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CAPITOLO I I PRINCIPI COSTITUZIONALI E SOVRANAZIONALI POSTI A TUTELA DELLA LIBERTA’ PERSONALE

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CAPITOLO I

I PRINCIPI COSTITUZIONALI E SOVRANAZIONALI POSTI A TUTELA DELLA LIBERTA’ PERSONALE

Sommario: §1. Premessa. La struttura delle misure cautelari; §2. Le origini della

libertà personale; §3. La libertà personale nella Costituzione, dalla riserva di legge alla riserva di giurisdizione; §4. Riferimenti internazionali; §5. La presunzione di non colpevolezza.

§1. Premessa. La struttura delle misure cautelari.

Fra il momento in cui il processo ha inizio e quello nel quale la sentenza passa il giudicato, trascorre necessariamente un certo lasso di tempo e durante tale periodo possono presentarsi delle circostante tali da ostacolare la ricostruzione della vicenda oggetto di causa ovvero l’effettiva applicazione della risposta sanzionatoria, mettendo a rischio tanto l’accertamento della verità processuale quanto il perseguimento del reo.

Pertanto il nostro ordinamento, per scongiurare tali pericoli ha previsto l’applicazione di istituti preventivi: le cosiddette Misure Cautelari , disciplinate dal Libro IV del Codice di Procedura Penale, diviso in due titoli, l’uno riferito alle misure cautelari personali l’altro alle misure cautelari reali.

Le prime sono provvedimenti che incidono sulla libertà individuale, possono essere applicate soltanto dal giudice sia nel corso delle

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indagini preliminari, che durante il processo vero e proprio e si distinguono in tre categorie:

Misure coercitive: istituti attraverso i quali, a scopo preventivo, viene annullata o comunque ristretta la libertà personale del soggetto che vi è sottoposto; hanno un contenuto piuttosto vario e presentano un grado di afflittività, che va dal divieto di espatrio, misura meno rigorosa, alla custodia cautelare in carcere, misura maggiormente gravosa.

Misure interdittive: provvedimenti mediante i quali vengono provvisoriamente applicati specifici divieti; sono rivolti essenzialmente a restringere la facoltà di esercitare determinati diritti e poteri collegati ad una situazione giuridica soggettiva di status civile o professionale (si pensi alla sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale).

Misure di sicurezza a scopi cautelari: affinché possano essere applicate è necessario, da un lato, che sussistano gravi indizi di commissione del fatto e, dall’altro, che l’imputato sia considerato socialmente pericoloso. La loro finalità, infatti, è quella di rieducare e risocializzare un soggetto ritenuto pericoloso per la collettività; ne è un tipico esempio il ricovero presso un ospedale psichiatrico giudiziario.

Le misure cautelari reali invece trovano la loro ragion d’essere nell’esigenza di evitare che il decorso del tempo possa provocare conseguenze negative sull’efficacia della sentenza definitiva di condanna.

Da un punto di vista pratico, si sostanziano nell’imposizione di un vincolo di indisponibilità sul bene, vincolo che può essere di natura semplicemente giuridica o addirittura materiale.

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Nel dettaglio il legislatore ha individuato due distinti tipi di misure cautelari reali:

Sequestro preventivo: è disposto al fine di evitare che le cose pertinenti al reato vengano utilizzate per commettere ulteriori fatti criminosi o per aggravare le conseguenze di quelli già realizzati.

Sequestro conservativo: è applicato allo specifico scopo di impedire che le garanzie patrimoniali dell’imputato (o del responsabile civile) possano venire a mancare o essere disperse, pregiudicando, così, il diritto al risarcimento del danno o al rimborso delle spese di giustizia, conseguenti ad un’eventuale sentenza di condanna1.

Non trova invece collocazione nel libro IV del Codice di Procedura Penale – per ragioni di connessione con il regime delle attività di polizia giudiziaria, cui è riservato un apposito Titolo, il VI del libro V relativo ad “indagini preliminari ed udienza preliminare” – la disciplina relativa all’arresto in flagranza ed al fermo. Tali due ultimi istituti sono identificati come misure c.d. pre-cautelari in ossequio al disposto di cui al 3° co., dell’art. 13 Cost., nel quale è previsto che, “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”, l’autorità di pubblica sicurezza possa adottare “provvedimenti provvisori”, che sono da intendersi “revocati e restano privi di ogni effetto” allorché non siano “comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria,e se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore”. “Viene in tal modo ribadita la centralità della pronuncia giurisdizionale, la quale deve pur sempre intervenire: in via ordinaria, preventivamente – per atto motivato – e in via straordinaria, in casi eccezionali di necessità e urgenza, anche

1 Cfr. In Codice di procedura penale spiegato, Casa Editrice la Tribuna, 2013, a cura di

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successivamente nella forma della convalida, provvedimento, tale ultimo inteso come controllo, anche di merito, in ordine alle misure restrittive adottate”2.

Vi è, in questi casi, “una autoassunzione di un potere ordinariamente altrui da parte della autorità di polizia, la quale deve ritenersi tenuta a motivare i relativi provvedimenti, dovendo dimostrare che sussistano fondate ragioni [...] per poter ritenere che la fattispecie concreta rientri nella astratta previsione normativa dei casi in presenza dei quali si può procedere alla restrizione della libertà personale secondo i modi previsti dalla legge”3. In altre parole, come sottolineato dalla Corte costituzionale, “la previsione delle misure restrittive della libertà personale adottate dall’autorità di pubblica sicurezza deve corrispondere al requisito di una ponderata motivazione e conformazione delle situazioni di eccezionale necessità ed urgenza che ne costituiscono il fondamento”4. “Il rapporto, autorità di polizia – autorità giudiziaria, in riferimento all’adozione di provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale, ricorda, per certi aspetti, il rapporto Parlamento – Governo in riferimento al ricorso alla decretazione d’urgenza. Anche in quest’ultimo caso, infatti, il Governo può sostituirsi al Parlamento nell’esercizio di una funzione ordinariamente spettante alle Camere (cfr. art. 70 Cost.) nella ricorrenza di situazioni straordinarie di necessità ed urgenza”5 (cfr. art. 77, 2° co., Cost). Del resto, lo strumento normativo adottato in quel particolare frangente, il decreto legge, è destinato a perdere efficacia sin dall’inizio (ex tunc) nel caso in cui non intervenga, in un termine

2

Ruotolo M., in Commentario alla Costituzione, art. 13, Banca dati on-line “Leggi D’Italia”, in AA. VV., Ipsoa, Gruppo Editoriale Wolters Kluwer.

3 Pace A.,Problematiche delle libertà costituzionali. Parte speciale, Cedam, 1992, p. 200. 4 C. cost., n. 512 del 2002.

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perentorio (sessanta giorni), con provvedimento ad hoc, c.d. legge di conversione, l’organo originariamente titolare della funzione. “Parallelamente, come nel decreto legge è il Governo il primo giudice della urgenza e della necessità del provvedere, così, nei provvedimenti provvisoriamente limitativi della libertà personale, è l’autorità di pubblica sicurezza a valutare, in prima battuta, la sussistenza delle analoghe condizioni di straordinarietà, sia pure con l’importante discrimen che in quest’ultimo caso, le situazioni di necessità ed urgenza sono predeterminate tassativamente a livello legislativo”6. Vi sono, insomma, tutte le condizioni per ritenere che i poteri di polizia, previsti nel 3° co., dell’art. 13, siano “meramente sostitutivi di quelli conferiti all’autorità giudiziaria”7

.

