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Capitolo 4: Discussione

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Capitolo 4: Discussione

Il tessuto muscolare scheletrico, è altamente specializzato, e viene spesso perso a causa di lesioni traumatiche, ablazione chirurgica in seguito a tumori o per atrofia causata da denervazione prolungata. È inoltre bersaglio di molteplici miopatie muscolari (Law, 1993; Guettier, 1998). Fino ad ora esistevano solo poche alternative per il ripristino funzionale del tessuto muscolare. Il più comunemente usato era il trasferimento di tessuto muscolare (autologo) il quale tuttavia non dava risultati soddisfacenti a causa della morbilità del tessuto, causando una perdita di funzionalità e un volume globale ridotto. Ora l’ingegneria del tessuto muscolare scheletrico promette approcci alternativi, sia per trattamenti funzionali che estetici (Bach, 2006; Klumpp, 2010a). Essa si avvale di un approccio interdisciplinare e utilizza la biologia cellulare e i principi dell’ingegneria per generare un tessuto muscolare funzionante mimando la neo-organogenesi (Mooney, 1999; Bach, 2004). In questo contesto è fondamentale l’utilizzo di materiali biodegradabili.

Indipendentemente dalla loro composizione o dalla loro applicazione, i materiali utilizzati per la riparazione del muscolo scheletrico devono soddisfare entrambi i requisiti: biofunzionalità e biocompatibilità. Nell'ultimo decennio è stato prestata molta attenzione alla specifica forma fisica dei materiali ed alla natura e struttura degli scaffolds. La biofunzionalità riguarda il fatto che nella medicina rigenerativa, esso deve mantenere la sua integrità strutturale nella fase iniziale dopo l'impianto e deve fornire un adeguato stimolo al microstress delle cellule (Ma, 2001). Molti gruppi hanno segnalato che la proprietà meccanica degli scaffolds fabbricato da differenti biomateriali svolge un ruolo fondamentale nella rigenerazione del muscolo scheletrico, per esattezza è in grado di influire fortemente sulla proliferazione, differenziamento e/o morfogenesi (Zhao, 2004).

In questo lavoro di tesi, mi sono occupata di realizzare e caratterizzare dei possibili materiali per l’ingegnerizzazione del muscolo scheletrico, sia di origine

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sintetica, che naturale. Le caratteristiche richieste erano delle proprietà meccaniche specifiche, la biocompatibilità e la possibilità di essere modificate dal punto di vista strutturale per indurre la formazione e successivo allineamento dei miotubi. In particolar modo le caratteristiche meccaniche dei tessuti sono definite stiffness, e sono quantificate mediante l’identificazione di un parametro, chiamato modulo elastico. Il muscolo scheletrico sano è stato recentemente calcolata da Engler et al. ad avere un valore di circa 12kPa (Engler, 2004).

Per quanto riguarda i materiali sintetici, sono stati testati materiali finora nella rigenerazione del muscolo scheletrico. Si tratta di polimeri sintetici biodegradabili tra i quali possiamo nominare il PCL (Choi, 2008), PLGA (Aviss, 2010) e PLLA (McKeon, 2011). In questo lavoro di tesi, sono stati preparati film polimerici sterili, ed accanto ai tre polimeri sopra nominati è stato preparato anche un blend, ovvero un polimero costituito da una miscela di PLLA 10% e PCL 20%. L’analisi delle proprietà meccaniche ha rivelato dei moduli elastici dell’ordine del MegaPa, quindi nettamente superiori al modulo elastico ricercato. Tuttavia, abbiamo voluto comunque valutare la loro biocompatibilità e l’andamento della crescita delle cellule C2C12. Questo studio è stato fatto con il saggio Alamar blue. Analizzando i risultati è stato osservato che nel primo giorno le cellule aderiscono preferenzialmente su blend e PLGA rispetto agli altri polimeri. Tuttavia, nei giorni successivi non si osserva un trend di crescita e questa si dimostra statisticamente sempre inferiore per tutta la durata dell’esperimento al controllo. Possiamo quindi concludere dicendo che nessuna preparazione polimerica ha mostrato di favorire la crescita cellulare nel nostro caso.

