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1. La realtà Black British: tra Britishness e Otherness

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Academic year: 2021

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1. La realtà Black British: tra Britishness e Otherness

1.1. Black Britain: storia di una comunità

La letteratura black British rappresenta un ambito di studio complesso e difficile da definire a causa delle molteplici sfaccettature delle tematiche che affronta, soggette alle condizioni socio-culturali, oltre che politiche, dell’Inghilterra del secondo Novecento. Prima di potersi soffermare sulla letteratura black British, e in particolar modo su Jackie Kay, risulta quindi necessaria la conoscenza delle tappe fondamentali della storia della comunità black British che ha segnato la nascita e lo sviluppo di questo campo della Letteratura Inglese.

L’inizio viene generalmente collocato nel periodo post bellico inglese, durante il quale cominciarono a comparire sempre più immigrati provenienti da ogni parte dell’Impero, ormai in disfacimento; la loro presenza influì sulla situazione sociale e politica, come risulta dai vari Immigration Acts e British Nationality Acts – emanati già fin dagli anni ’40 – e dagli scontri civili dovuti ad atteggiamenti razzisti, una triste costante di tutta la seconda metà del ‘900 inglese che ha lasciato ferite tuttora non rimarginate.

La prima fondamentale trasformazione del profilo sociale inglese si ebbe negli anni ’50, con l’influenza della cultura di massa proveniente dall’America, l’espansione economica del secondo dopoguerra e il crollo dell’Impero, con il conseguente riversarsi sulle coste britanniche di nuova forza lavoro proveniente da Caraibi e Asia. L’anno considerato come punto di

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svolta è il 1948: quando una nave carica di lavoratori provenienti dai Caraibi, in fuga da condizioni di vita disperate, attraccò nel porto di Londra. Le storie personali di questi immigrati si intrecciarono a quella del paese al quale da sempre erano stati assoggettati, e che si ritrovava adesso alle prese con il ridimensionamento del proprio potere, ancora fortemente caratterizzato da un’ideologia incentrata sulla superiorità razziale. E’ l’inizio del difficile e complesso cambiamento che porterà al nuovo volto della realtà inglese contemporanea, ma anche e soprattutto dell’intero Vecchio Continente.

La presenza dei neri in Gran Bretagna è registrata già fin dai tempi dei romani e si incrementò, come è facile immaginare, durante il periodo della schiavitù, a partire dal XVI secolo – gli scritti di Olaudah Equiano1 e Ignatius Sancho2 ne sono le testimonianze più note – ma è con la seconda guerra mondiale che si crearono le condizioni per il cambiamento più radicale di qualche decennio più tardi. Quindi, sebbene sia sbagliato pensare all’Inghilterra del secondo conflitto bellico come ad una nazione esclusivamente bianca, è invece possibile affermare che la componente nera prima della guerra risultasse sostanzialmente trascurabile.

In occasione del conflitto furono chiamati a combattere per la madrepatria gli abitanti delle colonie; queste reclute provenienti da mondi lontani, così come tutti coloro coinvolti nel conflitto, erano ben consapevoli che la minaccia rappresentata da Hitler non fosse limitata esclusivamente al livello europeo e risposero prontamente alla richiesta di aiuto: minacciare l’Inghilterra significava minacciare i Caraibi stessi, arruolarsi e combattere significava quindi difendere anche i propri interessi oltre che quelli della

1 The Interesting Narrative of the Life of Olaudah Equiano or Gustavus Vassa, 1789. 2

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madrepatria3. Un fattore da non trascurare nella prontezza a prestare il proprio servizio per l’esercito inglese fu senz’altro il grande fascino rappresentato della prestigiosa RAF (Royal Air Force): la speranza di poterne fare parte fu certo un obiettivo ambito da molti anche se verrà raggiunto da ben pochi.

Non solo l’esperienza della guerra, già di per sé traumatica, ma soprattutto quella della realtà al di fuori della colonia, e più precisamente nella madrepatria, segnò il pensiero dei soldati provenienti dalle colonie. L’idea che potessero esistere uomini bianchi che non sapessero leggere andava a scuotere le fondamenta della loro realtà, dove l’uomo bianco occupava posizioni di prestigio, dove la dimora del governatore era importante quasi quanto Buckingham Palace, al di sopra del quale esisteva solo il paradiso. Implicito in questa presa di coscienza era il conseguente sfaldamento di quella convinzione che razza e classe fossero fattori indissolubili: gli inglesi bianchi non erano superiori ai neri delle colonie, erano semplicemente tutti esseri viventi.

Una volta terminata la guerra, le condizioni dei Caraibi peggiorarono notevolmente: la richiesta e il trasporto di materie prime si erano incrementati con l’intensificarsi del conflitto bellico, ma vennero meno con la sua conclusione e gli interessi prioritari di tutte le potenze economiche riguardarono la ricostruzione dell’Europa. Allo stesso tempo la vita della colonia sembrò ai soldati rientrati dalla guerra più piccola, lenta e povera; le reazioni di coloro che erano stati al centro del mondo e che avevano combattuto per gli interessi di più di una nazione furono varie: chi non vedeva l’ora di tornare “a casa” per cercare di risollevare il destino del paese

3 M. Phillips-T. Phillips, Windrush: The Irresistible Rise of Multi-Racial Britain, HarperCollins, London

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sostenendo l’indipendenza dall’opprimente struttura imperialista inglese, e chi alla domanda “perché lasciare i Caraibi?” rispondeva adesso “perché non farlo?”. L’esperienza di vita nel Vecchio Continente non si rifletté solamente su coloro che ne erano stati i diretti protagonisti, ma anche indirettamente su coloro che ne avevano sentito i racconti e le testimonianze, a cominciare da parenti e amici. Questi furono i presupposti del difficile cambiamento iniziato con l’attracco a Tilbury della SS Empire Windrush nel 1948 e che negli anni a seguire ridefinirà il profilo sociale multietnico britannico.

La Windrush era una delle navi che dopo la guerra furono impiegate per il trasporto all’interno dell’Impero di soldati dell’esercito inglese e civili al suo servizio; i posti rimasti liberi al suo interno vennero sfruttati rendendoli disponibili per coloro che si fossero voluti imbarcare per l’Inghilterra4. Dei circa 500 immigrati provenienti dai Caraibi alla ricerca di un lavoro, senza nessuna competenza specifica e con ben pochi soldi, il Governo inglese, e in particolare il Ministero del Lavoro, venne a conoscenza solamente pochi giorni prima dell’arrivo, fatto che causò non poca preoccupazione anche se, visto il numero esiguo, ancora del tutto infondata.

Nell’anno in cui la Windrush entrava nel porto di Tilbury, l’Inghilterra era riuscita a risollevarsi dal periodo di crisi dell’immediato dopoguerra. Come riportano i fratelli Phillips in Windrush: the Irresistible Rise of

Multi-Racial Britain, grazie alla politica di austerità adottata, si erano create le basi

del Welfare State con un ingente processo di nazionalizzazioni, l’introduzione del salario minimo e del servizio sanitario nazionale; l’industria era rifiorita e il lavoro certo non mancava: nel 1948 il paese era in una situazione di

4 Era previsto il pagamento di una somma pari a £ 28.10 anche se in molti casi non si trattò tanto di

denaro, quanto piuttosto di beni di un valore equivalente, come ad esempio bestiame (M. Phillips-T. Phillips, op. cit., p. 59), così come la Windrush, moltissime altre navi provenienti da Caraibi, Asia e da tutte le colonie ed ex colonie inglesi, cominceranno a raggiungere l’Inghilterra trasportando immigrati.