Con riferimento “all’uso distorto dei suddetti poteri sostitutivi vi è poi da rilevare un’altra peculiarità che attiene al piano della responsabilità giuridica: la revoca e la perdita di effetto di questi ultimi, riconosciuta in caso di mancata tempestiva convalida (come anche di mancata tempestiva richiesta della convalida) non priva l’interessato della possibilità di attivare la responsabilità dell’organo che ha disposto l’adozione del provvedimento restrittivo”8

. In caso di mancata convalida, le prove eventualmente acquisite si ritengono illegittimamente raccolte e sono inutilizzabili nel processo9.

Tali provvedimenti provvisori, con peculiari finalità investigative e social-preventive, sono suscettibili di essere tramutati in misure

6

Cfr., Ruotolo M., op. cit.

7

Pace A., op. cit.,p. 199.

8

C. Cost., n. 515/990. Peraltro la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto a un’equa riparazione per la detenzione patita a seguito delle misure pre-cautelari dell’arresto e del fermo che siamo state illegittimamente eseguite (sent., n. 109 del 1999).

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cautelari personali solo laddove sussistano le relative esigenze previste dall’art. 274 c.p.p..

L'arresto in flagranza presuppone che il soggetto sia colto nell’atto di commettere il reato o, subito dopo il reato, sia inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, oppure sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima (cfr. artt. 380 e 382 c.p.p.). L’arresto si configura come obbligatorio ove si tratti di delitto non colposo, consumato o tentato, astrattamente punibile, nel minimo, con almeno cinque anni di reclusione e, nel massimo, con almeno venti anni o con l’ergastolo (cfr. art. 380, 1° co., c.p.p.), ovvero per una serie di delitti indicati all’art. 380, 2° co., c.p.p. L’arresto si configura invece come facoltativo ove si tratti di delitto espressamente previsto dall’art. 381, 2° co., c.p.p., ovvero per delitti non colposi punibili con oltre tre anni di reclusione e per delitti colposi punibili con almeno cinque anni di reclusione. In tali casi si potrà procedere all’arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto commesso ovvero dalla pericolosità del soggetto, desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (cfr. art. 381, 4° co., c.p.p.).

Detta misura può essere eseguita anche dal privato, ma solo se si tratta di gravi reati perseguibili d’ufficio e in ordine ai quali (per la polizia) l’arresto sarebbe obbligatorio (al contrario, l’esecuzione della misura in discorso da parte del privato è sempre facoltativo, cfr. art. 383 c.p.p.). Non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia o dal P.M., per reati concernenti il contenuto delle dichiarazioni o il rifiuto di fornirle (cfr. art. 381, 4° co-bis, c.p.p.).

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Il fermo si differenzia dall’arresto in quanto può essere eseguito nei confronti di una persona “gravemente indiziata di un delitto” anche fuori dai casi di flagranza e presuppone necessariamente che vi sia pericolo di fuga (cfr. art. 384 c.p.p.). Inoltre, ove ne ricorrano i presupposti – oltre al pericolo di fuga, si deve trattare di delitto, anche colposo, sanzionato con la reclusione pari, nel minimo, ad almeno due anni e superiore, nel massimo, ad anni sei, ovvero con l’ergastolo oppure delitto concernente armi da guerra o esplosivi – il fermo è sempre obbligatorio.

Il fermo è disposto dal P.M. oppure dall’autorità di polizia, nel caso in cui il P.M. non abbia ancora assunto la direzione delle indagini o l’indiziato sia identificato solo in un secondo momento dalla polizia o il pericolo di fuga sopravvenga10.

Altri provvedimenti c.d. di polizia, restrittivi della libertà personale sono: l’accompagnamento coattivo dell’imputato che si sostanzia in una misura diversa da quelle cautelari-coercitive in quanto fondata non sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, bensì su esigenze di carattere esclusivamente processuali le quali devono comunque emergere nella motivazione del decreto adottato dal giudice procedente. La persona sottoposta all’accompagnamento coattivo non può subire tale misura oltre il tempo strettamente necessario per il compimento dell’atto per il quale è stata disposta o degli altri atti ad esso consequenziali. In ogni caso il provvedimento restrittivo non può avere una durata superiore alle ventiquattro ore; possiamo ricordare l’accompagnamento negli uffici di polizia in caso di rifiuto di fornire le proprie generalità ovvero nell’ipotesi in cui vi siano “sufficienti elementi” per ritenere che la persona abbia reso al riguardo false

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dichiarazioni; la sottoposizione a rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici, nonché ad “altri accertamenti” ai fini della identificazione della persona nei cui confronti sono svolte le indagini ( cfr. art. 349, 2° co., c.p.p.); il compimento dei “necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale” se vi è pericolo di alterazione, dispersione o modificazione di elementi pertinenti al reato e il P.M. non può intervenire tempestivamente11 (cfr. art. 354, 3° co., c.p.p.).

“Appare evidente che le misure cautelari non potranno essere adottate allo scopo di ottenere dall’imputato condotte collaborative (ad esempio di natura confessoria), il cui rifiuto rientra a pieno titolo nella sfera del diritto di difesa, trattandosi di una indiscutibile applicazione del diritto al silenzio riconosciuto all’imputato”12, sulla base della regola generale ex art. 64, 3° co., lett. b. c.p.p.. Tale aspetto è stato al centro dell’intervento legislativo operato dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, la quale ha inserito un’apposita precisazione all’interno dell’art. 274, 1° co., lett. a, stabilendo che “le situazioni di concreto ed attuale pericolo” ivi previste “non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti”.

Sul piano sistematico in ultimo, mette conto precisare, al fine di fugare ogni possibile equivoco terminologico, che nel codice, le disposizioni relative alle misure cautelari pur risultando di regola dettate con riferimento alla figura dell’imputato, non pretendono di identificare tale nozione in senso tecnico; appare infatti indubbio che il concetto impropriamente richiamato (quello di imputato), possa

11 Cfr., Ruotolo M., op. cit.

12 Cfr., Conso G., Grevi V., Bargis M., In compendio di procedura penale, 6ª edizione, Cedam,

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riconoscersi solo alla persona che, essendo destinataria di una formale imputazione, si trovi in una delle situazioni descritte dall’art. 60, 1° co., c.p.p.. Sicché, in definitiva, nel corso delle indagini preliminari, il soggetto a carico del quale venga disposta una misura cautelare, non avrà ancora assunto la qualità di imputato, trattandosi più precisamente di persona gravemente indiziata ai sensi dell’art. 273 c.p.p., nei cui confronti sono in corso di svolgimento le indagini preliminari, a vantaggio della quale però opererà l’estensione dei diritti e delle garanzie previsti per l’imputato a mente dell’art. 61 c.p.p.13.

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§2. Le origini della libertà personale e le decisioni de libertate dell’autorità giudiziaria.

La disciplina in tema di misure cautelari è, per volontaria disposizione del legislatore, particolarmente rigorosa. Tale rigidità discende dal fatto che i provvedimenti in commento comportano la restrizione o, addirittura, la privazione di diritti della persona di rilevanza costituzionale, quali la libertà personale, che, come tali, richiedono specifici presidi a garanzia dei cittadini.