Data la mancanza delle proprietà meccaniche ricercate e la scarsa crescita cellulare, in questo lavoro si è cercato di realizzare degli scaffolds con materiali alternativi. Abbiamo perciò realizzato dei polimeri naturali a base di gelatina cross-linkata con genepina. La gelatina è un biopolimero ottenuto dalla degradazione idrolitica del collagene, idrogel ricavato da polimeri di origine naturale. Gli idrogel

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sono stati riconosciuti come aventi una varietà di applicazioni nella somministrazione dei farmaci, nell’ingegneria dei tessuti e nella medicina rigenerativa (Drury, 2003;. Thanos, 2008). Essi presentano notevoli vantaggi, tra i quali bassi valori di modulo elastico (Sunyer, 2012) e notevoli tipi di applicazione, tra cui la formazione di idrogel termosensibili (Yu, 2008). Tali gel sono potenzialmente iniettabili (Ziane, 2012) ed offrono il vantaggio che cellule o biomolecole possono essere facilmente ed omogeneamente incorporate nella matrice gelificante.

Come agente cross-linkante, abbiamo utilizzato la genepina, sostanza di origine naturale, la quale rispetto alle altre sostanze chimiche con questa funzione, come la glutaraldeide o la formaldeide, risulta ad essere molto meno tossica, biocompatibile e offre prodotti reticolati con alta stabilità (Huang, 1998). Recentemente è stato visto che essa ha anche la capacita di rafforzare le proprietà meccaniche dei tessuti, per cui si pensa che in un futuro potrebbe trovare applicazione nella sterilizzazione dei tessuti trapiantati (Reich, 2013). Date queste caratteristiche, la genepina viene spesso utilizzata per la reticolazione della gelatina (Sung, 1999; Liang, 2003; Chen, 2005), collagene, chitosano (Ko, 2009) e poli (etilene) glicole (Moffatt, 2009). Le relative reticolazioni vengono successivamente utilizzate nelle preparazioni di scaffolds per l’ingegneria tissutale e nella preparazione di veicoli di consegna dei farmaci in varie forme (Manickam, 2013). Inoltre tra le varie sostanze reticolanti la genepina è quella che presenta una minore tossicità, soprattutto rispetto a quelli di natura chimica, ma bisogna stare comunque attenti alle concentrazioni utilizzate. Per realizzare i nostri scaffolds, abbiamo adoperato la genepina in quantità tali da stare sotto la soglia della sua tossicità ritenuta ad essere intorno a 0,5mM (Wang, 2011), dati però ancora da confermare. Nel dettaglio abbiamo testato l’utilizzo di genepina sia allo 0,1 che allo 0,2% p/v, e abbiamo testato diverse concentrazioni di gelatina con lo scopo di trovare la concentrazione ideale di gelatina-genepina, il cui modulo elastico si avvicinava di più a quello del muscolo. Interessantemente è stato possibile realizzare campioni con

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moduli elastici da 3 a circa 80 kPa. Dai risultati ottenuti si è visto che le preparazioni realizzate con gelatina al 3% o al 4% e quelli con gelatina 5% e collagene 1:1 tutte cross-linkate con 0,2% GP davano dei valori del modulo elastico simili a quelli desiderati. Bisogna però menzionare il fatto che le differenze tra i valori ottenuti con la preparazione gelatina 5%- genepina 0,2% e gelatina 4%- genepina 0,2% cosi come anche gelatina 3%- genepina 0,2% e gelatina 5% collagene 1:1- genepina 0,2% non sono tra loro significative. Tutte le altre preparazioni, presentano una stiffness nettamente superiore a quella del muscolo scheletrico sano, pertanto non sono state scelte per l’ulteriore preparazione delle strutture allineate. Infatti, è stato visto che con una concentrazione della gelatina di 7,5%- genepina 0,2% il modulo elastico aveva un valore di 55,5 kPa, mentre la gelatina 10%-genepina 0,2% il modulo elastico era 74,1 kPa.

