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Il ruolo del sangue nell'iconografia della dea Chinnamastā

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Academic year: 2021

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Mantua Humanistic Studies

Volume XII

UNIVERSITAS STUDIORUM Edited by Riccardo Roni

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is shared for free in “Gold Open Access” – and fully indexed – on Google Books database. Moreover, traditional paper copies are available for purchasing at major booksellers. Peer-reviewing process for MHS is operated on each proposed essay, and can be conduct-ed by members of Publisher’s Scientific Committee or by external reviewers. Every single Author accepts his own full responsability for the originality and paternity of the published text. Accepted topics of MHS include the whole field of Humanities, and namely: An-thropology, Archaeology, Arts (Visual Arts, Architecture), Classics, Philology, Philosophy, Law and Politics, Linguistics, Literature, Sociology, Economics. Corrispondent scientific classification in Italy covers the following fields (cf. D.M. 855/2015): Area 10 “Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche”; Area 11 “Scienze storiche, filoso-fiche, pedagogiche, psicologiche”; Area 12 “Scienze giuridiche”; Area 13 “Scienze economi-che e statistieconomi-che”; Area 14“Scienze politieconomi-che e sociali”.

International Scientific Committee:

Edoardo Scarpanti (Direttore), Accademia Nazionale Virgiliana Paolo Carpeggiani, Politecnico di Milano

Sarah Cockram, University of Edimburgh, U.K. Alberto Grandi, Università degli Studi di Parma Beatrice Nicolini, Università Cattolica del Sacro Cuore

Luisa Mucciante †, Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara Riccardo Roni, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Donald C. Sanders, Samford University, Birmingham (AL), U.S.A. © 2020, Universitas Studiorum S.r.l. - Casa Editrice

via Sottoriva, 9 - 46100 Mantova (MN) P. IVA 02346110204

www.universitas-studiorum.it Progettazione grafica di Collana: Ilari Anderlini, Art Director

Foto in copertina: Veduta di San Benedetto Po © CC BY-ND 2.0, Luigi Diego Di Donna (2019) Impaginazione e redazione:

Luigi Diego Di Donna

Prima edizione nella Collana “Mantua Humanistic Studies” ottobre 2020 Finito di stampare nell’ottobre 2020

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Summary

Il delicato bilanciamento tra esigenze securitarie relative alle donne autrici di reati ostativi e la tutela della salute psichico-fisica dei bambini ultradecenni portatori di handicap totalmente invalidanti 5

Giovanni Chiola

The trap of perception.

The reduction of the moral cost in institutional communication

on the government’s migration policies Conte I 31

Daniele Ungaro

L’islam contro gli islamisti.

Reazioni musulmane alle rivendicazioni del cosiddetto “Stato islamico” 61

Paola Pizzo

L’intreccio tra religione e politica in Egitto da Nasser a Mubarak 95

Paola Pizzo

Violenza di genere nell’era multimediale 137

Maria Grazia Ferrari

Dalla diglossia al bilinguismo.

Lingua creola e francese in Case à Chine di Raphaël Confiant 151

Antonio Gurrieri

Il dibattito storiografico sulla congiuntura del Trecento

e la Peste Nera del ’48 169

Luciana Petracca

The palm and pomegranate. Post-normal science and land policies.

The case of the Trans Adriatic Pipeline (TAP) 205

Daniele Ungaro

Quantitativ-qualitative Exploration von Diskursmerkmalen

und crosslingualen Aspekten 229

Iris Jammernegg

Considerazioni sulla prospettiva di Pomponio Gaurico 259

Stefano Marconi

Lingue straniere nella scuola dell’infanzia: situazione e prospettive 281

Antonio Castorina

Historical Fragments Preserved by the Indirect Tradition:

Some Evaluations from Theory to Practice 299

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Mushishi: ricreare l’armonia fra uomini, spiriti e natura in un manga 317

Slvia Rivadossi

Il ruolo del sangue nell’iconografia della dea Chinnamastā 337

Camilla Cibele

Overview of privacy and data protection framework in EU law 355

Laman Yusifova

Diritti patrimoniali e diritti morali nel diritto d’autore.

Sul commento civilistico della legge n. 633 del 1941, tra normativa

interna ed europea, a distanza di quasi ottant’anni dall’entrata in vigore 393

Fabrizio Cesareo

La capacità contributiva quale caposaldo di equità,

ugualianza e dignità dell’uomo 423

Daniela Lafratta

A Linguistic Semantic Text-Mining for Multiword Units 445

Alberto Postiglione, Mario Monteleone

Is the Sentence ‘What I Am Hereby Asserting Is True’ Meaningful?