La tutela della libertà personale, riconosciuta nell’art. 13 della Costituzione, trova il suo antecedente storico più rilevante nell’Habeas corpus, statuto ottenuto dagli inglesi nel 1679. In forza di tale statuto, chi viene arrestato ha diritto di ottenere una copia del mandato di cattura (warrant) entro sei ore dalla domanda fattane al suo custode ed in conseguenza, di richiedere, con apposita istanza (petition) ad un giudice, il rilascio di un’ordinanza (writ) di habeas corpus, con la quale si ingiunge al custode di porre il prigioniero (la sua persona fisica, il corpus) a disposizione della Corte e di motivare le ragioni della detenzione. Il giudice è chiamato quindi a pronunciarsi in ordine alla conferma o revoca dell’arresto.

Appare opportuno richiamare in tale contesto l’art. 39 della Magna Charta di Giovanni Senzaterra del 1215 – “Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del regno.”; nonché il Bill of Rights del 1689, documento stilato dal Parlamento britannico, considerato uno dei

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cardini del sistema costituzionale del Regno Unito, nel quale sono racchiusi i diritti e le libertà dei sudditi, e laddove si sancisce esplicitamente il divieto di arresti arbitrari.

L’esigenza di garantire la libertà individuale da illegittimi ed immotivati atti dell’autorità14 trova poi specifica traduzione nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789; invero, l’art. 7 di detto corpus normativo si da cura di specificare: “Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi previsti dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte”; il successivo art. 8 inoltre prevede: “La legge non deve stabilire che pene strettamente ed evidentemente necessarie, nessuno può essere punito se non in forza di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata”.

Nel panorama delle nostre fonti del diritto, la libertà personale si presenta nella sua prima e più tradizionale accezione come il diritto che ha ogni cittadino di non essere arrestato “se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive” (cfr. art. 26) dello Statuto Albertino (1848).

Tuttavia, su queste basi, il codice di procedura penale del 1865 prevedeva sì, “l’obbligo di convalida degli arresti ma non anche la liberazione dell’arrestato in caso di mancata convalida, alla quale si sopperiva con una richiesta di informazioni supplementari. Peraltro, non erano previsti termini per la custodia cautelare, vi erano forti limiti alla concessione della libertà provvisoria e il meccanismo della convalida, escluso nel caso di arresto di oziosi, vagabondi e

14 Amato G., Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Milano, Giuffrè, 1967,

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mendicanti”15, era talmente farraginoso da non funzionare. A queste “gravi lacune si accompagnavano rilevanti deroghe all’art. 26 dello Statuto determinate dalla legislazione di pubblica sicurezza specialmente attraverso le misure di prevenzione, costituenti limitazioni della libertà personale basate sulla presunzione di pericolosità sociale a carico di determinati soggetti. Un significativo ampliamento dei presupposti di applicazione e delle categorie di destinatari delle suddette misure sarà poi realizzato nel ventennio fascista anche e soprattutto al fine di reprimere il dissenso politico”16. Nel 1930, ad opera del guardasigilli Alfredo Rocco, “venne promulgato il codice di rito, che, in materia di libertà personale dell’imputato, contiene una disciplina i cui tratti salienti sono rinvenibili, in primo luogo, nella scomparsa della presunzione di non colpevolezza e del criterio di stretta necessità; in secondo luogo, nel diverso peso riconosciuto alla libertà degli individui a seconda delle loro condizioni personali e sociali; infine, nell’attribuzione al pubblico ministero, gerarchicamente subordinato all’esecutivo, del potere di disporre della libertà personale dell’imputato”17

.

Nel sistema di tipo inquisitorio delineato dal Codice Rocco, l’unica misura cautelare prevista era la custodia preventiva, che aveva come scopi quelli di indurre l’imputato a confessare, prevenire la commissione di nuovi reati, difendere la società e realizzare la pretesa punitiva dello Stato. In pratica, tale misura svolgeva una funzione equiparabile a quella della pena, perché vigeva un sistema in cui gli interessi collettivi ed impersonali dello Stato prevalevano su quelli

15 Caretti P., I diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2002, p. 321. 16 Ruotolo M., op. cit.

17 Cfr., Grevi V., Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano, Giuffrè, p. 15; Amato G.,

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eventualmente in contrasto dei singoli individui. Le esigenze del singolo erano sacrificate innanzi alle superiori esigenze di tutela della società: al centro del sistema, infatti, c’erano lo Stato e i suoi organi, tanto che tutti i poteri erano concentrati nelle mani del giudice inquisitore per un migliore accertamento della verità; “costui, al fine di placare l’allarme sociale generatosi a seguito della commissione di reati, aveva il potere di disporre la custodia preventiva anche sulla base di semplici sospetti (cioè, su indizi) e non su elementi probatori compiuti, ammettendo, quindi che quella misura potesse servire anche come risposta politica agli ondeggiamenti del sentimento popolare, al di fuori di qualsiasi legame non solo con il processo ma anche con le istanze della difesa sociale”18.

“Sono conseguenza di questa impostazione i due aspetti della disciplina codicistica della libertà personale dell’imputato che più marcatamente segnano la decisa inversione di tendenza rispetto alla pur faticosa e lenta affermazione del principio di libertà nei codici liberali; si tratta, da un lato, del considerevole ampliamento delle ipotesi di cattura obbligatoria, e, dall’altro, dell’abolizione della scarcerazione automatica, ritenuta aberrante e insidiosa perché lesiva dell’interesse pubblico”19

.

La custodia preventiva disciplinata nel codice del 1930 consiste, dunque, in una “privazione della libertà dell’imputato a tempo tendenzialmente indeterminato, che, avendo titolo in un provvedimento formale dell’autorità giudiziaria, può assumere la

18 Grevi V., op. cit., pp. 31-32. 19 Grevi V., op. cit., p. 17.

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forma del mandato o dell’ordine di cattura, a seconda dell’organo emittente, giudice istruttore o P.M.”20.

Gli articoli 25321 e 254 elencano le ipotesi nelle quali la cattura è rispettivamente obbligatoria o facoltativa. Nel primo caso si richiamano ipotesi prive di alcuna interna coerenza in una qualsivoglia prospettiva teleologica, sono accomunate solo da un giudizio di gravità espresso dal legislatore; è da notare come, accanto ad alcune fattispecie di reato connotate da oggettiva gravità o identificate con riferimento ad una pena edittale di un certo spessore, vi siano casi in cui la cattura è obbligatoria sulla base del grado di sospetto gravante sull’imputato. Inoltre quando la cattura è obbligatoria, non solo, come si è detto, non è previsto alcun limite temporale alla detenzione, ma non è consentita neppure la concessione della libertà provvisoria (cfr. art. 277 cpv). La carcerazione può venire meno solo quando siano venute a mancare le condizioni che la legittimavano (cfr. art. 269), cioè quando non si ritengano più sussistenti i sufficienti indizi di colpevolezza o quando il capo d’imputazione sia stato modificato nel corso dell’istruttoria e il reato non rientri più tra quelli di cui all’art. 253.