Una volta caratterizzate le proprietà meccaniche abbiamo voluto testare le proprietà di biocompatibilità. In questo lavoro di tesi, abbiamo scelto di utilizzare la linea cellulare C2C12 (Yaffe, 1978), data la loro facile reperibilità come linea cellulare, e dal momento che esse vengono comunemente utilizzate in questo tipo di studi (Huang, 2006; Matsumoto, 2007; Bian, Bursac, 2009; Elvassore, 2012). Per studi più approfonditi di ingegneria tissutale del muscolo scheletrico, al contrario, vengono utilizzate cellule muscolari staminali, come le cellule satelliti, o cellule staminali e non in grado di differenziare in senso miogenico. Queste comprendono cellule staminali mesenchimali, mesoangioblasti, periciti, cellule CD133*, cellule staminali del liquido amniotico e staminali pluripotenti indotti (iPS) (Darabi, 2011; Fishman, 2013). Esse sono tuttavia molto più difficili da gestire e non sono adatte agli studi di biocompatibilità in via preliminare.

Nell’analisi dell’andamento cellulare ci siamo concentrati solo sulle preparazioni che prevedevano una concentrazione di genepina di 0,2% p/v, dal momento che la differenza con i campioni allo 0,1% non è significativa. Inoltre sono stati analizzati i campioni con le concentrazioni di gelatina 3%, 4%, 5%, 7,5% p/v ed

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quella a base di gelatina e collagene. L’analisi con l’Alamar test ha rivelato una altissima biocompatibilità. Nel primo giorno di coltura le cellule crescono in maniera simile su tutte le preparazioni. Inoltre non c’è differenza rispetto al controllo, ovvero il vetrino gelatinato. A partire dal secondo giorno, iniziano a notarsi delle differenze non significative, osservando una leggera crescita delle cellule sulla preparazione avente il modulo elastico 9,5 kPa e 17,8 kPa. A 7 giorni, osserviamo sul vetrino con la

stiffness 9,5 kPa una crescita minore significativa rispetto al controllo ed una crescita

maggiore sempre significativa rispetto alla preparazione con la stiffness 17,8 kPa. Il valore più alto sembra essere risultato dalla struttura con il modulo elastico 14,4 ± 5 kPa, sebbene non significativo rispetto al controllo e tutte le altre preparazioni, tranne quella con modulo elastico 55,5 kPa. Inoltre, non sembrano essere differenze significative nella crescita cellulare tra 8,7 kPa e la preparazione a base di gelatina- collagene e tra 8,7 kPa e 14,4 kPa, e questo indica che le cellule crescono meglio sulle strutture con un valore di stiffness simile a quella del muscolo scheletrico sano, 12 kPa (Engler, 2004; Gilbert, 2010). Un ulteriore conferma di questa teoria viene dai risultati ottenuti sulle strutture con modulo elastico più grande, ad esempio 55,4 kPa, dato significativo minore rispetto al controllo. Per confermare questo dato sarebbe interessante valutare la marcatura per la desmina, un comune marker dei mioblasti, per verificare che su una stiffness troppo elevata, non solo sia alterata la proliferazione ma che ci sia anche una diversa espressione proteica rispetto alla

stiffness tipica del muscolo.