Philosophical Logic Matters 461

Stefano Colloca

Angela da Foligno y Elisabeth de Hungría en el Floreto de Sant Francisco [Sevilla 1492] y en la librería de Isabel la Católica (1451-1504) 477

Juana Maria Arcelus Ulibarrena

La pesca delle oloturie come specie protetta

tra principio di precauzione e responsabilità 515

Fabrizio Cesareo

The Reality of Consciousness and Its Logical Intermittences:

from Hegel to Bergson 529

Riccardo Roni

Nietzsche und die Dekonstruktion von Identitäten:

Die „Freigeister“ in den interkulturellen Gesellschaften 563

Riccardo Roni

Il movimento liturgico e l’eredità del modernismo

nelle pagine della Rivista del clero italiano 595

Luca Barbaini

Musica sacra e riforma della Chiesa in Raffaele Casimiri 615

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Il ruolo del sangue

nell’iconografia della dea Chinnamastā

Camilla Cibele Università degli Studi di Torino

Abstract

Chinnamastā (whose name literally means ‘the one whose head is severed’) is an Indian terrific goddess, very popular in tantrism. She is always de-picted holding her own severed head in the left hand (head that she has severed by herself), while drinking one of the three streams of blood, flow-ing out her mutilated body. Sometimes she is flanked by two female atten-dants, who are drinking the other two blood streams. Self-decapitation and drinking one’s own blood are the key elements of Chinnamastā iconogra-phy: in the Indian context, there is not, as far as we know, another goddess with these peculiar characteristics. In this paper, I will briefly analyse blood imagery in the iconography and worship of the Goddess Chinnamastā.

Keywords: indian art, chinnamastā, blood imagery, worship rituals, in-dian anthropology.

I pay homage to the goddess Śrī Chinnamastā, while she is standing in the middle of the solar disk. [The goddess] is holding in her left hand her own severed head, [which has] dishevelled curly hair [and] the mouth wide open [and] that is drinking the blood [that drips from her] throat. She is standing on Rati e Smara, who are engaged in a sexual intercourse. [Chinnamastā] is seen, full of delight, [stand-ing] between her own two attendants Ḍākinī and Varṇinī”.1

Chinnamastā è una divinità dalla natura complessa e ancora oggi, per molti aspetti, sconosciuta. La segretezza del culto, 1. Mantramahodadhi 6.1-40a: “dhyānavarṇaṃ || bhāsvanmaṇḍalamadhyagāṃ

nijaśiraśchinnaṃ vikīrṇālakaṃ | sphārāsyaṃ prapibad galāt svarudhiraṃ

vāme kare bibhratīṃ || yābhāsaktaratismaroparigatāṃ sakhyau nije ḍākinī | varṇinyai paridṛśya modakalitāṃ śrīchinnamastāṃ bhaje || 6 ||”.

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la sua scarsa diffusione, e soprattutto il suo carattere terrifico rendono lo studio dettagliato sulla dea molto complesso. Chinnamastā fa parte delle Mahāvidyā, un gruppo di die-ci divinità femminili, molto popolari nel tantrismo.2 Queste

dee sono considerate delle manifestazioni di una dea suprema Mahādevī, che crea e pervade tutto. Il gruppo comprende dee molto popolari in India e con un culto antico e ben sviluppa-to, come Kālī, Tārā e Kamalā (Lakṣmī) e altre, invece, poco co-nosciute al di fuori del gruppo, come la stessa Chinnamastā.3

Il culto delle Mahāvidyā non è molto popolare e il numero di templi dedicati alle dee è ridotto e, in molti casi, esse sono associate ad una divinità principale, come, ad esempio la dea 2. Il fenomeno tantrico è molto complesso e difficile da spiegare, soprattutto in questa sede, per cui rimando a Padoux 2011.

