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Capitolo I
L’ontologia della coscienza tra Husserl e Heidegger
1. La formazione di Lévinas: l’incontro con la filosofia
Nel primo dei colloqui con Philippe Nemo pubblicati nel volume Etica e Infinito, Lévinas descrive l’incontro con la filosofia di Husserl. L’intervista, registrata e trasmessa da France-Culture tra febbraio e marzo 1981 è la riflessione di un intellettuale maturo che ricorda gli anni del suo apprendistato filosofico.
Il valore della ricerca husserliana è attribuito al metodo rigoroso che consente di «“lavorare in filosofia” senza trovarsi immediatamente rinchiusi in un sistema di dogmi»1. Questa libertà e questa «apertura» rispetto a un sapere già dato e presupposto, accompagnate da una professione di serietà filosofica, ricorrono spesso come elementi distintivi del pensiero di Husserl. In un saggio del ’59 Lévinas definisce la fenomenologia come un «metodo in modo eminente, poiché essa è essenzialmente aperta. Essa può essere applicata nei campi più svariati come il metodo della fisica matematica dopo Galileo e Descartes, come la dialettica dopo Hegel e soprattutto Marx, o come la psicanalisi dopo Freud»2.
Il nostro autore si dichiara più volte fedele al metodo fenomenologico e distingue spesso il metodo dal sistema, negando la sua obbedienza ad un
1 EI, p. 55. 2 EDE, p. 125.
10 corpo di dottrine specifiche o a precetti di scuola; l’omaggio rivolto al pensatore tedesco riguarda l’agilità e la duttilità della sua filosofia.
Nell’intervista di Poirié del 1996, Lévinas definisce la novità delle Ricerche logiche, il primo testo husserliano con cui ebbe modo di confrontarsi: «j’eus l’impression d’avoir accédé non pas à une construction spéculative inédite de plus, mais à de nouvelles possibilités de penser, à une nouvelle possibilité de passer d’une idée à l’autre»3. Si potrebbero citare altre ricorrenze di questo giudizio in cui Husserl figura come una guida non dogmatica, sebbene autorevole. Nel famoso ritratto che Lévinas traccia del suo maestro, contenuto in Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, si delinea l’immagine di una personalità che anche nel carattere morale rispecchiava «la fisionomia della sua opera piena di rigore e tuttavia aperta, coraggiosa e che continuamente ricominciava come una rivoluzione permanente»4.
Lévinas racconta che la scoperta delle Ricerche logiche fu casuale e la sua lettura «senza guida»: il tramite fu una collega, Gabrielle Peiffer, con cui in seguito collaborò nella traduzione delle Meditazioni cartesiane. All’approfondimento impegnato dei testi seguì la frequentazione diretta dell’autore: su suggerimento di Jean Hering, che insegnava alla Facoltà di teologia protestante di Strasburgo, già allievo di Husserl a Gottinga e primo diffusore del suo pensiero in Francia con l’opera Phénoménologie et philosophie religieuse5, il nostro autore si recò da Strasburgo a Friburgo per
3 F. Poirié, Emmanuel Lévinas. Qui êtes-vous?, La Manufacture, Lyon 1987, p. 73; d’ora in poi
Poirié.
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E. Lévinas, La rovina della rappresentazione, apparso in Edmund Husserl 1859-1959, Nijhoff, La Haye 1959, poi in EDE, p. 142.
5 J. Hering, Phénoménologie et philosophie religieuse. Études d’histoire et de philosophie religieuse, Alcan, Paris 1926.
11 seguire gli ultimi due semestri dell’insegnamento di Husserl e per rendersi conto di persona della promessa rappresentata dalla sua teoria. In questo modo riuscì finalmente a misurarsi con la cultura tedesca: aveva già tentato dopo il liceo di trasferirsi dalla Lituania in Germania, ma allora la sua preparazione in un istituto ebraico lituano venne ritenuta insufficiente per il passaggio ad un’università germanica. Questo pregiudizio razziale lo aveva convinto a ripiegare per la vicina Strasburgo, da poco reintegrata tra i possedimenti della Francia, e gli aveva aperto le porte alla conoscenza di un altro mondo intellettuale, quello francese, a cui rimarrà legato, tanto da adottare la cittadinanza e la lingua francese per tutte le sue opere.
Al momento in cui arriva in Germania Lévinas ha un passato di letture e di incontri cui sarà sempre debitore. I docenti di Strasburgo che egli menziona come suoi mentori in una confessione6 che sembra conservare i toni entusiastici dell’età giovanile, sono le personalità di Maurice Pradines7, fautore di una originale «filosofia della sensazione», Charles Blondel8,
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Cfr. Poirié, p. 70: «Les quatre personnes que j’ai rencontrées à Strasbourg comme professeurs de philosophie, maîtres unissant à mes yeux naïfs ou plutôt perspicaces toutes les vertus de notre Université, sont restés pour moi les vrais hommes, les inoubliables!».
7 M. Pradines (Glovelier, Svizzera 1874-Parigi 1958) insegnò filosofia generale a Strasburgo e alla
Sorbona. Autore di una Philosophie de la sensation in due volumi: Le Problème de la sensation, Belle Lettres, Paris 1928 e La sensibilité élémentaire, del 1934. Affrontava le teorie psicologiche da un punto di vista filosofico. Il suo studio della percezione metteva in luce l’intelligenza della sensazione e il suo ruolo nell’attività umana. Egli si concentrò anche sulla tendenza all’autoconservazione dell’uomo in rapporto al suo bisogno di esteriorità. Altre opere da ricordare:
La fonction perceptive, Cours de la Sorbonne (1941), Delanoël-Gonthier, Paris 1981; Traité de psychologie générale, Puf, Paris, 1943; L’aventure de l’esprit dans les espèces, Flammarion, Paris
1954; Le beau voyage, Le Cerf, Paris 1982.
8 C. Blondel (Lione 1876-1939), allievo di Lévy-Bruhl, fu professore di psicologia sperimentale
all’Università di Strasburgo e in seguito assunse la cattedra di psicologia patologica alla Sorbona. Lévinas ricorda le sue tendenze antifreudiane. Egli rifiutava la concezione di inconscio in quanto realtà individuale e poneva l’enfasi sulle significazioni collettive e intersoggettive. Scrisse: La
psycho-physiologie de Gall, ses idées directives, Alcan, Paris 1914; La psychanalyse, Alcan, Paris
1924; La mentalité primitive, avec la préface de Lévy-Bruhl, Librairie Stock, Paris 1926;
Introduction à la psychologie collective, A. Colin, Paris 1928; La psychographie de Marcel Proust, Vrin, Paris 1932.
12 studioso di psicologia anti-freudiano, il sociologo Maurice Halbwachs9, teorico della morfologia sociale, in seguito vittima della persecuzione nazista, Henry Carteron10 che affrontava la filosofia antica con un’impostazione aristotelico-tomistica e un’ispirazione cattolica. In diverse occasioni questi intellettuali sono ricordati come «veri uomini» e «il prestigio senza confronti» che Lévinas attribuisce loro è legato soprattutto a doti di umanità:
Uomini: ecco che cosa sono! È, questa, un’esclamazione spontanea che mi viene immancabilmente in mente quando rievoco quegli anni così ricchi, e che nulla nella vita ha potuto smentire. Maurice Halbwachs è morto da martire durante l’Occupazione. Proprio il contatto con questi maestri mi ha rivelato le grandi virtù di onestà intellettuale e di intelligenza, ma anche di chiarezza e di eleganza, dell’università francese11.