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equilibrio. Sicuramente un fattore importante nella definizione di tale stabilità fu rappresentato anche dalla risoluzione della questione indiana, con l’indipendenza concessa nel 1947, e dall’emanazione del British Nationality Act nell’anno successivo. La nuova legge prevedeva che la cittadinanza britannica venisse divisa in due categorie: i cittadini di Regno Unito e Colonie, e i cittadini dei paesi indipendenti all’interno del Commonwealth. Questa suddivisione, che non prevedeva sostanzialmente alcuna differenza tra cittadini dell’Impero e del Commonwealth, aveva più che altro lo scopo di mantenere un forte contatto con colonie ed ex colonie, compresa in particolare la neo-indipendente colonia indiana5.

Di anno in anno l’immigrazione dalle colonie verso la madrepatria aumentò sempre più, favorita anche dall’emanazione negli Stati Uniti del McCarren-Walter Immigration Act nel 1952, che diede un taglio netto all’immigrazione fissando un numero massimo annuale e che comportò il conseguente riversarsi di un numero sempre maggiore di immigrati sulle coste britanniche.

Una volta sbarcati, il problema principale per gli immigrati dalle colonie, quasi più importante della ricerca di un lavoro, che certo nel periodo di ricostruzione non mancava, era la ricerca di una casa. Troppo spesso non veniva concesso loro alloggio per il colore della pelle e per questo si ritrovarono ad occupare i bassifondi della città, dove dilagavano prostituzione, droga e violenza, e a causa di ciò sempre più la condizione di immigrato significò isolamento. A causa del numero sempre maggiore di immigrati, incrementatosi negli anni ’50, la questione abitativa divenne un

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serio problema che si cercò di arginare con l’emanazione del Rent Act6, sfruttato invece dai proprietari per arricchirsi sulle spalle degli inquilini. “Rachmanismo” fu il termine coniato per indicare il comportamento senza scrupoli dei proprietari di casa, tra i quali si distinse appunto Peter Rachman, uno degli uomini più coinvolti in azioni illecite legate al mondo immobiliare e non solo7. La speranza rappresentata dal viaggio e dall’arrivo nella madrepatria aveva lasciato il posto al disagio di un’Inghilterra che aveva tradito le rosee aspettative degli emigranti: una realtà che non aveva niente a che vedere con quella idealizzata prima della partenza.

Notting Hill e Notting Dale – successivamente riuniti sotto il nome del primo – divennero i quartieri più malfamati di Londra e la parte Ovest della città divenne l’immagine della decadenza, racchiudendo ben presto tutti i vizi dell’Impero: sesso, gioco d’azzardo e alcol. L’opinione pubblica, che nei primi tempi dopo l’arrivo della Windrush era stata tollerante, cominciò ad associare gli immigrati al degrado e alla violenza di certi quartieri, tradendo l’esistenza di un clima di ostilità che raggiungerà l’apice in svariate occasioni nel corso della Storia inglese.

Una prima manifestazione di insofferenza tra bianchi e neri si ebbe nell’agosto 1958 a Nottingham, ma fu la violenza di Notting Dale a qualche

6 Per cercare di contrastare la carenza abitativa dovuta al crescente numero della popolazione,

venne emanato nel 1957 il Rent Act: questo prevedeva una notevole diminuzione di restrizioni per i proprietari di case, che tuttavia portò a un conseguente aumento incontrollato del prezzo d’affitto. (D. Lloyd, “The Rent Act, 1957” in The Modern Law Review, Vol. 20, No. 6 (November, 1957), pp 627-630.

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Le attività illecite di Rachman furono scoperte dalla polizia in occasione delle indagini sull’“affare Profumo”, che portò al tracollo del Governo Conservatore che era al potere in quegli anni. Lo scandalo convolse in primis il Segretario alla Difesa John Profumo, il quale mentì alla House of Commons negando di aver mai avuto una relazione sessuale con una giovane prostituta di Notting Dale, Christine Keeler, la quale divideva l’appartamento con la fidanzata di Rachman, Mandy Rice-Davies. Dalle indagini si scoprì che la Keeler era stata in rapporti intimi anche con un attaché all’ambasciata russa a Londra, il Capitano Ivanov, e considerato il delicato periodo di guerra fredda che faceva da sfondo alla vicenda, i sospetti di spionaggio e le potenziali conseguenze in termini di sicurezza nazionale portarono allo scandalo e all’impeachment per Profumo, mentre per Rachman comportò lo scoprimento delle sue attività illegali.

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giorno di distanza che attirò l’attenzione di giornali e media di tutto il mondo. Gli scontri si protrassero per diversi giorni e videro opposti bianchi e neri, con gang e persone accorse da tutta la capitale ad affiancare l’una e l’altra parte durante i tafferugli. In tutto il paese c’erano già state avvisaglie della situazione di crisi: i neri venivano tormentati e molestati tanto da autoimporsi un coprifuoco per evitare il rischio di essere attaccati da gruppi di gang di quartiere. Furono rotti vetri di abitazioni di neri e coppie miste e venne appiccato il fuoco ai luoghi di ritrovo degli immigrati, che risposero alla violenza con altra violenza, provocando scontri che coinvolsero anche la polizia. Da non sottovalutare nell’aggravarsi del clima razzista londinese fu l’operato dello Union Movement, partito guidato dall’attivista Sir Oswald Mosley, che sebbene contasse solo pochi membri, insieme ad altri gruppi di estrema destra e di stampo fascista fondati negli anni successivi come il National Front o la White Defence League, riuscirono a incanalare il malcontento di molti nell’ostilità razziale con il motto ricorrente “Keep Britain White”. Con la quasi completa assenza – o tacito consenso – della polizia,

hooligans e Teddy Boys8 si sentivano legittimati a importunare con comportamenti vessatori i neri – accerchiandoli in gruppo e picchiandoli –

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Mike e Trevor Phillips in Windrush descrivono dettagliatamente questa subcultura giovanile: “By the middle of the fifties, ‘Teddy Boy’ had become a generic name for working-class delinquents, or working-class young men who merely looked like delinquents. They got that name because they had, apparently, adopted what was said to be a version of Edwardian dress – long jackets, sometimes reaching right down to the knee, tight ‘drainpipe’ trousers which fitted so close at the ankles that they had to work their feet into them with care, a string tie, which looked like a black bootlace tied in a bow, and shoes which came to a point and were called ‘winklepickers’, or shoes with thick synthetic soles, which, at one point, were called ‘brothel creepers’. The whole ensemble was topped off with a well greased mop of hair, with a lock falling over the forehead. […] It was the first manifestation of youth culture to sweep across the country, but, unlike later youth movements, it was never captured by entrepreneurs and resold as a commodity. It remained firmly working class, symbolising rebellion, and the worst Teds were proud to be mad, bad and dangerous to know” (p. 161).

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fino ad autonominarsi protettori di donne e bambini e guardiani della propria zona contro gli immigrati9.

Considerando il clima di pericolo e violenza che si respirava ovunque negli anni ‘50 non risulta difficile immaginare la gravità degli scontri che ne derivarono: gli episodi di Notting Dale del 1958 non furono altro che la naturale conseguenza di politiche sociali sbagliate unite alla sensazione di tacita approvazione per gli atti ai danni dei neri. Sebbene l’intervento della polizia riuscì a mettere fine a quell’ondata di violenza, la situazione rimaneva comunque fortemente instabile. Da registrare tra gli effetti collaterali della sommossa fu la nuova confidenza che provarono gli immigrati: “they had taken the worst that the country could throw at them and survived. Almost overnight the Trinidadians, Jamaicans, Africans and Guyanese who lived in London had become a community, bound together by a common defensiveness”10. Tuttavia, gli scontri di Notting Dale non svelarono solamente il clima teso tra bianchi e neri per questioni di razza e immigrazione, ma erano innescati da qualcosa di più profondo insito nella società inglese, come scrivono I fratelli Phillips:

Notting Dale placed race and immigration in the forefront of public consciousness. It had been a sounding board for popular discontent, and over the following months the media speculated endlessly about whether the riots would spread to other areas of the country. That they didn’t was a demonstration of the paradox that, while the riots were triggered by race, they were not exclusively about skin colour or about the number of migrants in Britain. The disturbances were equally about the conditions of white working-class lives and their desperate sense of exclusion11. 9 Ibid. p. 167. 10 Ibid. p. 179. 11 Ibid. p. 180.

