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Capitolo VI FORME DI TUTELA CONTRO IL DINIEGO ALL'ACCESSO VI.1 Tutela giurisdizionale amministrativa

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Capitolo VI

FORME DI TUTELA CONTRO IL DINIEGO

ALL'ACCESSO

VI.1 Tutela giurisdizionale amministrativa

Di fronte al diniego tacito o espresso da parte della Pubblica Amministrazione o di differimento in merito all'accesso alla documentazione, la legge 241/90 prevede specifiche norme di tutela.

Il tema della giurisdizione è stato oggetto di ulteriori riforme a seguito dell'emanazione della legge n.15 del 2005, che ha previsto la possibilità di ricorrere o al giudice amministrativo, oppure alla Commissione per l'accesso ai documenti.

La legge n. 69 del 2009 che stabilisce uno specifico provvedimento contro l'amministrazione resistente e infine il D.lgs.104 del 2010 prevede l'entrata in vigore, a partire dal 16 settembre 2010 del Codice del processo amministrativo.

Quest'ultimo decreto, ha previsto che l'enunciato dell'art.5 della legge sul procedimento venisse sostituito con l'attuale formulazione la quale stabilisce che <<le controversie relative

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122 codice del processo amministrativo1>>.

Inoltre il D.lgs. 104/20102 nella modifica alla legge 241/90 ha previsto le abrogazioni dei commi 5 bis e 6 dell'art.25.

Si offrono così al cittadino due strade da percorrere, una di carattere giudiziale e quindi azione dinanzi al T.A.R. competente ai sensi dell'art.116 del Codice, l'altra di carattere stragiudiziale ovvero richiesta di riesame dell'istanza al competente difensore civico ove costituito, oppure investire della situazione la commissione per l'accesso.

VI.2 Le parti

L'introduzione di un rito speciale ai fini della trattazione del giudizio di accesso è da individuarsi vista la presenza di esigenze contrapposte.

Difatti, da una parte avremo chi farà valere il diritto di accesso a prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi (ex. art. 22 L. 241/90), e dall’ altra il diritto alla riservatezza in capo ai controinteressati, ovvero soggetti individuati o individuabili che potrebbero subire pregiudizio dalla diffusione di dati sensibili e riservati, ai quali l'ordinamento concede la possibilità di opporsi all’esibizione di documenti,

poichè se così non fosse l'ostensione di questi

1 Così come previsto dal D.lgs. 104/2010 allegato 4. art.3, comma 2 lett.c). 2 D.lgs. 104/2010 allegato 4, art. 4 punto 14).

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comprometterebbe il loro diritto alla privacy.

Il giudizio di accesso è dunque un giudizio sul rapporto tra trasparenza e riservatezza, in quanto la cognizione non si limita alla valutazione della legittimità o meno dell’atto contestato, ma è estesa al rapporto amministrativo, implicando la verifica della sussistenza dei requisiti di legittimazione all’accesso, per un adeguato bilanciamento con il contrapposto interesse alla confidenzialità dei potenziali controinteressati3.

Saranno legittimati ad utilizzare il rito speciale dell'accesso i soggetti che siano titolari di una situazione giuridica che potrebbe essere pregiudicata dalla mancata visione di simili documenti, poichè tali soggetti (privati, titolari di interessi pubblici o diffusi) vanteranno un collegamento con il documento, tale da poter qualificare il loro interesse diretto all'ostensione.

Sono allo stesso modo legittimati attivamente anche i soggetti che temano un pregiudizio dalla pronuncia di accoglimento di accesso i c.d. controinteressati.

La legittimazione passiva invece spetta ai soggetti nei cui confronti l'accesso può essere esercitato4: pubbliche amministrazioni, aziende autonome speciali, enti pubblici,

3Galati, La tutela giurisdizionale e giustiziale del diritto di accesso ai documenti

amminstrativi, 21 novembre 2012, in www.diritto.it.

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gestori di pubblici servizi o soggetti che svolgono attività di pubblico interesse, soggetti privati gestori di pubblico servizio5 chiamati a rispondere della presa di posizione, in ordine all'atto ritenuto illegittimo dall'istante.

VI.3 Il ricorso

Il ricorso si caratterizza dalla previsione di un rito speciale, voluto in quanto la disciplina dell'accesso aveva bisogno, considerando le sue peculiarità, di una tutela particolare in ordine al carattere processuale.

E' esperibile ai sensi dell'art.116 del Codice, contro le determinazioni ed il silenzio sull'istanza di accesso.

Le determinazioni in esame ricomprendono i casi di diniego, di differimento o provvedimento di accoglimento in quanto potrebbero essere impugnati da soggetti terzi che li ritengano lesivi.

In merito al silenzio invece, si nota come questo sia configurabile come silenzio rigetto, in quanto la norma prevede che decorsi, infruttuosamente i 30 giorni dalla presentazione dell'istanza, questa si intende respinta6.