Negli anni Venti, trascorsi nel contesto di Strasburgo, Lévinas fa i primi passi nello studio dei classici della filosofia, leggendo le opere di Platone, Aristotele, Cartesio e Kant. La cultura francese mette le radici nella sua
9 M. Halbwachs (Reims 1877-Buchenwald 1945), allievo di Bergson e di Durkheim, professore di
sociologia a Strasburgo e alla Sorbona, nel 1938 è nominato presidente dell’Institut Français de sociologie, nel 1944 è titolare della cattedra di psicologia collettiva al Collège de France. In quello stesso anno è arrestato dalla Gestapo insieme al figlio, internato a Fresnes e deportato a Buchenwald, dove muore nel 1945. Pose le basi per lo studio della memoria collettiva e si occupò di psicologia delle classi sociali, con un interesse particolare per il fenomeno dell’identità sociale. Scrisse: La classe ouvrière et le niveaux de vie, Alcan, Paris 1913, Le cadres sociaux de la
mémoire, Alcan, Paris 1925; Le causes du suicide, Alcan, Paris 1930; L’évolution des besoins dans les classes ouvrières, Alcan, Paris 1933; Esquisse d’une psychologie des classes sociales, Rivière,
Paris 1938; La topographie légendaire des Evangiles en terre sainte. Etude de Mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris 1941; La mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris 1950.
10 H. Carteron (1891-1927), professore di filosofia antica a Strasburgo, esperto di Aristotele e di
Tommaso d’Aquino, morto prematuramente. Tra le sue opere si ricordano la traduzione della
Fisica di Aristotele, Les Belle Lettres, Paris 1926; Remarques sur la notion de temps d’áprès Aristote, in «Revue philosophique de la France et de l’étranger», 7-8 juillet-août 1924, pp. 68-81. 11 EI, p. 52.
13 formazione attraverso l’influenza di Bergson e Durkheim, che erano stati i maestri dei suoi maestri.
Bergson è evocato come fondamentale precursore di Heidegger nel formulare una nuova concezione di temporalità emancipata dalla logica scientifica, come si evince da questo passo: «Je pense que toutes les nouveautés de la philosophie du temps moderne et post-moderne, et en particulier la vénérable nouveauté de Heidegger, ne seraient pas possibles sans Bergson»12. In Etica e infinito, il Saggio sui dati immediati della coscienza è citato insieme ad Essere e Tempo tra i cinque libri ritenuti essenziali nella storia della filosofia13. Anche Durkheim è presente nel pensiero di Lévinas; la sua «sociologia razionale» è ribattezzata in termini husserliani come una moderna «eidetica della società»14. L’articolazione della realtà umana in più «livelli dell’essere» richiama l’idea di Husserl di conferire forme diverse all’intenzionalità; nel primo scritto dedicato alla fenomenologia, Lévinas parla del progetto husserliano di una costituzione differente degli oggetti secondo «regioni» proprie, e sostiene che questo può essere considerato il fondamento di ciò che anche Durkheim tentò di realizzare fornendo alla sociologia un metodo e un campo d’indagine autonomi15.
Certo la rivisitazione del pensiero di Bergson attraverso Heidegger e di quello di Durkheim attraverso Husserl si pone solo attraverso un’impostazione retrospettiva: si tratta di accostamenti originali rispetto al
12 Poirié p. 72. 13
Cfr. EI, p. 60. Oltre a questi, il Fedro di Platone, la Critica della Ragion pura di Kant, la
Fenomenologia dello Spirito di Hegel. 14 EI, p. 53
14 modo in cui Bergson e Durkheim erano (e sono tuttora) interpretati. Il giovane Lévinas che studia a Strasburgo non è ancora in grado di operare un simile confronto, ma ciò che d’interessante si può ravvisare in queste letture incrociate e a posteriori, è come il sostrato culturale francese sia stato fondamentale per accedere alla filosofia tedesca.
Tra le fonti giovanili a cui il nostro autore attinge vi sono anche quelle letterarie: i classici russi, Puskin, Lermontov, Gogol, Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij, e lo Shakespeare delle tragedie, dell’Amleto, del Macbeth e del Re Lear. Le pagine di questi scrittori, in particolare quelle dei narratori russi, sono giudicate un’ottima base per la filosofia, perché animate da un’interrogazione radicale e orientate verso il «senso dell’umano»16. Si possono definire come l’ispirazione che rimane al fondo della teoria: «livres traversés par l’inquiétude, par l’essentiel, l’inquiétude religieuse, mais lisibles comme quête du sens de la vie»17. La sentenza del personaggio di Dostoevskij, spesso citata: «Siamo tutti colpevoli di tutto e di tutti davanti a tutti, e io più degli altri»18, risuona nella fase matura della speculazione lévinasiana come l’eco di quella responsabilità estrema e totale, che è uno dei concetti più caratteristici del pensiero di Lévinas e che acquista un senso ancora più forte proprio perché pronunciata da un intellettuale sopravvissuto alla strage nazista.
Un altro passo di cui il filosofo è debitore al romanziere è quello di Delitto e Castigo in cui Sonia, un personaggio che, per la sua estrazione sociale e la sua condizione derelitta, appartiene al mondo degli ultimi, mostra di provare per il
16 Cfr. EI, p. 50. 17 Poirié, p. 69.
15 protagonista Raskolnikov che confessa la sua colpa, un sentimento di «insaziabile compassione»; in questa fame che non può essere colmata si intravede il nucleo del «desiderio d’Altri», inteso non come appagamento, ma come qualcosa che nasce nel soggetto «al di là di tutto ciò che può mancargli o che può soddisfarlo»19. Ci si chiede quanto la struttura dei romanzi di Dostoevskij, in cui il dialogo è il centro e il fine di tutto l’intreccio, possa essere stata determinante nel percorso di un autore che ha impostato la sua etica, la sua filosofia prima, sul dialogo con l’Altro. Come scrive Michael Bachtin: «lo schema fondamentale del dialogo in Dostoevskij è molto semplice: la contrapposizione dell’uomo all’uomo, come contrapposizione dell’«io» e dell’«altro»20.
Nella ricognizione delle fonti e delle letture di Lévinas, ancora prima della letteratura e della filosofia, bisogna menzionare la Bibbia, «il Libro nel quale si dicono le cose prime, quelle che dovevano essere dette perché la vita umana abbia un senso»21. Nella coscienza dell’autore, educato al rigore degli studi ebraici e rabbinici dalla più tenera età e fino alla fine studioso appassionato del Talmud, la Bibbia rappresenta sia «la pienezza etica» che «le misteriose possibilità dell’esegesi»22: essa contiene un mistero esplorabile che non smette di rivelarsi in profondità. Le Scritture concedono la dimensione della trascendenza, un valore e un concetto che Lévinas cercherà anche nella filosofia. Secondo un commento dell’autore: «il Dio rivelato della nostra spiritualità giudaico-cristiana conserva tutto l’infinito della sua assenza
19 Cfr. E. Lévinas, La traccia dell’altro, pubblicato in Tijdschrift voor Filosofie, 1963, n. 3, poi in
EDE, p. 222.
20 M. Bachtin, Dostoevskij, Einaudi, Torino 1968, 2002, p. 332. 21 EI, p. 50-51.
16 nell’ordine personale stesso. Si mostra unicamente attraverso la sua traccia, come nel capitolo 33 dell’Esodo. Andare verso di lui non significa seguire questa traccia che non è un segno, ma andare verso gli Altri che si trovano nella traccia»23. Il Dio della tradizione ebraica brilla per la sua assenza, è quello che ammonisce Mosé: «tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo»24. Lévinas lo paragona talvolta ad un autore nascosto che ha lasciato nella sua assenza un segno, un messaggio di trascendenza, come «colui che desiderava cancellare le proprie tracce affinché il crimine fosse perfetto», ma che ha, in modo quasi impercettibile, fissato la sua opera: «Colui che cancellando le proprie tracce ne ha lasciato alcune, non voleva né dire né fare nulla con le tracce lasciate. Ha irrimediabilmente sconvolto l’ordine»25. Questa è l’inquietudine religiosa che attraversa il pensiero del filosofo: il Dio che non si rivela è anche il Dio che nel capitolo 33 dell’Esodo parlava con Mosé intimamente, «faccia a faccia, come un uomo parla con un altro»26.
