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CAPITOLO I 1.1. INTRODUZIONE: ERNIE DELLA PARETE ADDOMINALE

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CAPITOLO I

1.1. INTRODUZIONE: ERNIE DELLA PARETE ADDOMINALE

Ernia è un termine di origine greca, e indica qualcosa che sboccia, che esce fuori, che

germoglia. In generale quindi con il termine di ernia si intende la fuoriuscita di un viscere dalla cavità (cerebrale, toracica o addominale) che normalmente lo contiene attraverso un orifizio od un canale [1]. È importante distinguere l'ernia dal laparocele (o ernia post-laparotomica o ernia incisionale) che è una grave complicanza post operatoria che determina la fuoriuscita dei visceri contenuti nella cavità addominale attraverso una breccia che viene a formarsi in fase di consolidamento cicatriziale di una ferita operatoria; al contrario, con il termine di ernia, ci si riferisce all'uscita di un viscere da un orifizio od un canale pre-esistente.

Le ernie della parete addominale interessano quasi il 10% della popolazione solo in Italia, ed è la patologia soggetta ad intervento chirurgico più frequente, anche se una parte della popolazione non ricorre alle cure mediche. Molte persone, infatti, per timore dell’intervento chirurgico, sopportano sintomi più o meno gravi che spesso tendono a peggiorare con i mesi. Le ernie, infatti, possono essere piccole e relativamente asintomatiche, provocando al paziente lievi dolori e disagi sulla qualità della vita spesso ben tollerati. Una piccola percentuale delle ernie, però, può progredire ed andare incontro all'incarcerazione o allo strozzamento dell'intestino o di altri visceri, aggravando seriamente il quadro clinico del paziente. Le ernie primitive e secondarie della parete addominale rappresentano una delle patologie più frequenti in cui si imbatte un medico generale; in Italia il numero di interventi supera i 100.000 l'anno, questo comporta inevitabilmente un elevato costo sociale [2]. Lo sviluppo della patologia erniaria della parete addominale, secondaria a chirurgia addominale, interessa un vasto numero di pazienti in percentuali variabili tra il 5 ed il 20%: solo negli USA è alla base di oltre 90.000 interventi all'anno per riparazione di ernie addominali. Vari studi osservazionali hanno evidenziato che tra gli interventi chirurgici di plastica della parete addominale circa il 60% viene eseguito per la riparazione di ernie ventrali primitive, mentre il restante 40% per ernie incisionali. Le ernie incisionali si sviluppano entro 6-24 mesi, ma è ampiamente dimostrato che i pazienti devono essere seguiti in un periodo che va preferibilmente dai 3 ad i 5 anni dopo l'intervento, per avere un dato realistico dell'incidenza del laparocele [3].

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8 E' inoltre dimostrato che il tasso di incidenza di formazione di ernie incisionali dipende dal tipo di tecnica chirurgica utilizzata [4]. Le concause riconosciute nello sviluppo di tale patologia sono: una tecnica non corretta di ricostruzione, l'infezione della ferita chirurgica, l'obesità, le comorbidità come il diabete mellito, la malnutrizione e patologie croniche quali la broncopatia cronica ostruttiva. Le erniorrafie sono tecniche tradizionali che trattano chirurgicamente l'ernia e prevedono la ricostruzione della parete erniata suturando i diversi piani anatomici: negli ultimi 10/15 anni tali tecniche sono evolute da metodiche Under Tension, tecniche gravate da un alto numero di recidive, a Tension-Free che sfruttano l’utilizzo di mesh, supporti protesici di riparazione tissutale. E' ormai noto che l'utilizzo di protesi nel trattamento delle ernie porti ad una significativa riduzione del tasso di recidive e delle complicanze [5]. A partire dagli anni '90 ha preso piede nel trattamento dei difetti parietali la laparoscopia; questa tecnica risulta essere minimamente invasiva ed associata ad un aumento della compliance del paziente. Attualmente circa il 70% delle ernie ventrali viene riparata con l'ausilio di protesi, di queste, circa il 25/30% sono inserite tramite laparoscopia. Ciò è stato possibile sia per l'affinamento della tecnica che per il progresso tecnologico che si è realizzato negli strumenti e nei materiali utilizzati [6-8] .

1.2. ANATOMIA DELLA PARETE ADDOMINALE

La parete addominale è costituita dalla sovrapposizione di strati muscolari e di tessuto connettivo atti a contenere e proteggere visceri addominali e a facilitare la rotazione del torace e della pelvi. Procedendo dallo strato più superficiale a quello più profondo incontriamo: la cute, la fascia superficiale (di Camper), il tessuto sottocutaneo, l'aponeurosi o fascia dei muscoli retti, la fascia trasversale dell’addome,il tessuto adiposo preperitoneale ed infine il foglietto parietale del peritoneo.

La parete addominale prende rapporti: in alto con i margini della C7, C8, C9, C10 e con il processo xifoideo dello sterno; in basso con il margine superiore della sinfisi pubica, con i legamenti inguinali e con creste pubiche; lateralmente con le 2 linee che corrono dal margine superiore della cresta iliaca al margine inferiore costale.

La parete addominale è percorsa superficialmente da linee verticali ed orizzontali; le linee verticali sono: la linea mediana (detta anche linea alba o xifo-pubica), la linea semilunare (curvilinea segue il margine laterale del muscolo retto addominale), la linea paracentrale

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9 (a metà tra la linea alba e la linea passante per la spina iliaca anteriore superiore). Le linee orizzontali sono: la linea xifosternale (attraversa orizzontalmente il giunto xifosternale a livello della IX vertebra toracica), la linea trans-pilorica (a metà tra l’apice della sinfisi pubica e la fossetta giugulare del manubrio dello sterno, passa per il margine inferiore delle arcate costali), la linea ombelicale trasversa (attraversa l’ombelico solitamente a livello del corpo vertebrale di L4) ed infine la linea bisiliaca (congiunge le sue spine iliache anteriori superiori). I muscoli che costituiscono la parete addominale (Figura 1) nella sua porzione mediana sono 2 pilastri verticali centrali (addome retto) ricoperti dalla propria aponeurosi e posteriormente dalla fascia trasversale; questi sono connessi ad un triplice strato di muscoli piatti estesi lateralmente a coprire un'area esagonale, legati superiormente e lateralmente al processo xifoideo e al margine delle coste, ed inferiormente e lateralmente alla sinfisi pubica e alla cresta iliaca. Questi muscoli devono essere capaci di resistere alla pressione generata internamente.

Figura 1. Visione anteriore dei muscoli che concorrono alla formazione della parete addominale: miscolo retto dell'addome (1), muscolo obliquo esterno (3), muscolo obliquo interno (4) e muscolo trasverso dell'addome (5).

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1.2.1. MUSCOLO RETTO DELL'ADDOME

Il muscolo retto dell' addome è pari ed è situato lateralmente alla linea alba, origina approssimativamente dalla V, VI, VII costola e dal processo xifoideo. La metà superiore di ogni muscolo retto è così ampia da arrivare inferiormente con le sue inserzioni tendinee nel pube. Il muscolo retto è circondato da una robusta guaina (guaina del muscolo retto), che deriva dalla aponeurosi dei 3 muscoli piatti, e, dove le fibre si incrociano e si fondono centralmente, si viene a creare la linea alba.

1.2.2. MUSCOLI PIATTI

I 3 muscoli piatti della parete addominale, dal più superficiale al più profondo sono: il muscolo obliquo esterno, il muscolo obliquo interno ed il muscolo trasverso dell'addome (Figura 2).

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11 Figura 2. Muscoli dell'addome anterolaterali: muscolo obliquo esterno, muscolo obliquo interno e muscolo trasverso dell'addome.

Il muscolo obliquo esterno prende origine sotto le ultime 8 coste e discende obliquamente, inferiormente e medialmente per inserirsi nella fascia retta e, più inferiormente, nella cresta iliaca e nel pube. Il muscolo interno obliquo si origina dalla metà anteriore della cresta iliaca e lateralmente al legamento inguinale; le sue fibre, irradiandosi a ventaglio, hanno un decorso anterosuperiore ad angolo retto rispetto a quelle del muscolo obliquo esterno e si inseriscono sotto la IV costa e alla guaina retta. Il muscolo trasverso è il muscolo più profondo dei muscoli della parete laterale dell'addome, ha una forma irregolarmente quadrilatera; prende origine sia dal lato interno della cresta iliaca e dal terzo laterale del legamento inguinale sia dalla superficie profonda della cartilagine della VI sesta costa. I fasci di questo muscolo si portano medialmente partecipando alla formazione della guaina del muscolo retto fino a raggiungere la linea alba. Il passaggio dalla parte carnosa a quella aponeurotica è costituito da una linea arcuata a concavità mediale detta linea semilunare di Spigelio.