3. Le Mahāvidyā (Fig. 1) giocano un ruolo importante all’interno dello Śaktismo. Di solito in numero di dieci, sono praticamente forme differenti di una realtà femminile, trascendente e omnicomprensiva, chiamata Mahādevī (grande dea). Molti testi Śakta attestano che la realtà più alta è la Grande Dea e che questo essere di infinita grandezza si manifesta in varie forme, tra cui le Mahāvidyā. L’ordine delle Mahāvidyā riportato dalle fonti contemporanee è il seguente: Kālī (La Nera, La Divoratrice del tempo), Tārā (La dea che salva, guida e protegge), Tripurāsundarī (Ṣoḍaśī) (La dea che è bella nelle tre città), Bhuvaneśvarī (La dea il cui corpo è il mondo), Bhairavī (La feroce), Chinnamastā (La dea la cui testa è recisa), Dhūmāvatī (La dea che sta nel fumo; la dea vedova, la dea della morte), Bagalāmukhī (La dea che paralizza i nemici), Mātarigī (Mātaṅgī) (Il primo ministro di Lalītā), Kamalā (La dea fiore di loto). Questo ordine può variare, così come le divinità in esso incluse. La lista include sempre Kālī, Tārā, Chinnamastā, Bagalāmukhī, Tripurāsundarī, Dhūmāvatī, ma le altre possono essere escluse. Anche il numero delle Mahāvidyā può variare. Il Niruttara-Tantra (IX-XII secolo) ne nomina diciotto, il Narada-pāñcarātra (testo appartenente alla tradizione del

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

Durgā. Elementi macabri, legati all’immaginario della morte, come i luoghi di cremazione, i teschi e il sangue, sono impre-scindibili nella loro iconografia. Le Mahāvidyā sono associate, infatti, al mondo liminale, a ciò che esiste lontano dalla società e che, quindi, è considerato impuro e corrotto. Il contatto con questi elementi consente al devoto di comprendere come la realtà ultima sia priva di dualità e di raggiungere, dunque, la liberazione. Esse rappresentano diversi stadi della conoscenza che porta alla comprensione della realtà ultima e, quindi, al conseguimento del mokṣa (liberazione, appunto).

L’interpre-tazione della figura di Chinnamastā non può prescindere dalla sua appartenenza a questo gruppo di divinità.

Il culto della dea nella forma di Chinnamuṇḍā Vajrayoginī4

risale, probabilmente, al IX secolo. Questa tesi è la più accre-ditata e confermerebbe l’origine buddhista della dea. Secon-do la tradizione induista Chinnamastā è, invece, una forma terrifica della dea Pārvatī. L’elemento caratterizzante della sua iconografia è la testa mozzata. La dea è sempre raffigurata mentre reca nella mano sinistra la propria testa (che lei stessa ha reciso) e nell’altra il pugnale sacrificale (kartṛ). Dal suo corpo mutilato fuoriescono tre fiotti di sangue che sono be-vuti dalla dea e dalle sue due attendenti. Chinnamastā è, di solito, rappresentata stante sulla coppia divina, Rati e Kāma, che indugiano in un rapporto sessuale. (Fig. 1).5

4. Vajrayoginī è una delle principali divinità femminili nel buddhismo tantrico (Vajrayāna). Quando la dea è raffigurata con la propria testa recisa, è nota con il nome di ‘chinnamuṇḍā’ (o ‘chinnamastā’) o ‘trikāyavajrayoginī’ (lett. ‘Vajrayoginī dalla triplice forma’). Per maggiori informazioni cfr. English 2002.

5. In questo senso è importante tener presente che il tantrismo considera le unioni sessuali come la più alta forma di estasi, in quanto attribuisce

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Uno degli aspetti più interessanti del suo culto è la presenza di sacrifici di sangue, compiuti duranti i rituali. Chinnama-stā fa parte di un gruppo di divinità, in genere femminili, che apprezzano questo tipo di sacrificio. Testimonianze dirette di questi rituali in epoca contemporanea sono praticamente inesistenti. Nonostante ciò, l’insistenza nell’arte induista di rappresentazioni di rituali di auto-decapitazione, in partico-lare, sembrerebbe confermare l’esistenza di sacrifici di sangue, quantomeno in passato. In un testo Tamil dell’undicesimo secolo, il Kaliṅkattu Paraṇi, è descritto un atto di

decapita-zione rituale in un tempio dedicato alla dea Kālī nell’India Meridionale (Nagaswamy 1982: 26):

Like the raring sound of ocean waves, the shouts of heroes offering their head in return for the bestowal of boons were echoing all over the place. […] the process of offering a head is portrayed. The sacrifi-cer cut his head at the bottom of the neck and placed it on the hands of Kālī. The head thus presented sang the greatness of Kālī while the remaining trunk stood saluting the Goddess.

