla valutazione del giudice, successivamente tale libertà risulta orientata da criteri legali di valutazione e controllata tramite l’obbligo di motivazione che implica un’attività valutativa razionale, informata a criteri di ragionevolezza e guidata da regole di logica, scienza, esperienza.

54 Così: P. Ferrua, “Il giudizio penale: fatto e valore giuridico” in AA.VV., “La prova nel dibattimento penale”, Torino, 2005, pag. 319.

(51)

51 Il libero convincimento del giudice, evitando le derive irrazionalistiche o arbitrarie, postula un modello legale di metodo di prova al fine di una decisione razionale, controllabile tramite la motivazione.56

3.1(Segue)…e criteri legali di valutazione …

Oltre a limiti indiretti al libero convincimento l’ordinamento predispone sia limiti diretti legati a regole della logica che esigono la razionalità della decisione, sia criteri positivi che fungono da guide lines del convincimento giudiziale infine l’obbligo di motivazione.

Con la formula dell’art.192 c.p.p. il legislatore compie una scelta definitiva a favore del libero convincimento, inserendo la norma tra le disposizioni generali in tema di prova rivela l’intento di una potenziale applicazione a qualsiasi fase del procedimento nella quale si richiedano accertamenti di natura discrezionale,57inoltre ne statuisce il limite legale dell’obbligo di motivazione, in virtù del quale è tenuto a ricostruire il percorso logico-argomentativo tramite l’enunciazione dei “risultati acquisiti e dei criteri adottati”.

56 Per una correlazione tra obbligo di motivazione ed obbligo di metodo vedi: O. Dominioni, “La prova penale scientifica; gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione”, Giuffrè editore, 2005, pag.349 57 G. Della Monica, la parabola, cit., 2008, pag. 295

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