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IV L’America e Le città invisibili

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Academic year: 2021

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IV

L’America e Le città invisibili

4.1 Le città invisibili e New York

Nel 1972 viene dato alle stampe un nuovo romanzo di Italo Calvino, Le città invisibili. che è una rielaborazione personale del viaggio di Marco Polo in Catai; Marco si ferma alla reggia dell’imperatore Kublai Kan, il quale, non potendo recarsi personalmente in visita nelle città del suo regno, chiede al veneziano di fargli un resoconto di quello che ha visto durante il suo viaggio. Le città dunque sono invisibili in quanto l’imperatore non può vederle di persona, ma deve accontentarsi di un resoconto fatto da altri; tuttavia sono invisibili anche nel senso che spesso vengono descritte città di cui lo stesso io narrante mette in dubbio l’esistenza, e rimane l’interrogativo se siano soltanto frutto della sua fantasia. Altre, invece, sono città dell’utopia: non si vedono perché non esistono ancora, ma in futuro esisteranno.

La descrizione si articola in nove capitoli, tutti preceduti e seguiti da una cornice che racconta cosa succede alla reggia del Kan e i cui protagonisti sono sempre Marco e Kublai. Viceversa i due personaggi non vengono mai citati durante la descrizione delle città, le quali sono suddivise in undici sottoinsiemi: ognuna di esse infatti fa parte di una sezione che nel titolo allude al significato a cui quella città è legata. Abbiamo così undici serie, ognuna delle quali comprende cinque città. I titoli e gli argomenti delle serie sono nell’ordine: Le città e la

memoria (il ricordo), Le città e il desiderio (le attese), Le città e i segni (l’interpretazione), Le città sottili (la labilità), Le città e gli scambi (i rapporti umani), Le città e gli occhi (lo sguardo), Le città e il nome (il nome), Le città e i morti (la morte), Le città e il cielo (i modelli ideali), Le città continue (i confini), Le città nascoste (l’utopia).

Tutte le città hanno nomi femminili ed esotici, nomi di persona e non di luogo. In molti resoconti si percepisce il ricordo di Venezia, che era molta cara a Calvino ed è anche la città da cui è partito Marco Polo. Possiamo dire che dietro ad ognuna di esse c’è un legame con la vita dell’autore, e alcune di loro si possono collegare all’esperienza americana. La prima delle nostre ipotesi coinvolge Despina, la terza città del ciclo del desiderio, che è anche una delle prime che troviamo, in quanto è contenuta nel primo capitolo.

Despina si caratterizza perché ci sono due modi per raggiungerla: uno via terra, dal deserto, e l’altro dal mare. A seconda del modo in cui il viaggiatore vi arriva, può vederla in maniera

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differente: chi fa la traversata per mare scorge nel profilo della città la forma di un cammello, e chi fa il viaggio via terra quello di una nave. Secondo il narratore:

Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, […] e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina. Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti.297

Notiamo che anche a New York si può arrivare in due modi: in aereo oppure per nave, e Calvino ci racconta della sua decisione di viaggiare per mare, perché consigliato da altri che avevano già compiuto la traversata. Chiaramente la noia della traversata è ripagata dall’arrivo emozionante, dallo scorgere i grattacieli di New York che si ergono sulla costa:

I grattacieli affiorano grigi nel cielo appena chiaro e sembrano enormi rovine d’una mostruosa New York abbandonata di qui a tremila anni. Poi a poco a poco si distinguono i colori diversi da qualunque idea che uno se ne faceva, e un complicatissimo disegno di forme.298

Arrivando a Despina non solo si vedono i grattacieli (e qui possiamo fare un collegamento con l’arrivo a New York, richiamata anche dai voluti anacronismi, come appunto i grattacieli, ma anche alle antenne radar o alle maniche a vento): ci viene anche detto che Despina è “una sella ricamata di frange luccicanti”, e appunto di New York colpisce visivamente la presenza delle luci della città:

Ecco, all’orizzonte si schiarisce, tra le luci d’una sparsa costa, come una montagna che prende forma.299

Un’altra città che ci porta a fare un’associazione di idee con l’America è Zobeide, la quinta e ultima città del tema del desiderio. A Zobeide i primi abitanti arrivarono perché avevano fatto un sogno: avevano visto una donna che correva di notte per una città sconosciuta, e avevano

297

Calvino, Le città invisibili, p. 17.

298Calvino, DA, p. 24. 299

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deciso di inseguirla. Invano tentarono di trovare quella città: non ci riuscirono, perché non esisteva; allora decisero di costruirne una uguale, ognuno apportando delle modifiche a seconda di come l’aveva sognata. Nel punto dove la donna era scomparsa nei sogni vennero costruite mura affinché ella non potesse scappare. Ma la donna non si presentò più, né di giorno né di notte. Tuttavia molti altri uomini, spinti dal medesimo sogno, arrivarono negli anni e si stabilirono a Zobeide, cambiando ogni volta l’assetto della città; il risultato è stato che per molti viaggiatori e per gli ultimi arrivati essa ha assunto l’aspetto di una trappola senza vie di fuga.

Nell’immagine di vari uomini, provenienti da nazioni diverse, che giungono in un solo luogo per fondare una nuova città, noi rileviamo un collegamento con il continente americano, nato appunto dal sogno di popoli diversi di trovare una società nuova e un territorio da costruire. Di Zobeide ci viene detto che

Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta […]. Nuovi uomini arrivarono da altri paesi, avendo avuto un sogno come il loro, e nella città di Zobeide riconoscevano qualcosa delle vie del sogno, e cambiavano di posto a porticati e a scale perché somigliassero di più al cammino della donna inseguita.300

Il fatto è che anche l’America nasce come conglomerato di popoli che giungono da ogni dove; benché Calvino non si soffermi particolarmente a descrivere la storia degli Stati Uniti, tuttavia questa rimane sempre ben presente:

Il fatto è che questo è il paese degli uomini che hanno scelto la geografia e non la storia. Da più di tre secoli, l’America è stata una soluzione geografica per uomini (masse o individui) che si trovarono di fronte a problemi storici nel loro paese d’origine. […] Nell’Ottocento i poveri italiani o tedeschi o polacchi o russi o irlandesi, di fronte alla fame, non potendo concepire alcuna via di sviluppo storico per i propri paesi, scelsero la soluzione geografica: passarono l’Atlantico.301

Di Zobeide viene detto che ogni nuovo abitante apporta delle modifiche; e anche in questo si può ritrovare un rapporto con le città americane, perché più volte l’autore fa presente il fatto che in America niente è stabile e tutto, come i quartieri, cambia anche a seconda dei nuovi abitanti:

300

Calvino, Le città invisibili, p. 43-44.

301

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Il paesaggio urbano cambia con un ritmo tanto veloce che non riesci a legarti se non alla sua capacità di trasformazione, ai segni costanti della sua provvisorietà, gli steccati e le impalcature e le benne.302

Invecchiano presto, queste case, e passano presto di mano in mano. Ma non è solo la casa singola: è tutto il quartiere a cambiare popolazione nel giro di cinque o sei anni.303

Tuttavia, mentre solitamente il giudizio sulle città americane è positivo, al contrario Zobeide è valutata in modo negativo, perché, a forza di apportare cambiamenti e modifiche all’assetto della città, gli abitanti hanno finito per autointrappolarsi al suo interno, tant’è che i nuovi arrivati non riescono ad apprezzarne la struttura e ritengono di essere finiti in una trappola. E allora ci sembra opportuno riportare l’analisi che Calvino fa dei primi immigrati italiani, soprattutto meridionali, che arrivarono nel nuovo continente; la maggior parte ha sofferto un forte spaesamento o sbigottimento:

Come usciti dal grembo della natura biologica, si trovarono di punto in bianco scaraventati in mezzo all’impetuosa crescita della società industriale e dell’urbanesimo: ancora negli occhi dei figli dei figli è rimasto qualcosa di cupo e sbigottito, come se non fossero liberati del tutto dalla tensione di diffidenza dei primi anni dopo lo sbarco.304

È opportuno mettere in evidenza che sarà lo stesso Calvino a rivelare implicitamente alcuni dei suoi modelli: infatti nel testo della cornice IX il Gran Kanmostra a Marco l’atlante con tutte le città dell’impero, e all’interno di esso vi è anche una sezione dedicata alle città che ancora non hanno una forma; vengono citate, in particolare, Amsterdam, York, Nuova York (originariamente chiamata Nuova Amsterdam), Los Angeles e Kyoto-Osaka.305 Di New York ci viene detto che sarà «stipata di torri di vetro e acciaio su un’isola oblunga tra due fiumi», mentre di Los Angeles si dice che sarà una città districata in reticoli che non hanno né un principio né una fine: infatti viene descritta in Un ottimista in America come “la città troppo grande”, quella che, se volessimo attraversarla tutta in macchina, sarebbe come percorrere il tragitto da Torino a Milano.