Si segnala a tal proposito che il ricorso sarà inammissibile qualora abbia un intento esplorativo, investigativo o preventivo

5 Scoca, Giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino 2013, p.513. 6 Art.25, comma4 legge 241/90.

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comunque finalizzato ad un controllo generalizzato sullo svolgimento dell'attività amministrativa7.

Si tratta, di un procedimento sui generis, articolato con lo schema dei riti in camera di consiglio, art. 87 del Codice, caratterizzato per la celerità e per la riduzione a metà di tutti i termini processuali, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, per i quali il giudice sarà tenuto a decidere entro un termine di trenta giorni.

Un'altra caratteristica del rito camerale è che non è necessaria una istanza di fissazione dell'udienza che è stabilita d'ufficio. Si segnala che il ricorso è trattato alla prima camera di consiglio utile, decorsi i trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti intimate8.

Così come previsto dall'art.23 C.p.a, modificato dall’art. 52, comma 4, lett. a), del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, l'istante potrà stare in giudizio personalmente, senza l'assistenza di un avvocato, ma anche l'amministrazione, in ordine all'art.116 comma 1 del codice, potrà <<essere rappresentata e difesa da

un proprio dipendente a ciò autorizzato>> anche se comunque

la notifica andrà presentata presso l'Avvocatura Distrettuale

7 Tar Molise, Campobasso, sez I, 13 maggio 2010, n.210.

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dello Stato, a pena di nullità9.

Va segnalato, per contro, che la norma non riproduce la previsione di difesa personale prevista per il ricorso al Tar anche per l'eventualità del ricorso al Consiglio di Stato, per la quale si ricorda che è stabilita l'obbligatorietà del ministero di un avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.

Il ricorso va proposto al Tar entro trenta giorni dalla comunicazione del rifiuto, del differimento o del silenzio dell'amministrazione.

Si prevede che debba essere notificato all'amministrazione, e ad almeno uno dei controinteressati10 altrimenti se ne rischia l'inammissibilità, laddove ve ne fossero più di uno il giudice chiederà l'integrazione del contraddittorio in forza dell'art. 49 c.p.a., fissando il termine.

Il giudice può, se le circostanze lo richiedono, autorizzare la notificazione per pubblici reclami, prescrivendone le modalità, se l'atto non fosse tempestivamente integrato allora il giudice dichiarerà il ricorso improcedibile11.

Riferendosi ancora all'art. 116 comma 2 c.p.a. si nota che vi è la possibilità di proporre il c.d. rito incidentale poichè <<In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa,

9 Caringella-Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, Dike, 2010, p.332. 10 Art.116 comma 1 C.p.a.

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il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio>>.

Diversamente dal regime precedente il codice non qualifica l'ordinanza come istruttoria, quindi se ne deduce che l'istanza incidentale di accesso potrà essere definita con sentenza di merito sul ricorso principale; ciò induce a definire che l'istanza incidentale abbia natura decisoria, e di conseguenza appellabile12.

Per quanto riguarda le ordinanze il Consiglio di Stato13 ha distinto tra quelle che si pronunciano sul ricorso accogliendolo o respingendolo in relazione ai presupposti sull'accesso in quanto tale, in questo caso <<l'ordinanza avrà la natura

decisoria e la rispettiva appellabilità, sia nel caso in cui il giudice escluda l'accessibilità in base alla carenza dei presupposti per la disciplina dell'accesso, sia nel caso in cui il giudice accolga la domanda di accesso in quanto ritenute sussistenti le condizioni legittimanti l'ostensione senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio

12 Scoca, Giustizia amministrativa, Giappichelli,Torino, 2013 pp.514 e ss. 13 Consiglio di Stato, sez.V, 25 giugno 2010, n.4068.

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128 in corso>>.

Il secondo genere di ordinanze saranno quelle che respingono il ricorso perchè ritengono che i documenti richiesti non siano utili ai fini del giudizio in corso e in questo caso <<l'ordinanza

avrà natura meramente istruttoria e non è appellabile autonomamente>>.

Va precisato che l'istanza deve riguardare l'acquisizione di documenti connessi alla vertenza in corso tra le parti, ovvero, utili al ricorrente per conoscere atti non noti e consentirgli eventualmente di proporre nuova impugnazione.

E' possibile che si esperisca la tutela prevista in appello, ovvero innanzi al Consiglio di Stato.

La richiesta di appello è sottoposta al termine di trenta giorni che decorreranno dalla notifica della sentenza del Tar.

Il giudizio in appello si svolgerà con le modalità previste nel giudizio di primo grado, con la precisazione che vi sarà sempre il dimezzamento di termini previsto per i riti camerali, così come previsto dal comma 5 dell'art.116 c.p.a.

VI.4 Provvedimento ed esecuzione

Il Tar decide in camera di consiglio, pronunciandosi sempre con sentenza in forma semplificata in forza dell'art.74 c.p.a., la caratteristica di tale atto sarà che <<la motivazione può

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consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto riferito risolutivo, ovvero, se del caso, ad un precedente conforme>>.