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1.2.3. GUAINA DEL MUSCOLO RETTO

E' importante per i chirurghi conoscere l'anatomia della fascia retta per la riparazione delle ernie, nella erniorrafia laparoscopica e soprattutto per gli interventi extraperitoneali. Il muscolo retto dell'addome è avvolto da una guaina costituita dalle aponeurosi dei muscoli obliquo esterno, obliquo interno e trasverso dell'addome. Si distinguono nella guaina un foglietto anteriore, un foglietto posteriore. La lamina anteriore della guaina retta è costituita principalmente da fibre del muscolo obliquo esterno ed obliquo interno. L’aponeurosi del muscolo obliquo esterno passa davanti al muscolo retto, dal processo xifoideo al pube e raggiunge così la linea mediana dove i suoi fasci si incrociano con quelli controlaterali nella linea alba; essa contribuisce dunque a formare il foglietto anteriore della guaina. L’aponeurosi del muscolo obliquo interno si divide, a livello del margine laterale del muscolo retto, in due lamine. Una passa davanti al muscolo e si unisce all’aponeurosi del muscolo obliquo esterno, formando con essa il foglietto anteriore della guaina; l’altra decorre dietro al muscolo entrando nella costituzione del foglietto posteriore della guaina. Tale dispositivo bilaminare dell’aponeurosi del muscolo obliquo interno si osserva solo nei 3/4 superiori del muscolo retto; nella parte inferiore tutta l’aponeurosi si pone davanti al muscolo. Le aponeurosi del muscolo trasverso obliquo passano nella lamina posteriore della guaina con le fibre del muscolo interno obliquo sotto la linea arcuata (linea semicircolare del Douglas). Sotto questa linea i muscoli obliquo esterno, obliquo interno e trasverso dell'addome passano nella lamina anteriore della guaina e solo la fascia trasversale passa posteriormente al muscolo retto addominale. La guaina del muscolo retto risulta pertanto costituita diversamente in corrispondenza dei 3/4 superiori rispetto al quarto inferiore (Figura 3). Nella porzione superiore il muscolo è ricoperto anteriormente dalle aponeurosi del muscolo obliquo esterno e dal foglietto anteriore del muscolo obliquo interno; posteriormente, dal foglietto posteriore del muscolo obliquo interno e dal muscolo trasverso. Nella porzione inferiore, invece, la lamina anteriore è costituita dall'aponeurosi del muscolo obliquo esterno, da quella dell'obliquo interno (che non si è scisso in due foglietti) e da quella del muscolo trasverso; la faccia posteriore è rivestita dalla fascia trasversale. La zona di incontro della linea semicircolare e di quella semilunare è un'area potenzialmente debole dove possono insorgere ernie di Spigelian.

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13 Figura 3. Sezioni trasversali della parete addominale al di sopra della linea arcuata (B) e al di sotto della linea rcuata (C).

La fascia retta viene attraversata dall'arteria epigastrica inferiore che sprofonda nel muscolo retto dell'addome. L'arteria epigastrica inferiore che origina dall'arteria iliaca esterna, e l'arteria epigastrica superiore che origina dall'arteria toracica interna, concorrono ad irrorare la guaina retta; l'irrorazione dei muscoli piatti dell'addome è data dalle arterie lombari ed intercostali e dall'arteria iliaca circonflessa profonda [9].

1.3. FISIOPATOLOGIA

Nonostante la problematica delle ernie addominali sia nota sin da tempi remoti (la patologia è riportata in documenti che risalgono all'antico Egitto), l'esatta patogenesi non è ancora ben conosciuta. Le ernie ventrali primarie sono causate da incrementi della pressione addominale. I fattori che contribuiscono allo sviluppo dell'ernia vanno da cambiamenti fisiologici dell'integrità della fascia a proteolisi associata al fumo di sigaretta, traumi diretti, eccesivi sforzi fisici ed familiarità genetica [10] . L'ernia è definita come un

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14 difetto dello strato aponeurotico che porta alla fuoriuscita di un organo fuori dalla cavità nella quale normalmente risiede. Questo è dovuto ad un incremento della pressione intra-addominale che eccede la contropressione della parete intra-addominale. Il principio di Pascal misura, con una buona approssimazione, la pressione intra-addominale. Il principio di Pascal enuncia: la pressione applicata ad un fluido racchiuso in un recipiente si trasmette invariata ad ogni parte del fluido ed alle pareti del recipiente. Questo modello assume che il contenuto della parete addominale sia uniforme ma, in realtà, il contenuto di questa non lo è. Inoltre, al suo interno non è contenuto soltanto del liquido. Il principio di Pascal, però, ci aiuta a comprendere la fisiologia della formazione delle ernie: infatti, in accordo con il modello, ogni incremento di pressione generato all'interno della cavità addominale è trasmesso ugualmente alle pareti della cavità stessa. In risposta all'incremento della pressione addominale, la muscolatura addominale genererà una pressione contraria. Nel caso in cui la pressione intra-addominale superi la pressione della parete addominale provocherà la rottura della medesima con conseguente erniazione nei punti in cui questa risulta essere più debole. Studi fatti da Cobb e colleghi [11,12] su gruppi di ragazzi ed adulti sottoposti a diversi tipi di sollecitazione della parete addominale (salti, colpi di tosse etc..) concludono che la tensione massima a cui può essere sottoposta va da 11 a 27 N/cm. In accordo con il principio di Pascal, nonostante la pressione intra-addominale si distribuisca uniformemente, la tensione della parete addominale può variare. Questo meccanismo viene studiato con la legge di Laplace che si applica a recipienti elastici cilindrici o sferici soggetti ad una tensione interna maggiore di quella esterna. Assumendo che la parete addominale sia cilindrica la legge di Laplace è:

T =

dove T è la tensione della parete addominale, P la pressione, R il raggio del cilindro e w lo spessore. La tensione della parete addominale risulta così essere maggiore nel punto con il raggio è massimo e la parete è più sottile. Come risultato, una volta che un difetto della parete addominale si è sviluppato, il raggio in questa posizione aumenterà mentre lo spessore della parete addominale risulterà diminuito, aumentando così la tensione della parete, che alla fine, porta alla progressione dell'ernia. In altre parole, una volta sviluppata l'ernia, questa, continuerà a progredire di dimensione a causa dell'incremento della tensione nella parete.

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15 Queste rappresentano lo sviluppo più semplice e sono dovute alla perdita dell'integrità strutturale dei tessuti, portando alla protrusione di organi o visceri in zone che normalmente non li contengono.

La parete anteriore dell'addome è formata da muscoli, fasce ed aponeurosi. Queste ultime sono molto resistenti alla trazione nella direzione delle fibre (longitudinale), mentre la trazione trasversale le trova scarsamente resistenti ed alquanto elastiche. L'addome risulta essere così un ambiente anisotropo, le cui caratteristiche variano a seconda della direzione dello stiramento delle fibre [13]. I muscoli e le fasce sono disposti in modo da formare un sistema sinergico: a riposo, le fasce contengono e proteggono i muscoli, sotto sforzo sono i muscoli a proteggere le fasce assumendo con la contrazione una notevole rigidità. La linea alba e la parte posteriore dell'inguine sono sprovvisti di muscoli e rappresentano aree passive non opponendo resistenza attiva all'incremento della pressione interna.

In generale, nel meccanismo patogenetico di formazione di un ernia è necessario che si verifichino 2 condizioni [14]: una predisponente, legata alla presenza di una malformazione, ad una debolezza congenita o ad un assottigliamento della parete addominale causata da gravidanza, età avanzata o magrezza costituzionale; l'altra, scatenante, causata da un aumento della pressione endoaddominale legata a colpi di tosse, obesità o eccessivi sforzi ripetuti.

Ogni ernia presenta una propria porta, attraverso la quale un sacco, che si forma nel momento in cui il viscere viene spinto contro la parete addominale, la porta a generare una estroflessione del peritoneo parietale. Ulteriore elemento caratteristico è il contenuto, rappresentato dal tipo di viscere mobile che solitamente risulta essere l'intestino tenue (Figura 4). Nel sacco possono essere distinti: un colletto od orifizio, un corpo e un fondo che, accrescendosi, si inserisce tra i vari strati che compongono la parete addominale fino a raggiungere il piano sottocutaneo.