302 Calvino, OA, p. 25. 303 Calvino, OA, p. 80. 304 Calvino, OA, p. 28. 305

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4.2 Architettura, verticalità e geometria

La studiosa Ulla Musarra Schrøder nel saggio Immagini d’architettura di Italo Calvino analizza l’opera dell’autore legandola appunto all’aspetto architettonico, ritenuto molto importante in quanto «nell’opera di Calvino l’architettura è una delle forme concrete del visibile. Rappresenta un mezzo per disegnare, plasmare lo spazio, ma offre anche dei modelli per pensare o immaginare delle forme e figure nuove, per dare visibilità all’invisibile»306. In effetti l’architettura è un aspetto molto importante de Le città invisibili; in particolare si può notare una predilezione di Calvino per le città che si estendono in linea verticale e o che sono state costruite secondo un disegno geometrico lineare.

Per quanto concerne la prima tesi, l’autrice fa riferimento al saggio del 1974 Venezia :

archetipo e utopia della città acquatica307, dove l’autore immagina una realtà futura nella quale

le città (e Venezia in particolare) si svilupperebbero su più strade e reticoli, sotterranee, acquatiche, pedonali, che servirebbero per snellire il traffico e costituire un nuovo tipo di metropoli, un nuovo mondo. La verticalità, sottolinea sempre la Schrøder, è molto presente anche nella struttura delle città invisibili, in quanto si nota una preferenza dell’autore per le sviluppate in altezza, come le prime città visitate, ad esempio Zaira o Diomira308; oppure, la verticalità può essere presente nell’opera di Calvino come punto di vista dal quale egli ritiene che sia meglio osservare la città: la Schrøder fa riferimento ad esempi tratti da Palomar,

Dall’opaco, La strada di San Giovanni, tutte opere di Calvino dove la prospettiva dalla quale

viene osservata e descritta la città è panoramica309.

La verticalità è presente, e in maniera positiva, anche nella descrizione di molte delle città invisibili. Ad esempio possiamo citare Tecla, che è in continua costruzione perché «gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e in giù lunghi pennelli»310 non portano mai a conclusione il lavoro; e soprattutto la verticalità è un tema fondamentale di tutte le città sottili, come Isaura, la «città che si muove tutta verso l’alto»311, dove gli abitanti raccolgono continuamente l’acqua dai pozzi, e ovunque vi sono pozzi, carrucole, secchi appesi alle funi il cui unico scopo è sottrarre l’acqua alla profondità per farla risalire in superficie. Inoltre parlando di verticalità non si può non citare Bauci, la città al centro del libro, che assume quindi un ruolo molto importante anche perché si tratta di quella più

306

Ulla Musarra Schrøder, Immagini d’architettura in Italo Calvino, «Italies», 16 (2012), par. 1. 307

Calvino, Saggi, a cura di Mario Barenghi, cit., pp. 2688-2692.

308

Ulla Musarra Schrøder, Immagini d’architettura in Italo Calvino, cit., par. 14.

309

Ulla Musarra Schrøder, Immagini d’architettura in Italo Calvino, par. 2-6.

310

Calvino, Le città invisibili, p. 124.

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invisibile di tutte. Bauci è costruita su palafitte; il viaggiatore non può vederla né tantomeno salirvi, e i suoi abitanti se ne stanno in alto, senza mai scendere al suolo. Pertanto si ipotizza che essi odino la Terra oppure che la amino così tanto da preferire non contaminarla ed osservarla dall’alto con il cannocchiale. In questo caso, la verticalità è allora il punto di vista di una popolazione superiore, quasi divina, che si trova talmente in alto da vivere con una prospettiva privilegiata.

La verticalità come aspetto positivo può essere ritrovata anche parlando dell’America: dall’alto Calvino si sente padrone della città di New York, andando a cavallo:

Dall’alto della sella, domino i tetti delle auto, obbligate a rallentare dietro il passo del mio cavallo, prudente sull’asfalto. […] e questa città, che è sempre stata degli ultimi venuti, da oggi è mia.312

E l’architettura che si innalza in verticale è un aspetto che ritroviamo anche nella descrizione del museo Guggenheim:

Tutti lo criticano; io ne sono un sostenitore fanatico ma mi trovo quasi sempre isolato. È una specie di torre a spirale, una rampa continua di scale senza gradini, con una cupola di vetro. Salendo e affacciandosi si ha sempre una vista diversa con proporzioni perfette […] uno va lì per prima cosa per vedere l’architettura.313

Per quanto riguarda, invece, il concetto della predilezione dell’autore per le città che hanno un disegno razionale e geometrico, la Schrøder cita proprio le Corrispondenze dagli Stati Uniti, dove San Francisco viene descritta in maniera positiva: città dalla struttura regolare ed elegante, si differenzia nettamente dalla piattezza delle altre zone della West Coast:

Arrivare una sera d’un tratto a una città di palazzi dall’aspetto agiato e «belle époque» costruita su promontori e colline in riva a un frastagliatissimo golfo, con via ripide talora in modo assurdo essendo tagliate secondo una rete di parallele e perpendicolari perfettamente regolare su un terreno irregolarissimo e montuoso, e seguendo queste vie passare senza soluzione di continuità dalla signorilità tipo Montecarlo dei quartieri di Nob Hill a una città cinese traffichina e popolosa.314

312 Calvino, OA, p. 18. 313 Calvino, DA, p. 47. 314 Calvino, CSU, p. 2595.

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Se verticalità e geometria sono le basi per amare o apprezzare una città, allora le città che non dispongono di queste caratteristiche lasciano l’autore del tutto indifferente, come osserva la Schrøder:

A molte città americane visitate da Calvino negli anni Sessanta mancano sia la verticalità che la geometria. Predominano dimensioni orizzontali e pianificazioni prive di qualsiasi forma distintiva o regolarità geometrica. Spesso non sono altro che agglomerati senza un vero centro cittadino e con periferie sterminate, delle non-città in cui nessun luogo si distingue dagli altri e in cui tutto si ripete. Sembrano estendersi all’infinito o essersi disintegrate.315

E infatti, il primo esempio che salta alla mente leggendo queste parole non può essere altro che la descrizione della periferia di Cleveland: opposta all’eleganza e alla razionalizzazione delle città (San Francisco, ma anche New York) c’è dall’altro lato la negatività della campagna sterminata, tutta uguale, piatta, noiosa:

Innanzitutto è cambiata l’idea stessa che mi facevo di «città». Si esce dall’autostrada, si cerca la città; dov’è? È scomparsa. Puoi girare per ore in macchina e non trovi quello che corrisponde al centro. […] Non si può fare un passo senza auto, anche perché non c’è da andare in nessun posto. Non ci sono in giro botteghe di tipo tradizionale; ogni tanto a un incrocio di questi viali c’è uno shopping center, un centro d’acquisto dove si può fare la spesa.316

4.3 Le città continue e l’America

Scrive la Schrøder che le città come Cleveland e come Los Angeles, ossia dei non-luoghi, delle non-città caratterizzate dalla mancanza di un centro, troppo grandi ed anonime, hanno ispirato a Calvino la serie delle città continue.317 Questo gruppo è composto da Leonia, Trude, Procopia, Cecilia e Pentesilea, e in ognuna di esse è presente un collegamento con l’America.

La prima, Leonia, è la città dello spreco: il luogo dove ogni giorno gli abitanti rinnovano continuamente i loro oggetti, buttando via quelli vecchi, e quindi ammassando quantitativi di immondizia eccessivi e dannosi. Già dalle prime righe ci viene in mente un rapporto con il popolo statunitense:

315Ulla Musarra Schrøder, Immagini d’architettura in Italo Calvino, cit., par. 26. 316

Calvino, OA, pp. 79-80.

