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Conclusioni: alcune considerazioni sulla storia irachena

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Academic year: 2021

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Conclusioni: alcune considerazioni sulla storia

irachena

L’Iraq attuale si presenta come un paese alla deriva, che non ha alcuna speranza di potersi risollevare autonomamente.

Il lungo processo di frantumazione politica, economica e sociale del paese iniziò, a partire dal 1980, dalla scellerata decisione di attaccare l’Iran. Fu da questo momento in poi che il paese conobbe una discesa agli inferi senza fine. Il prolungato conflitto con l’Iran, la crisi economica a ridosso tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, l’invasione del Kuwait, le sanzioni (che portarono alla nuova pesantissima crisi economica), la guerra del 2003 ed il “tutti contro tutti” che si verificò non appena il conflitto convenzionale terminò, fecero piombare il paese nell’anarchia.

Tuttavia sarebbe riduttivo prendere in esame solamente gli ultimi trent’anni per comprendere il disastroso stato attuale del paese. Abbiamo bisogno di un ragionamento più ampio, che inizi dalla riflessione sull’inizio del Novecento e sulla decisione di fondere in un’unica nazione tre entità così diverse tra loro. L’artificialità del paese (creato ad hoc per gli interessi del colonialismo europeo) e la coesistenza forzata di un coacervo di interessi diversi e spesso antitetici sono infatti i principali responsabili del continuo stato di contrapposizione che ha contraddistinto tutta la storia irachena. A tutto ciò bisogna aggiungere un dettaglio di non poco conto, che spesso è stata un’arma a doppio taglio di numerosi paesi del Medio Oriente: il possesso di una quantità spropositata di petrolio, il bene che, se da una parte può costruire la fortuna del paese, dall’altra può attirare il pericoloso interesse dei paesi più sviluppati.

Il Mandato assegnato alla Gran Bretagna nel 1920 e l’unione delle province di Baghdad, Bassora e Mosul innescarono quell’orgia di violenza che ha caratterizzato tutta la storia dell’Iraq: iracheni contro britannici, sunniti contro sciiti, nazionalisti contro islamisti, centro contro periferia sono solo alcuni dei contrasti che nacquero e si sviluppano nel corso dei decenni. Dopo i britannici, che hanno pesantemente influenzato la vita politico-economica dell’Iraq, è stata la

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volta degli Stati Uniti, che hanno partecipato direttamente o indirettamente alle tre guerre che l’Iraq ha affrontato a partire dagli anni Ottanta.

Dunque, settarismo, violenza, petrolio, e controllo. Con queste quattro parole possiamo fare un notevole passo avanti nel cercare di comprendere le storia di questo paese. Il settarismo di chi di volta in volta è salito al potere e la violenza (usando l’antico ma sempre attuale metodo del “dividi et impera”) con il quale ha combattuto gli oppositori; la grande quantità di petrolio e la volontà da parte dei paesi occidentali di potersi accaparrare il bene così prezioso. Tutta la storia irachena si può leggere come una ripetizione ciclica degli avvenimenti che girano intorno a questi quattro termini.

Possiamo ripercorrere la storia del paese per averne la conferma.

Il colonialismo britannico, attore protagonista della storia dell’Iraq fin dalla sua nascita, mostrò fin da subito il suo lato peggiore reprimendo nel sangue le richieste di indipendenza politica degli iracheni: l’interesse principale era infatti il controllo del Golfo Persico e la via delle Indie, e, una volta scoperto il petrolio, assicurarsi grosse rendite dai giacimenti sparsi in tutto il paese.

Tuttavia, nonostante la fallita rivoluzione del 1920, l’Iraq riuscì ad ottenere l’indipendenza nel 1932, una sovranità formale con a capo re Faysal che permise però ai britannici di continuare ad essere i veri padroni del paese: i consiglieri, l’economia, la missione militare e l’influenza politica sul re erano ancora lì, a dimostrare quanto l’autodeterminazione ottenuta fosse effimera.

Queste certezze iniziarono ad incrinarsi a metà degli anni Trenta, quando si verificò il primo di una lunga serie di colpi di stato che posero in primo piano l’ascesa dell’esercito al potere politico, che sarebbe durata fino al ritorno dell’esercito britannico nel 1941, durante la seconda guerra mondiale. Con la vittoria, le truppe europee imposero il ritorno del reggente del re nel paese, con Faysal II che salì al trono nel 1953.