Armato di esperienze culturali profonde e carico di aspettative, Lévinas si trasferisce dunque nella «città della fenomenologia»27, dove si respirava un entusiasmo crescente per le idee husserliane: «per i giovani tedeschi che vi ho
23 EDE, p. 233. 24 Es 33, 20. 25 EDE, p. 230. 26 Es 33, 11.
27 E. Lévinas, Fribourg, Husserl et la phénoménologie, in «Revue d’Allemagne et des pays de
langue allemande», V,1931, 43, 15 mai, pp. 403-411; poi in Les imprévus de l’histoire, Fata Morgana, Paris 1994, Le livre de Poche, Paris 2000, p. 95; d’ora in poi IH. «Fribourg est encore une ville de Médecine, une ville de Chimie, la ville de bien d’autre sciences. Mais, avant tout, c’est la ville de la Phénoménologie».
17 conosciuto, questa nuova filosofia è più che una nuova teoria, è un nuovo ideale di vita, una nuova pagina della storia, quasi una nuova religione»28. Lo studioso lituano segue all’università di Friburgo, come auditeur libre, i corsi del semestre estivo 1928, dedicati alla psicologia fenomenologica e quelli invernali del 1928-29, centrati sulla costituzione dell’intersoggettività. Il 23 e il 25 febbraio 1929 partecipa a un evento importante: Husserl è invitato dalla Societé française de Philosophie e dall’Institut d’Études germaniques, all’Amphithéâtre Descartes alla Sorbona, per discutere e divulgare in modo critico i temi principali della sua teoria. Il giovane studente sarà il traduttore dell’edizione francese del testo delle conferenze, le Méditations Cartésiennes: traduzione che sarà per molto tempo l’unica disponibile delle Meditazioni, dato che in tedesco e in una versione modificata l’opera husserliana verrà pubblicata postuma nel 1950. Gli incontri parigini segnano un momento fondamentale della storia della filosofia del Novecento: per l’intellettuale tedesco costituiscono l’occasione di confrontarsi con la tradizione francese, un incentivo ad aprire il dialogo con Descartes e a riconoscere il ruolo che questi aveva avuto prima di lui, nell’intraprendere una ricerca radicale. Il filosofo del dubbio diviene il precursore più autorevole, il modello a cui ispirarsi per lanciare il progetto di una rifondazione rigorosa del pensiero. La fenomenologia husserliana, nel contesto parigino, assume la forma di uno «sviluppo radicale dei motivi cartesiani»:
Ora in questa età infelice non ci troviamo noi forse in una situazione simile a quella in cui si trovò Cartesio nella sua giovinezza? Non è già tempo di far rivivere il suo
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radicalismo filosofico originario? Non è già tempo di sottoporre a una “rivoluzione cartesiana” l’enorme letteratura filosofica, la quale confonde assieme le grandi tradizioni ora con più seri tentativi di ricominciare daccapo ma ora anche con suggestioni provenienti dalle mode letterarie, che mirano a far colpo ma non allo studio serio, e quindi di cominciare con nuove Meditationes de prima philosophia?29
L’obiettivo è quello di sanare il «decadimento» della filosofia, salvarla dalla crisi anarchica, dalla proliferazione di opere senza valore, attraverso il recupero della responsabilità teoretica e l’assunzione di un nuovo inizio che privilegi il punto di vista dell’io e l’autoriflessione:
Chiunque vuole diventare seriamente filosofo deve una volta nella sua vita ritrarsi in se stesso e cercare dentro di sé di distruggere tutte le scienze ritenute fino allora valide e di ricostruirle. La filosofia, la sagesse, è una questione tutta personale del filosofo. Deve diventare saggezza sua propria, che egli acquista da sé, sapere che tende all’universale, del quale egli possa, all’inizio e in ogni momento, rispondere in base alle sue vedute assolute30.
Il ruolo affidato alla soggettività che si ritrae in se stessa e che porta alla luce il fundamentum inconcussum, l’evidenza di un sapere assolutamente fondato, è un motivo cartesiano, così come la lotta al dogmatismo e all’atteggiamento naturale. Leggendo la Prima Meditazione di Descartes si può notare come i termini di Husserl siano ricalcati su quelli del filosofo francese, ad esempio nell’esordio: «ho capito che se aspiravo a stabilire nelle
29 E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, M. Nijhoff, L’Aia 1950, tr.it. a
cura di F. Costa, Meditazioni cartesiane, Bompiani Milano 1989, p. 40-41; d’ora in poi MC
19 scienze qualcosa di solido, destinato a durare, avrei dunque dovuto buttare all’aria tutto quanto, per una volta nella vita, e ricominciare dalle fondamenta»31.
Si comprende la portata rivoluzionaria di questo progetto e il potere che la fenomenologia acquista attraverso la “riesumazione” dell’antico spirito cartesiano. Rianimare le idee filosofiche del passato e restituire «forza vitale» al pensiero è il lato utopico della teoria husserliana, quell’elemento che probabilmente entusiasmava i giovani studiosi di Friburgo. Scrive Husserl: «Non dobbiamo ricondurre la desolazione della nostra situazione filosofica al fatto che gli impulsi provenienti da quelle Meditazioni hanno perduto la loro originaria forza vitale [...]?»32.
Anche Lévinas non è immune al fascino di un «cominciamento» che si presenta radicale e mai definitivo, in cui il filosofo figura come un «éternel débutant en philosophie»33, come il demone platonico sempre mancante e sempre in cerca della verità.
Nell’introduzione alla sua tesi di dottorato, il nostro autore scrive: «Vorremmo studiare ed esporre la filosofia di Husserl come si studia e si espone una filosofia vivente [...], un pensiero che vive e si trasforma e dentro il quale bisogna gettarsi e filosofare»34. Il giovane Lévinas aspira ad un sapere in continuo divenire, di cui bisogna salvaguardare la trascendenza; è interessante seguire l’evoluzione di questa idea perché, in relazione ad essa, Husserl apparirà talvolta come teorico della libertà e altre volte come
31
R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 27.
32 MC, p. 41. 33 Cfr. Poiré, p. 74. 34 THI, p. 9.
20 esponente di una tradizione che necessita di essere superata, sostenitore di una soggettività chiusa e autoreferenziale: di un «io che risponde» soltanto «in base alle sue vedute assolute»35.
Questo continuo ripensamento a cui è sottoposta la teoria fenomenologica rivela la problematicità del rapporto con Husserl; di certo «il a exercé sur Lévinas une influence prolongée», come fa notare Strasser36, che si protrae anche dopo gli anni della formazione. I riferimenti al pensiero del filosofo tedesco, infatti, sono costanti, anche se spesso sotterranei e contaminati da altri apporti teorici.
Nel suo saggio Antiphénoménologie et phénoménologie chez Lévinas, Strasser si domanda se il pensatore lituano possa essere considerato un fenomenologo in piena regola. Gli studiosi sono in genere concordi nel definire la filosofia di Lévinas come sostanzialmente differente dalla fenomenologia classica e anche la sua lettura della speculazione husserliana è ritenuta poco ortodossa, se non addirittura «deviante» ed «eretica». Poma la inserisce tra le «eresie della fenomenologia», ma chiarendo l’origine di questo concetto di per sé molto ampio:
Ogni eredità, in quanto passaggio a un altro, porta in sé la minaccia di un tradimento, soprattutto se ad essere trasmessa è una filosofia in continua ricerca per l’infinità del suo compito. Le filosofie che trovano nella fenomenologia un riferimento costitutivo, ne derivano anche la possibilità di uno svolgimento autonomo; è in ragione di questo che esse possono ricevere la denominazione comune di «eresie» della
35 MC, p. 38.
36 S. Strasser, Antiphénoménologie et phénoménologie chez Lévinas, «Revue philosophique de
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fenomenologia. Di questo pensiero infatti tali diverse filosofie si presentano come la coerente realizzazione, ma pure come una necessaria deviazione37.