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La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio.318

Queste parole ci rimandano immediatamente alle immagini di Marina City, dove tutti i servizi sono automatizzati e gli abitanti godono di ogni tipo di comfort319; e il richiamo è ancora più evidente in questo passo:

In questo paese dove tutto si deve buttar via al più presto per poter comprare in fretta altra roba, in questo paese dove non si sa cosa vuol dire rammendare i calzini, dove per la via ogni tanto trovi un letto o un cassettone posati lì di fianco al marciapiede perché il camion dello spazzino domani se li porti via.320

Per quanto riguarda Leonia, viene detto che «Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio [...]: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove»321.

Ma ad attendere Leonia c’è un destino orribile: infatti questa città ha creato talmente tanta spazzatura, nel suo continuo rinnovarsi, che ha formato addirittura delle montagne; queste montagne, che minacciano di cadere su di essa da un momento all’altro, sono ancor più pericolose perché l’immondizia delle altre città adiacenti preme su di esse, creando un equilibrio decisamente instabile. Se ne deduce che Leonia sia destinata, prima o poi, alla distruzione, anche perché viene detto che le città adiacenti sono già pronte con il rullo compressore, per farsi spazio ed espandersi, in quanto manca anche a loro un luogo da usare come discarica per la nuova spazzatura. In questo caso il rinnovarsi, che di solito ne Le città

invisibili ha una connotazione positiva in quanto portatore di cambiamenti e opposto alla

staticità, è visto in modo nettamente negativo, perché avviene «tutti i giorni», «ogni mattina», e quindi è inutile, è sintomo di egocentrismo; tuttavia questo processo non riesce a fermarsi, perché l’accumulo di beni è necessario per l’affermazione sociale dell’individuo.322 In poche

318

Calvino, Le città invisibili, p. 111.

319

Appendice I, par. 2

320

Calvino, OA, p. 104.

321

Calvino, Le città invisibili, p. 111.

322

Gian Paolo Giudicetti e Marinella Lizza Venuti, Le città e i nomi. Un viaggio tra le “Città invisibili” di Italo

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parole, Calvino mette in atto una critica al materialismo, che, come abbiamo visto, può essere dettata anche dall’incontro con la società americana, che prega nelle «cattedrali del consumo».

La seconda città continua è Trude, la città dove tutto si ripete sempre uguale: «lo stesso aeroporto», «le stesse case», «le stesse aiole delle stesse pizze», «gli stessi bicchieri», «gli stessi ombelichi»323; tutto si riproduce uguale rispetto alle altre città, non cambia in nulla e non c’è niente di diverso; e anche i suoi abitanti non sopportano Trude, e mettono in guardia il viaggiatore dal fatto di non potersi sottrarre a questa monotonia: puoi andare all’aeroporto, prendere un altro aereo, ma ogni città si assomiglia, e nel tuo percorso non farai altro che incontrare altre città simili a Trude, tutte uguali fra di loro.

E in queste parole ritroviamo in effetti quelle dedicate al paesaggio della campagna americana che Calvino ha modo di vedere durante la sua traversata coast to coast degli Stati Uniti, che offre un panorama talmente piatto da essere disarmante:

Aver traversato gli Stati Uniti, come si dice, «da costa a costa», aver assimilato fino a trovarli sublimi l’uniforme squallore, la mancanza di personalità e di pathos delle cittadine che invece di qui potrebbero essere mille miglia più in là o non importa dove, le casette basse, gli empori con i prezzi scritti in bianco su enormi cartelloni rossi, l’assenza di gente per le vie perché non c’è nessun posto dove andare a piedi, l’assenza di paesaggio delle enormi pianure, essersi abituato, dico, a quest’immagine di piattezza fisica e spirituale.324

Ad eccezione delle città, che sono costruite ognuna secondo il suo disegno e la sua personalità e pertanto sono amate ed apprezzate, tutta la campagna che intercorre tra una città ed un’altra è giudicata allo stesso modo; non c’è differenza tra un luogo ed un altro, come afferma lo stesso Calvino in Eremita a Parigi:

Le città si stanno trasformando in un’unica città, in una città ininterrotta in cui si perdono le differenze che un tempo caratterizzavano ognuna. Questa idea, che percorre tutto il mio libro Le città invisibili, mi viene dal modo di vivere che è ormai di molti di noi: un continuo passare da un aeroporto all’altro, per fare una vita pressoché uguale in qualsiasi città ci si trovi.325

323Calvino, Le città invisibili, p. 125. 324

Calvino, OA, pp.112-13.

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Seguendo l’ordine delle città continue, dopo Trude troviamo Procopia, che già nel nome ha un evidente riferimento al latino copia, abbondanza.326 Marco si trova in una locanda della città e guarda dalla finestra il paesaggio: un fosso, un ponte, un muretto, ma nessuna persona in giro. Il secondo anno che torna a Procopia, distingue un individuo sullo stesso muretto e piano piano, negli anni successivi, il numero di persone individuate aumenta: tre, sei, sedici, ventinove, quarantasette, fino a che diventa ormai impossibile distinguere qualcosa al di fuori di quelle facce, tutte uguali. Addirittura, anche all’interno della stanza della locanda non ci si può muovere, perché deve dare alloggio a ben ventisei persone, tutte stipate in un minuscolo spazio vitale.

Questa descrizione è una delle più ironiche presenti nel romanzo; a differenza di altri contesti, dove l’abbondanza e il progresso sono visti sotto una luce positiva, in questo caso si mette in evidenza la negatività di un aumento demografico incessante, esponenziale, che produce persone tutte uguali, indistinguibili fra di loro; possiamo notare un collegamento anche con Trude, in quanto il testo inizia con le parole «Ogni anno nei miei viaggi faccio sosta a Procopia e prendo alloggio nella stessa stanza della stessa locanda»327, ad indicare il ritorno negli stessi luoghi. Nel caso di Procopia le cose non rimangono sempre stabili ed immutate, ma subiscono un’evoluzione negativa, ed il senso finale che ne trae il lettore è di invasione del proprio spazio privato e della propria dimensione, perché la crescita demografica non si arresta ad invade anche la camera del viaggiatore.328

Si può trovare nel testo di Calvino una critica esplicita verso l’eccessiva crescita demografica? In realtà, non ci sono punti precisi nei quali l’autore si esprima in maniera negativa sull’argomento, benché definisca il controllo delle nascite come una “conquista”, parlando a proposito delle bambine del suo amico divorziato Bill:

In America la gioventù si sposa presto e s’affretta a fare figli, nonostante che il controllo delle nascite sia una conquista ormai largamente acquisita dalla coscienza civile, e mezzi tecnici di assoluta sicurezza e comodità siano ormai alla portata di tutti.329

Per quanto riguarda i “mezzi tecnici”, ossia i metodi contraccettivi, l’accenno dimostrerebbe la contrarietà verso l’abitudine di avere troppi figli, ma questo dettaglio non basta da solo a farci stabilire un collegamento con Procopia.

326

Gian Paolo Giudicetti e Marinella Lizza Venuti, Le città e i nomi, cit., p. 168.

327

Calvino, Le città invisibili, p. 142.

328Gian Paolo Giudicetti e Marinella Lizza Venuti, Le città e i nomi, cit., p. 169. 329

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Tuttavia un riferimento può essere trovato nel capitolo L’invasione portoricana, dove già il termine “invasione” di per sé ha un’accezione negativa; il capitolo racconta di quando Calvino, in visita ad un amico del West Side, chiede spiegazioni riguardo all’abitudine americana di cambiare spesso quartiere: quando in una zona comincia ad abitare un diverso gruppo sociale, considerato inferiore per un qualche motivo, le persone che vi abitavano prima si spostano in massa verso un’altra area, anche perché di solito entrano in gioco gli interessi economici del proprietario dei palazzi che, come in questo caso, ha maggior interesse ad affittare ai portoricani, i quali si adeguano a vivere in uno spazio ristretto pur essendo numerosi. Affittando a gruppi sociali di minori pretese e più poveri, il padrone ha la possibilità di smembrare gli appartamenti, che prima erano adibiti ad abitazione per una sola famiglia, al fine di avere più affittuari e quindi guadagnare più soldi.