A fronte della analitica ricostruzione è possibile per il giudice, in questo caso, concentrarsi solo su certe condizioni che gli appariranno risolutive della controversia, in quanto l'istituto della sentenza semplificata è fondato sulla rapidità e l'efficienza del processo.

Se accoglie il ricorso, il Tar ordina all'amministrazione l'esibizione dei documenti richiesti entro un termine non superiore di norma a trenta giorni, indicando le relative modalità14.

Il Tar si pronuncia sulla fondatezza della pretesa del ricorrente all'accesso, ed il giudizio verterà sul diritto che questi vanta, quindi il giudice non si limiterà a disporre l'annullamento dell'atto o ad accertare l'obbligo in capo al soggetto passivo

ma, la pronuncia conterrà sempre la condanna

dell'amministrazione ad un facere specifico, identificato in una condotta materiale, cioè l'esibizione dei documenti.

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VI. 5 Funzione giustiziale della commissione per

l'accesso

Le leggi, n. 15 dell’11 febbraio 2005, n.80 del 14 maggio 2005 e poi la legge 69 del 2009, hanno incisivamente modificato la legge sul procedimento e sull’accesso.

In particolar modo si prevede che la tutela, in certe ipotesi, si possa far valere davanti al difensore civico o innanzi alla Commissione per l'accesso contro atti delle amministrazioni dello Stato.

Lo scopo della legge è senza dubbio quello di perseguire finalità deflattive del contenzioso giurisdizionale.

Tuttavia è da constatare come il ricorrente preferisca utilizzare

lo strumento tradizionale avvalendosi del giudice

amministrativo15.

La commissione per l'accesso è stata istituita nel 1991 in attuazione dell'art.27 comma 1, legge 7 agosto 1990 n.241, e successive modifiche ad opera della legge n.15 del 2005. In particolar modo si nota come l'art. 25 comma 5 denota le prerogative della C.A.D.A. che <<adotta le determinazioni

previste dall'articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente

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legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all'articolo 22>>.

E' importante rilevare come la Commissione ha un penetrante potere di vigilanza che è volto a garantire il principio di trasparenza e piena conoscibilità dell'apparato amministrativo. Inoltre va detto che il successivo comma prevede una sorta di potere ispettivo in quanto impone a tutte le amministrazioni di comunicare, nel termine indicato dalla Commissione, le informazioni e i dati da lei richiesti, ad eccezione di quelli coperti dal segreto di Stato16.

Alla funzione di vigilanza va necessariamente ricondotto l'obbligo per la Commissione di preparare una relazione con cadenza annuale sulla trasparenza dell'attività della P.A., che verrà presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri e alle Camere.

In ultimo va sottolineato che alla Commissione sono attribuiti nell'ultimo capoverso dell'art.25 comma 5, le funzioni propositive nei confronti del Governo in ordine a testi legislativi o regolamenti in materia di accesso.

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A questi poteri di vigilanza e ispettivi si aggiungono poteri di natura consultiva.

In virtù della tutela di terzi, laddove l'accesso ai documenti sia negato o differito per motivi che riguardano i dati personali di altri, alla Commissione viene chiesto un coordinamento con il Garante per la protezione dei dati personali, avviando un procedimento di richiesta di parere che, seppur obbligatorio, non sarà vincolante in quanto potrà discostarsi dai suoi contenuti17.

Il Garante per la protezione dei dati personali deve pronunciarsi entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il tempo il parere si intende reso.

Appare doveroso far presente che specularmente, in materia di accesso ai documenti, quando il trattamento pubblico di dati personali avviene da parte di una P.A., in questo caso sarà il Garante a chiedere il parere (obbligatorio ma non vincolante) della Commissione.

La richiesta avanzata alla Commissione sospenderà i termini per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, ma non oltre i quindici giorni, decoro questo termine il Garante potrà adottare la decisione.

Questo meccanismo incrociato di pareri è previsto solo tra Commissione e Garante in quanto, se il rapporto intercorra tra

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difensore civico e Garante allora non varranno le suindicate richieste.

Diversamente dalla funzione di vigilanza, la funzione giustiziale della Commissione potrà essere esercitata <<nei confronti

degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato>>.

Il procedimento è stato innovato alla luce del d.p.r. 184/2006 il quale, in merito alla legittimazione attiva, diversamente dalla legge n.15/2005, estende al controintressato la possibilità di ricorrere alla Commissione contro richieste di accesso che lo potrebbero coinvolgere.

A tal proposito giova ricordare come l'art. 12 al comma 5 del regolamento, prevede espressamente che laddove la Commissione ravvisi la presenza di controinteressati che non sono stati individuati, provvede a darne comunicazione a tali soggetti mediante l'invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione.