Questo concetto di «eresia» si può far risalire a Ricoeur, il quale affermava: «La phénoménologie est pour une bonne part l’histoire des hérésies husserliennes, et la structure de l’œuvre du maître impliquait qu’il n’y eût pas d’orthodoxie husserlienne»38. Sembra che fosse lo stesso Husserl a nutrire delle riserve nei confronti dei suoi interpreti: riguardo alla traduzione francese delle Meditazioni, è indicativo il fatto che la ritenesse vaga e poco accurata39. Lévinas era consapevole di essere fedele più allo spirito che alla lettera40 della filosofia husserliana; interessato alla sua «verità essenziale», al suo «significato più generale»41, anteponeva l’esprit d’ensemble all’esprit de détail, tanto da contestare in alcuni punti anche la coerenza della dottrina del maestro, in nome di un ideale prioritario della fenomenologia, che sarebbe stato smarrito negli sviluppi: «il modo in cui fu praticata dopo le Logische Untersuchungen [...], lo stile che ha assunto, i cambiamenti e le riprese che essa ha imposto al pensiero, non sempre coincidono con ciò che Husserl intende per metodo. Su questo punto la sua opera non sembra aver agito mediante le considerazioni metodologiche che la costituiscono»42.
37 I. Poma, Le eresie della fenomenologia.op. cit., p. 11.
38 P. Ricoeur, À l’école de la phénoménologie, Paris, Vrin, 1987, p. 156.
39 «Husserl non era completamente soddisfatto della traduzione francese: scrivendo a Ingarden
sottolinea come “i traduttori delle Meditazioni spesso non hanno compreso il testo [...]. Nell’importante ‘quinta’ interi passaggi sono stati sostituiti da una vaga frase che non dice nulla”», citato da R. Cristin, Presentazione alla trad. it. delle MC, op. cit. p. X.
40 Cfr. AE, p. 227. 41 EI, p. 55.
22 Nella prima fase del confronto con il maestro, Lévinas non è ancora esplicito nelle sue considerazioni critiche, preferisce assumere una posizione neutrale di «rispetto per le intenzioni generali»43 del filosofo. In realtà però, già a partire dalla sua tesi di dottorato, egli non riproduce fedelmente i contenuti husserliani, ma li ripropone in una nuova veste, “viziati” dall’ontologia heideggeriana.
A Friburgo, mentre Husserl lasciava l’insegnamento, al suo posto subentrava infatti uno dei suoi discepoli più brillanti, Martin Heidegger. Lévinas ricorda l’incontro con questa voce diversa da quella dell’anziano maestro, la sua filosofia è definita «scintillante» a differenza di quella husserliana che rivelava la sua novità solo «a degli orecchi fini ed esercitati»44, in quanto condotta in un linguaggio rigido e monocorde: «La grande chose que j’ai trouvée fut la manière dont la voie de Husserl était prolongée et transfigurée par Heidegger. Pour parler un langage de touriste, j’ai eu l’impression que je suis allé chez Husserl et que j’ai trouvé Heidegger»45. Il nostro autore ricorda la grande affluenza che si registrava ai corsi heideggeriani46 e il privilegio che si provava nell’essere ammessi; studiosi da diverse parti del mondo aspettavano di udire parole che avevano un effetto abbagliante: «Tout semblait inattendu chez Heidegger, les merveilles de son analyse sur l’affectivité, les nouveaux accès au quotidien, la différence entre être et l’étant, la fameuse différence ontologique»47. Agli
43 THI, p.11. 44 EDE, p. 142. 45 Poirié, p. 74. 46 Cfr. IH, p. 105-106. 47 Poirié, p. 75.
23 occhi del giovane filosofo, Sein und Zeit costituiva la prova tangibile della «fecondità del metodo fenomenologico»48.
Husserl non condivideva questa fiducia: quando si rese conto della piega inaspettata che la sua filosofia stava assumendo, a causa della fortunata formula esistenziale diffusa dal suo discepolo, non esitò a prendere posizione. Il 2 dicembre 1929 scrisse a Ingarden: «Il minuzioso “studio di Heidegger”? Sono giunto alla conclusione che non posso inquadrare l’opera nell’ambito della mia fenomenologia, e purtroppo, anche dal punto di vista del metodo e addirittura nell’essenziale, dal punto di vista del contenuto, la devo rifiutare»49; e in un’altra lettera si legge: «filosoficamente io non ho nulla da spartire con questo senso profondo heideggeriano, con questa geniale non scientificità»50.
L’«eresia lévinasiana» si genera proprio da questa iniziale contaminazione: dall’aver accettato il pensiero «eretico» di Heidegger, che era stato messo al bando dallo stesso Husserl, come un’originale prosecuzione della fenomenologia51. Fino alla fine Lévinas sosterrà la fondamentale continuità delle due filosofie sotto il segno di un comune indirizzo ontologico. Come scrive Ciglia, l’interpretazione di Heidegger e di Husserl era contrassegnata, a quel tempo, dalla «preoccupazione di cogliere, in un unico colpo d’occhio interpretativo il senso di una duplice problematica: quella della segreta unità
48 IH, p. 105.
49 Trad. it. riportata da V. Costa, Husserl, Carocci editore, Roma 2009, p. 213. La citazione è da E.
Husserl, Briefe an Roman Ingarden. Mit Ergänzungen und Erinnerungen, a cura di R. Ingarden, Nijhoff, Den Haag 1968, p. 56.
50 Trad. it. Ibid., da E. Husserl, Lettera del 6 gennaio 1931 a Alexander Pfänder, in Id., Briefwechsel, Bd.II, «Die münchener Phänomenologen», Kluwer, Dordrecht 1994, p. 184, cit. da
V. Costa, Husserl, op. cit., p. 213.
51 Cfr. THI, p. 10. «La filosofia così potente e così originale di Heidegger, che a ben guardare si
24 della riflessione husserliana, [...] e, insieme, quella suscitata dalla svolta che l’analisi esistenziale heideggeriana aveva impresso all’intero movimento fenomenologico»52. Lévinas cercava di tenere unite entrambe le riflessioni, considerando ciò che di nuovo avevano consegnato al pensiero.
La sua lettura attirò le critiche degli husserliani più ferventi, primo fra tutti Jean Hering, che commentò così la prima opera del filosofo lituano: «nell’esposizione di Lévinas [...] le cose si svolgono come se egli avesse tentato di spiegare l’albero per mezzo del frutto, vogliamo dire la fenomenologia di Husserl per mezzo della metafisica di Heidegger»53.
Anche se Lévinas non si mantenne fedele alla «lettera» husserliana, non si può dire che abbia operato una scelta di campo unilaterale e definitiva per l’uno o per l’altro filosofo: neanche la sua lettura di Heidegger era ortodossa, in quanto filtrata attraverso la teoria fenomenologica. Secondo Bernet «tale apparente oscillazione tra Husserl e Heidegger si spiega essenzialmente con il fatto che Lévinas non condivide né le preoccupazioni epistemologiche di Husserl, né quelle ontologiche di Heidegger»54. Ma questo giudizio lapidario deve tenere conto del carattere problematico di un pensiero in evoluzione: è difficile sostenere che il pensatore lituano fosse fin dall’inizio consapevole del proprio percorso critico. C’è un momento in cui il nostro autore sente l’esigenza di abbandonare i presupposti teorici da cui era stato attratto nei primi anni. Questo desiderio di «evasione» si fa più intenso nelle opere scritte
52 F. P. Ciglia, Un passo fuori dall’uomo. La genesi del pensiero di Lévinas, Cedam, Padova,
1988, p. 18.
53
J. Hering, La théorie de l’intuition dans la Phénoménologie de Husserl, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», n. 5-6, mai-juin, 1932, p. 479, trad. mia.
54 R. Bernet, «L’autre du temps», in E. Levinas: Positivité et transcendance. Suivi de Lévinas et la phénoménologie, PUF, Paris 2000, p. 148, cit. da S. Petrosino, Il maggior stupore, in THI, p. XIII.
25 a cavallo tra la guerra e il dopoguerra, in un periodo in cui l’interrogazione filosofica si mostra allo stesso tempo più urgente e più impotente, quando la cultura tedesca sembra rivelare la sua debolezza, se non addirittura la sua potenziale barbarie, finendo per macchiarsi, più o meno direttamente, di colpe contro l’umanità, ignorando o assecondando il nazismo.