L’amico dell’autore descrive così i portoricani:

Qui intorno ce n’è pieno. D’estate tengono le finestre aperte. Li vediamo dormire nei loro letti, far l’amore, allattare i bambini, picchiarsi, ubriacarsi, tutto. Qualche anno fa questa era ancora una buona zona residenziale. Ma presto dovremo cambiare alloggio.330

E sul padrone di casa:

Il padrone di casa non trova più conveniente affittare appartamenti così grandi. Preferisce dividere quest’appartamento in tre e affittarlo ai portoricani: ci guadagna di più.331

L’idea di un unico appartamento diviso per tre a nostro parere richiama alla memoria la stanza della locanda di Procopia:

Non che i movimenti mi siano facili. Nella mia stanza siamo alloggiati in ventisei: per spostare i piedi devo disturbare quelli che stanno accoccolati sul pavimento, mi faccio largo tra i ginocchi di quelli seduti sul cassettone e i gomiti di quelli che si dànno il turno per appoggiarsi al letto: tutte persone gentili, per fortuna.332

330

Calvino, OA, p. 33.

331Ibidem. 332

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Non solo vi è un richiamo all’abbondanza e al proliferare delle persone negli appartamenti, ma si nota anche il senso di promiscuità e in un certo qual modo di invasione della sfera intima, nel momento in cui si afferma che i portoricani non hanno nessun problema a mostrarsi anche nei loro atteggiamenti più privati.

La quarta città continua, Cecilia, non ha confini e in essa non è possibile orientarsi. Marco ci arriva due volte: la prima incontra un pastore in transumanza che con le sue pecore sta cercando di attraversare la città, ma non ci riesce perché sa muoversi solo in campagna. La seconda volta che vi fa ritorno, pur essendoci già stato una volta e nonostante la sua pratica nel viaggiare e vedere nuovi luoghi, si ritrova ugualmente sperduto, e riconosce nel vecchio pastore con la barba bianca l’uomo dell’altra volta, che non è riuscito ad andarsene e sta ancora cercando una via d’uscita insieme alle sue pecore.

Cecilia si può collegare a Trude, in quanto la città è vista come luogo di smarrimento poiché si presenta tutta uguale a chi vi arriva, e non fornisce elementi per essere distinta:

I luoghi si sono mescolati, - disse il capraio, - Cecilia è dappertutto; qui una volta doveva esserci il prato della Salvia Bassa. Le mie capre riconoscono le erbe dello spartitraffico.333

Tuttavia, nel caso della città precedente la critica si rivolgeva per lo più all’omogeneità del paesaggio e quindi alla noia che esso suscita a causa della sua ripetitività; in questo caso, più che la ripetitività Calvino prende di mira l’espansione: infatti Cecilia si ingrandisce continuamente e ingloba la realtà circostante, cosicché non esiste più una contrapposizione fra dentro e fuori, e nemmeno una contrapposizione tra città e natura.

In questo caso è forse più opportuno un paragone con Los Angeles, la “città troppo grande”: nel capitolo ad essa dedicato, intitolato appunto La città troppo grande, più che sulla descrizione fisica della città Calvino si sofferma su altri aspetti, come sul suo modo di concepirla e soprattutto sulle impressioni che gli rimangono nel visitarla.

In un primo momento, poiché la maggior parte dei suoi conoscenti gli ha parlato male di Los Angeles, Calvino vuole per dispetto avere un’idea positiva della città: vede di buon occhio la grandezza sterminata della stessa, e il fatto che sia fusa con la natura in un tutt’uno:

333

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Prima di tutto, una città così enorme, così esageratamente estesa, una città che per attraversarla in macchina è come andare da Torino a Milano. Solo le città enormi oggi mi interessano. Poi, una città così fusa con la natura, che di qua raggiunge il mare, lasciando sgombri promontori deserti a picco sul Pacifico, e di là le montagne, così che per passare da un quartiere all’altro talvolta la via più breve è attraversare una zona montagnosa completamente selvaggia.334

Il giudizio assai positivo della prima impressione si rovescia completamente in un secondo momento:

Macché. Dopo pochi giorni, avevo bruscamente cambiato opinione. Amico delle grandi città, avevo capito che Los Angeles non è una città, e che viverla come una città è impossibile. […] Durante il mio soggiorno è questo già il terzo albergo e quartiere che cambio, cercando sempre il posto in cui sentirmi più «dentro» Los Angeles, e trovandomi ogni volta isolato come un nuovo esilio. […] la città enorme ha come risultato la vita provinciale.335

A nostro avviso in queste parole potremmo trovare un po’ della città di Cecilia: la città che è anch’essa “troppo grande”, dove perdersi è facilissimo; lo stesso senso di smarrimento Calvino lo prova a Los Angeles, che si espande in uno spazio grande quanto da Milano a Torino, e dove non si riesce mai ad essere “dentro” la città, ma ci si sente comunque spaesati, esiliati. Anche il richiamo alla natura è importante: Cecilia ha inglobato in sé la campagna circostante, per cui non esiste più un confine netto fra dentro e fuori, ma la stessa cosa ha fatto anche Los Angeles, che presenta al suo interno zone completamente selvagge, come la zona delle montagne, dove non è difficile vedere i mountain lions, ossia i puma, quando si attraversa l’area con la macchina.

La quinta ed ultima città continua è Pentesilea. Essa per molti aspetti richiama quella precedente: infatti, Pentesilea è una città senza mura di cinta e senza una zona che possa essere riconosciuta come centrale. Procedendo per le campagne, ogni tanto il viaggiatore incontra qualche sobborgo, qualche persona; ma anche chiedendo la strada per il centro di Pentesilea, nessuno sa rispondere con esattezza. E Marco non riesce a rispondere alla domanda, cioè: dove sia la città, cosa si possa chiamare città, e soprattutto, se la città esiste davvero. Il capitolo si

334

Calvino, OA, p. 134.

335

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131

chiude con questo grande interrogativo, e siamo portati a domandarci se effettivamente esiste un punto esterno dal quale poter osservare il centro (e il mondo) oppure se questo punto non esiste, e se non c’è differenza tra il dentro e il fuori.336

Pentesilea è la città che conclude la serie, pertanto il tema trattato deve essere riassuntivo e recuperare aspetti già analizzati negli altri racconti. Ovviamente il collegamento più evidente è quello con Cecilia, che precede immediatamente Pentesilea nell’ordine delle città continue; anche qui si affronta il tema della città troppo grande e della difficoltà nel distinguere il dentro dal fuori. È molto chiaro e netto in questo caso il paragone con Un ottimista in America poiché, se confrontiamo questa osservazione su Pentesilea:

Se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi a uscirne?337

E la paragoniamo a questa descrizione della campagna di Cleveland:

Innanzitutto è cambiata l’idea stessa che mi facevo di «città». Si esce dall’autostrada, si cerca la città; dov’è? È scomparsa. Puoi girare per ore in macchina e non trovi quello che corrisponde al centro […] la città residenziale è sparita, si è sparsa su una superficie grande come una nostra provincia.338

Il richiamo ci sembra molto evidente, ed in effetti è stato osservato anche da Musarra che il viaggio in America ha contribuito quantomeno al concepimento della serie dellecittà continue.339Dopotutto, è l’autore stesso che afferma che durante il viaggio «è cambiata l’idea stessa che mi facevo di città», e prende spazio questa nuova immagine delle città troppo grandi: città dove non ci si riesce ad orientare (Cecilia), non si distingue il dentro dal fuori (Cecilia e Pentesilea), sono eccessivamente abitate (Procopia), sono l’una uguale all’altra senza distinzioni (Procopia e Trude), e la sovrappopolazione unita al grande consumismo americano portano ad un’eccessiva produzione di rifiuti (Leonia).

336

Gian Paolo Giudicetti e Marinella Lizza Venuti, Le città e i nomi, cit., p. 183.

337

Calvino, Le città invisibili, p. 153.

338Calvino, OA, p. 79. 339

(15)

132

4.4. Altri collegamenti con Le città invisibili

Un’ulteriore tematica che troviamo al di fuori del ciclo delle città continue, ma comunque legato all’America, può essere quello della rotazione dei quartieri, che nel contesto de Le città

invisibili è esposto nella descrizione di Sofronia ed Eutropia. Entrambe fanno parte del capitolo

IV, e sono adiacenti; la prima fa parte del ciclo delle città sottili, la seconda di quello della città e gli scambi.