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Un altro evento decisivo di quegli anni, che aprirà la strada ad importanti decisioni politiche del decennio successivo, fu la morte di Kelso Cochrane, avvenuta in seguito ad un accoltellamento subito a Notting Dale nel 1959. Kelso Cochrane era un carpentiere di Antigua che viveva da cinque anni in Inghilterra e che si sarebbe dovuto sposare il mese successivo alla sua morte. Kelso Cochrane non era nessuno, eppure la sua morte rappresentò un evento chiave. L’atmosfera nella quale avvenne l’omicidio non era la stessa dell’anno precedente e dopo il triste evento cambiò ulteriormente. I fratelli Phillips scrivono di una maggiore presenza della polizia nel quartiere e di un progressivo indebolimento delle gang di Teddy Boys, gradualmente privati dell’appoggio dei residenti dopo gli eventi dell’agosto 1958: “within the district as a whole, attitudes to the black migrants had not changed substantially, but there was a general sense of alarm at the moral abyss which had yawned open during the time of the riots”12. Subito dopo la morte di Cochrane fu solo silenzio.

L’incremento dell’immigrazione registrato alla fine del decennio non fu visto di buon occhio, come dimostra un’edizione del Daily Sketch del 1958, che così denunciava il clima di tensione che si respirava nel paese: “The government must introduce legislation quickly to end the tremendous influx of people from the Commonwealth [...]. Overcrowding has fostered vice, drugs, prostitution and the use of knives. For years the white people have been tolerant. Now their tempers are up”13. Per cercare quindi di limitare il numero di immigrati, nel 1962 venne emanato il Commonwealth Immigrants

Act. Questo provvedimento prevedeva un sostanziale controllo

12 Ibid. pp. 182-183. 13

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sull’immigrazione dalle colonie basato prevalentemente sul tipo di forza lavoro richiesto nella madrepatria. Ogni anno sarebbe stato ammesso solamente un preciso numero di lavoratori senza nessuna particolare specializzazione, mentre sarebbe stato libero l’accesso per studenti, militari e coloro che avessero avuto le autorizzazioni dal Ministero del Lavoro o già in possesso di un impiego14, oltre che a mogli e figli che si fossero dovuti ricongiungere con la famiglia. Con un decreto del genere in vista si ebbe, nel periodo precedente la sua emanazione ufficiale, un incremento ancora maggiore delle immigrazioni per sfuggire le ormai prossime drastiche restrizioni.

La situazione di politica interna inglese intanto cominciava a risultare decisamente instabile, con il Governo Conservatore sempre più sotto pressione a causa anche dello scandalo Profumo, dalle cui indagini emerse il coinvolgimento di molti ministri in relazioni sessuali illecite, droga e pornografia. La complessa situazione politica unita ad un’economia non più in crescita e alla delicata politica estera, con al centro la problematica decolonizzazione dell’Africa, portarono, nonostante l’emanazione dell’Housing Act nella primavera del 196415, alla vittoria dei Laburisti nelle elezioni dello stesso anno. Il nuovo governo propose restrizioni ancora più drastiche riguardanti l’immigrazione, posticipando il Race Relations Act, che avrebbe vietato la discriminazione razziale nei luoghi pubblici. Le nuove restrizioni sull’immigrazione del 1965 furono pubblicate come White Paper16;

14 “Commonwealth Immigrants Act, 1962” in International Migration Digest Vol. 1, No. 2 (Autumn,

1964), pp. 177-199.

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L’Housing Act prevedeva la possibilità per i proprietari immobiliari di ottenere prestiti per poter apportare modifiche alle abitazioni in modo tale da soddisfare precisi requisiti così da creare nuove accomodazioni o migliorare quelle già esistenti. (D.G. Valentine, “Housing Act, 1964” in The Modern

Law Review, Vol. 28, No. 2 (March, 1965), pp. 200-204.

16 White paper: libro bianco. Una pubblicazione ufficiale a cura del governo, nella quale vengono

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tra i suoi punti, oltre a un numero inferiore di immigrati, era prevista l’istituzione di un nuovo organo: la National Committee for Commonwealth Immigrants, con l’intento di sostituire il Commonwealth Immigrants Advisory Council, istituito nel Commonwealth Immmigrants Act del 1962 e finalizzato a favorire l’integrazione degli immigrati17.

Un dato importante da registrare negli anni ‘60 inglesi è il fiorire di organizzazioni e movimenti per i diritti dei neri, molto spesso sconosciute ai più rispetto a quelle americane, che con le loro grandi personalità hanno certo esercitato una notevole influenza sul più ristretto contesto inglese. A Londra l’esponente dell’ideologia del Black Power era Micheal de Freitas, poi conosciuto con il nome di Micheal X. Come il più famoso Malcolm, anche il passato di de Freitas non era dei più cristallini: figlio di una coppia mista, si trasferì a Londra nel 1957 dove si ritrovò a gestire un giro di affari illegali che spaziavano dalla droga, al racket, alla prostituzione. In seguito all’incontro con Malcolm X durante un suo viaggio a Londra, de Freitas assunse sempre più il ruolo di leader e risultò di particolare importanza nel periodo di presa di coscienza dei neri, sebbene non abbandonò mai il legame all’illegalità. Tra le sue principali attività si ricorda la fondazione di varie organizzazioni a favore dei neri, il suo impegno nei tentativi di risoluzione della questione abitativa e la creazione della Black House18. Degne di nota nella lotta per i diritti dei neri inglesi sono anche organizzazioni come il Black Education Movement, il Black

probabilmente troveranno espressione in una futura legge (F. Picchi, Economics & Business,

Dizionario enciclopedico economico e commerciale, terza edizione, Zanichelli, Bologna 2001).

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La Commissione fu aspramente contestata dai sostenitori di coalizioni pro-immigrati, che denunciavano la necessità di gestire le risorse per la risoluzione di problemi riguardanti l’immigrazione in una sfera più locale piuttosto che su scala nazionale, come nel caso della Committee.

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Per informazioni più dettagliate circa la vita di Micheal de Freitas si rimanda al sito http://darkestlondon.com/2013/06/17/michael-x-and-the-black-house-of-holloway-road/ (ultima visita 28/08/2014) o all’autobiografia From Micheal de Freitas to Micheal X (Sphere, 1968).

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Parents Movement e il Black Students Movement, tutte nate nella seconda metà degli anni ‘60.

In questo decennio sempre più si notava una certa apertura del partito laburista verso le minoranze e la loro integrazione, che tuttavia subì una battuta d’arresto nel 1968 con il discorso del conservatore Enoch Powell. Pronunciato in occasione dell’analisi in Parlamento di un nuovo Race Relations Act, che condannava come atto discriminatorio il rifiuto a fornire beni o servizi pubblici, all’accesso al lavoro e all’abitazione sulle basi di colore, razza o etnia, il discorso di Enoch Powell, meglio noto come “Rivers of Blood Speech”19, infuocò gli animi e indebolì non poco i tentativi di portare la stabilità nel paese. Riferendosi a lettere e storie di esperienze personali dei cittadini, Powell descrisse come la situazione dei bianchi inglesi fosse in realtà una situazione di pericolo di fronte al dilagare dei neri e del crescente potere che stavano acquisendo grazie all’appoggio dello Stato. Al parlamentare conservatore il discorso costò la poltrona, ma molteplici furono le conseguenze registrate in tutto il paese, anche a distanza di anni: la più immediata fu la vittoria del partito conservatore nel 1970 e la nuova fiducia del popolo nel governo neo-eletto, che si adoperò in nuove leggi sull’immigrazione20; tuttavia provocò anche un rafforzamento del sentimento anti-razzista di liberali e sinistra, sempre più uniti nell’idea che i neri presenti in Gran Bretagna dovessero avere gli stessi diritti e doveri dei cittadini

19 Il nome col quale il discorso è passato alla storia si deve a una citazione al suo interno ripresa

dall’Eneide di Virgilio “Like the Romans I seem to see ‘the River Tiber foaming with much blood’” (Libro VI, v. 86).