L’obbligatorietà della cattura, dunque, si proietta su tutta la durata del procedimento, senza che a giustificarla vi siano esigenze legate al suo svolgimento. In questo contesto, la custodia preventiva non può che

20 Grevi V., op. cit. 21

Ai sensi dell’art. 253 la cattura è obbligatoria quando si proceda per un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a dieci anni; per omicidio volontario consumato o tentato, lesioni personali volontarie gravi o gravissime, rapina, estorsione o sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione; per ogni altro delitto punito con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni. La cattura, inoltre, è obbligatoria per l’imputato di un delitto non colposo punito con la reclusione che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

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diventare un’anticipazione della pena, fondata sul solo fragile presupposto dei sufficienti indizi di colpevolezza in ordine a reati ritenuti gravi o commessi da persone su cui grava una presunzione di pericolosità”22. Per quando riguarda l’art. 25423, questo si limita a precisare solo che il giudice, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, dovrà tener conto delle circostanze di fatto, nonché delle qualità morali e sociali della persona24. “Da ciò scaturirà una tendenza della giurisprudenza a fare riferimento, nella valutazione di tali elementi, ai parametri di natura sostanziale dell’art. 133 c.p.: tendenza dalla quale si può dedurre, nella migliore delle ipotesi, la prevalenza di una prognosi sulla pericolosità sostanziale dell’imputato rispetto alla valutazione di esigenze strettamente processuali”25; “nella peggiore, l’abitudine a leggere nella custodia preventiva una funzione di vera e propria anticipazione della pena”26. In effetti, il silenzio del codice sembra lasciare volutamente una totale libertà di manovra per il magistrato, libero di piegare gli elementi dell’art. 254 in vista di qualunque utilizzazione della custodia preventiva, quindi non solo per

22 Il ruolo attribuito al mero sospetto gravante sull’imputato emerge anche dall’art. 269, a detta del

quale “[s]e la scarcerazione è ordinata per mancanza di sufficienti indizi, ma rimangono motivi di sospetto, può essere imposto all’imputato uno o più tra gli obblighi indicati nell’art. 282”, e cioè la cauzione, la malleveria, il divieto o l’obbligo di dimora.

23 Il mandato di cattura è facoltativo nei casi di delitti non colposi puniti con la reclusione non

inferiore nel minimo a un anno o nel massimo a tre; di qualsiasi delitto non colposo punito con la reclusione quando l’imputato è già stato condannato più di due volte per delitto non colposo o anche una sola volta per delitto della stessa indole, oppure non ha residenza fissa nel territorio dello Stato o si è dato o sta per darsi alla fuga; di delitto colposo punito con la reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque; di contravvenzione punita con l’arresto, quando l’imputato è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o contravventore abituale o professionale.

24

Cfr., Grevi V., op. cit.

25 Grevi. V., op. cit., p. 146.

26 Illuminati G., Presupposti e criteri di scelta delle misure cautelari, Conso G., ( a cura di), Il

diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2007, p. 390.

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finalità strettamente processuali ma anche in funzione di prevenzione speciale, di tacitazione dell’allarme sociale, di esemplarità27

.

D’altra parte, “non essendo previsto alcun obbligo di motivazione per i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’imputato, queste possibili finalizzazioni, per quanto aberranti e per quanto evidenti nella pratica applicativa dell’istituto, erano destinate a rimanere inespresse”28.

L’unico presupposto per la cattura, comune alle due ipotesi, è la sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza a carico dell’imputato. Tale presupposto, d’altra parte, è previsto dall’art. 252 con riferimento a tutti gli ordini e mandati, compresi quelli di accompagnamento e di comparizione.

“Il codice Rocco non impone alcun obbligo di motivazione nemmeno in relazione al presupposto dei sufficienti indizi di colpevolezza, che costituisce, come si è visto, l’unico limite all’instaurazione dello status custodiae nelle ipotesi di cui all’art. 253; tale limite viene così sostanzialmente nullificato, accentuando ulteriormente l’automatismo della cattura obbligatoria”29.

La mancata previsione della motivazione, d’altra parte, discende dal principio del segreto istruttorio, caratteristico del processo di tipo inquisitorio, che preclude la possibilità di svelare all’imputato gli elementi su cui si fonda l’accusa. L’assenza di motivazione, a sua volta, rende inutile la previsione di qualsiasi forma di gravame, che non avrebbe elementi su cui fondarsi; di conseguenza, all’imputato non è consentito impugnare né il provvedimento di cattura, né

27 Cfr., Amato G., op. cit., p. 428; Chiavario M., voce Libertà personale (dir. proc. pen.), in Enc.

Giur. Vol. XIX, Roma, Treccani, 1990, p. 6; Grevi V., op. cit., p. 144.

28 Amato G., op. cit., p. 429. 29 Amato G., op. cit., p. 426.

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l’ordinanza di diniego della scarcerazione; l’unica impugnazione concessagli è quella contro il rigetto della domanda di libertà provvisoria30 (cfr. art. 280).

“La totale incontrollabilità delle decisioni de libertate dell’autorità giudiziaria, del resto, è in piena sintonia con la posizione subordinata nella quale il rito inquisitorio relega l’imputato, le cui garanzie difensive sono viste principalmente come un ostacolo all’accertamento.

Impossibilitato ad esercitare alcun tipo di controllo, egli si trova nella condizione di dover subire la custodia senza poter in alcun modo influire sulla propria condizione se non attraverso un comportamento collaborativo, cioè attraverso la confessione”31.

“A tutto ciò è da aggiungere la peculiare configurazione della disciplina della libertà provvisoria. Già la denominazione dell’istituto esprime in modo eloquente i termini del rapporto tra lo status custodiae e la condizione di libertà dell’imputato, sancendo quest’ultima come eccezionale e, appunto, provvisoria, potendo la carcerazione essere ripristinata sia quando l’imputato violi gli obblighi eventualmente impostigli con l’ordinanza che concede la libertà provvisoria (cfr. art. 292), sia con la sentenza di rinvio a giudizio”32 (cfr. art. 375).

In conclusione, “nell’impianto originario del codice di rito del 1930 la custodia preventiva non solo prescinde da un collegamento funzionale con la stretta necessità processuale ma è caratterizzata da un generale

30 Successivamente alla reintroduzione della scarcerazione per decorrenza dei termini nei casi di

cattura facoltativa, il potere d’impugnazione dell’imputato viene esteso alle ordinanze che provvedono sulla domanda di scarcerazione.

31 De Caro A., Libertà personale e sistema processuale penale, Napoli, Edizioni scientifiche

italiane, 2000, p. 42.

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agnosticismo in ordine alle finalità della restrizione della libertà personale dell’imputato”33

.

In seguito all’entrata in vigore della Costituzione si sono susseguite riforme parziali ma organiche, che hanno spinto l’Assemblea Costituente ad optare per una formula più generica quanto al bene garantito, la “libertà personale”, ma più stringente quanto ai poteri restrittivi e ai modi del loro esercizio. Emerge l’idea della libertà personale quale diritto inviolabile dell’individuo che nasce con la persona e che pertanto non è concesso, ma soltanto riconosciuto e tutelato dallo Stato.