Sofronia è composta da due mezze città, da una parte quella mobile e dall’altra quella fissa: la parte fissa è costituita da elementi ludici, come le giostre, l’ottovolante, la cupola del circo, mentre quella mobile dagli edifici più importanti, come scuole, ospedali, ministeri. Una volta all’anno i manovali giungono a Sofronia per effettuare il trasloco e rimontare così le stesse costruzioni in altre città di esse manchevoli. Nel frattempo l’altra mezza Sofronia rimane come paralizzata nell’attesa che ritorni di nuovo la successiva stagione e possa così ricominciare la vita. Subito dopo questo racconto Marco Polo si appresta a descrivere Eutropia, che nel suo nome porta i significati di eu (bene) e tropé (mutamento)340, e dunque denota gli aspetti positivi nel suo mutare. È collegata alla precedente ma, mentre Sofronia era mancante di una parte, viceversa Eutropia è abitata da cittadini che, stufi della loro quotidianità, si spostano di volta in volta nella città vicina per ricominciare una nuova vita ed avere una nuova routine; quando poi sono stanchi, ricambiano casa e via proseguendo, in uno spostamento che non ha mai fine. Questo rinnovarsi continuo, che di per sé avrebbe un valore positivo, viene però messo in cattiva luce dal fatto che in questo caso la città si presenta come eccessivamente volubile: infatti non c’è mai un fine e una pausa da tutto questo cambiare, eppure non ne derivano sostanziali mutamenti, nel senso che i cittadini svolgono sempre la stessa vita senza apportare differenze costruttive rispetto a quella che avevano prima.341 Non è un caso che il patrono di Eutropia sia il dio Mercurio, protettore dei volubili.

Dalla descrizione di queste città emerge un aspetto che più volte Calvino sottolinea in Un

ottimista in America, ossia la rotazione dei quartieri. Più volte viene attirata l’attenzione del

lettore sull’abitudine americana di rottamare cose e persone, e ciò avviene anche per le abitazioni: così quartieri che nascono come ricchi e abitati dalla popolazione più agiata, capita che in breve tempo si deteriorino e diventino case per le persone più povere, declassandosi al ruolo di slums. Allo stesso modo di Eutropia è tutta una popolazione di un quartiere a ruotare e a cambiare vita:

340

Gian Paolo Giudicetti e Marinella Lizza Venuti, Le città e i nomi, cit., p. 101.

341

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133

Il giorno in cui gli abitanti di Eutropia si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta più il suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o che saluta, allora tutta la cittadinanza decide di spostarsi nella città vicina che è lì ad aspettarli, vuota e come nuova, dove ognuno prenderà un altro mestiere, un’altra moglie, vedrà un altro paesaggio aprendo la finestra, passerà le sere in altri passatempi amicizie maldicenze.342

E invece in America:

Invecchiano presto, queste case, e passano presto di mano in mano. Ma non è solo una casa singola: è tutto il quartiere a cambiare popolazione nel giro di cinque o sei anni. Quello che quattro o cinque anni fa era un suburb elegante adesso passa in mano alla borghesia benestante.343

In America avviene la stessa cosa che ad Eutropia: i cittadini si spostano senza fine, non c’è un momento in cui il meccanismo della rotazione dei quartierini si bloccherà, poiché fa parte del sistema di vita americano. Questo movimento secondo l’autore rappresenta un elemento di fascino, anche nella sua rozzezza:

Più ci si inoltra nei quartieri poveri, più si scopre che il perpetuo movimento, prima ragione di fascino della civiltà americana, è ancora in atto. Esso non ha il volto roseo e pubblicitario dell’American way of life, ma testimonia una vitalità più profonda, anche nella sua rozzezza, nel suo sudiciume, nella sua violenza.344

E infatti anche in Eutropia si rilevano elementi positivi: oltre che nel nome della città, come abbiamo visto, anche nel fatto che in essa non esistono differenze sociali permanenti. Ad Eutropia ogni cittadino si rinnova completamente ad ogni spostamento, e pertanto è difficile che ci si ritrovi due volte a svolgere lo stesso mestiere o si viva con le stesse risorse di prima. La città si qualifica come territorio dell’utopia, già a suo tempo auspicata da Thomas More345, che in Utopia descrive una società che non è più dipendente dal denaro e dalle differenze sociali. Tuttavia questa speranza può rimanere associata unicamente al mondo delle città invisibili; sarebbe troppo fuori luogo immaginare una realtà simile per l’America, dove lo

342

Calvino, Le città invisibili, p. 62.

343

Calvino, OA, p. 80.

344

Calvino, OA, pp. 80-81.

345

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spostamento dei quartieri riguarda per la maggior parte i poveri, come i tantissimi poor whites che popolano la campagna di Detroit e Cleveland: essi rappresentano il gradino più basso, sono quelli che non ce l’hanno fatta e subiscono gli effetti della crescita continua della città che li espelle e li rifiuta. Di nuovo torna il paragone con Leonia, la città che sputa fuori tutto quello che non le serve.

Sempre legata a Leonia è Bersabea, che si trova immediatamente prima di essa e che pone l’attenzione sul tema del materialismo,fungendo da anticamera per la critica più dettagliata che verrà svolta successivamente. Di Bersabea esistono due facce della stessa città: vi è una Bersabea celeste, composta di oro massiccio, preziosa, una città gioiello che è tenuta in alta considerazione dagli abitanti che tentano di emularla come possono, per esempio collezionando oggetti che la evochino. Allo stesso modo esiste una Bersabea sotterranea, che al contrario contiene tutto ciò che è vile e spregevole, e pertanto i cittadini tentano di dimenticarsene. Essa è costituita di spazzatura, fognature, resti di cibo; tuttavia, e questo gli abitanti non lo sanno, è anche stata costruita dai migliori architetti ed è funzionante in ogni suo congegno. Allo stesso modo non sanno che la città celeste, costituita solo di gemme ed oro, è anche vuota e generosa solamente quando butta via la spazzatura che finisce nella città sotterranea. Fra l’altro si può osservare che il racconto contiene l’unica parola volgare presente nel romanzo: «Bersabea, città che solo quando caca non è avara calcolatrice interessata»346. Anche nelle parole che l’autore riserva a questa città si legge la stessa critica già osservata altre volte, verso la società americana consumista; in particolar modo si nota il contrasto netto tra due parti della città, quella ricca e ricercata da un lato e dall’altro quella povera che è costituita di «pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte, resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende»347. Non dimentichiamo che durante il suo viaggio in America Calvino si trova a passare in breve tempo da città provviste di ogni sorta di ricercatezza tecnologica a zone come l’Appalachia, dove a governare è la miseria più nera.

Questa interpretazione può essere applicata anche a Moriana, l’ultima della serie Le città e

gli occhi, nella quale si trova un netto contrasto tra due realtà, una positiva e una negativa,

espresse con un’opposizione così drastica che non si trova altrove ne Le città invisibili.348 A Moriana, se da un lato risplendono le porte d’alabastro, le colonne di corallo, le ville tutte in vetro, dall’altro essa nasconde distese di lamiera arrugginita, tele di sacco, mucchi di barattoli, e tanto altro. Le due città sono separate tra loro, nettamente: l’una non sa dell’esistenza

346

Calvino, Le città invisibili, p. 110.

347

Calvino, Le città invisibili, p. 109.