La seconda analisi è stata effettuata marcando i nuclei con il marcatore l’Hoechst. Essa rispetto all’Alamar test, che misurava in maniera indiretta la vitalità, ci permette di contare e fare una stima dei nuclei, quindi delle cellule, effettivamente presenti sulle strutture. Una volta prese le foto al microscopio a fluorescenza, si è proceduto con la conta utilizzando il software ImageJ. Come già visto nel grafico precedente, nel primo giorno la crescita fa pensare ad una omogeneità su tutte le preparazioni, circa 50% rispetto al valore del controllo. Un

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valore leggermente superiore si osserva solo sulla struttura con 9,5 kPa, differenza significativa rispetto a quella con 14,4 kPa. A 2 giorni la struttura con la stiffness 55,4 kPa presenta il valore più basso non significativo rispetto a tutte le altre strutture. Al settimo giorno, inaspettatamente il valore più basso è dato dalla struttura con il modulo elastico uguale a 14,4 kPa. Tale valore è significativo rispetto alle strutture con modulo elastico 8,7 kPa, 9,5 kPa ed infine 17,8 kPa. Bisogna inoltre ricordare che il collagene presenta dei siti di adesione, come ad esempio le integrine, che favoriscono l’adesione cellulare, influenzandone la crescita (Grover, 2012).

Una volta analizzato l’andamento della crescita delle cellule sui polimeri di origine naturale, si è passato alla fase successiva che consiste nella preparazione delle strutture allineate, in modo da valutare come avviene la miogenesi scheletrica

in vitro.

Al fine di riprodurre la struttura altamente organizzata del muscolo scheletrico

in vitro, fin’ora sono stati analizzati vari approcci. Per esempio, Powell e colleghi

hanno creato muscoli bioartificiali umani coltivando cellule muscolari scheletriche in una matrice di collagene/matrigel prima di sottoporre il costrutto alla stimolazione meccanica ripetitiva (Powell, 2002). Più recentemente, reti muscolari allineati sono state generate utilizzando mioblasti e nanofibre di idrogel allineate con la tecnica micromolding (Lam, 2009; Bursac, 2009). Shah e colleghi hanno creato un’impalcatura degradabile con il gel di collagene che racchiude all’interno delle fibre di vetro in grado di supportare la differenziazione dei mioblasti e la loro maturazione. Le estremità delle fibre di vetro apparentemente sostengono il tendine o a seconda della situazione, la formazione ossea, ed i canali formati in seguito alla degradazione delle fibre sembrano favorire la ricrescita vascolare (Shah, 2013). Altre tecniche di allineamento prevedono l’utilizzo dell’elettrospinning (Riboldi, 2007), che utilizza principalmente la tensione elettrica per formare le fibre che vanno dai micrometri fino a pochi nanometri (Klumpp, 2010).

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In base alla disponibilità del laboratorio, per ottenere una struttura allineata, in questo lavoro è stato scelto di utilizzare la tecnica della soft-litografia. Rispetto all’elettrospinning e allo stiramento meccanico, essa permettere di poter progettare un’archittetura 3D desiderata e tessuto-specifica e garantisce inoltre un alta riproducibilità della geometria dell’idrogel (Bursac, 2008). La caratteristica fondamentale della tecnica è il trasferimento di un determinato pattern, da uno stampo che nel nostro caso è rappresentato da un wafer in silicio ad uno stampo in PMDS (Huang, 2006; Huang, 2010). La parte finale di questa tecnica è stata leggermente modificata rispetto a quella classica, dal momento che alla fine si ottiene una struttura di gelatina con pattern, per percolazione della soluzione su PDMS e successivo distacco. In questo modo la crescita si ha su tutta la superficie e non solo sulla struttura superiore. Alla fine otteniamo un modello contrario a quello dello stampo di PMDS ed i valori che prima rappresentavano i canali, adesso sono indicativi per le strutture e viceversa.