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1.4. EZIOLOGIA

Le cause delle ernie primarie possono essere congenite oppure acquisite. Le prime sono dovute ad un arresto nello sviluppo di una porzione nella parete addominale (es. ernia ombelicale ed ernia inguinale); le seconde si fanno strada attraverso le aree di debolezza della parete muscolare addominale. Queste possono essere causate da sforzi che portano ad un aumento nella pressione endoaddominale.

1.4.1. FATTORI BIOCHIMICI

Disfunzioni della sintesi o della deposizione di collagene possano essere alla base delle erniazioni. Alcune delle prime ricerche sulle origini biochimiche delle ernie sono state fatte sulle ernie ombelicali neonatali. Già con i primi studi negli anni '70 [15] si è dimostrato che disordini nell'organizzazione del collagene ed incrementi nell'elasticità sono legati alle ernie inguinali. Recentemente sono state intraprese analisi più sofisticate per sottolineare il ruolo dei fattori biologici nelle ernie. Le ricerche si sono focalizzate sul ruolo della matrice extracellulare quale impalcatura dinamica che permette un adeguato rimodellamento dei tessuti e la guarigione ferita [16]. E' stato evidenziato che vari sottotipi di collagene, come la fibronectina e molte altre glicoproteine, hanno un ruolo attivo nel processo di guarigione. Il collagene è la proteina strutturale predominante nella fascia addominale e la componente maggiore della matrice extracellulare. Integrando analisi immunoistochimiche e Western Blot si è indagato per cercate possibili differenze nel rapporto tra i vari sottotipi di collagene in pazienti con e senza ernia inguinale. Il collagene di tipo I è collagene di tipo maturo, ha molti legami crociati e si trova in fasci densi che conferiscono resistenza alla trazione alla parete addominale; il collagene di tipo III, embrionale, ha pochi legami crociati e consiste in sottili fibre che si ritrovano nella muscolatura liscia alla quale non conferisce particolare resistenza. In tessuti sani, la matrice extracellulare è sottoposta ad un processo dinamico di sintesi e degradazione continua. Uno squilibrio nell'omeostasi del collagene, causato da un aumento della sua sintesi o dalla diminuzione dovuta alla degradazione proteolitica, è correlato allo sviluppo di difetti erniari [17]. Molti studi hanno riscontrato un incremento della sintesi del collagene di tipo III in pazienti affetti sia

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17 da ernia inguinale che incisionale, portando ad un alterazione evidente del rapporto collagene tipo I/tipo III. Per quanto concerne la degradazione, questa normalmente concorre al mantenimento dell'omeostasi del collagene, e viene valutata grazie alla misurazione dei livelli delle metalloproteinasi (MMP), delle endopeptidasi zinco-dipendenti degradanti la matrice extracellulare, presenti nella fascia della parete addominale [18] . Diversi studi hanno dimostrato un over-espressione della MMP-2 nella fascia trasversa dell'addome e nel derma di pazienti affetti da ernia rispetto ai controlli [19-21]. Un over-espressione della MMP-13 è stata riscontrata, invece, nei pazienti che sviluppano recidive dopo il trattamento di ernie inguinali. [22]. Il fatto che lo squilibrio nel rapporto tra i vari tipi di collagene non si ritrovi solamente nella fascia e nel tessuto cicatriziale, ma anche nel derma, conferma la presenza di difetti genetici nei processi che portano alla sintesi del collagene e li correla allo sviluppo delle ernie incisionali.

Studi separati hanno dimostrato, su modelli animali, che le suture stesse provocano differenze nella deposizione del collagene a livello della parete addominale [23]. I risultati di tali ricerche suggeriscono che le diverse tecniche chirurgiche alterano le risposte del tessuto sia a livello molecolare che a livello funzionale.

1.4.2. ALTRI FATTORI

Moltissimi fattori sono associati alla formazione di ernie e possono essere suddivisi in due categorie:

 dipendenti da paziente;

 dipendenti dalla tecnica chirurgica.

Malattie come l'aneurisma sono spesso associate con la formazione di ernie. Pazienti che vanno incontro alla riparazione di aneurismi addominali hanno una probabilità 4 volte maggiore rispetto a pazienti che subiscono la ricostruzione dell'aorta a causa di malattie occlusive di andare incontro anche ad ernie addominali [24].

L'obesità è un altro fattore che predispone alla formazione di ernie. Circa il 20% delle ernie da incisione avviene in pazienti che hanno subito bypass gastrico [25]. Pazienti estremamente obesi hanno alto rischio di andare incontro ad infezioni intestinali che, a loro volta, portano ad un incremento dell'incidenza delle ernie. Nei pazienti che sviluppano infezioni intestinali, il tasso delle erniazioni incrementa di 5 volte.

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18 Fattori che decrementano la capacità di guarigione come il diabete mellito, l'uso di steroidi e la costipazione concorrono ad aumentare l'incidenza delle erniazioni.

La dimensione dell'ernia è un fattore molto importante per il tasso di ricorrenza delle ernie.

In generale, sono fattori di rischio nelle ernie addominali tutti i casi in cui si ha un aumento della pressione endoaddominale come l'insufficienza respiratoria, il vomito, la distensione addominale, la stipsi cronica.

Le diverse tecniche chirurgiche portano diversi tassi di ricorrenza delle ernie ma non è ancora stato dimostrato che tipo di differenze significative esistono tra l'utilizzo di tecniche di sutura continua od interrotta, come anche tra operare incisioni verticali e trasversali [26, 27].

1.5. SINTOMATOLOGIA E COMPLICAZIONI

Per le ernie di piccole dimensioni i disturbi sono di solito scarsi o mancano del tutto, il paziente avverte la sensazione di “qualcosa” che fuoriesce dall’addome quando assume la stazione eretta o in seguito ad uno sforzo o ad un colpo di tosse, ma che scompare spontaneamente nella posizione supina. Quando l’ernia si complica è il dolore sulla parte tumefatta, non più riducibile, che richiama maggiormente l’attenzione del paziente.

La grande maggioranza delle ernie presenta una sintomatologia fastidiosa piuttosto che penosa per il paziente. Infatti esse vengono avvertite come sensazione di stati di tensione o di peso in determinate condizioni di sforzo o posture assunte dalla persona. La fuoriuscita del viscere può provocare un fitto dolore che cessa non appena questo rientra nel suo sito di appartenenza. La sua consistenza al tatto può essere teso-elastica, pastosa o granulosa a seconda del contenuto. La grandezza della tumefazione erniaria è legata al tipo di ernia e al suo grado di sviluppo che diventa sempre più evidente con il passare del tempo fino a raggiungere in alcuni casi dei volumi enormi. Ecco dunque che possono nascere diverse complicazioni quali:

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infiammazioni: sono piuttosto rare e comportano la creazione di aderenze tra i visceri erniati e la parete del sacco. Possono essere classificare in acute (da traumi violenti) o croniche (da infezione batterica);

intasamenti: sono particolarmente frequenti per le ernie inguinali quando un segmento del colon, noto come sigma, contenente feci formate fuoriesce dal suo sito. Questo può provocare un blocco delle masse fecali che si accumulano progressivamente nell'area distendendola o ostruendola. L'occlusione intestinale meccanica così formata richiede un intervento chirurgico tempestivo;

incarceramento: porta all'irriducibilità dell'ernia ed è dovuto alla creazione di aderenze tra contenuto, sacco e porta e all'accumulo di materiale solido nel sacco;

strozzamento: si verifica nel momento in cui le strutture che costituiscono il colletto del sacco esercitano una costrizione sul peduncolo vascolare contenuto nel mesentere con gravi conseguenze sulla circolazione sanguigna. Risulta essere una complicanza pericolosissima che, se non ridotta, può provocare necrosi ischemica e conseguente deformazione della parete intestinale o peritoniti;

rottura: è la complicanza più grave e può provocare il decesso immediato del paziente; legata alla rottura improvvisa del viscere erniato per le eccesive dimensioni assunte o in concomitanza a fenomeni di strozzamento [28].

1.6. TECNICHE DI INTERVENTO

La moderna chirurgia erniaria nasce in Italia oltre un secolo fa, nel 1884, ad opera di Edoardo Bassini; questo intervento si basa sulla ricostruzione della normale anatomia semplicemente suturando i lembi della ferita. Da queste tecniche di chiusura primaria del difetto siamo passati, oggi, a riparazioni tension-free che impiegano protesi. L'avvento della chirurgia laparoscopica ha ulteriormente modificato le modalità di intervento.