348

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dell’altra, non possono guardarsi ma nemmeno staccarsi: l’una dipende dall’altra, come la civiltà americana ha le sue contraddizioni:

L’economia capitalista, anche di questo capitalismo che ha bisogno di produrre benessere, continua a non poter fare a meno della miseria: questa è la conferma che ogni momento il viaggiatore socialista riceve dall’America.349

Anche Anastasia, la seconda della serie Le città e il desiderio, può essere associata alla critica del materialismo. Marco racconta che Anastasia è un luogo dove si producono continuamente merci bellissime e ricercate; e il viaggiatore, suo malgrado, inizia a desiderare di avere tutto quello che vede, entrando in un circolo vizioso che non trova mai appagamento. Così anche gli abitanti, che da una parte lavorano assiduamente, dall’altra acquistano le loro stesse merci diventandone così gli schiavi. È interessante notare come questo concetto fosse stato già espresso in Un ottimista in America, laddove viene osservato che gli americani, tramite l’utilizzo delle loro credit cards, possono ottenere ogni bene di consumo ma rimangono vincolati dai debiti:

Ma è tutto il meccanismo della produzione a imporre che si consumi, che ci si indebiti, che si sia ottimisti per l’avvenire, che si venda l’auto prima d’aver finito di pagare le rate per comprarne una nuova. Le case ormai è ovvio che non le paga chi le compra, ma la banca; e che ci starebbero a fare le banche, altrimenti?350

Un altro paragone che ci sembra praticabile è quello tra New York e Fillide, la quarta della serie Le città e gli occhi. In essa si nota una descrizione molto attenta dell’architettura e della costituzione dei ponti e delle strade, descrizione che può essere riconducibile a Venezia: si legge di «ponti diversi l’uno dall’altro che attraversano i canali» di «varietà di finestre [che] s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto»351, tutte osservazioni che rimandano immediatamente all’immagine della Serenissima. Il turista che vi arriva non può smettere un attimo di ammirare le sue bellezze e non si stanca mai della sua vista, andandosene via sempre con il rimpianto di lasciarla. Ma invece, per chi rimane a vivere lì per un periodo più lungo, il paesaggio prima tanto amato diventa monotono e le particolarità cominciano a sbiadire: 349 Calvino, OA, p. 101. 350 Calvino, OA, p. 94. 351

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Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole. […] Milioni d’occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come se scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.352

La stessa esperienza vive Calvino dopo un po’ di tempo passato a New York: dopo un primo momento di eccitazione dovuto alla nuova vita nella metropoli, scrive che:

Tutto ha già preso il suo posto, è diventato ovvio, consueto, e si perde nel mare generale del quotidiano. […] l’occhio non è più il re della scoperta, è solo uno strumento di verifica.353

Mentre prima il viaggiatore che si trova di fronte a meraviglie nuove come il Rockefeller Center, i grattacieli, Central Park, è ammaliato da tanta novità, dopo un po’ tutte le cose diventano abitudinarie e non ci si fa nemmeno più caso. È la differenza tra l’occhio dell’abitante e l’occhio del turista, che vale anche per chi si trovi a passare da Fillide.

Infine, un ulteriore collegamento delle città invisibili con l’America è quello relativo a Maurilia, ultima del ciclo della memoria. A Maurilia i cittadini non sono legati tanto all’immagine della città attuale, quanto al ricordo di quella antica, che possono rivedere nelle cartoline che ripropongono continuamente al viaggiatore che si trova a passare di lì. E così chi arriva è costretto sempre a lodare quelle foto per non offendere la sensibilità degli abitanti, benché all’occhio estraneo la città vecchia non appaia esattamente graziosa. Ai viaggiatori risulta evidente quello che i cittadini non vedono: la Maurilia del presente è talmente diversa da quella del passato da essere diventata un’altra città completamente nuova, ma gli abitanti restano fermi nella loro convinzione che possa esistere ancora un collegamento con il passato che si rifiutano di lasciare andare.

Queste parole fanno venire in mente la descrizione dell’esperienza di Calvino negli stati del Sud. Lì, oltre a stabilire contatti con il movimento nero, ha avuto modo di conoscere la classe dirigente bianca, che rimane ancorata all’idea della guerra di Secessione e che non concepisce prospettive nuove verso il futuro, rimanendo inevitabilmente legata al passato:

352

Calvino, Le città invisibili, p. 90.

353

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Nel Sud, quando ti dicono «la guerra», «prima della guerra», «dopo la guerra» – e lo dicono spesso – non intendono la seconda né la prima guerra mondiale, o la più recente guerra di Corea: intendono «quella guerra», sempre «quella», che hanno perduto e che ha rovinato il loro paese, come se fosse successa ieri.354

Così la signora che si offre di mostrare il Sud a Calvino lo porta in visita alle fabbriche di famiglia, ormai obsolete e veramente poco produttive, ma mostrate con orgoglio perché residuo di un passato prospero ed eredità lasciata dai suoi avi; il ricordo e la memoria personali si intrecciano con quelli collettivi, in quanto le antiche case dei più importanti uomini di parte sudista sono visitabili, ed infatti ella vi porta anche Calvino, per una visita che l’autore definisce pellegrinaggio, in quanto è proprio così nel Sud vivono il rapporto con il passato: eterna memoria della vecchia gloria, eterna commozione che pretendono sia condivisa anche dal visitatore:

Cortese ed orgogliosa, la mia guida mi porta in pellegrinaggio alle case dei grandi uomini di parte sudista, ai luoghi sacri della storia del luogo che si intreccia alla storia della sua famiglia. In ogni città del Sud, questi riferimenti a fatti e luoghi e persone della guerra di secessione dominano ogni discorso, e sempre con una compunta commozione, un patriottismo degli sconfitti rimasto miracolosamente intatto attraverso cent’anni355

Queste parole ci richiamano alla memoria l’atteggiamento simile degli abitanti di Maurilia:

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima […]. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente356

E a noi pare che tra le case dei sudisti e le cartoline ci sia poca differenza; inoltre anche la signora del Sud, come gli abitanti di Maurilia, si rifiuta di vedere i cambiamenti evidenti, la palese diversità di una società del prima e del dopo: il Sud sta combattendo per i diritti civili della popolazione di colore, ma questi eventi scioccanti vengono bellamente ignorati dalla

354 Calvino, OA, p. 186. 355 Calvino, OA, p. 185. 356

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signora, in quanto o non vengono ritenuti abbastanza importanti o vi è un vero e proprio rifiuto di accettare il cambiamento.

Per concludere, possiamo asserire che gli esempi presentati dimostrino che c’è un collegamento tra l’esperienza vissuta in America e la descrizione delle città invisibili, collegamento che ritorna per affrontare questioni aperte con Un ottimista in America: tra i tanti spicca sicuramente la critica al materialismo e allo spreco, un punto tante volte sottolineato; il concetto della mutabilità dei quartieri, che sono in continuo cambiamento a differenza delle città italiane; la crescente espansione delle città, enormi e che non sembrano avere un centro né un confine netto tra esso e la campagna.

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139

Conclusioni

Il lavoro condotto ci permette di svolgere alcune riflessioni riguardo agli obiettivi che ci eravamo posti nell’introduzione, ossia l’analisi dell’influenza che il viaggio in America ha avuto sull’opera di Calvino nonché il rapporto tra la sua produzione letteraria con quella degli autori che già prima di lui avevano descritto la stessa esperienza.

Abbiamo visto come Calvino tenti a suo modo di dissociarsi rispetto alla tradizione letteraria precedente. Grazie all’espediente dell’ironia e del paradosso, il suo tentativo è quello di mostrare un’altra America: e così egli evita di raccontare alcune delle esperienze più comuni del viaggio negli Stati Uniti, come l’emozione dell’arrivo al porto di New York, o le grandi bellezze architettoniche o paesaggistiche, sulle quali già gli altri si sono soffermati prima di lui, ponendo invece l’accento sull’aspetto umano. C’è da dire però che, nonostante l’apparenza ironica e forse un po’ cinica di alcuni commenti, il giudizio finale di Calvino sull’America è quello di un innamorato degli Stati Uniti, e sebbene voglia mostrarsi distaccato, è l’autore che li ama più di tutti gli altri, che invece criticano molti aspetti dell’American way of life. La crescente emancipazione femminile, la diversità della struttura della chiesa cattolica e il suo rapporto con i fedeli basato (come tutto il resto in America) sulla disponibilità economica, la mancanza del senso dell’arte e della storia, sono solo alcuni degli aspetti messi in evidenza nella nostra analisi.

Abbiamo inoltre delineato alcuni fili conduttori fra un autore e un altro, individuando quelli che possono essere definiti topoi del viaggio negli Stati Uniti. Tra questi ricordiamo senza dubbio l’emozione dell’arrivo a New York tramite transatlantico, l’attenzione sugli italo-americani, la posizione della donna, il ruolo della chiesa, la mescolanza delle razze, il consumismo e la produzione, la maniera di vivere americana e infine il ruolo importantissimo dell’American dream nell’immaginario degli europei e degli americani stessi.