Anche nella scultura Pallava (III-IX sec.) il tema dell’autode-capitazione è molto comune (Storm 2015; Fig. 2). Ancora, un’iscrizione del 991 a.C. nel distretto del Kannada, parla di un certo Katega, sottoposto del re, che ha offerto la sua testa alla dea Gundadabbe in cambio della nascita di un erede al trono (Kinsley 1997: 151). Nel testo epico Cilappatikāram (capitolo XII), la dea Aiyai, considerata un possibile proto-ad esse un valore spirituale. Sono tantissimi, infatti, i rituali estatici che prevedono l’unione sessuale tra i partecipanti dei due sessi, che, attraverso l’orgasmo, riescono ad identificarsi con le divinità. Anche le secrezioni sessuali sono considerate sacre e offerte come oblazioni alle divinità, prima di essere consumate. Cfr. Padoux 2011: 113-127; Rawson 1995: 83-101.

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

tipo della dea Chinnamastā, riceve in sacrificio il sangue che sgorga dalla testa recisa dei fedeli.

Molto frequenti nella tradizione induista erano i sacrifici di animali che comportavano l’uccisione della vittima attraver-so la decapitazione. Si tratta di sacrifici di sangue che, per la maggior parte, erano rivolti alle divinità femminili.

Nel rituale induista moderno sacrifici giornalieri di capre o galline, compiuti in onore di alcune dee (tra cui la stessa Chinnamastā), sono molto comuni. In tutti i casi la testa dell’animale è tagliata e offerta in sacrificio al simulacro della dea (Kinsley 1997: 151).

Il 31 gennaio 2017 Sanjay Nat, un trentaseienne del villaggio di Balihar, in Buxar, si sarebbe auto-immolato all’ingresso del garbhagṛha del tempio di Chinnamastā. Secondo le

te-stimonianze, l’uomo, dopo aver recitato diversi mantra, si sarebbe tagliato la gola utilizzando un coltello simile a quello con cui è rappresentata la dea.6 Si tratta del più recente caso

di sacrificio di sangue e di auto-immolazione in onore della dea Chinnamastā e rappresenta un’ulteriore prova a favore di questa tesi.

L’importanza del sangue nell’iconografia della dea Chinnamastā

Il sangue rappresenta un elemento imprescindibile della figu-ra di Chinnamastā.7

6. http://www.newscrunch.in/2017/01/man-slits-own-throat-dagger -famous-tantrik-temple-%E2%80%93-dies-ghastly-pool-blood.html (ultimo accesso 15/05/2017).

7. Mi preme sottolineare che come afferma Madhu Khanna (2000: 118), i tantra onorano sia la fisicità della donna che la sua energia, che si

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Uno dei primi riferimenti alle origini della dea lo troviamo all’interno del Prāṇatoṣiṇītantra (Benard 1994: 7-8), una

raccol-ta di testi raccol-tantrici. La storia sarebbe tratraccol-ta dal Nārada Pañcarātra. Un giorno Pārvatī si trova in riva al fiume Mandākinī (nei pressi di Haridvar, Uttar Pradesh) con le sue due attendenti Jayā e Vijayā. Dopo il bagno nel fiume la pelle della dea divie-ne divie-nera, per via dell’eccitamento sessuale. Le due attendenti chiedono più volte alla dea di nutrirle, ma Pārvatī continua a farle attendere. Alla fine, Jayā e Vijayā fanno leva sul senso materno della dea, definendola appunto ‘madre dell’univer-so’. A questo punto Pārvatī, sorridendo, recide la propria te-sta con le unghie. Una volta tagliata, la tete-sta finisce nella sua mano sinistra, mentre tre fiotti di sangue sgorgano dalla sua gola. Il fiotto centrale termina nella bocca della dea, mentre i restanti due nelle bocche delle due dee a destra e sinistra. Per questo atto Pārvatī è nota con il nome di Chinnamastā. Questo racconto sottolinea la pietà e il potere della dea, definita, ‘la madre dell’universo’, nel momento in cui nutre le due atten-denti con il suo sangue. Ciò che è interessante in questo mito è che la dea decide di nutrire le sue due attendenti, non con il latte materno, bensì con il proprio sangue, simbolo della vita. Sempre nel Prāṇatoṣiṇītantra è presente una storia simile,

pro-veniente dallo Svatantratantra. In questo caso è Śiva a raccon-tare l’episodio dell’apparizione di Chinnamastā, Tārā e Kālīkā. manifesta concretamente attraverso i liquidi corporei. In questo senso il sangue mestruale, di solito considerato un elemento impuro, diviene una naturale estensione del corpo della donna e quindi puro. Addirittura, nei tantra il periodo della mestruazione è visto come favorevole per compiere i rituali di unione, poiché durante questo periodo l’energia sessuale della donna è al massimo.