Nonostante questi importanti progressi nel campo delle erniorrafie, molte domande rimangono senza risposta. La reale difficoltà di risolvere in modo soddisfacente il problema è denunciata dall'enorme quantità di metodi proposti. Se ne contano più di 80, di cui 20 utilizzati attualmente [2].

Alcune volte il contenuto erniato riesce a rientrare spontaneamente o mediante una delicata manovra per spremitura (per taxis) nella cavità addominale. In questo caso si parla di

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20 ernie riducibili che possono essere distinte in: contenibili od incontenibili. Nelle prime la massa, una volta riportata in loco, vi rimane; mentre nelle seconde, la massa fuoriesce nuovamente. In determinati casi non è possibile riportare nell'addome il contenuto a causa dell'eccessivo volume fuoriuscito o alla formazione di aderenze tra il sacco e la parete stessa, queste vengono denominate ernie irriducibili.

1.6.1. TERAPIE NON OPERRATIVE/CHIRURGICHE

Il fondamento logico che porta alla riparazione dell'ernia è basato sulla possibilità che evolvano complicazioni come l'incarcerazione ed il successivo strangolamento dell'intestino erniato. La reale incidenza della possibilità di incarcerazione è sconosciuta, comunque, si aggira intorno al 10% delle ernie addominali [29]. Pazienti con l'incarcerazione solitamente sviluppano ostruzioni intestinali e una percentuale vicino al 50% di questi va in contro a strozzamento [30]. Il 20% di questi pazienti con ernia strangolata devono sottoporsi a resezione di parte dell'intestino; questo comporta ulteriori complicazioni nel decorso post-operatorio. Inoltre, il 25% dei pazienti con ernia incarcerata va incontro a complicazioni post-operatorie ed il tasso di mortalità successivo al riparo di ernie incarcerate è del 5% (tasso significativamente maggiore rispetto a quello dovuto alla riparazione delle ernie) [31]. Il tasso di mortalità dopo un intervento per un'ernia strangolata con resezione intestinale si aggira intorno al 20% [30]. Alcune tipologie di pazienti, ad esempio quelli che effettuano dialisi peritoneale, sono più soggetti allo sviluppo dell'incarcerazione dell'ernia, e l'incidenza in questo gruppo è superiore al 60% [32].

Il trattamento non operatorio viene impiegato i tutti quei casi che hanno importanti comorbidità. Questi pazienti devono essere informati sui segnali e i sintomi dovuti all'incarcerazione come la nausea, il vomito ed i forti dolori addominali. Di primaria importanza nel trattamento non operatorio è la minimizzazione di tutti i fattori che incrementano la pressione intra-addominale. Infatti, un incremento improvviso di questa può portare ad un incarcerazione acuta dell'ernia. In più, questi pazienti, che non vengono operati devono evitare di compiere movimenti come: salti, allungamenti e sforzi che interessano lo sterno. Le fasce addominali possono essere utilizzate in aggiunta a questo

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21 tipo di trattamento, in quanto, supportando la parete addominale nel sito dell'erniazione, possono decrementare la probabilità di incarcerazione nonché minimizzare l'allargamento dell'ernia. E' stato notato però che la compliance dei pazienti che utilizzano fasce addominali è bassa a causa del disagio dovuto alla difficoltà di corretto utilizzo.

Nella scelta della terapia ottimale per il trattamento delle ernie, il medico deve considerare con cura i rischi di mortalità associati al riparo della sola ernia, la probabilità di eventuali complicazioni che possono insorgere come il rischio dell'incarcerazione e l'aspettativa di vita del paziente. Soltanto valutando attentamente questi fattori il medico, può determinare eventuali benefici e rischi dovuti alle terapie.

1.6.2. TECNICHE CHIRURGICHE

Le tecniche usate per trattare chirurgicamente un'ernia vengono suddivise in: Erniorrafie, metodiche tradizionali che prevedono solamente la ricostruzione della parete erniata suturando i diversi piani anatomici; Ernioplastiche prostetiche, ricostruzioni eseguite mediante l'utilizzo di protesi biocompatibili capaci di sostituire o rinforzare i tessuti; Ernioautoplastiche, ricostruzioni della parete che sfruttano i tessuti del paziente.

1.6.2.1. ERNIORRAFIE

Nonostante le erniorrafie possono essere classificate in 2 grandi categorie: trattamenti primari e riparazioni tension-free. I chirurghi preferiscono suddividerle in base alla differente tecnica con cui eseguono la riparazione come, ad esempio, la ricostruzione secondo Bassini (che prevede suture su tre stati muscolari e comporta un alto tasso di recidive); e la ricostruzione secondo Shuldice (che al contrario garantisce suture prive di tensione).

Le riparazioni primarie sono tipicamente eseguite attraverso l'ablazione del sacco dell'ernia e dalla chiusura del tessuto utilizzando suture continue o interrotte. L'obiettivo di queste tecniche è quello di ricostruire la normale anatomia della parete così da ricreare i meccanismi fisiologici di difesa contro la pressione addominale; ma con il

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22 progredire delle conoscenze è stato chiaro che questo secondo obiettivo non veniva raggiunto.

Il ravvicinamento dei lembi della ferita richiede il posizionamento di suture ad intervalli appropriati per minimizzare la probabilità di insuccesso. La distensione addominale post-operatoria è stata dimostrata incrementare la lunghezza della ferità del 50% [33]. Per questo le suture devono essere di almeno 1 cm di lunghezza e la distanza tra i punti di sutura deve essere non più di 1 cm. Punti con distanza maggiore favoriscono un nuovo allontanamento dei lembi del tessuto che circonda l'ernia aumentando così considerevolmente il rischio di recidive. La lunghezza della sutura ideale è in rapporto con quella della lesione 4:1; si possono presentare, infatti, molteplici laceramenti quando questo rapporto è inferiore a 2:1 [34] . Suture poste entro 1 cm dal lembo della ferita sono interamente comprese nella zona dell'infiammazione, provocando una importante riduzione della tenuta delle suture [35] .

Le riparazioni primarie sono solitamente riservate ad ernie addominali minori di 4 cm nella dimensione maggiore. La chiusura primaria di ernie post-laparotomiche è associata a recidive a lungo termine che vanno dal 40% al 60% dei casi [36]. Tale esito ha portato molti chirurghi ad abbandonare questo tipo di trattamento per questo tipo di ernia.

1.6.2.2. ERNIOPLASTICHE PROSTETICHE

Le protesi possono essere utilizzate per riparare le ernie addominali con metodiche tension-free. Numerose tecniche sono comunemente utilizzate, tra queste ritroviamo riparazioni che immettono le mesh al di sopra della guaina retta (overlay); tra i muscoli retti (inlay) ed infine sotto la muscolatura (underlay) in modo pre-peritoneale o intra-peritoneale. Nonostante la grande varietà di possibilità inserzione e di ancoraggio delle protesi, queste, funzionano tutte come un ponte sul difetto erniario; le protesi, infatti, vengono ampiamente sovrapposte ai lembi della ferita fino al tessuto sano. Questo consente al difetto di essere riparato senza l'incremento della pressione endo-addominale, che può forzare l'integrità della riparazione. Le metodiche tension-free sono associate a tassi di recidiva compresi tra il 20-30%, significativamente minori rispetto a quelli dovuti alle riparazioni primarie [36].

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23 Quando si ripara un ernia è importante tenere a mente il principio di Pascal; nel caso delle chiusure primarie le forze intra-addominali vengono ad applicarsi direttamente alla zona riparata. Queste forze, sommate a quelle dovute alla torsione laterale della parete addominale, possono portare con il tempo alla distruzione della riparazione e, alla fine, ad alti tassi di recidiva. Il principio di Pascal deve essere considerato anche durante il posizionamento ottimale delle protesi. Abbiamo già menzionato le varie posizioni in cui possono essere inserite le protesi al livello dei diversi strati della parete addominale (sopra la fascia dei muscoli retti, tra i muscoli retti e sotto la fascia). Tenendo conto del suddetto principio, il posizionamento ottimale da un punto di vista teorico è quello di immettere le protesi al di sotto della guaina dei muscoli retti.

La tecnica overlay prevede il posizionamento della mesh sopra la fascia della parete addominale e può essere eseguita con o senza chiusura primaria della fascia. Il vantaggio principale della chiusura della fascia, rinforzata anteriormente nella zona della riparazione con la protesi, è quello di evitare il contatto diretto tra i visceri sotto fasciali e la protesi. La chiusura primaria, però, porta ad un aumento della tensione sul difetto erniale e questo porta in definitiva a recidive. Quando l’intervento viene effettuato senza la chiusura primaria la mesh viene a contatto diretto con i visceri e, a lungo termine, ciò può portare a lacerazioni dell'intestino, alla formazione di fistole e all'infezione della protesi stessa. L'inserimento di protesi sopra la fascia della parete addominale è associata ad un incremento nel tasso di infezioni rispetto a quella con chiusura primaria.