20 L’Immigration Act del 1968 modificava ampiamente il precedente atto del 1962 sottoponendo al

controllo dell’immigrazione tutti coloro che fossero in possesso del passaporto inglese e che non fossero loro stessi, almeno uno dei genitori o almeno uno dei nonni, nati, adottati o naturalizzati inglesi nel Regno Unito. Questo atto, passato ed emanato in meno di un mese, venne studiato per porre un freno all’immigrazione asiatica proveniente dal Kenya in seguito alle misure politiche di “Africanizzazione” del paese: sostituire i lavoratori stranieri – in questo caso coloro che avessero preferito mantenere il passaporto inglese in occasione dell’indipendenza – con lavoratori kenyoti (Phillips, op. cit., pp. 244-5).

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bianchi. Nella comunità nera il Powellismo non fece altro che accrescere la voglia di restare e la necessità di aumentare il proprio coinvolgimento nella vita sociale e politica del paese.

Il discorso di Powell condizionò tutte le successive decisioni politiche: il sospetto insinuatosi nell’opinione pubblica che il governo laburista, attraverso le leggi sull’immigrazione e anti-razzismo, stesse in realtà conferendo sempre più potere ai neri comportò il blocco di molte iniziative, tra le quali i finanziamenti, già previsti dalla legge, destinati agli immigrati per facilitarne l’inserimento nella società. Oltre che scatenare istituzioni e opinione pubblica contro la comunità nera, il discorso di Powell, pronunciato in quegli anni di delicata tensione sociale e politica, segnò un punto fondamentale nella storia inglese: fu infatti proprio in questo decennio che la comunità Black British trovò la sua unità come sottocultura nella società inglese, affermando i propri punti di forza nella musica, nella poesia, nelle tradizioni culturali dei paesi di provenienza propri o dei genitori, e cominciando a manifestare la propria presenza in occasioni come il Carnevale di Notting Hill21. Da questa presa di coscienza che progressivamente si definiva e si rafforzava, sempre più intellettuali neri cercarono di dar sfogo alla propria creatività: è in questo periodo che venne creata la Federation of Worker Writers and Community Publishers’ (FWWCP). L’organizzazione aveva come membro fondatore la Centerprise, libreria e centro culturale sorto agli inizi degli anni ‘70 nel quartiere di Hackney, e con la sua attività voleva opporsi ai dettami della società, dando spazio alle voci della working class inglese e incoraggiare l’emergere della cultura Black British. Il principio

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Il Carnevale di Notting Hill venne accolto dagli immigrati, soprattutto da quelli originari di Trinidad, come un’occasione “to play mas” e celebrare la joie de vivre tipicamente caraibica; di anno in anno l’evento attirò un numero sempre maggiore di partecipanti, rappresentando oltre che una festa, una situazione da trattare con particolare attenzione da parte della polizia (Ibid. pp. 274-284).

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fondante del nuovo organismo era la convinzione dell’importanza che lo scrivere e la sua diffusione dovessero essere accessibili a tutti. Fondata nel 1976, l’organizzazione era formata inizialmente da nove gruppi di scrittori, intorno ai quali si raccoglievano anche attivisti e lavoratori immigrati emarginati. Di fondamentale interesse per l’organizzazione era sia l’ambito educativo che quello politico in un’ottica progressista: si occupò infatti dell’organizzazione di corsi per insegnare a leggere e scrivere agli adulti, specialmente immigrati22. Nonostante continuassero le manifestazioni di insofferenza e razzismo, la risposta era ormai più che pronta e riassumibile nello slogan “Come what may we are here to stay”, un verso del cantante/poeta dub Linton Kwesi Johnson23.

Nello stesso anno della fondazione della FWWCP fu emanato un nuovo Race Relations Act che prevedeva anche la creazione di una Commission for Racial Equality (CRE) con lo scopo di occuparsi dell’eliminazione della discriminazione razziale e promuovere l’uguaglianza delle opportunità e i buoni rapporti tra persone appartenenti a comunità razziali diverse, ma ciò non bastò ad evitare gli episodi di violenza degli anni ’80. Catturati da media nazionali e internazionali, faranno il giro del mondo e rimarranno tristemente impressi nella memoria collettiva inglese e non.

A differenza delle sommosse degli anni ‘50, dove a scontrarsi erano bianchi contro neri, negli scontri più recenti la separazione non era più così netta e scontata: molti bianchi infatti si schierarono dalla parte dei neri e delle minoranze contro il razzismo radicato nella società. Uno degli episodi

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S. Courtman, “‘Black in Ivory Towers Can’t Write About Ghettos’: West Indian Worker Writers in 1970s Britain” in K. Sesay (a cura di) Write Black, Write British, Hansib, UK 2005.

23 Definito come il più significativo poeta giamaicano attivo nel Regno Unito per la capacità delle sue

parole di superare i confini della sua comunità, Linton Kwesi Johnson è uno dei maggiori esponenti della dub poetry, genere nato negli anni ‘70 caratterizzato dall’accompagnamento di parole al ritmo reggae e dalle tematiche politiche e di denuncia sociale (http://literature.britishcouncil.org/linton-kwesi-johnson ultimo accesso 30/08/2014).

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fortemente sentito dalla comunità nera avvenne nel 1981, quando nel quartiere di Demptford, in New Cross Road, improvvisamente divampò un incendio nel quale persero la vita 13 persone, per la maggior parte adolescenti e tutti di colore. L’avvenimento non fu seguito da nessuna nota di dolore o dispiacere da parte delle autorità, e in particolar modo del primo ministro Margaret Thatcher, in carica dal 1979, che non mancò invece di esprimere il proprio cordoglio in seguito a un episodio analogo avvenuto a Dublino. I sospetti che si trattasse di un incendio doloso, avvenuto per motivi razziali, furono forti; l’indignazione crebbe poi in seguito al modo inappropriato in cui le forze dell’ordine stavano conducendo le indagini. Molte furono le dimostrazioni di solidarietà da parte dell’intero popolo nero di Londra, che ancora una volta dimostrava la propria solidità e presenza e che diede sfogo al proprio sdegno organizzando il Black People’s Day of Action per il 2 marzo 198124. A un mese dall’incendio, una nuova ondata di violenza esplode a Brixton, South London, dove la brutalità con la quale i poliziotti sedarono la rappresaglia nel quartiere lascerà segni profondi nella sensibilità dei futuri scrittori di colore, appena adolescenti negli anni ’80, che a modo loro si sono fatti carico dell’eredità lasciata dall’ennesimo triste evento che ha riguardato in particolare la comunità nera.

L’atmosfera tesa, caratterizzata da sommosse e tumulti in tutta la Gran Bretagna, portò il governo a prendere provvedimenti dall’impronta marcatamente conservatrice e bigotta, tipica del periodo Thatcher (1979-1990). Mentre la situazione socio-economica inglese procedeva in senso inversamente proporzionale, con le classi abbienti che si arricchivano sempre

24 Una marcia, da Fordham Park a Hyde Park, organizzata dalla New Cross Massacre Action

Committee alla quale parteciparono migliaia di persone per protestare contro politici e forze dell’ordine, sfilando con cartelli e slogan come “Thirteen Dead, Nothing Said” (http://www.georgepadmoreinstitute.org/archive/collection/new-cross-massacre-campaign ultimo accesso 30/08/2014).