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

Durante il Kṛta Yuga (età dell’oro indiana) sul monte Kailasa

(una montagna sacra) Śiva e Pārvatī (in questo caso chiamata Mahāmāyā) sono impegnati in un rapporto sessuale. Prima che il dio possa emettere il liquido seminale, la dea appare feroce e dal suo corpo emergono due śaktis (o potenze) che diventano le sue due attendenti. Un giorno, mentre si trova-no in riva al fiume Puṣpabhadrā (probabilmente in Bengala

Occidentale) Ḍākinī e Varṇinī chiedono alla dea di dar loro del cibo. Dopo aver ascoltato le loro preghiere Caṇḍikā (un altro nome della dea) recide la propria testa. Dal collo reciso fuoriescono tre fiotti di sangue con i quali la dea nutre le due sue attendenti e sé stessa. Dopo aver giocato in questo modo, la dea ristora la propria testa e riassume la sua forma originale. Al tramonto ritorna a casa. Śiva, notando il pallore della dea, teme che ella possa essere stata abusata da un altro dio. Adirato assume una forma terrifica nota come Krodha Bhairava. Tutto ciò accade il giorno di Virarātri (lett. notte del coraggio), per cui Chinnamastā è nata durante questa notte.

Come appare evidente, la storia narrata nei due racconti è pressappoco la stessa, seppur nello Svatantratantra siano pre-senti molti più dettagli.

Sia nella storia del Nārada Pañcarātra che in quella dello

Svattratantra la dea viene descritta come sessualmente eccitata,

an-che se nel primo caso non viene specificato il perché. Inoltre, nel secondo racconto, si danno informazioni importanti circa l’e-mergere di Ḍākinī and Varṇinī, della forma terrifica del dio Śiva, Krodha Bhairava, e, ovviamente, di Chinnamastā stessa, dando anche delle coordinate temporali (durante la notte di Virarātri). Un terzo dettaglio importante presente nella seconda storia è il riferimento al concetto di līlā (lett. il gioco divino, gioco

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di bambino, apparenza, incantesimo o simulazione). La dea è descritta mentre guarda in tutte le direzioni e poi, sorriden-do, recide la propria testa. In questo senso ella pervade tutto e trascende lo spazio e il tempo, perché contemporaneamen-te si decapita e nutre sé scontemporaneamen-tessa e le due atcontemporaneamen-tendenti, distrugge e crea nello stesso momento. Chinnamastā dimostra il suo po-tere in questo modo, giocando, e senza subirne gli effetti, se non mostrando un lieve pallore. Sia H. Bhattacharya (1980) che P. Pal (1981) interpretano la storia del Nārada Pañcarātra come un sacrificio. Secondo il primo autore Chinnamastā rappresenterebbe il sacrificio incompleto di Dakṣa. “[…] sin-ce Śiva destroyed the sacrifisin-ce, the consort of Śiva, who is the nature of yajña (sacrifice), also has a severed head (chinnama-stā)” (Bhattacharya 1980: III, 326).

P. Pal, invece, ritiene che la dea simboleggi il sacrificio pri-mordiale e il rinnovo della creazione (Pal 1981: 82). Chin-namastā, sacrificando sé stessa e nutrendo con il suo sangue le sue due attendenti, resuscita o rigenera l’universo. L’autore considera la dea nient’altro che una manifestazione più san-guinaria della dea Śākhambarī e Annapūrṇā.8

Chinnamastā è al tempo stesso il sacrificante (poiché decapita sé stessa), il sacrificato (per via dell’atto di auto-decapitazione) e il destinatario del sacrificio (poiché beve il suo sangue). Un’altra caratteristica delle due storie sopra citate è l’insistere sulla relazione tra il mondo, il cibo e coloro che si nutrono. “Il mondo intero è soltanto cibo e il mangiatore di cibo”.9

Secondo E.A. Benard, nelle leggende su Chinnamastā, la dea 8. Entrambe dee del nutrimento e forme della dea Pārvatī.