Nella metodica inlay, che utilizza l'inserimento della protesi nel piano muscolare, prevede la fissazione della protesi mediante sutura ad i lembi del danno, senza significativa sovrapposizione tra la protesi ed il tessuto adiacente ai lembi. Nonostante questo tipo di riparazione sia tension-free si possono avere degli incrementi nella pressione endoaddominale al livello della linea di sutura tra la fascia e la protesi. Questo può provocare la formazione di un occhiello erniale lateralmente alla protesi. I tassi di recidive di questa tecnica sona almeno 2 volte maggiori rispetto alle altre due, rendendola la tecnica meno utilizzata.

La riparazione underlay, che immette la protesi al di sotto della fascia, è considerata la migliore per la riparazione di ernie incisionali. In questa procedura, la protesi è assicurata posteriormente alla muscolatura della parete in posizione intraperitoneale o nello spazio preperitoneale. Il metodo di Stoppa è uno dei più comuni che inserisce le protesi a questo livello e consiste nel collocare le protesi nello spazio preperitoneale. La

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24 protesi viene ancorata con suture che attraversano tutto lo spessore della parete addominale grazie a incisioni nella parete addominale anteriore. La protesi risulta così essere ancorata nella sua circonferenza all'intero spessore della muscolatura della parete addominale anteriore e risulta essere sovrapposta alla fascia di circa 5 cm in tutte le direzioni. Inizialmente la tecnica di Stoppa aveva statisticamente 1.8% di mortalità ed il 12% tasso di stipsi ma risultava essere la metodica ottimale nell'85% dei casi [37]. Oggi, grazie ad un notevole sviluppo della tecnica, sono stati ottenuti ottimi risultati con tassi di recidive inferiori al 5% e tassi di infezione delle mesh che richiedono la rimozione della protesi tra 1-4% [38].

Il posizionamento intraperitoneale delle protesi è un'alternativa comparabile al retrorectus di Stoppa. La riparazione intraperitoneale è posizionata in maniera simile alla tecnica di Stoppa, eccetto che lo spazio preperitoneale non necessita di essere creato. Questa procedura minimizza la dissezione preperitoneale che può essere difficile e lunga in pazienti che hanno subito numerose operazioni a livello addominale. Il posizionamento di protesi a livello intraperitoneale adiacente all'intestino richiede l'uso di materiali che creino una barriera all'adesione sul lato intestinale; questi materiali non devono permettere l'adesione/erosione dell'intestino meccanismo che culmina con la formazione di fistole.

Il trattamento laparoscopico per la riparazione delle ernie ventrali (LIVH, Laparoscopic Incisional Ventral Hernia) è una metodica di riparazione underlay in cui la protesi viene inserita a livello intraperitoneale e la sua circonferenza viene suturata sull'intero spessore della parete addominale. La protesi è ancorata con suture che sono posizionate attraverso incisioni della pelle della parete addominale al di fuori della circonferenza della protesi. La tecnica LIVH ha complicazioni nel 5-15% dei pazienti e tassi di recidiva inferiori al 5% [38].

1.6.2.3. AUTOERNIOPLASTICHE

Nella storia della chirurgia erniaria figurano moltissimi metodi ed un numero ancora maggiore di varianti; i metodi tradizionali, tendono a ricostruire la normale anatomia ma non rispettano la fisiologia della regione tantomeno la biologia tissutale. Le suture sono sotto tensione e tendono ad aprire nuove porte erniarie, ischemizzando e non

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25 consentendo buone cicatrizzazioni. Le protesi, dal canto loro, sostituiscono e rinforzano i tessuti del difetto evitando aumenti della tensione, creano però aree passive. La fisiologia della regione colpita da ernia non è quasi mai rispettata anche nella chirurgia prostetica. Negli ultimi anni sta prendendo piede l'ernioautoplastica che mira al recupero totale dei meccanismi di difesa delle regioni erniate attraverso una ricostruzione che prenda in considerazione sia l'anatomia che le necessità fisiologiche nel rispetto della biologia dei tessuti.

In questo tipo di tecniche vengono creati dei lembi dall'incisione della cute fino a quella del sacco erniale che vengono sfruttati per eseguire delle piccole suture che permettono di chiudere o per lo meno di ridurre la porta erniata [39].

Possono essere utilizzati diversi tipi di materiale per generare suture riassorbibili come: l'acido poliglicolico, il polidiossadone ed il polietilene ma anche materiali non riassorbibili nel caso di impianto prostatico come il polipropilene.

1.7. PROPRIETA' DELLE PROTESI

L'ampio impiego delle protesi nella chirurgia delle ernie addominali ha portato l'esigenza di uno studio accurato dei materiali impiegati, capaci di garantire una risposta adeguata da parte dell'organismo ma, allo stesso tempo, di essere in grado di sopportare lo stress al quale sono sottoposti, rispettando quella che è la normale fisiologia della parete addominale. La scelta del materiale migliore da impiegare è legata alle caratteristiche intrinseche del materiale stesso e alla tipologia di difetto in cui andrà impiegato. Non esistendo un materiale ideale, spesso è necessario trovare un compromesso tra le proprietà del materiale e la sua biocompatibilità.

1.7.1. RESISTENZA ALLA TRAZIONE

La resistenza alla lacerazione rappresenta la forza che, applicata ortogonalmente su una sezione piana del prodotto, consente di indurre una deformazione meccanica tale da portare alla rottura della struttura. La pressione massima che si può generare nell'addome in un maschio adulto sano si riscontra durante un colpo di tosse od un salto; questa pressione è

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26 stimata essere circa 170 mmHg [40]. Le mesh utilizzate per riparare ernie di grandi dimensioni, devono quindi resistere ad almeno 180 mmHg prima di lacerarsi; questo valore è facilmente raggiunto anche dalle mesh più leggere che sopportano una pressione doppia senza lacerarsi (es. Vypro= 360 mmHg, Figura 5) [41].

Figura 5. Confronto tra la resistenza alla trazione della parete addominale e quella di vari tipi di mesh in commercio.

1.7.2. DIMENSIONE DEI PORI

La porosità è un importante determinante per le reazioni dei tessuti. I pori devono essere maggiori di 75 µm in modo da permettere l'infiltrazione dei macrofagi, dei fibroblasti, dei vasi sanguigni neoformati e del collagene. Mesh con pori molto grandi portano ad un incremento della crescita dei tessuti molli e sono più flessibili ma causano la formazione di noduli fibrosi derivanti da granulomi che creano dei veri e propri ponti sui margini delle protesi. I granulomi normalmente creano fibre che circondano le mesh nella reazione da corpo estraneo. La formazione di questi ponti è un processo per cui i singoli granulomi diventano confluenti tra loro e incapsulano l'intera mesh. Questo porta a cicatrici rigide e riduce la flessibilità; per evitare questa formazione i ponti tra i pori delle mesh devono essere minori di 800 µm [42].

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1.7.3. PESO

Il peso delle protesi dipende sia dal peso specifico del polimero, sia dalla quantità di materiale utilizzato (grado di porosità) [43] e quindi dalla trama.

Le mesh pesanti utilizzano polimeri spessi, hanno piccoli pori ed una grande resistenza alla trazione. Questo tipo di protesi pesa genericamente 100 g/m2 (1.5 g per mesh di 10 x 15 cm). La forza di queste protesi deriva dalla grande quantità di materiale che le compongono, ma questo porta all'attivazione di reazioni tissutali e alla formazione di cicatrici molto dense.

Le mesh leggere sono composte da filamenti sottili ed hanno dei pori molto grandi (>1 mm). Il loro peso si aggira intorno ai 33 g/m2 (0.5 g per mesh di 10 x 15 cm). Queste inizialmente portano ad una riduzione della reazione da corpo estraneo e risultano essere più elastiche. Nonostante queste protesi abbiano una minore resistenza alla trazione possono sopportare una pressione massima di 170 mmHg.

La nuova generazione di mesh leggere include quelle composte in titanio e polipropilene. Queste hanno ampiamente dimostrato di essere associate ad una più rapida guarigione ma i prototipi più leggeri hanno valori troppo bassi di resistenza alla trazione [44], tanto da essere minori della pressione massima esercitata dalla parete addominale.