Secondo l’opinione di Derrida, uno dei critici più acuti di Lévinas, la Francia deve a questo filosofo che ha accolto, «due avvenimenti dirompenti del pensiero», due «traumi felici»: il primo fu l’«apertura alla fenomenologia» e alla teoria di Heidegger; mentre «la seconda scossa filosofica», paragonata alla «seconda navigazione» di Platone per gli effetti inediti che produsse, consiste nel ripensamento di questi autori; è dovuta al fatto che, «leggendo in profondità e reinterpretando i pensatori appena ricordati [...] Emmanuel Lévinas spostava lentamente, ma per piegarlo ad un’esigenza semplice e inflessibile, l’asse, l’ordine stesso della fenomenologia o dell’ontologia che egli aveva introdotto in Francia dal 1930». Secondo Derrida si trattò di «una mutazione discreta ma irreversibile»55.
2. Un antecedente importante: la fenomenologia religiosa di Jean Hering
L’esperienza che precede in Francia lo studio husserliano di Lévinas è, come già ricordato, l’opera divulgativa di Jean Hering56, Phénoménologie et philosophie religieuse, edita nel 1926.
55
J. Derrida, Adieu à Emmanuel Lévinas, Galilée, Paris 1997, trad. it. di S. Petrosino e M. Odorici,
Addio a Emmanuel Lèvinas, Jaca Book, Milano 1998, pp. 65-66.
56 Hering è, come è stato già ricordato, colui che iniziò Lévinas alla fenomenologia. Per dare
26 Il testo è indirizzato a «tous les philosophes de langue française désireux de s’orienter sur la pensée d’Edmond Husserl»57: si tratta, a detta dello stesso autore, di un libro di «iniziazione fenomenologica», che espone le intuizioni essenziali del movimento tedesco. Hering fu uno dei primi a confrontarsi con le nuove idee58, mostrando un impegno tenace nel diffonderle: incoraggiava lo studio di Husserl e il ricorso al metodo eidetico in campi diversi. Il suo fervore da neofita verso la linea di pensiero emergente si fregiava di fedeltà a intuizioni ritenute «fécondes et justes» e del proposito di non limitarsi a riprodurre il significato dottrinale dei concetti, ma di riuscire a coglierne l’ispirazione generale.
Il teologo francese considerava la fenomenologia come una base indispensabile per le scienze teoriche59 e un presupposto metodologico per conferire autonomia alla filosofia religiosa. Lévinas apprende da lui la concezione della fenomenologia come metodo; l’opera del teologo costituisce
la première réception de Husserl en France, Éditions Peeters, Louvain-Paris-Dudley 2005, p. 17):
«il entreprit ses études supérieures d’abord a Strasbourg»; dal 1909 al 1912 è allievo di Husserl a Gottinga, dove entra a far parte del circolo dei suoi discepoli e nell’inverno del 1912-1913 ottiene la presidenza della sua società filosofica. Nel 1914 «il présenta, l’agrégation de Lettres, avec un mémoire consacré au thème de l’a priori chez Lotze. Devenu professeur au Gymnase protestant de Strasbourg, il occupa, après la guerre, le fonction de sous-directeur de l’École préparatoire de théologie des Batignolles de Paris et obtint, en 1923, le diplôme de l’École pratique des hautes études avec un mémoire intitulé La doctrine de la chute et de la préexistence des âmes cher
Clément d’Alexandrie. C’est le 22 décembre 1925 qu’il soutint sa thèse de licence en théologie
intitulée Phénoménologie et philosophie religieuse, grâce à laquelle il fut nommé, en 1926, maître de conférences à Strasbourg, puis, en 1937, professeur titulaire de la chaire de Nouveau Testament, année ou il présenta sa thèse de doctorat d’État en théologie Sur le royaume de Dieu et
sa venue. Étude de l’espérance de Jésus et de l’apôtre Paul. Mais, paradoxalement, il dut renoncer
à la chaire de Nouveau Testament pour enseigner le cours de morale. De santé fragile, il prit une retraite anticipée en 1956 et mourut, à Strasbourg, le 23 février 1966».
57 J. Hering, Phénoménologie et philosophie religieuse. Études d’histoire et de philosophie religieuse, op. cit. p. XI; d’ora in poi Hering.
58
Hering può fare riferimento allo studio husserliano di un altro autore francese, V. Delbos,
Husserl, sa critique du psychologisme et sa conception d’une logique pure, «Revue de
Métaphysique et de Morale», n. 5, sept.-oct., 1911.
27 inoltre, per il giovane pensatore, un modello valido di traduzione della terminologia filosofica husserliana in francese.
La prima parte di Phénoménologie et philosophie religieuse si sofferma a parlare di un passaggio storico che, secondo l’opinione di Hering, avrebbe segnato nel Ventesimo secolo la crisi della filosofia religiosa e la sua caduta nello «psicologismo»: il caos teoretico si è generato quando le scienze umane hanno cominciato a proporsi come interpreti autorevoli del fenomeno spirituale, spiegando la religione come un bisogno della natura umana o come un prodotto della vita sociale. Questi nuovi approcci, ponendo delle leggi naturali a fondamento del religioso, hanno relegato il loro oggetto di studio nelle maglie di un determinismo miope, incapace di far fronte a questioni generali di ordine epistemologico60.
La famosa critica di Husserl allo psicologismo diviene il vessillo innalzato contro le pretese di quelle discipline pionieristiche che Hering valuta a partire dalle possibili conseguenze degenerative: storicismo, sociologismo, pragmatismo e criticismo. La «tendenza naturalista» presente nelle opere di Auguste Comte, nell’evoluzionismo di Spencer e negli studi di Haeckel, il carattere pragmatico delle teorie di William James sono colpevoli di valutare il fenomeno religioso alla luce di elementi empirici61. Anche il criticismo, restringendo la sfera del conoscibile al cerchio delle rappresentazioni sensibili, non fa altro che avvalorare l’impostazione immanentista, e dunque psicologista della religione62.
60
Cfr. Hering, pp. 12-13.
61 Cfr. N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 29.
62 Cfr. Hering, p. 26, «aussi cette branche du criticisme, au lieu de briser l’etreinte du
28 Il teologo francese è attento a tenere distinti lo psicologismo dalla psicologia e l’ambito del «sociologismo» dalla sociologia. Quest’ultima, una volta circoscritta e resa consapevole dei suoi limiti, rimane una «science pleine d’avenir»63, mentre lo sconfinare della ricerca di Durkheim, di cui è citato in modo particolare Les Formes élémentaires de la Vie religieuse64, inaugura una visione relativista del culto, come «insieme di emozioni collettive» e di stati d’animo di cui sarebbe responsabile in primo luogo la società65.
Per arginare la deriva della filosofia religiosa, lasciata in balia di scienze induttive, è chiamata in causa la fenomenologia di Husserl, ancora una volta elogiata per l’intento rigoroso e a-dogmatico, «trop jeune et trop impétuex» per sedimentare le idee in una dottrina statica: essa può fare leva su una «patience méthodique et une clairvoyance philosophique peu communes»66. L’intento di Hering è quello «de faire revivre [...] les intuitions profondes des phénoménologues [...] et de montrer [...] les influences essentielle que leur manière de philosopher pourra exercer sur la philosophie religieuse»67.
L’analisi del teologo francese si fonda sul concetto di intuizione eidetica: la riduzione husserliana può servire a delimitare il campo specifico della filosofia religiosa, che è invitata a sottoporsi al procedimento fenomenologico, al «feu de l’epreuve intuitive»68, mettendo da parte le
63 Hering, p. 18.
64 Hering, p. 19. «D’une manière plus particulière nous désignons par sociologisme religieux la
vision de la religion que nous donnent E. Durkheim et ses disciples». Le altre opere di Durkheim citate, oltre a Les Formes élémentaires de la vie religieuse, Alcan, Paris 1912, sono Les Règles de
la méthode sociologique, Alcan, Paris 1895, e La Division du travail social, Alcan, Paris 1893. 65
Ibid.