Per quanto riguarda la produzione calviniana, abbiamo visto come l’autore operi un accurato lavoro di lima nell’edizione destinata alla pubblicazione: tutte le vicende personali, lavorative, e le lettere ai colleghi sono consultabili solo nel Diario americano 1959-1960, che non per questo risulta più noioso, anzi ci permette di cogliere impressioni immediate dell’autore che altrimenti avremmo perso; inoltre queste pagine vengono scritte durante il viaggio stesso (molte di esse riportano la data) in maniera tale da poter ricostruire facilmente

(23)

140

l’itinerario compiuto. Nel complesso la lettura di questo testo risulta però meno lineare, con passaggi da un argomento all’altro e coordinazioni per asindeto; al contrario, Un ottimista in

America è più scorrevole e si nota che deriva da una riflessione più approfondita dell’autore

svolta a mente fredda: è il caso di alcuni capitoli che riportano considerazioni generali sul ruolo dell’America nel mondo, o sul difficile rapporto con il comunismo e l’Unione Sovietica, nonché riflessioni sul futuro.

Indubbiamente Un ottimista in America è anche alla base del documentario America paese

di Dio, tanto che ne possiamo trovare alcuni estratti direttamente nel corpo del testo. Ma in cosa

principalmente si differenziano l’una e l’altra opera?

Come abbiamo accennato nell’introduzione, America paese di Dio si colloca all’interno di uno scenario socio-politico diverso rispetto al viaggio del 1961. Siamo nel 1966 e l’America che ci viene presentata trasmette un messaggio di speranza: non è un caso che il documentario si apra e si chiuda parlando dello stesso argomento, ossia la conquista dello spazio, la nuova frontiera verso la quale gli americani, da sempre viaggiatori irrequieti, stanno per approdare, cambiando per sempre il volto dell’umanità. Siamo proiettati in una realtà innovativa: deserti abitabili all’interno dei quali sono state costruite case con giardini, facilmente accessibili in poche ore d’aereo; grattacieli con servizi automatizzati che permettono eventualmente di non uscire mai di casa per avere il necessario; scoperte tecnologiche che consentirebbero di sostituire completamente il lavoro dell’uomo all’interno delle grandi fabbriche; una nuova generazione che dispone di tutti i beni di lusso come le automobili, già pronta ad entrare all’interno del grande ciclo della produzione lavorativa che sta alla base del sistema capitalista.

Nel complesso, ci sembra che l’impressione che Calvino ha dell’America, rispetto a Un

ottimista in America, sia migliorata e sia più speranzosa. Si potrebbe forse individuare

un’evoluzione: se abbiamo iniziato leggendo le impressioni di Borgese, Cecchi, Soldati e Piovene, che colgono aspetti degli Stati Uniti che risultano negativi poiché vengono letti con il filtro dell’occhio europeo, abbiamo poi le impressioni raccolte da Calvino, che cerca di raccontare il più possibile cose non dette dalla tradizione precedente. Rimane tuttavia un’incertezza finale riguardo alla posizione di Calvino sul sistema capitalista paragonato alla morale sovietica, tant’è che l’autore, dopo aver descritto i due sistemi di vita, auspica per l’Europa, che è fisicamente in mezzo ai due blocchi, il raggiungimento di una morale intermedia, di un equilibrio che tenga conto degli aspetti positivi dell’una e dell’altra.

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141

Ma in America paese di Dio la preferenza diventa netta: all’America bisogna guardare per avere le risposte sul futuro dell’uomo:

È per trovare una risposta a queste domande che i nostri occhi sono fissi sull’America con impazienza, inquietudine, speranza. Questa America che per milioni e milioni di uomini è stato un nome da dare al futuro, e sulla quale continuiamo a interrogarci come ci si interroga sul destino dell’uomo.357

Possiamo infine affermare che l’analisi svolta conferma quanto esposto nell’introduzione: l’immaginario calviniano è stato fortemente segnato dall’esperienza americana, esperienza che non solo abbiamo descritto e sviscerato in maniera approfondita leggendo Un ottimista in

America e con la fruizione di America paese di Dio, ma che ritorna e sarà presente anche in

seguito, fino a dare vita a varie città invisibili.

357

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Appendice I

Tabelle sinottiche

Indice dei capitoli del Diario americano 1959-1960

Diario americano 1959-1960 (pp. 21-126)

Da bordo, 3 nov. 59 (pp. 21-22) I miei compagni di viaggio (Young creative writers) (pp. 22-23)

Dal diario dei primi giorni a NY (pp. 25-45)358

L’arrivo (p. 24)

Lettunich (pp. 24-25)

Gli alberghi (p. 25)

New York non è ancora l’America (p. 25)

Il Village (pp. 25-26)

Il mondo è piccolo (p. 26)

Le auto (pp. 26-27)

L’immagine più bella della New York notturna (p. 27)

Il quartiere cinese (p. 27)

Il mio primo NY Times della domenica (pp. 27-28)

I colleghi del grant (p. 28) La conferenza stampa (pp. 27-28) Alcolizzato (p. 29) La Random House (pp. 29-30) La Orion (p. 30) La Horsch (pp. 30-31) 358

La sezione Dal diario dei primi giorni a NY comprende le pagine di diario raccolte sotto le date 9-10-11-12-19-20 novembre 1959.

(27)

144 Rosset (p. 31) La beat generation (p. 32) L’avventura di Arrabal (p. 32) Una prima a Broadway (pp. 32-33)

Gli ebrei (p. 33) Le donne (p. 33)

L’avventura d’un italiano (pp. 33-34) La situazione (p. 34) La corruzione (pp. 34-35) Il terzo sesso (p. 35) Il mondo è piccolo (p. 35) Mischa (p. 35) Jacqueline (p. 36)

Come funziona la Random House (pp. 36-38)

I più importanti scrittori americani giovani (p. 38)

Un lavoro editoriale sistematico (pp. 38-39) Istruzioni per l’uso (p. 39)

I desideri dell’emigrato (pp. 39-40) Un incubo (p. 40)

Ieri giornata tutta piena di editori (pp. 40-41) La televisione a colori (pp. 41-42) L’ONU (pp. 42-43) Domenica in campagna (pp. 43-44) Wall Street (pp. 44-45) Diario newyorkese (pp. 45-63)359

Il collegio delle ragazze (pp. 45-47)

Il museo Guggenheim (pp. 47-48)

359

La sezione Diario newyorkese comprende le pagine di diario raccolte sotto le date 23-24 novembre - 7 dicembre 1959 - 2 gennaio 1960.

(28)

145

Si ride sulla morte (p. 48) Olivetti (p. 48) Da Prezzolini (pp. 48-50)

Come funziona una grande libreria (pp. 50-51)

I fari posteriori (pp. 51-52) James Purdy (pp. 52-54) Le borse di studio (p. 54) Sweezy (p. 54) Styron (p. 55) La conferenza (pp. 55-56) Natale (p. 56) Le prospettive elettorali (pp. 56-57)

L’ultima barzelletta americana (p. 57)

A cavallo per le vie di New York (pp. 58-59)

The Actor’s Studio (pp. 59-60)

I cervelli elettronici (pp. 60-62)

Nostalgia di New York (pp. 62-63)

Il cinema (p. 63)

Diario del Middle West360

(pp. 63-78) Ma dov’è la città? (pp. 64-65) La famiglia Gold (pp. 65-66) I motels (p. 66) Le elezioni (pp. 66-67) Le prostitute (p. 67) 360

(29)

146

Paternalismo inter-razzista (pp. 67-69)

I musei (p. 69)

La morte del radicale (p. 70)

Il bar (pp. 70-71)

I TV dinners (p. 71)

Al tempio israelita (pp. 71-72)

Per la prima volta guido (p. 73)

Il paese delle meraviglie (p. 73)

La miseria americana (pp. 73-74) I projects (p. 74)

La classica fotografia dell’America (p. 75)

I negozi poveri (p. 75-76)

La Bowery (76-77)

Keep it easy (p. 77)

La crisi dell’acciaio (p. 77)

Chicago (pp. 77-78)

Diario di San Francisco361

(pp. 78-91) La Longshoremen’s Union (pp. 79-80) Un club (p. 81) Zellerbach (p. 82) Ferlinghetti (p. 82) 361

(30)

147 Provincia (p. 83) La realtà romanzesca (p. 83) Il monumento (pp. 83-84) Sausalito (p. 84) Il professore (pp. 84-85) Babbitt (p. 85) Do it yourself (p. 86) L’Europa (p. 86) Public relations (pp. 86-88) Un party beatnik (p. 88) Kenneth Rexroth (pp. 88-90) Il capodanno cinese (p. 90) Insomma San Francisco

(pp. 90-91)

Diario di California362 (pp.91-100)