9. “etāvad vā idaṃ sarvaṃ annaṃ caivānnādaśca” (the whole [world] is

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

è sia il cibo che chi si ciba e in questo senso simboleggia il mondo intero, che è divorato e divoratore al tempo stesso. Chinnamastā, dunque, rappresenta il mondo intero, nel suo processo di creazione, distruzione e rigenerazione.

Altre due versioni sull’origine di Chinnamastā sono trasmes-se oralmente e riportate da Kinsley (1997: 148-150).

[…] A third version was told to me by Rama Shankar Tripathi of the Kasī Visvanath temple in Varanasi, who said that it had been told to him by a friend of his who is a tantric sādhaka. In a war between the gods and demons, the gods realized they could not win, and so they prayed to Mahāśakti, the Great Goddess, for help. She was pleased with their prayer and asked Pracaṇḍacaṇḍikā to help them. After kil-ling all the demons, Pracaṇḍacaṇḍikā remained enraged and cut off her own head and drank her own blood.

[…] Swami Sadhananda Sastri, a śākta practioner in Varanasi, told me the fourth version. Chinnamastā appeared, he said, after the gods and demons churned the ocean. Chinnamastā took the demons’ sha-re of the sha-resulting amṛta (the nectar of immortality) and drank it

herself. Then she killed herself by cutting off her own head, to depri-ve the demons of their share of immortality. This is how she enabled the gods to achieve their superior position.

Chinnamastā, in questi due racconti orali, assume il ruolo di protettrice del mondo e di distruttrice di demoni. Nella terza storia, infatti, la dea è descritta come fuori controllo sul cam-po di battaglia, al punto da arrivare a recidere la propria testa. Anche in questo caso è presente il tema della dea che beve il sangue dei propri nemici e, intossicata, perde il controllo. In questa versione Chinnamastā è una figura complessa: è una guerriera potente e formidabile, che salva gli dei, ma, al tem-po stesso, è pericolosa. Quando la sua furia è liberata, essa diviene indiscriminata e distruttiva.

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Nella quarta versione, infine, il tema della dea che mantiene l’equilibrio cosmico, combattendo contro i demoni che lo minacciano, è centrale. In questo caso, la dea recide la pro-pria testa volontariamente, riprendendo il tema del sacrificio, di cui ho già accennato precedentemente.10

Il sangue come fluido vitale benefico

Tutte le meditazioni (o sādhana) descrivono la dea nell’atto di bere il fiotto di sangue che esce dalla propria gola.11

L’episodio del Devī Māhātmya (capitolo 8)12 che racconta la

battaglia tra Durgā e il demone Asura Raktabīja (lett. goccia di sangue), ci fornisce importanti informazioni su come in-terpretare il sangue in relazione a Chinnamastā.

Ogni volta che Durgā ferisce il demone e il suo sangue tocca terra, un altro Raktabīja appare. La dea chiede, dunque, a Kālī e alle altre sue manifestazioni terrifiche (mātṛkā, ecc.) di

aprire le proprie bocche e bere il sangue del demone, per evi-tare che esso cada al suolo. In questo modo la dea sconfigge il demone e a ristabilisce l’ordine del mondo.

10. Nei testi che raccontano l’origine di Chinnamuṇḍā Vajravārāhī o Chinnamuṇḍā Vajrayoginī, il tema del sacrificio e della dea che beve il proprio sangue, non è più presente. Questo potrebbe essere spiegato con il fatto che, nella tradizione buddhista, il sacrificio animale (e umano), e di conseguenza il sangue ad esso associato, era considerato inumano e inutile per il raggiungimento della liberazione.

11. Sādhanamālā 232: kabandhān niḥsṛtyāsṛgdhārā svamukhe praviśati, apare ubhayoḥ pārśvayoginyormukhe praviśati iti bhāvayet || ([The

practitioner] should imagine that the blood stream flowing from the headless trunk enters her [own] head, the other two enter into the mouth of the side yoginīs).

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

Secondo V.S. Agrawala (Benard 1994: 102) la dea, in questo mito, aprendo la propria bocca e bevendo il sangue, dimostra la propria abilità di trasformare una forza potenzialmente ne-gativa (rappresentata dall’asura Raktabīja) in una forza posi-tiva. Il sangue, essenza vitale dell’essere, in questo caso, ha il potere di essere distruttivo, ma può essere trasformato in un potere positivo grazie alla dea. Chinnamastā che beve il pro-prio sangue, quindi, simboleggia la trasformazione interiore di un’energia negativa in energia positiva.