L’effetto è stato quello di pervenire oggi, con il codice vigente, ad un sistema misto ma prevalentemente accusatorio, dove la libertà personale rappresenta la regola mentre la custodia preventiva, divenuta oggi cautelare, rappresenta l’eccezione, e dove sono scomparse anche le ipotesi di obbligatorietà nell’adozione del provvedimento restrittivo (salvo quanto previsto dall’art. 275, 3° co., c.p.p., oggetto però negli ultimi anni di innumerevoli declaratorie di incostituzionalità, fatta eccezione per i delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso); in pratica l’esatto opposto del sistema del codice previgente.

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§3. La libertà personale nella Costituzione, dalla riserva di legge alla riserva di giurisdizione.

L’art. 13, 2° co., Cost., “prevede che non sia ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, la quale può essere disposta nei soli modi e casi previsti dalla legge e con atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Si ha, “pertanto una “riserva assoluta di legge” che attribuisce, infatti, in via esclusiva a quest’ultima (e agli atti equiparati, secondo l’interpretazione affermatasi in prassi) la disciplina delle limitazioni della libertà personale, sottraendola all’intervento di altre fonti, subordinate alla legge, e in particolare alla normazione regolamentare (con l’eccezione dei regolamenti di stretta esecuzione)”34. “Ne consegue una incisiva limitazione agli interventi del potere esecutivo, che potranno esplicarsi solo ove rigorosamente vincolati alla legge, di cui costituiscono necessaria applicazione, e non in forma di concreti provvedimenti discrezionali”35.

La norma costituzionale richiede inoltre, come detto, che le restrizioni alla libertà personale siano disposte con atto motivato dell’autorità giudiziaria anche se poi, ovviamente, attuate da altri organi, quali la polizia giudiziaria (cfr. artt. 55 ss. c.p.p., nonché art. 109 Cost.) o da altri soggetti (cfr. art. 245, 3° co., c.p.p.). A questa garanzia si collega anche la previsione contenuta nell’art. 111, 7° co., Cost., per cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre

34 Si riprende la nota definizione di Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, 6ª

edizione, aggiornata a cura di Crisafulli F., Padova, 1993, p. 62.

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ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”; nonché quella contenuta nell’art. 24, ult. co., Cost., per cui “la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

“Per autorità giudiziaria deve intendersi, secondo quanto ora previsto dal nuovo codice di procedura penale del 1989, l’autorità “giudicante” e non quella “requirente” (cfr. artt. 279 e 328 c.p.p.), spettando solo alla prima il compito di adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale”36. “In proposito, l’autorità giudiziaria deve esprimersi con provvedimento motivato, indicando tutte le ragioni (di fatto e di diritto) che siano suscettibili di determinare o che abbiano determinato l’emanazione della misura restrittiva”37

. Ciò vale “ad assicurare alla riserva di giurisdizione un significato sostanziale, permettendo una più compiuta garanzia della libertà personale anche nei confronti di provvedimenti arbitrari dell’autorità giudiziaria non solo per mezzo del ricorso per Cassazione, previsto dall’art. 111 Cost. (recursus per saltum)”38, ma anche attraverso “l’istituto del riesame delle misure coercitive, in virtù del quale l’imputato, in termini brevissimi, può chiedere al c.d. Tribunale della libertà il riesame, anche nel merito, dell’ordinanza che abbia disposto la misura”39. Contro l’ordinanza del

tribunale che rigetti la richiesta di riesame può proporsi ricorso per Cassazione.

Come si è visto, sono tre le forme di restrizione della libertà personale per le quali vale la pena, ulteriormente, di precisare quanto segue.

36 Ruotolo M., op. cit. 37 Pace A., op. cit., p. 196 .

38 Pace A., op. cit., p. 196; Caretti P., op. cit., p. 211. 39 Ruotolo M., op. cit.

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Per detenzione deve intendersi – “qualsiasi forma di costrizione sulle persone fisiche (sul corpo umano) [...] tale che impedisca la libertà dei movimenti: si va dalla costrizione nel senso più letterale del termine (l’incatenamento, l’applicazione di manette e simili) a quelle forme di detenzione considerate universalmente come equivalenti alle prime, quale la detenzione forzosa entro un locale chiuso (l’esempio più ovvio e immediato è il carcere, ma non è affatto l’unico: si pensi al ricovero coatto dei malati, nei casi e nei modi prescritti dalla legge)”40

. L’ispezione personale – “da individuarsi nella diretta percezione del corpo umano da parte di estranei”41

– consiste in attività volta alla ricerca e alla consequenziale acquisizione di tracce di reato e altri suoi effetti materiali sulla persona ad essa sottoposta. L’ispezione può essere disposta dal P.M. e dal giudice che possono delegare un medico (cfr. art. 245 c.p.p.).

La perquisizione personale “è preordinata alla ricerca e alla consequenziale acquisizione (mediante sequestro) del corpo del reato e in genere delle cose pertinenti al reato che si ritengono occultate sulla persona (cfr. artt. 247 ss. c.p.p.)”42. Essa può essere disposta dall’autorità giudiziaria quando abbia fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla propria persona i suddetti elementi. Nell’esecuzione della perquisizione debbono comunque essere salvaguardate la dignità e il pudore di chi vi è sottoposto (cfr. art. 249 c.p.p.)43.

40 Rescigno G.U., Corso di diritto pubblico, 7ª ed., Bologna, Zanichelli, 2002, p. 602. 41

Guarino G., Lezioni di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 1969, p. 98.

42 La perquisizione è definita da Guarino G., op. cit., pp. 100 ss. come “attività svolta da estranei

sul corpo o sui vestiti della persona al fine di ricercarvi una cosa.

43

Al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della notitia criminis è necessario che essi individuino, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma

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Segue l’ulteriore, importante, specificazione in ordine al meccanismo di convalida, in assenza della quale i provvedimenti restrittivi della libertà personale adottati dall’autorità di pubblica sicurezza si intendono revocati:

“In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.” (cfr. art. 13, 3° co., Cost.).

“È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.” (cfr. art. 13, 4° co., Cost.). A questa previsione si collega quella per cui “le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (cfr. art. 27, 3° co., Cost.) dalla quale si può ricavare il “principio di umanizzazione della pena, che si presta ad essere completato con quello del rispetto della personalità della dignità del condannato, che ha una portata più ampia e pregnante comprensiva del rispetto dei diritti fondamentali del cittadino riconosciuti dalla Costituzione, il cui esercizio sia compatibile con lo stato di detenzione e con le esigenze di ordine dell’ambiente carcerario”44.

“La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.”

trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto, e permettere, inoltre, la verifica, in caso di “cose pertinenti al reato”, della sussistenza delle esigenze probatorie, ovvero, qualora tali esigenze siano in re ipsa, della effettiva possibilità di qualificazione di “corpo del reato” delle cose apprese, attraverso l’accertamento dell’immediatezza descritta dall’art. 253, 2° co., c.p.p. tra esse e l’illecito penale.

Vedi sentenza C. Cass., n. 2882 del 1998.

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Ne consegue che, anche in virtù del principio di non colpevolezza (cfr. art. 27, 2° co., Cost.), “l’eventuale arbitraria estensione legislativa della carcerazione preventiva sia sindacabile dalla Corte costituzionale in termini di ragionevolezza, nell’ambito di un bilanciamento tra la libertà personale dell’imputato e le esigenze cautelari connesse alla realizzazione della giustizia”45. “Deroghe specifiche sono state tuttavia ammesse in ragione delle esigenze di sicurezza, di tutela della collettività”46, che si sono tradotte nell’adozione di misure emergenziali, specie contro il terrorismo e l’eversione, ritenute legittime sub condicione, in quanto destinate a perdere legittimità “se ingiustificatamente protratte nel tempo”47.