1.7.4. BIOCOMPATIBILITA'

I biomateriali moderni sono fisicamente e chimicamente inerti. Generalmente sono composti stabili, non sono immunogeni e risultano non citotossici. Risultano però non essere biologicamente inerti. La reazione da corpo estraneo può essere innescata dalla presenza delle protesi, implicando infiammazione, fibrosi, calcificazione, trombosi e formazione di granulomi [41].

La reazione da corpo estraneo è abbastanza indipendente dal tipo di materiale, anche se la sua estensione è dovuta alla quantità di materiale presente; perciò la dimensione dei pori è ancora una volta un fattore determinante. Come già detto le protesi con pori di piccole

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28 dimensioni portano a zone con cicatrici rigide, mentre, in quelle con pori troppo grandi si assiste alla formazione di ponti fibrosi che collegano i granulomi.

Le protesi, inoltre, modificano la composizione del collagene. Durante il processo fisiologico di cicatrizzazione il collagene di tipo III viene velocemente sostituito da quello di tipo I che risulta più forte. Questo processo è ritardato dalla presenza di un corpo estraneo come una protesi. Come risultato il rapporto tra il collagene di tipo I/III è diminuito; questo porta ad una diminuzione della stabilità meccanica della parete addominale [41, 43, 45]. Questa alterazione avviene indipendentemente dal tipo di mesh utilizzata, anche se la quantità di collagene è superiore nelle mesh con micropori.

1.7.5. ELASTICITA'

L'elasticità, proprio come la resistenza alla trazione, è un parametro molto importante da conoscere per sapere a quale sollecitazioni andrà incontro una protesi dopo il suo posizionamento nella parete addominale. L'elasticità della parete addominale è un parametro che cambia in base al sesso; in un maschio, a 16 N/cm (forza calcolata nella parete addominale), si ha un allungamento nella direzione verticale del 23 ± 7% e di 15 ± 5% lungo quella orizzontale. In una donna, a parità di forza, si riscontra un allungamento nella direzione verticale del 32 ± 17% e del 17 ± 5 % in quello orizzontale [46].

Le protesi leggere hanno un'elasticità che varia del 20-35% a 16 N/cm [41], mentre quelle pesanti hanno valori che si aggirano intorno al 4-16% a 16 N/cm (circa la metà), riducendo la distensione addominale.

1.7.6. TESSITURA

La rigidità delle protesi è una caratteristica strettamente collegata al processo di produzione ed alla trama della rete che viene prodotta lavorando a maglia e/o tessendo i fili all'interno di una trama piana che può essere sia multi che mono filamento. I prodotti di tessitura si ottengono intrecciando più fili sia nel senso della lunghezza che della larghezza. In alternativa esistono le tessitura a maglia ingranando le anse di un singolo filo. Le protesi

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29 possono essere definite anche in base al calibro (come per la classificazione dei fili metallici): con l'aumentare del calibro aumenta la densità del prodotto.

1.7.7. RESTRINGIMENTO

Il restringimento avviene a causa della contrazione del tessuto cicatriziale attorno alla mesh. Il tessuto cicatriziale si restringe circa del 60% [41]. I piccoli pori delle protesi pesanti portano ad un maggiore restringimento a causa della formazione di placche di tessuto cicatriziale.

1.8. BIOMATERIALI

L'avvento della riparazione delle ernie della parete addominale mediante protesi in biomateriali è avvenuto nel 1958 quando Usher rese pubblica la sua tecnica basata su protesi in polipropilene. Oggi sono utilizzate circa un milione di mesh l'anno per la sola riparazione delle ernie [47]. La logica originaria che ha portato all'utilizzo delle mesh nel campo delle riparazioni addominali è molto semplice: le protesi sono utilizzate per rinforzare la parete addominale con la formazione di tessuto cicatriziale. Da questo postulato ci si sarebbe aspettato che le protesi migliori fossero quelle costituite da materiale molto resistente e capace di indurre un grande processo fibrotico. Sfortunatamente la reazione fibrotica porta nel paziente forti dolori e restrizioni della capacità nei movimenti, è stato quindi chiaro che questi effetti secondari dovuti all'applicazione delle mesh dovevano essere minimizzati. Per migliorare le protesi primarie vennero ridotte l'area superficiale e quindi la resistenza delle protesi stesse. Queste modifiche non portarono alla compromissione della funzione primaria di rinforzo, in quanto la resistenza alla trazione necessaria ad una protesi per sopportare la massima pressione che si può generare nella cavità addominale è soltanto un decimo di quella sopportata dalla maggior parte della protesi.

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30 Le "mesh leggere" sono state introdotte nel 1998 (Vypro). Queste mesh hanno pori molto grandi (3-5 mm) ed una piccola area superficiale. Queste protesi stimolano una minore reazione infiammatoria ed in più, hanno una maggiore elasticità e flessibilità [48]. Le "mesh leggere" si restringono meno ed hanno dimostrato un decremento del generare dolore cronico nei pazienti; non sono però prive di complicazioni come recidive, infezioni e formazione di adesioni.

La difficoltà di trovare la mesh ideale ha portato allo sviluppo di protesi composte. Questo tipo di mesh combina materiali diversi nelle due facce delle protesi. Il vantaggio maggiore di queste mesh composte è la possibilità di essere posizionate nello spazio intraperitoneale con una ridotta formazione di aderenze ai visceri.

Nonostante la grande varietà di mesh sul mercato, la maggior parte di queste utilizzate nella pratica clinica è in polipropilene, poliestere o politetrafluoroetilene (PTFE). Questi composti vengono utilizzati anche in combinazione tra loro o con moltissimi altri materiali riassorbibili o non, come il titanio, gli omega 3e l’acido ialuronico.

Lo scopo nell'utilizzo di questi materiali è quello di fornire alla parete addominale una riparazione che sia conforme, forte, duratura e resistente alle infezioni e che non porti alla formazione di adesioni.

Le protesi in polipropilene sono tra le più usate nelle ernie incisionali; ne esistono moltissimi modelli ognuno dei quali differisce per peso, spessore, porosità e trama delle maglie. Il polipropilene si ottiene per polimerizzazione Ziegler-Natta da singole unità di propilene (Figura 6).

Figura 6. Polimerizzazione Zigler-Natta.

Generalmente hanno dei pori molto grandi ed un tessuto monofilamento, caratteristiche che le rendono meno soggette alla formazione di adesioni rispetto a trame con pori piccoli e tessuto con trama con plurifilamenti. L'incidenza di complicazioni con mesh in polipropilene è relativamente basso; si hanno infezioni nel 5% dei casi e la formazione di

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31 fistole intestinale è riportata in meno del 2% dei pazienti trattati [49]. A causa del rischio della creazione di fistole e della potenziale adesione dei visceri che porta all'occlusione intestinale le mesh in polipropilene devono essere evitate quando si richiede il piazzamento di protesi adiacenti ad i visceri senza nessuno strato che li separi. Queste protesi, durante il processo di impianto risultano essere particolarmente maneggevoli e facilmente sagomabili a seconda delle esigenze. Le protesi in polipropilene risultano avere una risposta fibroblastica intensa ed un'elevata resistenza alle infezioni.

Queste protesi permettono un'ottima adesione tessuto-materiale tanto che, a distanza di anni, non risulta più separabile dal tessuto senza poterlo danneggiare o recidere.

Le protesi in poliestere sono anch'esse comunemente utilizzate nel trattamento delle ernie ventrali. Queste protesi sono associate ad un alto tasso di incidenza di fistole enterocutanee e di infezioni [50]. Con le protesi in poliestere, in generale, i tassi di recidive e di ostruzione intestinale sono molto comuni nel decorso post-operatorio [49]. I dati relativi all'incremento dell'incidenza nello sviluppo di fistole e all'alto tasso di recidive non sono universalmente accettati, per questo, mesh in polietilene sono tuttora utilizzate in Europa. Le protesi in politetrafluoroetilene espanso (ePTFE) vengono prodotte per estrusione, un processo che tende il polimero e contemporaneamente lo spinge attraverso il foro di uno stampo. Il PTFE, commercialmente indicato con il nome di Teflon è un polimero termoplastico altamente cristallino che fonde a circa 600 K; si può ottenere dalla polimerizzazione di radicali liberi a partire da tetrafluoretilene (Figura 7):

Figura 7. Polimerizzazione attraverso radicali liberi che portano alla formazione di PTFE

Queste protesi sono uniche nel loro genere ed estremamente popolari grazie alle loro sorprendenti proprietà. Le formulazioni di ePTFE possono essere posizionate con sicurezza adiacenti ad i visceri addominali senza alcun rischio di formazione di fistole intestinali. Le protesi in politetrafluoroetilene espanso hanno una superficie con porosità inferiore a 30 µm per ridurre la formazione di adesioni intra-addominali. La superficie opposta ha una

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32 porosità maggiore in modo a portare ad una rapida crescita del tessuto della parete addominale. Queste protesi possono essere posizionate intraperitonealmente con la faccia microporosa rivolta verso i visceri, mentre, quella macroporosa adiacente al peritoneo. I micropori di queste mesh vengono infiltrati da singole fibre di collagene; questa delicata infiltrazione comporta lo sviluppo di un processo riparativo più elastico. Però, rispetto alle protesi sopra menzionate, quelle in ePTFE richiedono più manipolazioni quando vengono posizionate [51].