Memorie d’un automobilista (pp. 91-92)

Non è vero quel che si dice sempre (pp. 92-93)

Questi paradisi terrestri (p. 93)

Gli alberghi dei vecchi (pp. 93-94) Il Pacifico (p. 94)

Los Angeles (pp. 94-95)

Periferia (p. 96)

Del cinema così non vi dico niente (p. 97)

362

(31)

148

Le tree-houses (p. 98)

Non vado al Messico (p. 98)

Il più bello e grande ranch della California (p. 98)

Le disgrazie d’un pedone (p. 99)

Insomma (pp. 99-100)

Diario del South West363

(pp. 100-111) Las Vegas (pp. 100-102) Contrariamente a quello (p. 103) Area depressa (pp. 103-105) I pueblos (pp. 105-106) La tradizione locale (p. 107) Lawrenciana (pp. 107-108) Atomica (pp. 108-109) La gente qui intorno

(p. 109) Texas (pp. 110-111)

Il rodeo (p. 111) Siamo ormai nel Sud

(p. 111)

Diario del South

(pp. 112-126) New Orleans (pp. 112-123)364 Savannah (pp.123-124) 363

Ad esclusione dei primi tre capitoli, in questa sezione tutti gli altri sono raccolti sotto la data 25 febbraio.

364

All’interno del capitolo New Orleans l’autore raggruppa quattro pagine diverse di diario: Montgomery, Alabama, 6 marzo, Montgomery, Alabama, 6 marzo, 8.3.60, e 9.3.60.

(32)

149 Charleston (pp. 124-126)

(33)

150

Indice dei capitoli di Corrispondenze dagli Stati Uniti (1960-1961)

Cartoline dall’America (pp. 2499-2606) Newyorkese di provincia (pp. 2499-2501) Color parcheggio (pp. 2501-2502)

La città delle scosse elettriche (pp. 2502-2503)

Taccuino delle ragazze (pp. 2503-2505) Il collegio delle ragazze

(pp. 2505-2506) Il padre divorziato

(pp. 2506-2508) La città troppo grande

(pp. 2508-2510) Area depressa (pp. 2510-2511) Incontro col Sud (pp. 2512-2516) Una scuola di dignità

(pp. 2516-2517) Il movimento negro

(pp. 2517-2518) Gli alleati (pp. 2518-2519) Lo stato maggiore negro

(pp. 2519-2520)

La democrazia ossia la giovinezza (pp. 2520-2521)

La terra nemica (pp. 2521-2523) La spina nel fianco

(pp. 2523-2525) Non parlano d’altro

(p. 2525) L’Actor’s Studio (pp. 2526-2528) Jet e tradizione (pp. 2528-2530) Il pedone sospetto (pp. 2530-2531) Mitologia del Texas

(pp. 2531-2533) Il diavolo nel paese di Dio

(pp. 2534-2537) La salute di Las Vegas

(34)

151

Il linguaggio dei lampeggiatori (pp. 2543-2544)

Le lettrici di Joyce (pp. 2544-2547) I villaggi degli indiani

(pp. 2547-2549) L’ondata cattolica

(pp. 2550-2551) I nomadi privilegiati

(pp. 2551-2553) Carnevale a New Orleans

(pp. 2553-2556)

Piccola inchiesta sul cattolicesimo (pp. 2556-2559)

Gli alberghi dei vecchi (pp. 2559-2561) Tra macchine che pensano

(pp. 2561-2563) Gli scaricatori benestanti

(pp. 2563-2567) I musei marziani (pp. 2567-2568) La città scompare

(pp. 2569-2571) Il sabba delle streghe

(pp. 2571-2573)

Il sindacato dello spogliarello (pp. 2573-2576)

Le frontiere della fiducia (pp. 2576-2577) Destino d’avventura

(pp. 2577-2578) I negozi poveri (pp. 2578-2582) La filosofia del far da sé

(pp. 2582-2584) Vita d’albergo (pp. 2584-2586) Le ragazze sole di New York

(pp. 2586-2589) L’istituzione dei «beatniks»

(pp. 2590-2594) Alle porte dell’Asia

(pp. 2595-2599)

Le icone di New York e i grattacieli di Mosca (pp. 2600-2606)

Quaderno americano365

365

(35)

152 (pp. 2607-2618) Un arrivo anacronistico

(pp. 2607-2608) Siamo noi gli americanizzati

(pp. 2608-2609) Sono anch’io un «villager»

(pp. 2609-2611) La newyorkese (pp. 2611-2613) La scuola della durezza

(pp. 2613-2614) Il denaro elettronico

(pp. 2614-2615)

Il rimbecillimento: dov’è, e perché (pp. 2615-2616)

L’«infiltrazione» del Kommunism (pp. 2616-2617)

Il fantasma del maccarthysmo (pp. 2617-2618) I classici al Motel (pp. 2619-2634) Mercoledì 13 (pp. 2619-2620) Giovedì 14 (p. 2620) Venerdì 15 (pp. 2620-2624) Sabato 16 (pp. 2624-2627) Domenica 17 (pp. 2627-2631) Mercoledì 20 (p. 2631) Giovedì 21 (pp. 2631-2633) Venerdì 22 (pp. 2633-2634)

Diario dell’ultimo venuto

(pp. 2633-2651)

Tre atteggiamenti verso gli americani (pp. 2635-2636)

I bambini contro i «persuasori occulti» (pp. 2636-2637) La cena in solitudine (pp. 2637-2638) «Per uomini» (p. 2638) Il monumento (p. 2639) Babbitt (pp. 2640-2641) Droga (pp. 2641-2642)

L’anno del topo (pp. 2642-2644) Morso dai cigni (p. 2644)

Questi paradisi terrestri (p. 2644)

(36)

153 «Little Town» (p. 2645) «Cowboys» (p. 2645) Le mogli (p. 2646) Da costa a costa (p. 2647)

Mezzi di trasporto e socialismo (pp. 2647-2648) L’occhio e l’abitudine

(pp. 2648-2649) Il ballo delle ragazze negre

(pp. 2650-2651)

Diario americano 1960

(pp. 2652-2679) La storia e la geografia

(pp. 2652-2654) Nostalgia della dialettica

(p. 2654) L’antitesi (pp. 2654-2655) Arte e antitesi (pp. 2655-2656) Arte e sicurezza (p. 2657) La complicità (p. 2657) La sociologia e il calderone (pp.2657-2658) L’eredità africana (pp. 2658-2659) Vantaggi del provvisorio

(pp. 2659-2660) Ascetismo e materialismo

(p. 2660) Le religioni e le idee

(pp. 2660-2661)

Le donne: le felici e le inadatte366 (pp. 2661-2662)

Public relations (pp. 2662-2664) La borsa in provincia

(pp. 2664-2665) Gli uomini di sinistra

(pp. 2665-2666)

L’unico innamorato degli Stati Uniti (pp. 2667-2669)

Il nome che non si dice (pp. 2669-2671)

366

(37)

154

L’allarme atomico (pp. 2671-2672)

L’utopia americana (pp. 2672-2674) Problemi e interessi (pp. 2674-2676) Cosa si intende per catastrofe (p. 2676)

Sempre catastrofe (pp. 2676-2677) Le due morali (pp. 2677-2678)

(38)

155

Indice dei capitoli di Un ottimista in America

Un ottimista in America

America a prima vista (pp. 11-12) Totem e lampeggiatori

(pp. 12-13)

La città delle scosse elettriche (pp. 14-15)

Il taccuino delle ragazze (pp. 15-16)

L’America non è americanizzata? (pp. 16-17)

A cavallo per le vie di New York (pp. 17-18)

L’inserimento (pp. 18-20)

Il villager (pp. 20-25)

Vantaggi del provvisorio (p. 25)

Where are you from?

(pp. 26-27) La scuola della durezza

(pp. 27-29) La sociologia e il calderone (pp. 29-30) L’eredità africana (pp. 30-31) L’ondata cattolica (p. 31) L’espresso-place (pp. 31-33) L’invasione portoricana (pp. 33-34) L’Actor’s Studio (pp. 35-37) Wall Street elettronica

(pp. 37-38) Il collegio delle ragazze

(pp. 39-40)

Tra macchine che pensano (pp. 40-42)

Jet e tradizione

(pp. 42-44) Il sabba delle streghe

(pp. 44-45)

Riferimenti

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