Con riferimento alle c.d. misure custodiali (custodia carceraria, arresti domiciliari e custodia in luogo di cura), il codice di procedura penale prevede termini variabili, rapportati alla gravità del reato e all’iter processuale. Esistono, infatti, termini c.d. di fase, che limitano la durata massima della custodia cautelare in ciascuna fase in cui si articola il procedimento penale, e un termine globale, la cui decorrenza comporta la scarcerazione anche quando non sia decorso nessun termine di fase. A seconda della gravità del reato, il termine massimo (o globale) della custodia carceraria è di due, quattro o sei anni.

“L’art. 297, c.p.p., come modificato dalla L. 332/1995, disciplina anche il c.d. fenomeno della contestazione a catena di reati, per evitare che si possano surrettiziamente eludere i termini massimi della carcerazione preventiva. Il principio è quello per cui ove siano contestabili, in un unico provvedimento, più fatti-reato, una

45 Pace A., op. cit., 1992, pp. 208 ss. 46 C. Cost., 23/1/1980, n. 1.

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contestazione dilazionata, frazionata, non può prolungare la sottoposizione a misura custodiale dell’imputato. In caso di contestazione di più reati, la commisurazione del termine va rapportata al delitto più grave. La disciplina ora richiamata non si applica quando le misure successivamente adottate, pur riferendosi a reati connessi compiuti antecedentemente all’adozione della prima delle misure, riguardino fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste la connessione”48. La più stringente disciplina dei poteri restrittivi e dei modi del loro esercizio, contenuta nella Costituzione repubblicana, appare, dunque, il frutto dell’esigenza di prevenire le degenerazioni che si erano realizzate in epoca statutaria, e in specie nel ventennio fascista.

In definitiva, “secondo l’impostazione tradizionale, la libertà personale si traduce in libertà dagli arresti arbitrari e comunque nella pretesa di evitare indebite coercizioni sul proprio corpo. In sostanza, l’art. 13 riguarderebbe lo stato di libertà fisica, ricadendo nella relativa disciplina le sole coercizioni fisiche e non l’imposizione di obblighi e divieti”49. “Sarebbe in questo modo possibile distinguere la libertà individuale, propriamente tutelata dall’art. 23 Cost., dalla libertà personale, intesa, appunto, come pretesa di non vedere illegittimamente esercitata alcuna potestà coercitiva personale”50, che “gravi sui singoli, indipendentemente dal loro previo consenso o dalla loro spontanea collaborazione”51.

48 Nella giurisprudenza costituzionale v. sentenze, C. Cost., n. 89 del 1996 e 408 del 2005. 49 Pace A., Libertà personale, Milano, 1974, p. 287.

50

C. Cost., n. 11 del 1956.

51Paladin L., Diritto costituzionale, 3ª ed., Padova, 1998, p. 605; C. Cost., n. 99 del 1980: “la

manifestazione del consenso esclude la coercitività dell’atto e dunque la lesione della libertà personale”.

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“L’imposizione di obblighi e divieti incidenti sulla libertà dell’individuo ricadrebbe pertanto nella disciplina dettata da altre disposizioni costituzionali (in particolare: cfr. artt. 16, 23, 32), meno rigorose in quanto non immediatamente attinenti alla libertà fisica. Ad esempio, la possibilità di limitare la libertà di circolazione alle condizioni che “la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” (cfr. art. 16 Cost.) è espressione, senz’altro, di un regime meno garantistico di quello previsto dall’art. 13 Cost., il che si potrebbe spiegare in ragione del fatto che le misure limitative attengono, nel primo caso, al luogo, nel secondo, riguardano direttamente la persona”52.

In questo senso, si è espressa la Corte Costituzionale confermando l’orientamento giurisprudenziale per cui il “carattere di immediata coercizione qualifica le restrizioni della libertà personale e vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione”53

.

Tuttavia, nella stessa sentenza, da ultimo richiamata, relativa alla misura del trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e di assistenza, ove non sia possibile eseguire immediatamente l’accompagnamento alla frontiera, a causa di determinati adempimenti necessari per realizzare l’espulsione secondo i dettami imposti anche dall’ordinamento internazionale (es. necessità di identificazione dello straniero e del paese di provenienza, disponibilità e affidabilità del vettore ecc.), il questore dispone il trattenimento presso un apposito centro di permanenza ed assistenza per un periodo prefissato dalla legge (20 giorni, art. 14 D.lgs n.

52 Guarino G., op. cit., p. 98. 53 C. Cost., n. 105 del 2001.

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286/1998). Il provvedimento di trattenimento, evidentemente ritenuto dal legislatore restrittivo della libertà personale, è assistito dalle cautele prescritte dall’art. 13 della Costituzione, e deve essere trasmesso al giudice entro le quarantotto ore54.

Si afferma pertanto che la “mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere [...] è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”55

.

Riemerge, dunque, sia pure circoscritto alle ipotesi di ““assoggettamento fisico”, il richiamo all’elemento della lesione/mortificazione della dignità della persona già ritenuto qualificante della restrizione della libertà personale, per il tramite del concetto di “degradazione giuridica”, nella precedente giurisprudenza costituzionale. Più precisamente, secondo quanto più volte affermato dalla Corte, per aversi restrizione della libertà personale di cui all’art. 13 Cost. [...] deve verificarsi una degradazione giuridica dell’individuo nel senso dell’avverarsi di una menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona, tale da poter essere equiparata a quell’assoggettamento all’altrui potere in cui si concreta la violazione dell’habeas corpus”56.

Un’altra tesi, che trova riscontri in una certa giurisprudenza costituzionale, “propone invece una lettura diversa, ma sempre estensiva, del concetto di “libertà personale” che non si radica nel solo art. 13, ma coinvolge, necessariamente, gli (cfr. artt. 2 e 3 della Costituzione)”57. Quest’ultima tesi, sottolineando la “centralità del

54 Cfr., Ruotolo M., op. cit. 55 C. Cost., n. 105 del 2001. 56 C. Cost., n. 210 del 1995. 57 Ruotolo M., op. cit.

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valore del libero sviluppo della personalità (art. 3, 2° co., Cost.), permette di cogliere, più di ogni altra, la complessità del significato dei diritti enumerati, a partire dalla libertà personale, intesa, in questa prospettiva, come libertà psicofisica, come libertà della mente e del corpo nella loro indissolubile unità”58. La libertà della persona, così intesa, “diviene matrice dei singoli diritti personali, a partire dai diritti di identità personale (diritto al nome, all’immagine, all'identità sessuale, ai propri segni distintivi), ricavati nella giurisprudenza costituzionale dagli artt. 2, 3, 2° co., e, soprattutto, dall’art. 13 Cost.; per seguire con i diritti all’integrità psicofisica della persona, tra i quali va annoverato il diritto alla vita, considerato, nella giurisprudenza costituzionale, come diritto implicito nella nostra Costituzione”59; per finire con i diritti all’interiorità, o della coscienza, tra i quali può essere ricompreso il diritto alla privacy che, pur trovando agganci in molte disposizioni costituzionali (cfr. artt. 14, 15, 21, 32), sarebbe desumibile già direttamente dalla dichiarazione di inviolabilità della libertà personale.