L'esigenza di ridurre sempre di più l'impatto del post-operatorio ha portato alla creazione di protesi realizzate in materiali bio-riassorbibili. Attualmente i polimeri bio-riassorbibili di interesse nel trattamento delle ernie sono l'acido poliglicolico e l'acido polilattico (Figura 8 e figura 9). Questi materiali a contatto con l'ambiente biologico, progressivamente, vengono degradati dall'organismo. L'acido poliglicolico e polilattico vengono utilizzati per produrre reti multifilamento.

Figura 8. Sintesi dell'acido poliglicolico a partire dall'acido glicolico

Figura 9. Sintesi dell'acido polilattico rispettivamente a partire dall'acido lattico.

Ad oggi, questi materiali, vengono utilizzati solo in aggiunta ad una protesi non riassorbibile poiché la loro efficacia come unica struttura di sostegno non è ancora ottimale. Sono materiali estremamente flessibili, dotati di scarsa estensibilità che vengono degradati per idrolisi. In generale, nell'arco di trenta giorni entrambi vengono idrolizzati del 50% ed entro il 75° giorno la degradazione raggiunge il 90% [52]. La resistenza alla trazione di entrambi i materiali rimane invariata nell'arco dei primi 10 giorni, mentre già

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33 dal 14° viene persa circa il 50% della resistenza, valore che continua a diminuire fino a raggiungere al 21° il 70% del valore iniziale. I materiali bio-riassorbibili non consigliati quando è richiesta una resistenza protratta alla tensione. Quando la maggior parte della rete è idrolizzata, l'infiltrazione del tessuto fibroso è insufficiente per sopportare la tensione a cui è sottoposta la parete addominale. Le protesi riassorbibili, sono quindi utili solo a scopo temporaneo oltre che nei casi in cui la resistenza alla tensione non rivesta alcuna importanza.

Le protesi composte possono essere utilizzate nelle riparazioni delle ernie ventrali sia in interventi a "cielo aperto" sia mediante laparoscopia. Queste mesh combinano due materiali non riassorbibili con caratteristiche che favoriscono la crescita di tessuto da un lato mentre dall'altro minimizzano la formazione di adesioni. Le mesh composte più comunemente utilizzate sono quelle costituite da polipropilene e PTFE. Protesi, invece,

composite (o a struttura mista) sono costituite da materiali come il polipropilene ed il

poliestere formulati in modo da avere una faccia rivestita con sostanze assorbibili che prevengono l'adesione. Nella riparazione delle ernie, queste barriere diminuiscono la formazione di adesioni mentre uno strato neomesoteliale prolifera sotto la superficie dell'innesto. Prima che questo strato ricopra l'innesto, la barriera assorbibile deve essere disciolta completamente, a questo punto il rischio di formazione di aderenze è teoricamente diminuito.

Recentemente sono stati sviluppati biomateriali che permettono di ottenere xenoinnesti per la riparazione di ernie incisionali; protesi di questo tipo vengono solitamente impiegate in procedure in cui la parete addominale è contaminata e quindi non è possibile l'impianto delle protesi classiche. Questi scaffolds bio-riassorbibili sono dei derivati della matrice extracellulare ottenuti dalla mucosa intestinale di maiale.

Gli alloinnesti, in cui gli scaffold sono dei biomateriali ottenuti da derma umano decellularizzato, sono utilizzati per rigenerare il tessuto della parete addominale, soprattutto nei casi di ernia in cui il tessuto risulta infetto o contaminato. Il materiale è fissato al tessuto sano della fascia circostante l'ernia e serve come matrice per la crescita e la rigenerazione interna del tessuto. Questo tipo di impianti è resistente alle infezioni, all'erosione, all'estrusione ed al rigetto [53]. Gli alloinnesti sono indicati in procedure nelle quali le protesi permanenti sono controindicate a causa di un alto rischio di infezione. Recenti studi si stanno focalizzando sulla creazione di protesi cellularizzate composite costituite da uno strato riassorbibile o non, solitamente polipropilene, sul quale vengono seminati fibroblasti prima dell'innesto. È stato dimostrato che l'innesto di matrici

(28)

pre-34 cellularizzate incrementano la rigenerazione tissutale e le performance meccaniche se comparate alle stesse protesi senza cellule [54-56]. I fibroblasti, potenzialmente, costituiscono una fonte di cellule autologhe della parete addominale utilizzabili nell'ingegneria tissutale, in quanto giocano un ruolo importantissimo nella secrezione di fattori di crescita, nella deposizione della matrice extracellulare e nella degradazione delle stessa. I fibroblasti partecipano alla guarigione dell'intestino attraverso la loro abilità di secernere una grande quantità di matrice extracellulare nonchè citochine, chemochine ed altri mediatori dell'infiammazione [57]. È stato inoltre dimostrato che i fibroblasti possono differenziarsi divenendo miofibroblasti; questi sono capaci di esercitare forze contrattili in quanto esprimono miosina ed actina, consentendo la riduzione dell'area della ferita. Le cellule progenitrici dei fibroblasti cutanei hanno delle proprietà molto simili a quelle riscontrate nelle cellule staminali mesenchimali [58]; in più, i fibroblasti cutanei sono una fonte di cellule facilmente accessibile che non comporta particolari morbidità nel sito di donazione e possono essere facilmente coltivati in-vitro.

Un ulteriore avanzamento nella tecnologia protesica è rivolto alla diminuzione della formazione di aderenze tra protesi e visceri tramite drug-eluting mesh. L'utilizzo su modelli animali di mesh composite, costituite da polipropilene impregnato su una faccia da un idrogel che rilascia sirolimus (farmaco macrolide con proprietà immunosoppressive ed antiproliferative), ha dimostrato dei buoni risultati, con una percentuale di area superficiale interessata da adesioni che è passata dopo 4 settimane dall'impianto, dal 100% a circa al 18% [59].

1.9. METODI DI ANCORAMENTO DELLE PROTESI

Le numerose tecniche che permettono di fissare le protesi alla parete addominale e comprendono: suture, suturatrice e colle. Le suture sono il metodo più comunemente utilizzato per la riparazione dei difetti erniari. Nello specifico, dato che l'ancoraggio deve essere garantito per lungo tempo, si utilizzano suture permanenti. Infatti, nonostante avvenga una crescita di tessuti della parete addominale nelle protesi, le suture permanenti sono necessarie per prevenire recidive fornendo una stabilizzazione a lungo tempo della protesi. Le suture monofilamento sono ottimali per minimizzare gli interstizi, nei quali possono rifugiasi batteri portando così all'infezione della protesi. L'impossibilità di ottenere

(29)

35 protesi fissate con suture che la circondano porta spesso allo spostamento della mesh e così a recidive.

Le suturatrici servono come coadiuvanti efficaci durante la riparazione dell'ernia. Sono utilizzati comunemente nelle riparazioni laparoscopiche e sono in grado di penetrare la rete protesica, il peritoneo ed arrivare in profondità della fascia posteriore. Le clips fissate con le suturatrici sono tra le più utilizzate per suture di ancoraggio per impedire l'incarcerazione dell'intestino durante il periodo di incorporazione della protesi. La riparazione di ernie addominali solamente con le clips è associata ad un alto tasso di incidenza di recidive [60].

Le colle, in genere di fibrina, vengono utilizzate principalmente per: facilitare l'adesione tissutale alla protesi, coadiuvare le suture chirurgiche e favorire l'emostasi. Le colle di fibrina possono essere posizionate tra la protesi e la parete addominale per facilitare l'incorporazione e prevenire la formazione di sieromi [61]. Questi sigillanti sono inoltre utili per ottenere emostasi dopo dissezioni importanti. Nonostante ciò, le colle di fibrina non possono essere utilizzate da sole come metodo di fissazione delle protesi per le ernie ventrali; proprio come le suturatrici, vengono utilizzate solo in aggiunta alle suture.