Tuttavia il potere del re ebbe vita breve poiché nel 1958 gli Ufficiali liberi, guidati dal generale ‘Abd al-Kharim Qassim e dal colonnello ‘Abd al-Salam ‘Arif, riuscirono a rovesciare la monarchia ed instaurare una repubblica. Qassim, dopo aver voltato faccia, iniziò una politica di esclusione di tutti i possibili oppositori (anche dello stesso ‘Arif), attirando a sé numerosi nemici, che nel giro di pochi anni, gli costarono il potere.

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Nel 1963 avvenne l’ennesimo colpo di stato, guidato da ufficiali nazionalisti arabi e baathisti, che però vennero presto estromessi dal potere da ‘Arif e dai suoi militari. Ma è nel 1968 che si verificò il vero spartiacque della storia irachena: con il colpo di stato, il golpe condotto da al-Bakr, il Ba’th riuscì a prendere definitivamente in mano il potere, estromettendo definitivamente chi non era del partito. Saddam Husayn venne scelto per governare il Consiglio del comando rivoluzionario e fu nominato vicepresidente.

Gli anni Sessanta e Settanta furono contraddistinti da una feroce lotta per il potere, dal cospirazionismo e dalla volontà dell’élite politica irachena di mantenere il controllo politico a tutti i costi, reprimendo nel sangue qualsiasi tentativo di salire al potere da parte della fazioni avverse. Sotto questo punto di vista Saddam Husayn, il più noto personaggio della storia irachena, non è altro che il prodotto della storia del paese e colui il quale è riuscito meglio di tutti ad usare queste armi: agendo inizialmente nell’ombra del più famoso al-Bakr, costituì pian piano quell’intreccio di alleanze, fiducia, appartenenza etnico-tribale e fedeltà clanica che in dieci anni gli permisero di estromettere tutti i possibili contendenti al potere e di mettere l’esercito al proprio servizio.

Tuttavia l’abilità mostrata da Saddam per conquistare il potere fu inversamente proporzionale rispetto a quella palesatasi nelle decisioni di politica estere: a partire dalla consacrazione definitiva del luglio 1979, infatti, il ra’is collezionò una serie impressionante di errori che hanno causato la terribile situazione attuale.

La decisione di attaccare l’Iran fu presa per la paura che la rivoluzione islamica potesse dilagare anche nello stato iracheno, creando di fatto una situazione esplosiva all’interno del paese (a maggioranza sciita); Saddam, spalleggiato dagli Stati Uniti (ancora in confusione per aver perso il punto di riferimento Pahlevi), decise di attaccare lo stato iraniano credendo in una guerra lampo. A dire il vero, l’idea di Saddam non era solo quella di sconfiggere l’islamismo persiano, ma anche imporsi nel caotico mondo mediorientale di quegli anni (attacco russo in Afghanistan, Accordi di Camp David) come potenza geopolitica in grado di influenzare i destini dell’area geografica.

Tuttavia l’andamento della guerra mostrò tutt’altra cosa, cioè che l’esercito iracheno non era in grado di sopraffare quello del vicino ed anzi, dopo poco, gli iracheni furono costretti sulla difensiva dalla grande contrattacco iraniano. Il

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regime di Saddam Husayn fu salvato dall’intervento economico-militare occidentale (USA, Francia, Gran Bretagna), che cambiò l’esito del conflitto. Probabilmente la fine più giusta, che avrebbe risparmiato centinaia di migliaia di morti (negli anni a venire), sarebbe stata quella di far concludere il conflitto tra i due paesi: l’Iran, come gli avvenimenti stavano dimostrando, avrebbe probabilmente vinto la guerra e si sarebbe riunito agli sciiti iracheni (loro “fratelli” da un punto di vista culturale e religioso), permettendo ai curdi di costituire uno stato finalmente autonomo nel nord del paese, disintegrando (con venti anni d’anticipo) quel paese nato negli anni Venti che non aveva alcuna omogeneità culturale.

Come abbiamo più volte sottolineato l’Iraq è però da sempre stato una pedina fondamentale degli interessi occidentali, e fu proprio per questo motivo che questi decisero di evitare la sconfitta a Saddam Husayn. La vittoria iraniana avrebbe infatti rafforzato il paese islamico (che dal 1979 era diventato acerrimo nemico degli Stati Uniti) e permesso di dare una spinta importante all’indipendentismo curdo (con grossa preoccupazione della Turchia): questo l’Occidente non poteva permetterlo.