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più grazie ai tassi di inflazione mentre i poveri diventavano ancora più poveri, la tolleranza del governo nei confronti dell’operato delle forze dall’ordine, investite di un potere decisamente eccessivo, non fece che accrescere il clima di violenza che imperversava per le strade. Tra i provvedimenti di maggiore impatto di questi anni occorre ricordare l’inasprimento del British Nationality Act25 ma soprattutto l’adozione della cosiddetta “Sus Law” (Sus-pect), che permetteva alla polizia di fermare, perquisire e arrestare chiunque fosse anche solamente sospettato di stare per commettere una violazione26.

Nel periodo immediatamente precedente le rivolte del 1981, la polizia metropolitana stava portando avanti l’Operation Swamp, un’azione che aveva lo scopo di mettere un freno alla criminalità: abusando del potere che le Sus Laws concedevano loro, in soli cinque giorni furono fermate e perquisite più di mille persone del quartiere londinese di Brixton, ad alta concentrazione nera. L’operato della polizia alimentò il sentimento di malcontento della comunità nera che denunciò a gran voce l’operato discriminatorio riservato alle persone di colore e che portò inevitabilmente a scontri violenti protrattisi per giorni causando centinaia di feriti.

25 Entrato a vigore a tutti gli effetti nel 1983, il British Nationality Act del 1981 annullava lo ius soli e

definiva come cittadini inglesi solamente coloro che avessero avuto genitori nati o comunque ufficialmente stabilitisi in modo permanente nel Regno Unito. Tale modifica comportò la diversificazione tra cittadini britannici e cittadini del Commonwealth e la presenza improvvisa di un’intera generazione che non apparteneva a nessuno stato (D. Dixon, “Thatcher’s People: The British Nationality Act 1981” in Journal of Law and Society, Vol. 10, No. 2 (Winter, 1983), pp. 161- 180).

26 Le Sus Laws facevano parte del Vagrancy Act del 1824, emanato per combattere vagabondaggio e

accattonaggio; furono abrogate nel 1981 perché ritenute contrarie alla libertà personale dell’individuo (Daily Telegraph, 21 May 1980). In Windrush i fratelli Phillips riportano la testimonianza di Sir Herman Ouseley: “The sus laws were very difficult and, throughout the seventies resulted in a build-up of tension – not just in places like Brixton but elsewhere – because of the indiscriminate way in which they were applied, no doubt the police felt pressurised into arresting people and charging people and very orten they arrested people but not charge them but treat them badly” (p. 357).

(17)

16

Nel libro dei fratelli Phillips, tra le varie testimonianze raccolte, compare anche quella di Sir Herman Ouseley27 relativa proprio agli avvenimenti del 1981 e successivi, particolarmente significativa nel comunicare la gravità della situazione di quegli anni:

I don’t think you can realistically, as an individual, believe when you hear stories that people are just being picked up and rounded up for no reason unless you experience it, or you know of people who have experienced it. In the aftermath of ’81, many people of both black and white were saying, “I didn’t realise what was happening until I heard all the stories and now I know for sure.” It wasn’t just people shouting racism, and a few bad eggs or a few bad apples in a barrel, it was a deep institutional problem that had to be grappled with, and that was a defining moment28.

In Windrush i fratelli Phillips riportano le parole di Stuart Hall29 che così descrive l’operato dell’Iron Lady alle prese con immigrazione, diritti civili e razzismo e l’importanza delle sue conseguenze:

In a very funny way, because of its sort of radical attack on a number of established traditional British Institutions, it sort of opened some spaces, it sort of made the society slightly more permeable. Now it made it more permeable at a

27

Personalità di spicco nel panorama politico inglese, Sir Herman Ouseley (nominato Lord nel 2001) raggiunse la famiglia nel Regno Unito dalla Guyana nel 1957; il suo operato è da sempre improntato alla lotta contro il razzismo e attento alle necessità di coloro con una situazione svantaggiata oltre che alla promozione dell’integrazione sociale, è stato a capo di diverse commissioni come la CRE (Commission for Racial Equality) e organizzazioni come la Chandram Foundation, attualmente è anche presidente della Kick It Out, organizzazione contro il razzismo nel mondo del calcio inglese.

28 Ibid. p. 365. 29

Stuart McPhail Hall nasce a Kingston nel 1932 e si trasferisce dal 1951 nel Regno Unito per studiare all’Università di Oxford. Nel 1958 fu co-editore della rivista New Left Review che ebbe un impatto decisivo nel dibattito sull’immigrazione e sulle politiche sociali. Fu direttore del Centre for Contemporary Cultural Studies dal 1969 al 1979 e poi docente di Sociologia alla Open University fino al 1997. Muore nel febbraio 2014 e viene ricordato da molte testate giornalistiche come “godfather of multiculturalism”. Tra i suoi volumi compaiono Resistance Through Ritual, Policing the Crisis e

(18)

17 cost, only for a minority, and only if you really went after success of a very individualistic kind. And I think, actually, the black British identity is an identity of that kind, it is very individualistic30.

Occorre infatti ricordare, tra le azioni del governo, il provvedimento riguardante la fine del Greater London Council (GLC), organismo amministrativo di controllo della stessa area che venne abolito nel periodo Thatcher, azione giustificata come facente parte del programma di governo contro il decentramento del potere. E’ da sottolineare il fatto che a capo del GLC erano stati eletti rappresentanti del partito Laburista, contrari all’ideologia dell’allora Primo Ministro inglese. L’operato del Greater London Council viene descritto in Windrush come orientato verso la creazione di un clima sociale più sereno per l’ormai multirazziale Regno Unito, nel quale anche agli immigrati spettavano diritti e benefici validi per coloro che vivevano nel paese31. Nonostante la sua fine, non erano finite le azioni per i diritti dei neri e degli immigrati in generale, che anzi con il Thatcherismo ebbero nuove inaspettate opportunità, come si è già visto nelle parole di Hall:

Here’s the problem with Mrs Thatcher. At the same time as she was thumping the tub of white nationalism, she was destroying some of the bases on which it stood. […] Her poll tax provoked riots and united the country against her in the way nothing else did for a long time. She smashed a network of working-class cultures when she smashed the miners’ strongholds, and when she did so she set off a fragmentation and decline of one of the most reactionary and insular groupings in the Labour movement. She managed the same thing with the power of the trade unions. After she had finished with them the ground lay bare, which meant that outsiders like us could walk in, without being repulsed by organised

30 Phillips, op. cit. p. 378. 31

(19)

18 interests. She took away the sense of belonging and certainty from huge swathes of the British, but, then, the truth is that we immigrants had never known those roots, and that left us free to join in the re-building32.

Volgendo l’attenzione al contesto socio-culturale del periodo Thatcher, si nota come questi siano stati anni di fermento, dove i provvedimenti del governo hanno infiammato le penne di molti intellettuali. Un esempio è rappresentato dal British Nationality Act, la cui emanazione suscitò la pronta risposta di attivisti e intellettuali come Salman Rushdie, che scrisse dei saggi contrari al modo di agire del governo e che sono andati poi a costituire il corpo di Imaginary Homelands, o come The Empire Strikes Back del Centre for Contemporary and Cultural Studies33. E’ in questo periodo che tutti coloro non ritenuti inglesi dalla legge si ritrovarono uniti dietro la più generale e imprecisa etichetta di black a rivendicare la propria “Englishness”, o meglio “Britishness”, e un conseguente trattamento equo e giusto. I neri, e tutti gli altri intellettuali appartenenti a una minoranza, cominciano a farsi sentire, in particolare attraverso associazioni e gruppi culturali che fiorirono in quel decennio e che alle quali si deve la fondazione di riviste di vario interesse come Wasafiri e Third Text, la prima letteraria, l’altra d’arte; e quotidiani come Asian Times, African Times e The Voice, oggi il quotidiano con maggiore tiratura tra i neri nel Regno Unito . Di decisiva importanza in termini di impegno politico fu la creazione della Standing Conference for Afro-Caribbean and Asian Councillors, attraverso la quale gli attivisti furono in grado di informare direttamente le diverse comunità circa le decisioni legislative che le riguardavano, in modo da tenere aggiornate e informate le

32

Ibid. p. 379.