1.10.

COMPLICAZIONI DOVUTE ALLE PROTESI

Molte delle complicazioni dovute alle protesi sono semplicemente la conseguenza delle proprietà descritte. Quando un chirurgo sceglie il tipo di protesi da applicare, deve decidere quali proprietà sono più importanti per la specifica situazione. Ad esempio materiali come ePTFE hanno un buon profilo per quanto riguarda il rischio di adesione; al contrario protesi in polipropilene durano a lungo ma hanno una flessibilità minima ed un alto rischio di adesione.

1.10.1.

INFEZIONE

L'infezione delle protesi è una complicanza temuta a causa della difficoltà di curarla senza la rimozione della protesi e può divenire clinicamente evidente anche dopo alcuni anni

(30)

36 dopo l'impianto [62]. L'infezione della mesh avviene nel 0,1-3% dei casi [63, 64]; questo valore è ovviamente maggiore quando il difetto erniario è già infetto (ad esempio, durante la riparazione di ernie parastomali).

Anche se ampiamente praticata, non vi è nessuna certezza che la profilassi con antibiotici conferisca qualche sorta di protezione all'infezione. Ciò nonostante, esistono evidenze della diminuzione del rischio di infezione quando le protesi, prima dell'impianto, vengono impregnate con antisettici [65].

Il rischio di infezione è determinato soprattutto dal tipo di filamento e dalla dimensione dei pori. Protesi con micropori, come quelle in ePTFE, hanno un alto rischio di infezione perché i macrofagi ed i neutrofili non sono in grado di entrare nei piccoli pori (< 10 µm). Questo fa si che i batteri vivano incontrastati nei pori della protesi. Un problema simile si ha nelle mesh multifilamento. Le protesi, quindi, con minor rischio di infezione sono quelle costituite da monofilamento e con pori maggiori di 75 µm; l'eradicazione di infezioni da questo tipo di mesh può essere ottenuta senza la loro rimozione [66].

1.10.2.

ADERENZE

Il sempre maggiore impiego della laparoscopia con la metodica underlay ha portato ad un incremento del rischio di adesioni. Le adesioni sono dovute all'essudazione di fibrina, processo che avviene fisiologicamente dopo un qualsiasi trauma. L'essudato forma temporaneamente delle adesioni fino a quando la fibrina non viene riassorbita dal sistema fibrinolitico. Questo riassorbimento è ritardato in presenza di ischemia, infiammazione o dalla presenza di un corpo estraneo. In queste situazioni l'essudato progredisce in adesioni tissutali.

Tutte le protesi producono adesioni quando vengono posizionate adiacenti all'intestino, ma, la loro estensione è determinata dalla grandezza dei pori, dalla struttura dei filamenti e dall'area superficiale delle protesi stesse. Mesh pesanti inducono intense reazioni fibrotiche che portano a forti aderenze tra la protesi e la parete addominale ma causano anche adesioni molto compatte sulla superficie opposta a contatto con i visceri. In maniera opposta, protesi in ePTFE non portano alla crescita di tessuti, avendo un rischio molto basso di formare adesioni, ma sono anche incapaci di aderire fortemente alla parete addominale.

(31)

37 Gli esempi riportati fanno capire come sia difficile produrre delle protesi che aderiscano bene alla parete addominale ma non all'intestino. Le mesh composte cercano di ottenere questo risultato fornendo una superficie che può essere messa a contatto con l'intestino mentre sull'altra la crescita delle cellule mesoteliali non risulta inibita. Sono necessari almeno 7 giorni per rigenerare il peritoneo, ma una volta formato, si deve continuare a prevenire la formazione di aderenze alle protesi. Fino a poco tempo fa lo standard delle mesh composite era costituito da polipropilene e ePTFE. Ad oggi sono disponibili una grandissima varietà di sostanze come la cellulosa e gli Omega-3 che possono essere utilizzate per creare dei film sul lato della protesi che andrà a contatto con i visceri. Sfortunatamente la maggior parte di questi prodotti previene la formazione di adesioni solo per tempi brevi [67].

1.10.3.

RECIDIVE

L'utilizzo delle protesi ha portato ad un calo impressionante del tasso di recidive nelle riparazione delle ernie. I valori variano notevolmente tra gli studi pubblicati, ma la maggior parte hanno descritto una riduzione del tasso di recidiva almeno della metà quando vengono utilizzate le protesi; ad esempio, la percentuale delle recidive nell'ernia incisionale risulta essere passata dal 17-67% al 1-32% [68-73]. In quasi tutti i casi in cui si ha recidiva con l'utilizzo delle protesi, l'erniazione avviene ai bordi della mesh. Questa situazione si verifica spesso in seguito ad un inadeguata fissazione o alla sottostima della riduzione della protesi durante l'operazione. Esiste anche un piccolo numero di casi legati al tipo di protesi utilizzata [74]. E' inoltre ipotizzato che le protesi leggere abbiano un rischio maggiore dovuto alla loro maggiore flessibilità. Altri fattori che portano alla formazione di recidive sono infezioni postoperatorie, sieromi ed ematomi.

Due terzi delle recidive avviene nei primi 3 anni dopo la riparazione del difetto erniario [75]. Questo suggerisce che gli errori tecnici non sono l'unica causa, ma concorrono anche difetti nella sintesi e nella deposizione del collagene. Tutte le protesi portano alla reazione da corpo estraneo, il cui effetto è un'alterazione dell'equilibrio del rapporto tra collagene tipo I/III [43]. I cambiamenti in questo rapporto interferiscono sia con la resistenza alla trazione che con la stabilità meccanica dell'impianto portando così al rischio di recidive. Quando si ha alterazione nel rapporto tra le tipologie di collagene si possono osservare

(32)

38 fibroblasti ai bordi delle mesh proprio nelle zone dove avvengono le erniazioni secondarie [41, 43,72]. Non è ancora chiaro se il tipo di protesi utilizzata sia determinante.

1.10.4.

DOLORE

La riparazione mediante protesi è associata ad una riduzione della comparsa di dolore cronico rispetto alla riparazione mediante suture. Si ritiene che questo sia dovuto all'utilizzo delle tecniche tension-free invece che alle protesi stesse [69]. Nonostante ciò, il dolore rimane una seria complicazione e può essere dovuta a più fattori. Per quanto riguarda il dolore acuto postoperatorio si possono avere delle piccole differenze dovute al tipo di mesh. Il dolore cronico dovuto alla chirurgia addominale ha acquistato negli ultimi anni un maggiore riconoscimento da parte della comunità medica, tanto che viene calcolato un rischio che si aggira oltre il 50% [76, 77]. Quando il dolore inizia nell'immediato postoperatorio solitamente è dovuto al danneggiamento di un nervo durante l'operazione di riparazione. In modo opposto, il dolore dovuto reazione da corpo estraneo (FBR) compare dopo un anno dall'intervento. Negli espianti delle protesi, dovute alla reazione da corpo estraneo, sono state ritrovate fibre nervose intorno alla formazione di granulomi che avviene sulla superficie della protesi. Sono stati ritrovati anche dei neuromi all'interfaccia tra la protesi ed il tessuto che la ospita. Questo ci suggerisce che la protesi può indurre meccanicamente la distruzione di nervi. Mesh con piccoli pori ed alta FBR hanno un alto rischio di causare dolore cronico. Alcuni autori, come Courtney CA collaboratori [77] ipotizzano che l'utilizzo di protesi riassorbibili possano avere un ruolo determinante nella diminuzione del dolore cronico.

1.10.5.

DEGRADAZIONE DELLA PROTESI

La degradazione delle protesi è un processo abbastanza raro che si può notare soprattutto nelle protesi in poliestere [78]. La degradazione probabilmente è causata da processi idrolitici e porta una maggiore fragilità ed alla perdita della resistenza alla trazione. Sono

Figura

Figura  1.  Visione  anteriore  dei  muscoli  che  concorrono  alla  formazione  della  parete  addominale:  miscolo  retto  dell'addome (1), muscolo obliquo esterno (3), muscolo obliquo interno (4) e muscolo trasverso dell'addome (5)
Figura  2.  Muscoli  dell'addome  anterolaterali:  muscolo  obliquo  esterno,  muscolo  obliquo  interno  e  muscolo  trasverso dell'addome
Figura  3.    Sezioni  trasversali  della  parete  addominale  al  di  sopra  della  linea  arcuata  (B)  e  al  di  sotto  della  linea  rcuata (C)
Figura 4. Sezione trasversale del difetto erniario.
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Riferimenti

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