66 Hering, p. 33. 67 Hering, p. XI 68 Hering, p. 41.
29 contingenze per approdare a strutture invariabili che non sono né di ordine sensibile, né di ordine metafisico.
Nello studio si mette in luce «comment la phénoménologie initie une nouvelle manière de concevoir la philosophie de la religion qui, loin de conduire à un état d’âme, entend examiner la structure intentionnelle des actes et des objets que vise, singulièrement, la conscience religieuse»69.
L’«a priori religioso» che si ricava attraverso l’esercizio dell’epistemologia di Husserl non è frutto di induzione, né di deduzioni metafisiche, non risiede nell’elemento psichico, né negli atti sociali. La filosofia eidetica della religione, nata dall’applicazione del nuovo metodo, non ha lo scopo di enumerare le singole pratiche di fede, né di dare una prova dell’esistenza di Dio, ma deve poter rendere conto del modo in cui il divino si manifesta alla coscienza.
Grazie a questo procedimento, l’esperienza del «numinoso» descritta da Otto e da Simmel potrebbe essere fissata in maniera inequivocabile, evitando quella «hétérogénéité déconcertante des objets»70 causata da un proliferare di teorie diverse intorno alla natura del sacro. Il nuovo approccio prevede la messa tra parentesi delle incarnazioni accidentali del culto e l’approdo al religioso «in sé».
Un esempio di attuazione concreta lo si ritrova nel testo di Hering, dove si affrontano i modi diversi di comprendere il tema teologico del perdono71: per
69 N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 27.
70 Hering, p. 97. Il «numinoso» del filosofo della religione R. Otto, è caratterizzato da due
elementi: il tremendum e il fascinans, motivo di orrore e di attrazione; la sua opera Il sacro (1917) interpreta il fenomeno religioso come sentimento irrazionale, mentre in Simmel prevale una concezione della religione come prodotto sociale e culturale.
30 inquadrare il problema della «rinascita spirituale del peccatore» e farne l’oggetto di uno studio scientifico, lo psicologo empirista interrogherà il maggior numero di individui su questa determinata esperienza religiosa, l’etnografo andrà a ricercarne la legittimità presso le tribù primitive, il sociologo rintraccerà le sue radici nella società, mentre il fenomenologo preferirà dedicarsi allo studio intuitivo delle essenze, perché sarà il contenuto ideale dell’atto del pentimento-perdono e la conoscenza dei suoi aspetti intenzionali a consentirgli di distinguere, dati i casi empirici, una contrizione sincera da una finta e superficiale. Il fenomenologo, rispetto agli altri studiosi, sarà capace di formulare una legge generale sulla questione teologica, affermando in modo pienamente rigoroso, ad esempio, la necessità di un pentimento a monte della rinascita, e l’impossibilità di un atto di contrizione autentico senza la volontà cosciente di non peccare72.
L’esperienza religiosa è dunque tradotta in termini fenomenologici. È inevitabile constatare quanto sia distante da questo orizzonte il pensiero maturo di Emmanuel Lévinas. Anche laddove nella sua opera si parla di essenza a proposito del divino, quando si ammette, ad esempio, che esso è essenzialmente «il Dio dei poveri e della giustizia»73, non si prendono in prestito categorie husserliane, e laddove vi è una riduzione del rapporto Dio-uomo all’etico74, non si tratta di una riduzione fenomenologica.
72 Cfr. Hering, p. 108.
73 Scrive Lévinas : «dire qu’il est le Dieu des pauvres ou le Dieu de la justice, c’est se prononcer
non pas sur ses attributs, mais sur son essence», in Les imprévus de l’histoire, op. cit., p. 182.
74 «La vraie corrélation entre l’homme et Dieu dépend d’une relation d’homme à homme», in EI,
31 Com’è noto, il nostro autore, nella fase culminante del suo percorso, prende le distanze dall’epistemologia di Husserl, che gli sembra valutare ogni relazione esclusivamente dal punto di vista della conoscenza.
Sarebbe interessante considerare l’opera di Hering come l’esempio di quella concezione intellettualistica, da cui Lévinas si allontana, per cui ogni cosa, anche Dio, diviene comprensibile attraverso il pensiero filosofico; come scrive Monseau, «Hering affirme le caractère et les éléments proprement cognitifs de la religion»75.
Al contrario, in Totalità e infinito, la nudità del volto, «il luogo della verità metafisica», indispensabile al rapporto con il divino76, è ciò che non si può definire nella logica del significante e del significato, un «faccia a faccia» che «resta situazione ultima»77, come esprime bene la seguente frase di Stirner: «si dice di Dio: “Nessun nome può nominarti”. Ciò vale per me: nessun concetto mi esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi esaurisce: sono solo nomi»78.
Nelle interviste di Etica e infinito il nostro filosofo manifesta la sua perplessità nel trattare la verità etica e metafisica attraverso il linguaggio husserliano: «non so se si può parlare di fenomenologia del volto perché la
75 N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 61. 76
E. Lévinas, Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Nijhoff, La Haye 1961, Le Livre de Poche, Paris 1990, tr. it. Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, a cura di A. Dall’Asta, con introd. di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1980, 2006, p. 77; d’ora in poi TI.
77 TI, p. 79.
78Cit. in S. Petrosino, La fenomenologia dell’unico. Le tesi di Lévinas, in TI, p. XV. La frase di M.
Stirner si trova in: L’unico e la sua proprietà, Adelfi, Milano 1979, pp. 380-381. Anche in Lévinas si leggono commenti simili a proposito dell’ineffabilità di Dio: «la parola Dio è unica», scrive il nostro autore, «essa è infatti la sola parola che non spegne o non soffoca o non assorbe il proprio Dire. Non è che una parola, ma sconvolge la semantica. La gloria si rinchiude in una parola, in essa si fa essere, ma già disfa la sua dimora», in E. Lévinas, Dieu, la mort et le temps, Grasset, Paris 1993, tr. it. Dio, la morte e il tempo, a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1996, p. 275; d’ora in poi DMT.
32 fenomenologia descrive ciò che appare»79, mentre il volto non ha questo modo di manifestarsi. «Il volto», scrive Perego, è un «concetto regolativo» che «dimostra l’inadeguatezza di ogni registro fenomenologico. Non è possibile una fenomenologia del volto», in quanto esso «eccede sempre la sua possibilità di essere un correlato oggettivo»80. L’Altro «non è mai un “qualcosa” e neanche un fenomeno»81, non si rivolge né alla percezione né alla conoscenza; è «radicalmente estraneo a ogni apparire. Per Lévinas apparire significa essere presente, essere sottomesso allo sguardo e all’apprensione del Medesimo. Di conseguenza il apparire, la non-manifestazione, l’invisibilità vengono considerati come la dimensione dell’alterità»82. Il paradosso consiste nell’elevare questa «non-esperienza» ad esperienza assoluta.
«A dire il vero», scrive l’autore, «solo Dio è una metafora sufficiente per dire la s-proporzione. Essa sarebbe pensata da un di fuori che non è quello del mondo, da un di fuori non spaziale»83. La trascendenza è, per il Lévinas maturo, la vera misura della ricerca filosofica; l’infinito, l’incontenibile, l’irrappresentabile, che si pongono al di là dell’io e del concetto, pur essendo emblemi del divino, partono dall’umano: «come è possibile trovare un’esteriorità non spaziale» nel mondo in cui viviamo? La domanda trova
79 EI, p. 89.
80 V. Perego, La fenomenologia francese tra metafisica e teologia, Vita e Pensiero, Milano 2004,
p. 72.
81 Ibid. 82 Ivi, p. 71. 83 DMT, p. 229.
33 risposta nell’etica: «è possibile solo all’interno di un movimento che va verso l’altro uomo, e che è di colpo, responsabilità»84.