VI.6 Ricorso e procedimento davanti alla

Commissione

Il ricorso previsto all'art.12 comma 3 del d.p.r. n.184/2006 deve contenere:

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1. le generalità del ricorrente;

2. la sommaria esposizione dell'interesse al ricorso; 3. la sommaria esposizione dei fatti;

4. l'indicazione dell'indirizzo al quale dovranno pervenire anche a mezzo fax o per via telematica, le decisioni della Commissione;

Al comma successivo si prevede l'allegazione al ricorso:

1. del provvedimento impugnato, salvo il caso di impugnazione del silenzio rigetto;

2. delle ricevute dell'avvenuta spedizione, con raccomandata con avviso di ricevimento, di copia del ricorso ai controinteressati, ove già individuati, in sede di presentazione della richiesta di accesso.

L'eventuale inosservanza di simili obblighi comporterà l'inammissibilità del ricorso.

Le sedute della Commissione non sono pubbliche e sono valide con la presenza di almeno sette componenti, le deliberazioni saranno adottate a maggioranza dei presenti. Si segnala una modifica al comma 6, il quale adesso precisa che <<la Commissione si pronuncia entro trenta giorni dalla

presentazione del ricorso o dal decorso del termine di cui al comma 2 (controdeduzioni dei controinteressati). Scaduto tale termine, il ricorso si intende respinto. Nel caso in cui venga richiesto il parere del Garante per la protezione dei dati

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personali il termine è prorogato di venti giorni>>.

VI.7 Decisione del ricorso

La Commissione deve pronunciarsi altrimenti, decorso inutilmente il termine di trenta giorni, il ricorso si intende respinto.

La pronuncia adottata a maggioranza potrà essere di:

1. Irricevibilità nel caso in cui il ricorso venga proposto tardivamente;

2. inammissibilità nel caso di ricorso proposto da un soggetto non legittimato, o privo dell'interesse di cui all'art.22,comma 1 lett. b) legge 7 agosto 1990;

3. inammissibilità laddove il ricorso sia privo requisiti previsti dal comma 3 o degli eventuali allegati individuati nel comma 4;

4. in ogni altro caso la Commissione esamina e decide il ricorso.

Le eventuali decisioni di irricevibilità o inammissibilità non precludono la facoltà di riproporre la richiesta di accesso, e nemmeno quella di presentare il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento tenuto dal soggetto che detiene il documento18.

Nel termine di trenta giorni la Commissione sarà tenuta a

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comunicare alle parti ed al soggetto che ha adottato il provvedimento impugnato, la decisione presa.

Tuttavia, l'amministrazione o il soggetto di diritto privato che abbiano negato l'accesso possono, alla luce dell'art.25 comma 4 legge 241/90, emanare un provvedimento confermativo motivato, così da impedire la visione dei documenti richiesti, seppur la Commissione ne abbia confermato la legittimità. Viceversa se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito.

VI.8 Il difensore civico

La figura del difensore civico è prevista dalla legge sul procedimento contro il diniego di accesso da parte delle pubbliche amministrazioni, la sua istituzione è opera delle regioni in quanto la Costituzione non reca nessuna norma riferita a questo soggetto.

Il difensore civico nella sua originaria previsione, era competente per ambito territoriale in ordine ai ricorsi contro atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali.

Va immediatamente detto che la figura del difensore civico è stata fortemente ridimensionata in quanto, nella legge 23 dicembre 2009, n.191 all' art.2 n. 186, recante disposizioni per

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la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, se ne prevede la soppressione.

Le funzioni di quest'ultimo possono essere attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico della provincia nel cui territorio rientra il relativo comune, in un simile caso il difensore civico provinciale assume la denominazione di <<difensore

civico territoriale>>.

La questione è interessante nelle ipotesi in cui un ambito territoriale risulti privo del tutto della figura del difensore civico. A tal proposito la novella del 2005 ha modificato la formulazione originaria dell’art. 25, comma 4, attraverso un richiamo al principio di sussidiarietà verticale, disponendo che la competenza è da riconoscersi in capo al difensore civico operante nell’ambito territoriale immediatamente superiore. Il difensore civico è competente a garantire l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di propria iniziativa gli abusi le disfunzioni, le carenze e i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini.

Il ricorso a questo costituisce un rimedio alternativo per il cittadino vittima del diniego o del silenzio della P.A., in ogni caso rimane ferma la possibilità di adire il giudice amministrativo19.

19 Giurdanella-Puzzo, L’accesso ai documenti amministrativi : esercizio del diritto e

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L'interessato potrà entro trenta giorni dal diniego della P.A. chiedere al difensore civico il riesame della determinazione che questa ha emesso.

Il difensore che riscontri l'illegittimità del diniego ne darà comunicazione alla Pubblica Amministrazione che avrà il potere di rispondere nei successivi trenta giorni con:

1. conferma e motivazione del precedente diniego; 2. concessione dell'accesso;

3. mantenimento del riserbo per i successivi 30 giorni, decorsi i quali l'accesso si considererà consentito, secondo il silenzio assenso legittimante.