Il sangue, come già detto, rappresenta la linfa vitale. Molti testi descrivono il desiderio degli dei di ottenere il fluido vitale; esso è parte del cielo e della terra; è una componente fondamentale nei sacrifici e può essere ‘trasformato’. Per i tantrici il risultato di questa trasformazione è l’amṛta, il nettare dell’immortalità. Per

ottenere questa trasformazione, il fedele deve praticare perfetta-mente il prāṇāyāma, la manipolazione dei soffi vitali presenti nel

corpo. Questo processo è simile in entrambe le pratiche tantri-che (induista e buddhista), seppur i risultati siano diversi. Nell’induismo ci sono cinque soffi vitali principali, noti col-lettivamente come prāṇā. Dei cinque, i due più importanti

sono prāṇa e apāna.13 Questi soffi passano attraverso i due

canali laterali (nāḍī), iḍā e piṅgalā, provocando la

respirazio-ne e portando la coscienza a concentrarsi sul mondo esterno. Il praticante deve imparare a trattenere il proprio respiro

(kum-bhaka) per impedire ai due soffi di attraversare i due canali.

Trat-tenendo il respiro, i soffi passano attraverso la suṣumṇā (il canale

principale), dalla base della schiena, dove la kuṇḍalinī (l’energia

cosmica nel nostro corpo), immaginata come un serpente fem-mina, dorme. A questo punto la kuṇḍalinī si risveglia, e, dopo

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una lunga e specifica pratica, ascende al sahasrara cakra (posto sopra la testa),14 che simboleggia l’essere supremo. Quando ciò

avviene, si ha l’unificazione con il Parātman (l’essere supremo, appunto) e, quindi, la liberazione. Nel caso di Chinnamastā il sangue che esce dai tre canali principali può essere interpretato come l’essenza vitale nella sua forma più pura, il prāṇa.

La dea beve il sangue che esce dal canale centrale, che può essere interpretato come amṛta. Chinnamastā ha raggiunto il

proprio obiettivo, la liberazione, attraverso il metodo tantrico del risveglio della kuṇḍalinī e dell’unione con il Parātman.

Nel buddhismo tantrico il processo è grossomodo lo stesso. I due canali, noti come lalanā e rasanā, sono a sinistra e a destra dell’avadhūtī (il canale principale). Essi cominciano dalle

nari-ci e si uniscono all’avadhūtī in corrispondenza dell’ombelico. Il

canale lalanā è bianco e rappresenta l’aspetto assoluto, l’aspetto corporeo, il polo oggettivo; è simboleggiato dalla luna. Il canale

rasanā è rosso e rappresenta l’aspetto relativo, il linguaggio, il

polo soggettivo; è simboleggiato dal sole. L’avadhūtī parte dal

perineo e attraversa tutta la colonna vertebrale fino alla testa, terminando tra le due sopracciglia.15 Come afferma Taranātha

14. Il sahasrara cakra o cakra della corona è uno dei sette cakra (o centri di ener-gia) principali presenti nel corpo umano, secondo diverse dottrine dello yoga. 15. Nel Trikāyavajrayoginīstotra (GSS27) la dea Vajrayoginī è descritta nel seguente modo: GSS27: hrīṃkāro madhyabhāge ’syāḥ pītavarṇaḥ

prakīrtitaḥ | (2cd) | tadbhavā pītavarṇā ca avadhūtyā<ṃ> ca svayaṃ sthitā | lalanāyāṃ tu suśyāmā. rasanāyāṃ ca gaurikā | (3) | pratyālīḍhapadā nagnā madhye pītamanoramā | trimārge saṃsthitā devī trikāyavajrayoginī

| (4) | seyaṃ nāmnā bhaved ekā sarvasaṃbuddhaḍākinī | (5ab). (The hrīṃ

in the middle of it [dharmodayā], is said to be yellow, and the yellow colored [one, i.e. Vajrayoginī] produced from [that] stands herself in the

(17)

Mantua Humanistic Studies Volume XII

(Benard 1994: 104) “After the three channels are severed, the white and the red drops are mixed in the central channel…”. Quando queste gocce si fondono e attraversano i canali si verifica l’esperienza della beatitudine. Attraverso questo pro-cesso viene eliminata la nozione di dualità che crea l’illusione di un io permanente e unico e si diviene liberi.