La trascendenza esaltata da Lévinas è una cura contro il narcisismo e l’idolatria: il totalmente Altro spodesta il primato del Sé; «l’io accostato come responsabilità è denudato, esposto all’affezione e più aperto di ogni apertura», poiché «aperto sull’altro che egli non contiene»85. «Il fondamento della socialità» consiste nella «distrazione da sé», nell’«interruzione del perseverare nel proprio essere»86. Strappato a se stesso, il soggetto è in grado di considerare anche il sacro come alterità: la fede è lo sradicamento a cui l’individuo si consegna nella libertà, l’accettazione di una volontà divina che non si costruisce a immagine dell’uomo.
L’idea del sacrificio del sé in vista di un’Altro è presente nella preghiera di Simon Weil che il nostro filosofo cita nella sua opera: «Padre (...) strappa da me questo corpo e quest’anima (...) per farne cose tue e di me non lasciar sussistere eternamente che questo strappare stesso»87.
Come sostiene Faessler nel saggio Dieu, Autrement, l’opera di Lévinas ha due versanti diversi: l’uno riguarda la filosofia pura, l’altro i commentari talmudici e midrascici. Il legame di questi saperi non è apologetico e non vi sono contaminazioni teoriche, come avviene in Hering: non si richiede che la filosofia sia al servizio della teologia, né l’inverso, semplicemente le due
84 DMT, p. 232. 85 DMT, p. 219. 86 EI, p. 37. 87
AE, p. 174. Lévinas utilizza i verbi «se livrer, se consumer, s’exiler» per esprimere la condizione dell’io assoggettato all’Altro e prende in prestito da Simon Weil il termine «arrachement à soi»: «Père, arrache de moi ce corps et cette âme pour en faire des choses à toi et ne laisse subsister de moi éternellement que cet arrachement lui même».
34 prospettive condividono certe corrispondenze, «certaines résonances communes»88.
Ma, ritornando alla fase iniziale della riflessione dell’autore, dove il primato etico non è ancora stabilito, la distanza tra il giovane filosofo e il teologo di Strasburgo si situa nella diversa interpretazione e applicazione del metodo di Husserl; partendo dagli stessi presupposti, Hering propone uno sviluppo teologico della fenomenologia, mentre Lévinas approda all’ontologia.
Nella sua recensione del saggio sulla Teoria dell’intuizione, Hering si mostra sospettoso nei confronti dell’analisi del filosofo lituano e non condivide la sua versione ontologica della teoria husserliana: «nous avouons être un peu inquiets au sujet de l’accueil que rencontrera sa thèse du primat de l’ontologie sur la phénoménologie dans la philosophie d’Husserl, thèse que Lévinas soutient d’un bout à l’autre de son bel ouvrage»89. Hering ritiene l’ontologia estranea o quantomeno non necessaria al corso del pensiero fenomenologico, un elemento secondario e non la vera conquista del nuovo metodo: il nostro autore, con la sua interpretazione, ha sovvertito le priorità husserliane, come viene ribadito subito dopo: «et ne risque-t-on pas, en tout cas, d’introduire dans la pensée de Husserl des préoccupations qui lui sont totalement étrangères?»90.
In Phénoménologie et philosophie religieuse, il teologo francese si era già espresso in modo esplicito a proposito dell’equivoco dell’ontologia,
88 M. Faessler, Dieu, Autrement, in Cahier de l’Herne, a cura di C. Chalier et M. Abensour, Ed. de
l’Herne, Paris 1991, p. 417. La risonanza comune consiste per l’autore in una «même manière de faire émerger les modalités de l’autrement dans la description phénoménologique et dans l’art du commentaire».
89 J. Hering, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», op. cit., p. 478. 90 Ibid., p. 479.
35 affermando che «l’objet “intentionnel” n’existe pas nécessairement au sens ontologique»91: l’intenzionalità non mette capo ad una verità che interpella l’essere, ma riguarda unicamente i rapporti interni alla coscienza. Egli ricorda che nel procedimento stesso dell’epoché, sono messi tra parentesi i fatti ontologici come se fossero inessenziali alla ricerca: «nous suspendons la position générale [du monde] qui est un caractère essentiel de l’attitude naturelle, nous mettons en parenthèse tout ce qu’elle embrasse en fait d’existence»92.
La domanda che si pone al centro del confronto tra Hering e il giovane Lévinas, riguarda, in sintesi, lo statuto della conoscenza e la definizione del sapere autentico: ci si chiede se esso debba essere fondato sull’essere dell’uomo. È un problema che si trova già tra le righe della filosofia husserliana e che coinvolge il pensiero di Heidegger. Secondo Ruggenini, il dibattito sulla questione ontologica si scontra inevitabilmente con la cifra dell’idealismo di Husserl: il filosofo tedesco, nel descrivere la soggettività, «non è riuscito a guadagnare una perfetta chiarezza sul rapporto tra io empirico e Io trascendentale» e, in questo modo, ha generato «fraintendimenti ed equivoci»93.
Quando si parla di ontologia in Husserl, essa corrisponde sempre ad una ontologia idealistica che «prescrive la forma di ogni senso d’essere, alla quale
91 Hering, p. 62.
92 Hering, p. 63. La citazione riportata è ripresa da Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologischen Philosophie, «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische
Forschung», I, Halle, 1913, p. 56-57.
93 M. Ruggenini, Verità e soggettività. L’idealismo fenomenologico di Edmund Husserl, Fiorini,
36 devono essere vincolati tutti i problemi ontologici che è possibile pensare»94. L’essere, in questo contesto, è relegato nella sfera del possibile, come «ciò che il soggetto pone in tutte le forme possibili della sua vita di coscienza (conoscenza, volontà, affettività, attività pratica)»95 e rimane quindi, separato dall’essere reale.
Scrive ancora Ruggenini: è «contro le intenzioni di Husserl» dire che «la fenomenologia sembra impegnata fondamentalmente a chiarire il significato essenziale dell’uomo», perché «in realtà ciò che sta a cuore alla fenomenologia non è in primo luogo l’umanità, ma quella verità che per essa è custodita nella misura in cui è portato alla luce il valore trascendentale della soggettività [...]; non è dunque l’uomo che dispone della verità, ma è la verità che chiama l’uomo al suo compito»96.
Nelle prime opere, Lévinas non critica ancora in modo esplicito questo lato idealistico della filosofia di Husserl, ma riesce a sopperire al suo carattere astratto, accogliendo la fatticità di Heidegger, che tende a interpretare la vita nei suoi caratteri effettivi, l’Esserci, «l’ente che noi stessi sempre siamo»97, nel suo stato temporale e in divenire, contraddistinto dalla possibilità e dalla scelta, come «ciò che c’è e ha da essere»98.
94 La citazione di Ruggenini è riportata da Husserl, Erste Philosophie. Erster Teil. Kritische Ideengeschichte. (1923-1924), Editore R. Boehm, M. Nijhoff, Den Haag 1956, p. 185. Ruggenini
ricorda che per Husserl «tutte le ontologie filosofiche sono ontologie idealistico-trascendentali: tutte le regioni degli onta sono regioni di onta, che secondo la chiarificazione filosofico-trascendentale del loro reale senso d’essere sono idealità trascendentali, unità costituite nella soggettività trascendentale».
95 Ivi, p. 186. 96 Ivi, p. 158. 97 ET, § 2, p. 19. 98
Cfr. Glossario, ET, pp. 592-3. La fatticità (Faktizität) è valorizzata nel suo carattere temporale e individuale. La costituzione ontologica della vita, secondo Heidegger, è da sempre consegnata all’uomo, non come qualcosa di statico e concluso, ma come «progetto» (Entwurf) che apre la dimensione del «poter essere».
37 Sulla scorta del filosofo di Essere e Tempo, che considerava «il problema dell'essere il pungolo di ogni ricerca scientifica»99, il nostro autore vede nell’ontologia la realizzazione concreta del problema della conoscenza: «comment la connaissance correspond à l’être», scrive Lévinas in un saggio giovanile su Heidegger, «voilà une forme plus profonde du problème de la connaissance»100.