33 R.V. Arana, “The 1980s: Retheorising and Refashioning British Identity” in K. Sesay (a cura di) Write

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19

persone sulla situazione politica. Altro importante organismo fu il Black Trade Union Solidarity Movement (BTUSM), che diede una scossa alla Trade Union stessa, convincendo l’associazione sindacale e i neri dei nuovi obiettivi che potevano essere raggiunti per entrambi.

La comunità Black British si è ormai consolidata, forte di una propria cultura e dall’identità in continua evoluzione e definizione, dove la Blackness risulta centrale. Tuttavia, se nel 1997 Stuart Hall scriveva:

Black British culture is today confident beyond its own measure in its own identity – secure in a difference which it does not expect, or want, to go away, still rigorously and frequently excluded by the host society, but nevertheless not excluding itself in its own mind. Blackness in this context may be a site of positive affirmation but is not necessarily any longer a counter identity, a source of resistance. The political resonance of Black identity has shifted dramatically in the last fifteen years. There is no sense that Britishness is an ideal to which we might want to subscribe or assimilate. We are fully confident in our own difference, no longer caught in the trap of aspiration which was sprung on so many of us who are older, as part of the colonial legacy described in Fanon’s Black Skins, White Mask. Black identity today is autonomous and not tradable34.

Si assiste nel 21esimo secolo a un’ulteriore evoluzione con l’affermazione di

Blackness e Britishness, ma una Britishness intesa in modo nuovo, diverso

dall’interpretazione più classica del termine: una Britishness che è progressivamente sempre più consapevole della componente di Otherness al suo interno grazie alla produzione di molti intellettuali e scrittori, tra i quali è compresa anche Jackie Kay, che con le proprie opere influiscono sulle coscienze e spingono al cambiamento.

34 S. Hall, “Frontlines and Backyards: the Terms of Change” in K. Owusu (a cura di), Black British

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20

1.2. New Ethnicities: un’introduzione ai concetti di etnicità e

identità nei Cultural Studies

Dopo aver inquadrato il contesto storico inglese nel quale ha avuto origine la comunità nera, di fondamentale importanza per l’analisi e la comprensione della letteratura black British risulta essere il dibattito critico e teorico, più spesso sociologico, sviluppatosi nello stesso contesto. Come si è visto, sarà solo a partire dagli anni ’70 che si svilupperà una vera e propria presa di coscienza dell’effettiva partecipazione della componente “non bianca” alla vita politica, ma soprattutto sociale e culturale della comunità britannica, concretizzandosi nel decennio successivo nell’operato di associazioni culturali che sempre più hanno fatto da stimolo per gli artisti appartenenti alle minoranze.

Degno di nota all’interno del dibattito intellettuale inglese è senza dubbio il Centre for Contemporary Cultural Studies35, fondato all’Università di Birmingham da Richard Hoggart36 nel 1964 e che nel 1982 ha contribuito alla pubblicazione di The Empire Strikes Back: Race and Racism in 70s Britain37. Il testo, contenente articoli di importanti studiosi come Paul Gilroy e Hazel V.

35

La fondazione del Centro è vista da molti come un passo fondamentale nei Cultural Studies; partendo da un approccio interdisciplinare storico, sociologico e di critica letteraria, gli intellettuali del centro hanno minato le fondamenta del pensiero teoretico europeo contemporaneo sollevando nuove questioni e portando a una riformulazione del significato di “cultura” e di “cultura popolare”, definendo quest’ultima come influenzata dall’azione dei nuovi gruppi sociali emarginati e privati di potere (http://grad.usask.ca/gateway/archive21.html#e1 ultima consultazione 23/09/2014).

36

Richard Hoggart, professore di Letteratura Inglese, fondò nel 1964 il Centre for Contemporary Cultural Studies, del quale fu direttore fino al 1969. La sua opera più importante è The Uses of

Literacy (1959), dove viene studiato come i media e la cultura di massa abbiano influenzato la realtà

inglese, in particolare la vita della classe proletaria.

37 Centre for Contemporary Cultural Studies, The Empire Strikes Back. Race and Racism in 70s Britain,

(22)

21

Carby, ricoprì ben presto un ruolo fondamentale nella disamina politica, oltre che intellettuale, del radicato razzismo nella società inglese.

Stuart Hall insieme a Homi Bhabha e Paul Gilroy, autori degli scritti presi in esame in questo paragrafo, sono solo alcuni dei grandi intellettuali che hanno contribuito con il proprio pensiero ad alimentare il dibattito culturale contemporaneo. Le nozioni di identità, cultura e etnicità che si ritrovano nelle opere di critica risultano centrali nello studio e nella comprensione della letteratura black British. L’analisi degli scritti di Hall qui proposti segue uno schema dal discorso più generale riguardante l’identità culturale, scendendo poi più nello specifico con la nozione di etnicità per focalizzarsi poi sul contesto sociale inglese e sui suoi “margini”, che occupano quel “terzo spazio” che nel pensiero di Homi Bhabha costituisce un concetto cardine. Infine con il riferimento al “Black Atlantic” di Gilroy vengono rivoluzionati i concetti precedentemente espressi, offrendo una nuova prospettiva sugli studi culturali.

In “Cultural Identity and Diaspora”, scritto nel 1990, Hall si concentra in particolar modo sul concetto di identità culturale come di un elemento che non arriva mai ad una definizione precisa ma che piuttosto risulta essere in continua trasformazione. Hall ne distingue due definizioni: nella prima l’identità culturale viene considerata “in terms of one, shared culture, a sort of collective ‘one true self’”38; in questa visione le identità culturali riflettono le esperienze storiche comuni e i codici culturali che definiscono un gruppo come unico. A questa si affianca la definizione che riconosce, oltre ai punti di contatto e condivisione all’interno di un gruppo, l’importanza di ciò che rende

38 S. Hall, “Cultural Identity and Diaspora” in J. Rutherford (a cura di) Identity: Community, Culture,

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22

diversi e contraddistingue, definendo chi si è, o meglio chi si è diventati, a partire non tanto dalla storia comune del gruppo, ma da quella personale:

cultural identities come from somewhere, have histories. But, like everything which is historical, they undergo constant transformation. […] Far from being grounded in a mere ‘recovery’ of the past, which is waiting to be found, and which , when found will secure our sense of ourselves into eternity, identities are the names we give to the different ways we are positioned by, and position ourselves within, the narratives of the past39.

E dal momento che l’Inghilterra si è resa protagonista e autrice della grande narrazione storica coloniale, è chiaro che abbia agito anche nello scegliere ciò che era da privilegiare e ciò che era da marginalizzare. Con l’imposizione del suo regime e nell’amministrare il suo potere è riuscita a provocare nei soggetti marginalizzati, in particolare nei soggetti neri, la sensazione di essere l’altro, il diverso. In questo caso non ci si riferisce tanto, o soltanto, al pensiero di Foucault riguardo l’interdipendenza “potere/sapere”, che ne rappresenterebbe piuttosto il meccanismo di azione, quanto al suo risultato: una profonda e interna costrizione che è andata a colpire la psiche del soggetto, descritta da Hall come “espropriazione interna”40, la stessa di cui parla anche Frantz Fanon in Black Skin, White Masks. Ma è proprio da questa posizione al margine che i soggetti esclusi, o riposizionati nelle grandi narrazioni, sono riusciti ad agire e sfidare il pensiero dominante, come si vedrà negli altri scritti di Hall.