VI. 9 Responsabilità della P.A. e tutela risarcitoria

Comincerei la disamina di simile argomento con i riferimenti costituzionali che ci pervengono dalla lettura dell'art. 28 della Costituzione che sancisce <<I funzionari ed i dipendenti dello

Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici>>,

proseguendo con gli artt. 95 e 96 che prevedono la responsabilità dei ministri degli atti del governo compiuti

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nell'esercizio delle loro funzioni e l'art. 113 che recita in tal modo <<contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre

ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa....>>.

A questi riferimenti costituzionali si aggiunge l'intervento della legge 241/90 che individua i termini entro i quali il procedimento amministrativo su istanza di parte deve concludersi necessariamente (30 giorni).

Nel momento in cui questo termine non venga rispettato dalla Pubblica Amministrazione e il ritardo abbia provocato dei danni al richiedente, questo sarà ammesso ad agire per il risarcimento dei danni subiti.

Il limite consisterà nella dimostrazione da parte del richiedente, che al momento della richiesta fossero presenti i requisiti necessari per ottenere dalla P.A. un provvedimento.

La recente disciplina contenuta nella legge 18 giugno del 2009 ha innovato la legge sul procedimento introducendo l'art. 2 bis il quale prevede che <<le pubbliche amministrazioni e i soggetti

di cui all'art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza

dolosa o colposa del termine di conclusione del

procedimento>>.

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comporterà la condanna a provvedere, l’obbligo di risarcire l'eventuale danno arrecato e qualora ne ricorrano gli estremi, la valutazione della responsabilità penale per violazione dei doveri d'ufficio prevista dal rispettivo codice.

A quanto sopra, va aggiunto che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento richiesto in qualunque procedimento ad istanza di parte costituisce, peraltro, elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile, sia del dirigente che del funzionario inadempiente20.

Il D.L. 21 giugno 2013 n.69 noto anche come <<decreto del

fare>> ha fortemente valorizzato il fattore tempo, prevedendo

all'art.28 che questo sarà quantificabile in termini di risarcimento, verificando:

1. la conseguenza dannosa che la lesione del bene tempo ha sortito nella sfera del soggetto danneggiato;

2. la prova del nesso causale tra danno e evento e che vi sia inoltre la lesione di un bene della vita al quale l'interesse si correla21.

Inoltre è necessario valutare le conseguenze negative che si sono verificate a seguito del diniego.

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Dario Messineo, La trasparenza, l’accesso agli atti amministrativi e il

risarcimento del danno, fonte www.lavoro-confronto.it, rivista on-line della

Fondazione Prof. Massimo D'Antona, consultato nel mese di marzo 2015.

21 Caringellla Giannini-Tarantino, La semplificazione amministrativa nel decreto del

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La prova del danno consisterà nell’essersi organizzato coltivando affidamenti, disattesi in quanto non conosciuti tempestivamente22.

Se vi è la conferma che l'interessato ha diritto alla liquidazione dell'indennizzo per l'inosservanza del termine di conclusione del procedimento, le somme corrisposte a tale titolo saranno detratte dal risarcimento eventualmente dovuto.

L'indennizzo per inosservanza dei termini e il risarcimento danni da ritardo sono entrambi esperibili ma non sono cumulabili.

Lo scopo è indubbiamente quello di garantire che il privato non abbia un ingiusto arricchimento, derivante da un doppio pagamento.

La norma precisa poi al comma 10, che le diposizioni si applicano in via sperimentale e riguardano solo i procedimenti amministrativi relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività di impresa, iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto.

Va ricordato che nel caso in cui il privato formuli l'istanza per attivare l'esercizio dell'azione amministrativa, e vi sia l'obbligo di pronuncia della P.A., sarà quest'ultima in base all'art.35 del d.lgs. 14 marzo 2013 a dover indicare il diritto all'indennizzo e

22 Adriano Buzzanca, La risarcibilità del danno da diniego illegittimo all'accesso

agli atti amministrativi, key editore 2010, in www.personaedanno.it consultato

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le modalità e i termini per conseguirlo.

Inoltre si aggiunge alla lettera m) che vi deve essere l'indicazione e il nome del soggetto a cui è attribuito e in caso di inerzia, il potere sostitutivo nonché le modalità per attivare tale potere.

In forza dell'art.2, comma 9 bis legge sul procedimento, l'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia.

Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio, se mancasse anche costui, si affiderà al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione.

Tale potere sostitutivo sarà attivato entro 20 giorni dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento, si potrà quindi provvedere all'indennizzo per il mero ritardo, quantificabile in trenta euro per ogni giorno di ritardo a partire dalla data di scadenza del termine, ma non oltre la somma complessiva di duemila euro.

Se il sostituto non emana il provvedimento allora si potrà ricorrere ai sensi dell'art.117 c.p.a. (ricorsi contro il silenzio) di cui all'Allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104.

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V.10 Profili penalistici

Partendo dai richiami costituzionali visti all'inizio del precedente paragrafo, si procede nello sviluppo della responsabilità della Pubblica Amministrazione in merito alla commissione di reati penali.