Si decise quindi di lasciare in sella Saddam che, convinto di essere un interlocutore affidabile, e rinvigorito militarmente dalle armi fornitegli dai paesi occidentali, decise troppo frettolosamente di attaccare il Kuwait.

Credendo che i paesi occidentali non avessero nulla da eccepire, decise di attaccare il piccolo stato mediorientale, scatenando di fatto la reazione brutale della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, con una guerra lampo che provocò la morte molti innocenti. Le sanzioni dell’Onu che seguirono affamarono la popolazione ma permisero a Saddam di continuare ad esercitare il potere nelle stato, rafforzando addirittura il potere nelle sue mani.

Il clamoroso errore degli USA fu quello di lasciare al proprio posto il ra’is, forse considerandolo ancora un attore importante in funzione anti-curda e anti-sciita. Durante il corso degli anni Novanta il dittatore fece ben poco per aiutare la popolazione irachena ed anzi si servì delle sanzioni per punire a proprio piacimento le entità a lui avverse, reprimendo inoltre nel sangue le rivolte che nascevano di volta in volta. Frammentando la società irachena, decise di rifugiarsi nei suoi fedelissimi pur di mantenere il potere a tutti i costi.

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In questo scenario quasi apocalittico, che durò circa dieci anni, si inserì la sciagurata decisione americana degli Stati Uniti d’America di invadere l’Iraq nel 2003, ponendo le basi per la completa disintegrazione dell’Iraq e l’anarchia verificatasi negli ultimi mesi.

La decisione di attaccare si basò su tesi rivelatesi poi completamente fallacee. Riguardo alle presunte armi di distruzione di massa, possiamo dire quasi con certezza che Saddam, dopo averle usate nei confronti dell’Iran e delle minoranze etniche presenti nel paese, ne era ormai completamente sprovvisto, fiaccato dalle pesanti imposizioni e dalle continue missioni militari americane durante gli anni Novanta (a guerra teoricamente finita). Ne era sprovvisto poiché non le usò mai durante la guerra, neanche quando era ormai braccato e avrebbe potuto minacciare la coalizione; tra l’altro, anche gli stessi protagonisti dell’invasione dichiararono qualche tempo dopo di non aver ritrovato nulla che avesse a che fare con queste terribili armi.

La tesi della connivenza con il terrorismo islamico si è invece da subito dimostrata assolutamente priva di fondamento (se non altro per la storia di Saddam, da sempre avverso agli islamici).

Come terza motivazione infine, gli americani si giustificarono parlando delle atrocità perpetrate dal regime di Saddam e della volontà di “democratizzare” il popolo iracheno. Tuttavia, questa lettura è piuttosto semplicistica in quanto non tiene conto di due cose: la prima era il fatto che Saddam era stato sempre accettato e sostenuto dalla comunità mondiale come argine all’Iran, senza che nessun paese occidentale muovesse un dito per quel popolo iracheno che ora si voleva aiutare; la seconda risiede nella storia dell’Iraq, che non poteva “democratizzarsi” se non a patto di una frantumazione dello stato.

L’invasione degli Stati Uniti, è stata l’ultimo colpo letale ad un paese agonizzante da ormai trent’anni. Senza considerare la storia irachena, gli americani hanno attaccato il paese per instaurare una democrazia senza speranza, che non ha mai attecchito. Nell’anarchia scaturita dalla dissennata operazione statunitense è sorto l’ISIS (che come ha affermato Obama in un’intervista a Vice News, «è nato dalla nostra invasione, ed è un esempio di conseguenza indesiderata»)1, che è riuscito

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ad occupare più di un terzo del territorio del paese, chiudendo il cerchio dello sgretolamento statuale.

L’Iraq è quindi tornato al punto di partenza: un paese diviso in tre entità (che ricordano le grandi differenze tra le tre ex province ottomane di Baghdad, Bassora e Mosul) in guerra l’una con l’altra, nella quale ognuna cerca di sopraffare l’altra per arrivare al raggiungimento dei propri obbiettivi.

La frantumazione statale altro non è che il prodotto della storia irachena, uno stato mai nato, mai coeso, che riproposto di volta in volta gli stessi limiti e gli stessi problemi, senza che si giungesse mai ad un punto di svolta.

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