Dallo studio generale sull’identità culturale, in “New Ethnicities” (1996) Hall scende più nel dettaglio, focalizzando il suo discorso sulla situazione dei

39 Ibidem. 40

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23

neri all’interno della comunità britannica. Nel saggio vengono distinte due fasi: una appartenente al passato e una in corso di svolgimento. Da un punto di vista politico, la prima fase corrisponde al periodo in cui è stata coniata l’etichetta black per indicare non solo la situazione dei neri, ma la comune esperienza di razzismo e marginalizzazione vissuta da gruppi e comunità con storie, tradizioni, culture e identità etniche anche molto diverse tra loro. Da un punto di vista culturale si tratta del momento in cui il nero viene visto come l’altro invisibile e muto, l’opposto dei discorsi estetici e culturali dominanti dei bianchi, quegli stessi discorsi attraverso i quali il potere centrale inglese, rispecchiando la visione Eurocentrica, ha “normalizzato” la vita della comunità rafforzando il pensiero razzista che troverà terreno fertile con i provvedimenti del governo Thatcher e che porterà alla conseguente estromissione sia in ambito politico che culturale delle minoranze. Tuttavia, la marginalizzazione dei soggetti non bianchi che ne conseguì non significò un’esclusione sterile dalla vita della comunità inglese, ma costituì un punto di partenza, uno spazio privilegiato dal quale poter disturbare e sfidare i dettami della cultura dominante, innescando la seconda fase: la ridefinizione delle strategie culturali a cominciare dalla rappresentazione del nero. Hall continua il suo discorso parlando di una vera e propria “end of innocence” per il soggetto nero, affermando la diversità delle esperienze degli individui racchiusi nella categoria black per i quali non ci si deve limitare all’identificazione sulla base del concetto di razza, ma allargare il discorso e la loro definizione, rinunciando alla più comoda ma inesatta categoria utilizzata dal pensiero dominante:

what is at issue here is the recognition of the extraordinary diversity of subjective positions, social experiences and cultural identities which compose the category

(25)

24 ‘black’; that is, the recognition that ‘black’ is essentially a politically and culturally constructed category, which cannot be grounded in a set of fixed transcultural or transcendental racial categories and which therefore has no guarantees in nature. What this brings into play is the recognition of the immense diversity and differentiation of the historical and cultural experience of black subjects. This inevitably entails a weakening or fading of the notion that ‘race’ or some composite notion of race around the term black will either guarantee the effectivity of any cultural practice or determine in any final sense its aesthetic value. [..] The end of the essential black subject also entails a recognition that the central issues of race always appear historically in articulation, in a formation, with other categories and divisions and are constantly crossed and recrossed by the categories of class, of gender and ethnicity41.

Nel concludere il suo discorso, Hall sottolinea la conseguente necessità di modificare l’accezione del termine ‘etnicità’ alla luce dei ribaltamenti storici che hanno portato allo scioglimento delle corrispondenze, da sempre considerate dirette, tra etnicità, storia, lingua e cultura come basi della costruzione della soggettività e dell’identità, riconoscendo così la necessità di riconsiderare il termine a partire dalla varietà degli elementi che lo formano piuttosto che lasciare che vengano oscurati dall’unica categoria di razza. In tal modo viene innescata una frattura nell’accezione di etnicità tra quella dominante, che la fa corrispondere unicamente a nazione e razza, e quella che, riconoscendo anche le diversità dei margini e delle periferie, rappresenta l’inizio di un’apertura e di un riposizionamento delle strategie culturali:

we all speak from a particular place, out of a particular history out of a particular experience, a particular culture, […] we are all ethnically located and our ethnic identities are crucial to our subjective sense of who we are. But this is also a

41 S. Hall, “New Ethnicities” in D. Morley e K. Chen (a cura di) Stuart Hall: Critical Dialogues in Cultural

(26)

25 recognition that this is not an ethnicity which is doomed to survive, as Englishness was, only by marginalizing, dispossessing, displacing and forgetting other ethnicities. This precisely is the politics of ethnicity predicated on difference and diversity42.

E’ in “Minimal Selves” (1987) che il pensiero di Hall si concentra sulla realtà dei margini facendo riferimento alla sua condizione e alle varie posizioni che la sua storia personale gli ha permesso di occupare, da quella del migrante a quella del nero, filtrate dagli occhi del teorico culturale, acuto osservatore. Da questa posizione di soggetto e oggetto della diaspora-ization, “recombination, hybridization and ‘cut-and-mix’” sente l’importanza che ne deriva alla luce dei cambiamenti dei quali è testimone:

Now that, in the postmodern age, you all feel so dispersed, I become centered. What I’ve thought of as dispersed and fragmented comes, paradoxically, to be the representative modern experience! This is ‘coming home’ with a vengeance!

[…] I’ve been puzzled by the fact that young black people in London today are marginalized. fragmented, unenfranchized, disadvantaged and dispersed. And yet, they look as if they own the territory. Somehow, they too, in spite of everything, are centered, in place: without much material support, it’s true, but nevertheless, they occupy a new kind of space at the centre43.

La stessa idea di margini e centro e del loro rapporto si ritrova nel saggio di Homi K. Bhabha44 “Dissemination”, dove viene affrontato il tema più

42 Ibid. p. 448. 43

S. Hall, “Minimal Selves” in H. Bhabha et al. Identity: the Real Me, Institute of Contemporary Arts, London 1987, p. 44.

44 Homi K. Bhabha è una delle figure più importanti negli studi postcoloniali; ha compiuto i suoi studi

(27)

26

generale della nazione, ampliamente spiegato anche nel volume Nation and

Narration. Nel saggio Bhabha espone l’idea secondo la quale la nazione

sarebbe fatta da chi ne occupa gli spazi marginali, in opposizione alla visione di Benedict Anderson della nazione come comunità immaginata45. E’ con le narrazioni delle subculture che occupano il margine che si possono sfidare quelle “grandi” del pensiero comune dominante:

This supplementary space of cultural signification that opens up – and holds together – the performative and the pedagogical, provides a narrative structure characteristic of modern political rationality: the marginal integration of individuals in a repetitious movement between the antinomies of law and order. From the liminal movement of the culture of the nation – at once opened up and held together – minority discourse emerges. […] Coming ‘after’ the original, or in ‘addition to’ it, gives the supplementary question the advantage of introduction a sense of ‘secondariness’ or belatedness into the structure of the original demand. The supplementary strategy suggests that adding ‘to’ need not ‘add up’ but may disturb the calculation.

[…] The minority does not simply confront the pedagogical, or powerful master-discourse with a contradictory or negating referent. It interrogates its object by initially withholding its objective. Insinuating itself into the terms of reference of the dominant discourse, the supplementary antagonizes the implicit power to generalize, to produce the sociological solidity46.

Harvard. I suoi volumi più importanti e significativi sono Nation and Narration e The Location of

Culture.

45

In Imagined Communities (1983) Anderson definisce la nazione come immaginata, e immaginata limitata e sovrana. E’ immaginata in quanto gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, eppure avranno sempre la convinzione del far parte di una stessa comunità. E’ immaginata limitata in quanto anche la più grande nazione ha dei confini oltre i quali di trovano altre nazioni ed infine è immaginata come sovrana perché il concetto è nato nell’epoca illuminista, con le rivoluzioni politiche e il rovesciamento del potere dinastico (Anderson, B. (1996) Comunità Immaginate, trad. di M. D’Eramo, Manifestolibri, Roma 1996, p. 25).

46 H.K. Bhabha, “Dissemination: Time, Narrative and the Margins of the Modern Nation” in The

(28)

27

Il luogo dal quale la minoranza crea i propri discorsi narrativi è quello che Hall in “Minimal Selves” definisce “a new kind of space” e corrisponde a quello spazio interstiziale già racchiuso da Bhabha nel concetto di third space, che insieme ad altre nozioni, quali hybridity e mimicry, costituiscono dei capisaldi negli studi postcoloniali oltre che nell’opera dello stesso filosofo indiano. Bhabha parla in particolare di terzo spazio intendendo uno spazio nuovo, al quale si ricollega il concetto di ibridità: “this third space displaces the histories that constitute it, and sets up new structures of authority, new political initiatives, which are inadequately understood through received wisdom”47. Si tratta di uno spazio inedito, che nasce dal tentativo fallito del regime dominante di inserire l’identità del colonizzato – l’other – nell’unico frame voluto dal colonizzatore, ottenendo invece come risultato qualcosa di nuovo, diverso dall’autorità originale che si cercava di imporre e per la quale risulterà invece una minaccia.