Innanzitutto, la responsabilità penale è quella in cui incorre un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che compia uno dei reati previsti dal codice penale nel libro II <<Dei

delitti in particolare>> Titolo II, <<Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione>>, Capo I <<Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione>>.

Sono da menzionare:

1. il peculato (art. 314 c.p.);

2. la malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.); 3. la concussione (art. 317 c.p.);

4. la corruzione (art. 318 c.p.); 5. l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.);

6. la rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.); 7. l’omissione o rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.); 8. la falsità in atti (artt. da 476 a 480 c.p.);

9. l’interruzione di pubblico servizio (art. 311 c.p.).

I reati in questione hanno in comune che gli interessi offesi, identificati nel corretto funzionamento della Pubblica amministrazione e nella tutela del suo prestigio, possono

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essere messi in pericolo dall’infedeltà o dalla disonestà del pubblico ufficiale23.

Per la qualificazione di un reato, inoltre è necessario che vi sia un nesso di causalità tra la condotta delittuosa e la funzione che si esercita.

Per quanto di nostro interesse è importante trattare un particolare reato, che è specificato nell'art.328 c.p rubricato <<rifiuto di atti d'ufficio>>.

L'articolo in esame recita <<Il pubblico ufficiale o l'incaricato di

un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa>>.

23 Fabio Petracci, Appunti redatti per corso ad operatori della polizia locale,

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La stessa Cassazione24 ha definito l'omissione di atti di ufficio, un delitto plurioffensivo, nel senso che lede, oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della p.a., anche il concorrente interesse del privato leso dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto.

La norma presuppone da un lato la richiesta presentata da un soggetto che vi abbia interesse, in quanto titolare di una situazione giuridica qualificata come diritto soggettivo o interesse legittimo e, dall'altro tutela l'aspettativa dell'istante ad ottenere il provvedimento richiesto o in alternativa, la comunicazione dei motivi del ritardo o della mancata adozione del provvedimento.

Inoltre si aggiunge che ai fini della configurazione di un rifiuto di atti d'ufficio penalmente rilevante, è necessario che la richiesta del privato, alla quale si presuma non essere stata data risposta nei termini di legge, contenga una espressa messa in mora (fatta per iscritto) dell'Amministrazione, in quanto non basterebbero le richieste reiterate e generiche per dar luogo alla violazione del 328 del codice penale25.

Alla Pubblica Amministrazione destinataria della messa in mora non resterà che difendersi.

Il Ministero della Funzione Pubblica con la circolare del 4

24 Corte di Cassazione 12 novembre 2002 n.5376. 25 Corte di Cassazione 4 ottobre 2001, n.41645.

(26)

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dicembre 1990 ha individuato una serie di motivi di giustificazione che potranno essere addotti come ragioni per il ritardo.

Prevedendo che la giustificazione dell’omissione deve essere specifica in relazione alla richiesta formulata e adeguata all’importanza della medesima, non potrà essere una mera formalità o tanto meno una giustificazione stereotipata26.

Si individuano specificamente i caratteri giustificativi nella circolare suddetta:

1. la particolare complessità dell'istruttoria;

2. la necessità di acquisire pareri amministrativi o tecnici; 3. la effettuazione di accertamenti di fatti semplici o di

natura tecnica;

4. l'elevato numero di pratiche da evadere;

5. l'elevato numero di documenti da acquisire, talora accompagnato dal fatto che parte di essi deve provenire dall'istante o da terzi;

6. altre ragioni specifiche che non consentono il rispetto del termine.

Di seguito si esamineranno due pronunce relative a violazioni dell'articolo 328 c.p.

26Alberto Ponti, Le diverse forme di responsabilità della Pubblica Amministrazione

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147

Si inizia da una sentenza della Cassazione27, considerando però il doveroso excursus dei giudizi nei gradi precedenti. Si parte dalla condanna di I grado da parte del Tribunale di Marsala che, con sentenza 18 gennaio 2005 rilevava che l'imputato è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 328 c.p., perché in qualità di funzionario responsabile del settore dei servizi tecnici del Comune di Castelvetrano, in ordine alla formale richiesta dell'istante, destinataria di provvedimento di espropriazione, di avere conoscenza dell'atto di cessione al Comune di Castelvetrano da parte della Regione Siciliana, di aree destinate alla realizzazione di un parcheggio e dei verbali, non compiva nei trenta giorni, l'atto del suo ufficio, ovvero non rispondeva per esporre le ragioni del ritardo.

Sottolineando anche che il richiedente aveva inoltrato specifica richiesta in data 13.04.2000, ed ulteriore sollecito alla richiesta protocollata in data 7.07.2000.

L'imputato ricorre alla Corte di appello di Palermo che con sentenza ha confermato integralmente la decisione del Tribunale, rigettando i punti di criticità ed invalidità dedotti nell'atto di gravame predetto.