58 Modugno F., I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, p. 12. 59 Così Modugno F., op. cit., p. 20.

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§4. Riferimenti internazionali.

La libertà della persona trova protezione anche a livello internazionale e comunitario; appare pertanto opportuna una breve disamina di alcune delle più autorevoli fonti del diritto sovranazionali. In particolare, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1948, prevede che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (cfr. art. 3); inoltre nessun individuo può essere: “sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti” (cfr. art. 5); “arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato” (cfr. art. 9); “sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata [...], né a lesione del suo onore e della sua reputazione” (cfr. art. 12)60.

Tale libertà è più specificamente garantita dal successivo Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea generale dell’ONU il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo in Italia con la L. 881/1977, che all’art. 9 sancisce quanto segue: “Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può essere privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge”.

La tutela dei diritti fondamentali della persona all’interno dello spazio giuridico europeo “ha assunto una forma pluridimensionale, articolata su tre livelli principali: il piano internazionale, fondato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sulla giurisprudenza della

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Corte europea dei diritti dell’uomo; il piano europeo, fondato sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; il piano nazionale, fondato sulle Carte costituzionali e sulla legislazione dei singoli Stati. I diversi piani di tutela, autonomi gli uni rispetto agli altri e non gerarchicamente ordinati, richiedono forme di coordinamento e di integrazione che sono state progressivamente elaborate non tanto e non solo attraverso strumenti normativi, quanto piuttosto attraverso l’applicazione giurisprudenziale e le pronunce delle Corti costituzionali dei singoli Stati, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia dell’Unione europea”61

. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo assume, “nel sistema della cosiddetta multilevel protection, un’importanza centrale. Essa rappresenta, infatti, indubbiamente, il più sofisticato ed esteso strumento giurisdizionale di tutela dei diritti umani esistente al mondo”62. L’importanza del sistema della Cedu, “nella tutela dei diritti fondamentali è cresciuta esponenzialmente da quando, con l’entrata in vigore del Protocollo n. 11, il 1° novembre 1998, è stato profondamente modificato il meccanismo originario di protezione dei diritti, con l’istituzione di una Corte unica e permanente, alla cui giurisdizione sono sottoposti obbligatoriamente ed automaticamente tutti gli Stati aderenti alla Convenzione”63. All’interno di tale sistema, è stata “formalizzata la previsione di un vero e proprio ricorso giurisdizionale individuale che può essere promosso dal singolo

61

Manes V., I principi penalistici nel network multilivello, RIDPP, 2012, 839.

62 Lombardo M., Obblighi internazionali in materia penale (Convenzione Cedu), 2014, Banca dati

on-line “ Leggi d’Italia”, in AA. VV., Ipsoa, Gruppo Editoriale Wolters Kluwer.

63 Sulle modifiche introdotte vedi Nascimbene B., La nuova Corte Europea dei diritti dell’uomo,

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individuo contro lo Stato ritenuto responsabile di una lesione ai suoi danni di un diritto tutelato dalla Convenzione.

Sono state apportate nel corso negli anni alcune modifiche strutturali al funzionamento della Corte, volte a riorganizzarne le competenze e a filtrare maggiormente la ricevibilità dei ricorsi proposti, tra le quali possiamo ricordare: l’istituzione di un giudice unico (anziché un comitato di tre giudici) competente a respingere i ricorsi manifestamente irricevibili, nonché comitati di tre giudici (anziché sezioni di sette giudici) legittimati a pronunciarsi nel merito, in presenza di una giurisprudenza consolidata della Corte sulla questione oggetto di esame; il riferimento al principio di sussidiarietà e la riduzione da sei a quattro mesi del termine per la presentazione del ricorso; inoltre la previsione della possibilità per le giurisdizioni più elevate di ciascuno Stato di richiedere alla Corte pareri consultivi sull’interpretazione o l’applicazione dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli”64.

L’aumento del numero dei ricorsi ha comportato anche il progressivo ampliarsi dei temi su cui la Corte di Strasburgo è stata chiamata a pronunciarsi, con un conseguente intreccio sempre più fitto e inestricabile tra il livello nazionale e quello internazionale di tutela dei diritti fondamentali. Al contempo, le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, con l’espressa previsione della diretta adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cfr. art. 6, par. 2, TFUE), nonché con l’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dello “stesso valore giuridico dei Trattati”, (cfr. art. 6, par. 1, TFUE), dischiudono nuove prospettive in ordine ai

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rapporti tra i diversi livelli di tutela dei diritti fondamentali nello spazio europeo.

“Accanto al tradizionale dovere (c.d. negativo) dello Stato di astenersi dal violare i diritti fondamentali attraverso i propri organi pubblici, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha individuato nelle proprie sentenze obblighi cosiddetti positivi di tutela, dedotti dal dovere generale di rispetto dei diritti fondamentali posto a carico di ciascuno Stato contraente. Secondo tale prospettiva, lo Stato avrebbe anche l’obbligo positivo di attivarsi per impedire la lesione dei diritti da parte di terzi, nonché per assicurare, quando il diritto sia stato ormai violato, la scoperta e l’adeguata repressione della violazione medesima, dovendo tendere alla restitutio in integrum, ove possibile, ovvero ad una azione tale da rimettere il ricorrente nella situazione in cui si trovava prima della lesione dei suoi diritti fondamentali”65. In tema di rimedi, l’art. 41 della Cedu, prevede poi che “ove il diritto interno dello Stato contraente non consenta la riparazione della violazione, la Corte accorda un’equa soddisfazione alla parte lesa, condannando direttamente lo Stato al risarcimento del ricorrente”. “Tra gli obblighi, rientra anche il dovere dello Stato di porre il sistema giuridico interno in condizione di rispettare gli impegni assunti con l’adesione alla Convenzione, eventualmente adottando disposizioni legislative e regolamentari ad hoc ovvero abrogando norme incompatibili con i diritti riconosciuti nella Convenzione”66.

E’ intervenuta in tale contesto la sentenza della C. cost., n. 80/2011 secondo la quale “la disapplicazione delle norme interne non può avvenire quando queste ultime contengano o tutelino diritti

65 Così Lombardo M., op. cit. 66 Così Lombardo M., op. cit.

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individuali, ma può avvenire solo quando la norma si presenta in contrasto con quelle dell’Unione Europea, attenga in maniera diretta alla struttura, alle finalità, alle organizzazioni ed alle funzioni dell’Unione Europea”.

L’esecuzione delle sentenze è lasciata, “alla competenza dei singoli Stati contraenti, così come è lasciata alla discrezionalità del legislatore statale l’individuazione dei mezzi per adeguare l’ordinamento interno alle norme della Convenzione. In proposito mette conto ricordare la norma dell’art. 46 Cedu, secondo la quale ““le decisioni della Corte hanno forza vincolante e le parti contranti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della stessa per le controversie di cui sono parte”. Si tratta di un impegno politico in senso stretto, per cui ciascuno Stato dovrebbe adottare strumenti in grado di dare attuazione ai contenuti decisori delle sentenze della Corte di Strasburgo”67.