Si assiste quindi a un ribaltamento di ruoli: la cultura Occidentale, da sempre egemone, viene sfidata e messa in discussione da quegli spazi marginali che essa stessa ha creato. A questa rivoluzione contemporanea si ricollega il saggio “What is this ‘black’ in black popular culture?” (1996)48, nel quale Hall descrive la situazione attuale facendo riferimento alle tre coordinate già descritte da Cornel West in “The New Cultural Politics of Difference”. La prima è il declino morale e culturale europeo, in particolare nel secondo Novecento; la seconda è l’emergere degli Stati Uniti come potenza mondiale, quindi anche come centro di cultura globale, e infine la decolonizzazione del Terzo Mondo, con la conseguente ascesa di sensibilità

47

J. Rutherford, “The Third Space. Interview with Homi Bhabha” in Identity: Community, Culture,

Difference, Lawrence & Wishart, London 1990, pp. 207-221.

48 S. Hall, “What is this ‘black’ in black popular culture?” in D. Morley e K. Chen (a cura di) Stuart Hall:

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28

decolonizzate. Hall commenta questo passaggio di consegne dall’Europa all’America come una svolta significativa nella concezione stessa delle etnicità che caratterizzano i due continenti: da uno che non riconosceva di averne più di una, a uno che si fonda sulla diversità interna, dove proprio la componente nera assume particolare rilievo. Altre considerazioni derivano poi dal panorama del Postmodernismo, che a livello culturale globale ha significato un decentramento del potere dalle antiche gerarchie europee e dalle grandi narrazioni verso una realtà più periferica e popolare, e al risalto che viene dato alla diversità, che sia sessuale, razziale, culturale o etnica.

Within culture, marginality, though it remains peripheral to the broader mainstream, has never been such a productive space as it is now. And that is not simply the opening within the dominant of spaces that those outside it can occupy. It is also the result of the cultural politics of difference, of the struggles around difference, of the production of new identities, of the appearance of new subjects on the political and cultural stage. This is true not only in regard to race, but also for other marginalized ethnicities, as well as around feminism and around sexual politics in gay and lesbian movement, as a result of a new kind of cultural politics49.

Parlando poi in modo più specifico della cultura popolare nera afferma:

However deformed, incorporated, and unauthentic are the forms in which black people and black communities and traditions appear and are represented in popular culture, we continue to see, in the figures and the repertoires on which popular culture draws, the experiences that stand behind them. In its expressivity, its musicality, its orality, in its rich, deep, and varied attention to speech, in its inflections toward the vernacular and the local, in its rich production of counternarratives, and above all, in its metaphorical use of the musical

49

(30)

29 vocabulary, black popular culture has enabled the surfacing, inside the mixed and contradictory modes even of some mainstream popular culture, of elements of a discourse that is different -- other forms of life, other traditions of representation50.

La stessa grande importanza della musica era già stata riconosciuta da Paul Gilroy, altra nota voce della critica letteraria all’interno dei Cultural Studies, il quale in The Black Atlantic: Modernity and Double

Consciousness supera la definizione dei concetti di identità e cultura

come strettamente dipendenti dal contesto nel quale si sono sviluppati e analizza il fondamentale ruolo della musica nella cultura nera.

Rifacendosi all’idea di “doppia coscienza” di Du Bois, Gilroy apre il suo volume affermando: “Striving to be both European and black requires some specific forms of double consciousness”51 riferendosi a come tutti i discorsi intorno alla definizione di “europeo” e “nero” abbiano portato a vedere il porsi come ponte negli spazi interstiziali tra i termini, come un atto di insubordinazione politica. L’inglese nero contemporaneo si trova tra due blocchi culturali che si sono influenzati a vicenda ma che ancora non hanno abbandonato l’antagonismo che li vede come obbligatoriamente opposti. Gilroy continua affermando la sua contrarietà a questa visione manichea di bene/male, bianco/nero, che implica l’impossibilità di essere al tempo stesso inglese e di colore, e che è colpevole di aver alimentato una retorica basata sulla corrispondenza di nazionalità e appartenenza a razza e identità etnica, in accordo con la visione dominante “where black history and culture are perceived, like black settlers themselves, as an illegitimate intrusion into a vision of authentic British national life that, prior to their arrival, was as

50 Ibid. p. 473. 51

(31)

30

stable and as peaceful as it was ethnically undifferentiated”52. Proseguendo oltre nel discorso, Gilroy concentra i suoi ragionamenti su quell’area geopolitica coinvolta nella tratta del commercio triangolare che è stata il vero teatro di cambiamenti studiando “the stereophonic, bilingual, or bifocal cultural forms originated by, but no longer the exclusive property of, blacks dispersed within the structures of feeling, producing, communicating, and remembering that I have heuristically called the black Atlantic world”53. Nel suo viaggio intellettuale attraverso l’Atlantico, Gilroy propone lo spazio rappresentato da quest’oceano come un’unica entità complessa da prendere in esame nel dibattito circa l’era moderna e da usare per la produzione di una nuova prospettiva transnazionale e interculturale, che ha ricombinato lo stile e la cultura di Caraibi, Stati Uniti e Africa insieme a quella dell’Inghilterra e dell’Europa stessa.

In un’atmosfera in grado di innescare un dibattito socio-culturale così vivo e in continua evoluzione, la letteratura, e le arti in genere, non hanno fatto altro che risultare al tempo stesso soggetti e oggetti del cambiamento culturale, come è chiaro dallo studio della storia e dell’evoluzione della letteratura black british e delle sue tematiche.

1.3. Gli Orizzonti della Letteratura Black British

1.3.1. Definizione e tematiche principali

52 Ibid. p. 7. 53

(32)

31

Definire i confini della Letteratura Black British comporta non poche difficoltà, Kadija Sesay nell’introduzione a Write Black, Write British afferma la possibilità di includere alcuni scrittori sia nella categoria di autori black

British che postcolonial, a differenza di altri per i quali la studiosa ammette

esclusivamente la prima etichetta. Per la Sesay questi sono “writers born in Britain, educated in Britain and because of heritage and parentage, their ‘take’ on Britain is viewed through different glasses from those born elsewhere”54. Si tratta quindi di un punto di vista diverso non per loro volere, ma perché costretti dal contesto, continuamente riportati alla realtà della loro diversità, alla loro presunta non appartenenza a quei luoghi verso i quali sentono invece un forte legame; tutto ciò fa sì che ognuno di essi sia portato a concepire la propria hibridity e un diverso modo di essere “l’altro” rispetto agli autori postcoloniali.

A differenza della Sesay, convinta della differenza tra autori black British e postcolonial, Jude Chudi Okpala afferma l’esatto contrario. In “Postcolonial Aesthetics and Black British Aesthetics: Kindred Spirits in Error” lo studioso elenca i motivi che lo hanno portato a questa riflessione:

1) Black British literature is an offspring of the excesses of postcolonialism; 2) colonialism has had an impact on Britain, especially through the immigration of the formerly colonized; 3) Britain is forging a surreptitious claim on the postcolonial, especially because of the nature of its citizenry as both hybrid and carnivalesque; 4) the surreptitious claim thrives on the redundant notion of centre and periphery within postcolonialism55.

54

K. Sesay (a cura di), Write Black, Write British, Hansib, UK 2005, p. 16.

55

J.C. Okpala, “Postcolonial Aesthetics and Black British Aesthetics: Kindred Spirits in Error” in R.V. Arana (a cura di) ‘Black’ British Aesthetics Today, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle 2007, p. 50.

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