La Corte distrettuale aggiunge che, soltanto l'imputato poteva rimettere copia di detti verbali e soltanto lui era a completa conoscenza delle vicende concrete, riguardanti il terreno

(28)

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destinato a parcheggio pubblico.

La responsabilità dell'imputato trova fondamento nella documentazione, nei suoi precedenti comportamenti, oltre che nella ripartizione dei compiti interni all'amministrazione di appartenenza.

L'imputato procederà ricorrendo alla Corte di Cassazione. I giudici di merito hanno innanzitutto, in concreto ravvisato l'interesse del richiedente all'accesso agli atti del Comune. La Cassazione ritiene ingiustificato il silenzio omissivo del pubblico ufficiale, perché una volta individuato l'interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la “risposta negativa” dell'Ufficio responsabile, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell'atto dovuto al cittadino, il quale, sull'informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa.

Per tali motivi definirà il ricorso infondato e condannerà la parte proponente ex art. 616 C.P.P. al pagamento delle spese del procedimento.

La seconda pronuncia della Corte di Cassazione28 che si vuole esaminare, riguarda una più recente presa di posizione in

28Corte di Cassazione, sez. VI, sentenza 2 aprile 2013 n. 14979, con la nota di

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ordine al medici obiettori di coscienza e in merito all'assistenza che questi devono prestare obbligatoriamente.

Il caso riguardava un medico che, in quanto obiettore di coscienza, ha ritenuto legittimo rifiutarsi di visitare ed assistere una paziente, che era stata sottoposta ad una operazione di interruzione di gravidanza mediante somministrazione farmacologica, nonostante le varie istanze di richiesta del personale, alla fine, il primario è stato costretto a recarsi in ospedale per intervenire d’urgenza.

Per tale motivo, la Corte di Appello di Trieste, confermando la sentenza del Tribunale di Pordenone, condannava il medico in servizio, ad un anno di reclusione, per il reato di cui all’art. 328 c.p.

Si rileva che dal punto di vista normativo l'art. 9, comma 3, della legge n. 194/1978, riconosce al medico obiettore il diritto di rifiutare di determinare l'aborto29,ma esclude che l'obiezione possa riferirsi anche all'assistenza antecedente e conseguente all'intervento, in quanto deve comunque essere assicurata la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell'intervento di interruzione della gravidanza.

29 Legge 22 maggio 1978 n.194, art 9 comma 3: <<l'obiezione esonera il medico

esclusivamente dal "compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza", diritto che peraltro trova il suo limite nella tutela della salute della donna, tanto è vero che il comma 5 dell'art. 9 della legge citata esclude ogni operatività all'obiezione di coscienza nei casi in cui l'intervento del medico obiettore sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo>>.

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Nel caso di specie, il rifiuto, da parte del medico, ad intervenire per prestare assistenza alla donna riguardava la fase del c.d. "secondamento", cioè successiva all'aborto indotto per via farmacologica da altro sanitario.

Va precisato che non sarà possibile ritenere il diritto di obiezione di coscienza in grado di esonerare il medico dall'intervenire durante l'intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza.

In sostanza, la legge tutela il diritto di obiezione entro lo stretto limite delle attività mediche dirette alla interruzione della gravidanza, esaurite le quali, il medico obiettore non può opporre alcun rifiuto dal prestare assistenza alla donna.

La Corte precisa, che l'obiettore di coscienza non può rifiutarsi di intervenire per garantire il diritto alla salute della donna, non solo nella fase conseguente all'intervento di interruzione della gravidanza, ma in tutti i casi in cui vi sia un imminente pericolo di vita.

Dal punto di vista oggettivo deve ritenersi integrato il reato di cui all'art. 328 c.p., dal momento che il rifiuto ha riguardato un atto sanitario, richiesto con insistenza dal personale infermieristico e medico, in una situazione di oggettivo rischio per la paziente.

In questi casi il medico ha comunque l'obbligo di recarsi immediatamente a visitare il paziente al fine di valutare

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direttamente la situazione, soprattutto se a richiedere il suo intervento sono soggetti qualificati, in grado di valutare l'effettiva necessità della sua presenza.

La Corte inoltre afferma in conclusione che, dal punto di vista soggettivo, l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza da parte di un medico presuppone la sua piena consapevolezza circa i limiti entro cui tale diritto possa essere esercitato.

VI.11 Tutela a livello europeo

Già in sede internazionale, nella Convenzione per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

(1950) e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) si affermava la necessità di assicurare l'accesso alle informazioni delle istituzioni.

A livello comunitario il diritto di accesso sarà codificato nella Dichiarazione n. 17 allegata al Trattato di Maastricht (1992). Lo scopo da perseguire sarà quello della trasparenza del processo decisionale, per rafforzare il carattere democratico delle istituzioni e la fiducia del pubblico nei confronti dell'amministrazione.

L'accesso viene a configurarsi come diritto ad opera del Trattato di Amsterdam, che ha introdotto l'articolo 255 (divenuto art. 15 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, TFUE).