Sulla base di tale norma, “la prassi del Comitato dei ministri prevedeva il controllo circa l’esecuzione della sentenza mediante richiesta di informazioni agli Stati con un limitato potere di intervento. Se il Comitato riteneva che le misure nazionali fossero sufficienti, ne dava atto mediante risoluzione pubblica, in caso contrario, lo stesso organo evidenziava il disallineamento con una risoluzione provvisoria e mantenendo sotto stretta osservazione lo Stato inadempiente.

La nuova e più ampia formulazione dell’art. 46, invece, prevede maggiori poteri in capo al Comitato. In primo luogo, viene prevista la possibilità di rivolgersi alla Corte affinché essa si pronunci sulla corretta interpretazione di una sentenza, ove il Comitato ritenga sussistenti delle difficoltà nel controllo dell’esecuzione derivanti da dubbi quanto all’interpretazione della stessa. Tale decisione deve

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essere presa con una maggioranza di due terzi dei rappresentanti aventi diritto a sedere nel Comitato”68. Negli ultimi due commi introdotti dal Protocollo 14 viene, inoltre, prevista una sorta di procedura di infrazione, in base alla quale, ove il Comitato ritenga che uno Stato rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia di cui è parte, può, dopo averlo messo in mora, deferire alla Corte la questione. Se la Corte accerta una violazione del dovere di conformarsi alle sentenze, rinvia al Comitato dei ministri, affinché questo statuisca sulle misure da adottare. Laddove, al contrario, l’accertamento della Corte risulti negativo, il Comitato dei ministri dichiara concluso il suo esame. Si tratta, dunque, di un meccanismo mediante il quale il controllo in ordine all’esecuzione della sentenza risulta dalla collaborazione tra Corte e Comitato con un effetto maggiormente stigmatizzante per lo Stato in questione e la possibilità di un intervento più incisivo rispetto alla semplice emanazione di una risoluzione pubblica.

“L’autonomia delle istituzioni statali nel dare esecuzione alle sentenze di condanna e la stessa funzione di controllo attribuita al Comitato dei Ministri, che è comunque un organo politico del Consiglio d’Europa, sono stati progressivamente erosi dalla più recente giurisprudenza della Corte europea, che, nell’ultimo decennio, è giunta ad attribuirsi un potere pregnante di controllo anche sulla fase di esecuzione delle sue sentenze definitive. Tale potere è oggi formalizzato all’art. 61 del Regolamento della Corte, con il riconoscimento normativo della cosiddetta procedura della “sentenza pilota”69, per cui quando i fatti all’origine della richiesta rivelino l’esistenza nello Stato di un

68 Così Lombardo M., op. cit. 69 Così Lombardo M., op. cit.

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problema strutturale o sistemico che abbia dato luogo o sia suscettibile di dare luogo all’introduzione di ricorsi di analogo contenuto, nella sentenza emessa all’esito di tale procedura deve essere indicato il problema strutturale constatato e il tipo di misure che lo Stato deve assumere a livello interno in applicazione del dispositivo della sentenza. La Corte può anche fissare un termine entro il quale devono essere adottate le misure indicate in sentenza e può sospendere l’esame degli altri casi analoghi pendenti, in attesa dell’adozione delle misure da parte dello Stato.

“Per quanto riguarda lo Stato italiano, giacciono in Parlamento, praticamente dimenticati, alcuni disegni di legge rivolti a superare l’efficacia del giudicato penale interno, tutte le volte in cui la Corte di Strasburgo abbia riconosciuto che lo stesso rappresenti l’epilogo di un processo penale condotto, in tutto o in parte, senza l’osservanza delle regole dell’equo processo legale”70

consacrate dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

“Nel silenzio e nell’inerzia del potere legislativo, sul problema di carattere generale della eseguibilità delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale interno e della individuazione degli strumenti giuridici per dare ottemperanza a tali pronunce, ha inevitabilmente comportato la ricaduta del problema sugli organi giudiziari, direttamente investiti dai ricorrenti vittoriosi a Strasburgo di istanze di attuazione delle sentenze europee di condanna, attraverso strumenti compatibili con i principi generali del sistema processuale interno.

Le soluzioni individuate, benché riconducibili a tre principali istituti, risentono inevitabilmente, per il carattere giurisprudenziale delle

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stesse, della ricerca in via interpretativa di una soluzione per il caso concreto, offrendo conseguentemente esiti parziali e comunque inidonei alla piena realizzazione dell’obiettivo di assicurare, in ogni caso, la reintegrazione del soggetto. L’estensione analogica dei casi di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis, c.p.p., è un mezzo idoneo ad assicurare la riapertura del processo soltanto per le violazioni che si siano verificate nel giudizio di cassazione e non nel giudizio di merito, come avviene nella maggior parte dei casi di violazioni alla Convenzione accertati dalla Corte europea. Analogamente, la remissione in termini ex art. 175, c.p.p., è utilizzabile nei soli casi di violazioni concernenti lo svolgimento in contumacia del processo”71. Lo stesso incidente di esecuzione ex art. 670, c.p.p., volto ad ottenere la declaratoria di ineseguibilità del giudicato contrastante con una sentenza della Corte europea, pur essendo potenzialmente applicabile in ogni caso di violazione delle norme convenzionali, si limita, secondo l’espressione della stessa Corte costituzionale, a ““congelare” il giudicato, collocandolo a tempo indeterminato in una sorta di “limbo processuale”, senza soddisfare l’esigenza primaria della riapertura del giudizio, in condizioni che consentano il recupero delle garanzie processuali riconosciute dalla Convenzione”72.

A fronte del perdurare di una situazione connotata dal ripetersi di richieste sovranazionali di attuazione delle sentenze europee e dalla ricerca in via interpretativa di soluzioni caso per caso, la Corte costituzionale, dopo aver rigettato, con una prima sentenza del 2008, analoga questione, sollecitando il legislatore a intervenire per risolvere

71 Lombardo M., op. cit. 72 C. Cost., 13/4/2011, n. 113.

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in termini generali il problema, con la sentenza n. 113 del 2011, “ravvisata la sussistenza di un vulnus costituzionale non sanabile in via interpretativa, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 630, c.p.p., per contrasto con l’art. 117, 1° co., Cost., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione, che consenta la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46 Cedu, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”73

.

I casi di revisione del processo sono stati così ampliati con l’introduzione di una nuova ipotesi, preordinata non al proscioglimento del condannato ma a porre l’interessato nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione accertata. Da ciò consegue che il giudizio può concludersi, nell’alternativa tra assoluzione e conferma della precedente decisione, ma anche con la pronuncia di una nuova sentenza di condanna.

Va detto, che a seconda della violazione accertata dalla Corte europea, la riapertura del processo può comportare la mera eliminazione di singole prove illegittimamente assunte, la loro rinnovazione o l’integrale rinnovazione del giudizio.

È la stessa Corte costituzionale a chiarire in proposito “che il riferimento alla riapertura del processo va inteso come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate e, se del caso, di quella integrale del giudizio”74.

La motivazione della sentenza della Corte contiene, infine, un dettagliato insieme di regole, volte a rendere effettivo e operante il nuovo caso di revisione e a precisare i rapporti tra lo stesso e la

73 C. Cost., 13/4/2011, n. 113. 74 C. Cost., 13/4/2011, n. 113.

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