Sia nei sādhana induisti che in quelli buddhisti, Chinnama-stā è affiancata da due dee. La dea è immaginata come una sedicenne, quindi simbolo di maturità e completezza, mentre le due attendenti sono dodicenni, e simboleggiano, quindi, la fase di transizione tra l’immaturità e la maturità. I nomi delle due dee possono variare. Chinnamuṇḍā è di solito affiancata a sinistra dalla verde Vajravarṇinī e a destra dalla gialla Vajra-vairocanī. Nei sādhana induisti Chinnamastā è affiancata da Ḍākiṇī e Varṇinī. Ḍākiṇī è a sinistra, nera e spaventosa, mentre Varṇinī è a destra, rossa, sorridente e splendente.

Interessante è l’interpretazione della triade in relazione al sim-bolismo del sangue. Come già detto in precedenza, i tre fiotti di sangue che fuoriescono dal corpo della dea rappresentano le tre

nāḍī, che a loro volta sono simboleggiate dalle tre dee. In termini

buddhisti, il canale rasanā è associato con Vajravarṇinī, il cana-le lalanā con Vajravairocanī e l’avadhūti con Chinnamuṇḍā. In termini induisti invece, Ḍākiṇī è l’īḍā, Varṇinī la piṅgalā e

Chin-namastā la suṣumnā. Questa corrispondenza è confermata anche

dal modo in cui le tre dee sono posizionate: esse sono connesse tra di loro in corrispondenza dei piedi, così come i tre canali white one in the rasanā channel. The yellow beautiful woman in the middle in the pratyālīḍa stance [4] standing in the three paths is called

devī Trikāyavajrayoginī. This same (sā iyam) should be named the one Sarvasambuddhaḍākinī [5]) (English 2002: 100).

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sono connessi in corrispondenza del cakra dell’ombelico. Le due attendenti, inoltre, bevono il sangue della dea e in questo modo sono dipendenti da lei. Soltanto al momento della maturità esse potranno essere libere, così come i due canali laterali sono se-parati da quello centrale finchè lo yogin non sarà in grado di manipolare i soffi vitali presenti nel corpo.

In generale, le due dee rappresentano la persona spiritualmente ancora immatura, cioè non ancora liberata. Ciò è testimoniato dal fatto che esse bevono il sangue proveniente da Chinnamastā. Un’altra interpretazione interessante è stata proposta da Mi-sra (Benard 1994: 110). L’autore afferma che Varṇinī (o Yo-ginī) rappresenta il rajas guṇa, Ḍākiṇī (o Bhoginī) il tamas

guṇa e infine Chinnamastā il sattva guṇa.16 L’anima liberata

riconosce l’interconnessione tra i tre guṇa.17

In conclusione, la dea Chinnamastā rappresenta l’intercon-nessione tra la vita, la morte e il sesso. Bevendo il proprio sangue si nutre della morte e da essa è nutrita. La dea sacrifica sé stessa per il bene del mondo. Ella simboleggia sia il cibo che colui che si ciba. Diviene simbolo del ciclo continuo del-la vita e deldel-la morte. La dea è contemporaneamente morta e viva; è il sacrificato e il sacrificante, il cibo e colui che man-gia. Chinnamastā è la madre dell’universo, che sacrifica sé stessa per il bene del mondo e lo protegge (Fig. 3).

16. Nella filosofia Samkhya, un guṇa è una delle tre ‘qualità. Le tre qualità

sono: sattva (qualità dell’equilibrio, armonia, bontà, ecc.), rajas (la qualità della passione, dell’attività, del dinamismo) e tamas (qualità di squilibrio, disordine, violenza, ecc.). Nella filosofia indiana, queste qualità sono presenti in tutto in proporzioni diverse.]

17. Secondo La Dottrina della Vibrazione, all’interno dello Spandanirṇaya

di Kṣemarāja “that liberated soul recognizes that these three (guṇa) are

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Mantua Humanistic Studies Volume XII Riferimenti bibliografici

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Fig. 2. Durgā/Koṛṛavai riceve il sacrificio. Granito, Varaha Mandapam, Mamallapuran, Tamil Nadu, India. Periodo Pallava, VII secolo.

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Mantua Humanistic Studies Volume XII

Fig. 3. Chinnamastā su loto. Dipinto Khangra, Himachal Pradesh, XIX secolo.

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