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La Carta di Nizza approvata nel 2000 (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) ha ribadito i principi e le disposizioni fondamentali relative al diritto di accesso ai documenti, affermando il principio di pubblicità delle riunioni della Commissione30 e rinviando ad un regolamento successivo per stabilirne i limiti e le modalità.

Si emanerà quindi il regolamento n.1049/2001 il quale prevede che siano legittimati a chiedere l'accesso tutti i cittadini dell'Unione residenti in uno Stato membro.

Appare invece discrezionale la scelta delle istituzioni nel concedere l'accesso a soggetti che non risiedono in uno Stato membro.

L'oggetto sarà rappresentato dal <<documento>> formato o ricevuto da un'istituzione, o comunque in suo possesso.

Si nota che l’accesso può essere negato per tutelare l'interesse pubblico alla sicurezza, alla difesa e alle questioni militari, alle relazioni internazionali, alla politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro, alla tutela della vita privata e dell'integrità dell'individuo, in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali. Per quanto riguarda i c.d dati <<sensibili>>, ossia i documenti provenienti da soggetti qualificati (istituzioni, Stati terzi,

30 Mariani, Il diritto di accesso dopo la riforma dell'azione amministrativa,

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organizzazioni internazionali) , questi vengono classificati come <<confidenziali>>, poichè proteggono interessi essenziali dell'Unione europea o di uno o più Stati membri riguardanti la sicurezza pubblica, la difesa o questioni militari.

Si tratta sostanzialmente di documenti secretati per esigenze di sicurezza, il cui accesso è sottoposto a condizioni particolarmente restrittive31.

La presenza di terzi controinteressati non costituisce, di per sé, un'eccezione all'accesso, ma obbliga l’autorità a rilevarne eventuali esigenze di riservatezza.

Nel caso in cui il terzo sia uno Stato membro, l'istituzione che dispone di un documento proveniente da questo è tenuta, se lo Stato lo richiede, ad ottenerne il consenso prima della diffusione.

Inoltre si segnala che il regolamento 1049/2001 prevede la creazione, presso ciascuna istituzione, di un registro dei documenti, ossia un catalogo accessibile in formato elettronico, che contiene gli estremi dei documenti prodotti da quell'istituzione e accessibili anche in via telematica.

Quanto all'iter procedimentale, si prevede la forma scritta per la richiesta delle domande di accesso, il procedimento si conclude entro 15 giorni dalla richiesta.

31 Salvadori, Il diritto di accesso all'informazione nell’ordinamento dell’Unione

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In caso di inerzia o rifiuto è possibile presentare una denuncia al Mediatore europeo, oppure ricorrere al Tribunale di primo grado dell'UE.

La scelta fra i due tipi di ricorso ha una valenza importante. Il ricorso al tribunale di primo grado, porta ad una decisione vincolante per l'istituzione.

Bisogna precisare, tuttavia, che il Tribunale potrà annullare la decisione con cui l'accesso è stato rifiutato o dichiarare illegittima la mancata risposta, ma il ricorrente per esercitare il diritto di accesso non potrà prescindere da una decisione positiva da parte dell'istituzione che detiene il documento. Nel caso si scelga la denuncia al mediatore europeo, la stessa si presenta meno onerosa per il denunciante tuttavia, bisogna subito precisare, che il mediatore non può adottare provvedimenti vincolanti, ma solo raccomandazioni nei confronti dell'Istituzione interessata.

Il mediatore cercherà una soluzione amichevole, che risolva il problema e soddisfi il ricorrente.

In caso di esito negativo, può presentare una relazione ufficiale al Parlamento europeo in modo tale che quest'ultimo possa intraprendere le iniziative politiche necessarie.

Il quadro giuridico è cambiato con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

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diritti fondamentali dove, nel titolo II all'art.15 viene espressamente previsto il diritto di accesso (ex art.255 TCE) <<Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o

giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione a prescindere dal loro supporto>>.

Il diritto di accesso agli atti, risulta essere un vero e proprio dirittodel cittadino, inteso come estrinsecazione del principio di trasparenza dell'azione amministrativa, di controllo democratico sull'operato dell'amministrazione europea e strumento di partecipazione della società civile.

In questa prospettiva è teso a fornire un servizio ai cittadini e alle imprese per favorire la loro partecipazione e promuovere un'amministrazione aperta e trasparente.

Sebbene nessuno Stato membro sia tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia contraria agli <<interessi

essenziali della propria sicurezza>> come previsto dall'art. 346

lett. a) TFUE), nella realtà questa riserva é difficilmente applicabile perché si pone facilmente in contrasto con il principio di leale cooperazione (art. 4 TUE), cioè uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione.

Infine si segnale che il 18 giugno del 2009 è stata aperta alla firma la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla Accesso ai

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documenti ufficiali, ovvero, uno strumento giuridico

internazionale vincolante, che riconosce il diritto generale di accesso ai documenti pubblici detenuti dalle autorità, ritenendolo un elemento essenziale per l’esercizio di tutti i diritti umani.

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