3. Il primo studio su Husserl: la lettura «ontologica» della fenomenologia
Nel 1929 Lévinas pubblica sulla Revue Philosophique de la France et de l’Étranger un articolo intitolato Sur les «Ideen» de M. E. Husserl, con lo scopo di «reproduire les idées essentielles de ce livre qui a exercé et qui exerce encore une influence capitale sur la philosophie allemande»101. Si tratta di un’analisi puntuale del contenuto delle Ideen, che non aggiunge niente al pensiero del filosofo tedesco e che non lasciò particolari tracce nella sua ricezione. Infatti, quando si menziona la «prima grande opera dedicata in Francia al pensiero husserliano nella sua totalità»102, secondo le parole di Derrida, il riferimento è a un altro scritto di Lévinas: alla sua tesi di dottorato, pubblicata nel 1930 con il titolo La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl.
99 ET, p. 72.
100 E. Levinas, Martin Heidegger et l’ontologie, «Revue philosophique de la France et de
l’Étranger», n. 5-6, mai-juin 1932, p. 396.
101 E. Lévinas, Sur les «Idéén» de M. E. Husserl, «Revue philosophique de la France et de
l’Étranger», n. 3-4, mars-avril 1929, p. 230.
38 Derrida celebra il valore di «questo libro prodigioso» che, come scrive, «fu per me, come per molti altri prima di me, la prima e la miglior guida»103. Anche Ricoeur formula un giudizio simile: «non potrei dimenticare il mio primo incontro approfondito con Husserl: fu leggendo la Teoria dell’intuizione di Emmanuel Lévinas. Questo libro fondava, puramente e semplicemente, gli studi husserliani in Francia»104. La stessa opera si può collocare alla base della formazione filosofica di Sartre105 e di tutti gli intellettuali francesi che si confrontavano in quegli anni con la fenomenologia.
Lévinas era consapevole della novità rappresentata dal suo scritto e sapeva di consegnare ai lettori un argomento quasi inedito: «questo lavoro, che espone un aspetto particolare della filosofia fenomenologica, non presuppone tuttavia questa filosofia come conosciuta. Ad eccezione dell’importante lavoro di J. Hering, Husserl non è stato ancora studiato in Francia»106.
Si è già accennato alla recensione del teologo francese alla Teoria dell’intuizione: pur apprezzando l’opera per la chiarezza dell’esposizione e per l’intento divulgativo, Hering non risparmiava al testo la malcelata accusa di «originalità» e di «marginalità». Le perplessità riguardavano la tendenza di Lévinas a indugiare su un aspetto secondario della filosofia di Husserl, travalicando, se non addirittura «travisando», le intenzioni del pensatore tedesco, come faceva notare il critico, complimentandosi ironicamente con il
103 Id., Adieu à Emmanuel Lévinas, op. cit., p. 65.
104 Trad. it. di S. Petrosino, da Il maggior stupore, in THI, p. XV. Le parole di Ricoeur sono
riportate da L’originaire de la question-en-retour dans la “Krisis” de Husserl, in AA. VV, Textes
pour Emmanuel Lévinas, Jean-Michel Place, Paris 1980, p. 167.
105 Cfr. S. de Beauvoir, La force de l’âge, Gallimard, Paris 1960, pp. 141-142. 106 THI, p. 1.
39 giovane filosofo «d’avoir tenté sa démarche hardie et originale, ne serait-ce que pour éprouver sa vertu de clarifier certaines pages des “Idées” qui se sont refusées à livrer leur mystère à la plupart des lecteurs»107.
L’altra obiezione che il teologo rivolgeva a Lévinas era la presenza di risonanze heideggeriane nella sua lettura di Husserl; un orientamento di cui il nostro autore non aveva fatto mistero, fin dall’Introduzione:
Non temiamo di tener conto dei problemi che si pongono i filosofi discepoli del nostro autore e, in particolare, Heidegger, la cui influenza su questo libro è facilmente riconoscibile. Accentuando certe aporie, sollevando certi problemi, precisando certe opinioni e opponendosi ad altre, l’intensa vita filosofica che anima la filosofia di Heidegger, permette talvolta di precisare i contorni della filosofia di Husserl108.
Nella Prefazione alla Teoria dell’intuizione è espresso il bisogno di enunciare i contenuti del pensiero husserliano in modo obiettivo; scrive Lévinas: «ci sentiamo obbligati ad esporre la dottrina fenomenologica generale nel modo più imparziale possibile e di separare nettamente la dottrina dall’interpretazione»109.
Data una simile promessa di fedeltà ad Husserl, può sembrare contraddittoria l’idea di voler «precisare i contorni» della sua dottrina, attraverso l’interpretazione heideggeriana. È una prospettiva che si comprende solo se si considera che Essere e Tempo non era relegato da Lévinas al livello
107 J. Hering, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», op. cit., p. 480. 108 THI, p. 10.
40 di una delle tante interpretazioni di Husserl, ma costituiva l’attuazione più profonda della sua fenomenologia.
Il nostro autore non poneva i due filosofi su linee interpretative diverse: riteneva la fenomenologia una scienza in continua evoluzione, capace di trasformarsi e di assumere forme nuove. Condivideva in questo l’ottimismo di Hering, che dal canto suo, aveva progettato di mettere a frutto l’inesauribile fecondità del metodo husserliano per costruire una filosofia della religione dalle fondamenta più solide. Agli occhi di Lévinas e dei fenomenologi francesi, il movimento importato dalla Germania era una «filosofia vivente», che non aveva ancora dispiegato del tutto le sue potenzialità. «L’ultima parola sulla filosofia di Husserl» non poteva ancora essere espressa110, e non stupiva che potesse essere Heidegger a rilanciare il senso della dottrina.
Secondo il parere di Lévinas, ciò che consentiva il passaggio del testimone da un filosofo all’altro era l’ontologia: «ci sembra che il problema che qui pone la fenomenologia trascendentale si orienti verso un problema ontologico, nel senso specifico che Heidegger attribuisce a tale termine»111.
Il ruolo attribuito all’autore di Essere e Tempo era determinante: «la conoscenza del punto di partenza di quest’ultimo ci permetterà forse di comprendere il punto di arrivo di Husserl»112. Il significato della fenomenologia poteva, allora, essere compreso grazie all’incipit filosofico di Heidegger.
Lévinas non aveva intenzione di tornare, con il suo richiamo all’«essere», a una disciplina empirica: egli ricorda più volte lo scarto tra «lo studio
110 THI, p. 9. 111 THI, p. 10 112 Ibid..
41 dell’essere e lo studio del senso dell’essere o ontologia»113, consapevole che «la scienza del “senso dell’essere” non è identica alla conoscenza delle sue proprietà, che essa è in qualche modo a priori [...], e che essa ha una dignità speciale»114. L’intento del nostro filosofo coincide con quello proposto da Heidegger, il quale, in una lettera del 1927 indirizzata a Husserl, definisce lo scopo dell’interpretazione ontologica della fenomenologia:
Qual è il modo d’essere dell’essente nel quale si costituisce il “mondo”? Questo è il problema centrale di Essere e Tempo, cioè un’ontologia fondamentale dell’esserci (Dasein). Bisogna mostrare che il modo d’esserci dell’essere umano è totalmente diverso da quello di ogni altro essente e che esso in quanto tale è quello che porta appunto in sé la possibilità della costituzione trascendentale115.
La stessa esigenza anima la ricerca giovanile di Lévinas: lo scopo è quello di portare alla luce l’essere dell’uomo, ed è un passo che deve essere compiuto dalla e all’interno della fenomenologia.
Nel primo capitolo della Teoria dell’intuizione, il filosofo lituano prende le distanze dalle scienze empiriche, così come aveva fatto Hering, ma non per screditarle dal punto di vista epistemologico, bensì per dimostrare che esse non permettono un’adeguata visione ontologica. «Ci siamo chiesti», scrive
113 Ibid. 114
THI, p. 8.
115 Trad. it. di V. Costa, Husserl, op.cit., p. 212. La citazione è da Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen 1925, Husserliana, Bd. IX, a cura di W. Biemel, Nijhoff, Den Haag