In più, con questa tecnica ci è stato possibile controllare sistematicamente le dimensioni del tessuto ingegnerizzato. La scelta delle grandezze è stata imposta dalle dimensioni del muscolo scheletrico sano e dai limiti pratici della tecnica. Come ben sappiamo dall’anatomia, una fibra muscolare ha le dimensioni che variano tra 10 µm -100 µm, motivo per il quale abbiamo creato lo stampo di silicone con strutture di 50 µm, 100 µm e 200 µm. La dimensione dell’altezza, 40µm dovrebbe garantire una disposizione delle cellule su piani diversi, in modo da essere sicuri che non si sentano le une con le altre e di avere allineamento su entrambi, situazione più fisiologica che consente il giusto apporto di sostanze nutriente ed ossigeno (Koning, 2009; Hudlicka, 2011).

Nella preparazione delle strutture allineate ci siamo concentrati su due diverse concentrazioni, che sono risultate migliori dall’analisi delle proprietà meccaniche e crescita cellulare ovvero, gelatina 3%- genepina 0,2% che ha un valore del modulo elastico di 8,7 kPa e gelatina 4%- gelatina 0,2% con un modulo elastico di

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14,4 kPa. La terza preparazione che prevedeva l’utilizzo del collagene e che dal punto di vista del modulo elastico aveva dato buoni risultati, è stata esclusa per complessità del protocollo.

Su queste impalcature allineate, abbiamo seminato sempre la stessa linea cellulare C2C12 ed abbiamo analizzato come prima cosa il comportamento delle cellule nelle strutture allineate, ovvero se hanno una crescita preferenziale struttura/canale. Dall’osservazione del grafico si può notare che i valori ottenuti per il canale e la struttura della stessa grandezza, 100 µm sono uguali. Questo ci porta a pensare che la semina effettuata è stata omogenea, per cui non c’è una evidente preferenza di crescita sul canale o sulla struttura. Il valore più alto è dato dalla struttura a 200 µm ed è quasi il doppio di quello a 100 µm, fatto che forse ci indica una proporzionalità delle grandezze. Le uniche differenze significative sono tra le strutture a 200 µm – 50 µm e tra 200 µm e 100 µm. Questi dati suggeriscono che utilizzare un altezza dei canali di 40 µm sia ottimale per avere una distribuzione omogenea delle cellule. Una struttura con dimensioni superori a questo valore collasserebbe su se stessa e non si avrebbe una buona risoluzione. Al contrario, altezze troppo basse avrebbero rappresentato uno svantaggio per l’allineamento in quanto le cellule si sarebbero risentite con quelle dello strato sottostante.

Il passo successivo è stato quello di studiare l’allineamento su strutture di 50 µm -200 µm, 100 µm e 200 µm (Bian, 2010). Dopo 5 giorni in terreno di differenziamento, la microscopia a fluorescenza dell’actina filamentosa delle cellule mostra una disposizione ordinata nella crescita dei miotubi. Essi sembrano disposti in parallelo senza nessuna ramificazione, fenomeno che spesso si può notare sui vetrini di controllo, dato in accordo con precedenti studi (Yamamoto, 2008; Gingras, 2009). Analisi più dettagliate riguarderanno la marcatura con anticorpi per detectare i miotubi maturi. Sebbene non siano stati quantificati, ad occhio nudo è possibile notare, come rispetto al controllo i miotubi siano allineati. Anche in questo caso, sarebbe interessante andare a vedere se la dimensione dei canali può influenzare le

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loro caratteristiche di dimensione e lunghezza, di indice di fusione e se modificando il modulo elastico si possa regolare il loro grado di maturità. Questo dato conferma l’efficacia di questo tipo di strutture per il nostro scopo.

Per quantificare il grado d’orientamento, i nuclei sono stati marcati con l’Hoechst, considerati come un’ellisse, e il grado di allineamento è stato definito come l'angolo formato tra l'asse di direzione delle strisce e l’asse maggiore nel nucleo, tale che un angolo di orientamento pari a 0° corrisponde perfetto allineamento (Aubin, 2010). Tutti gli angoli di allineamento nucleari sono stati poi normalizzati al rispettivo orientamento nucleare preferito definito come l'orientamento medio di tutti i nuclei per campione. Per le cellule coltivate sul substrato senza pattern, l'orientamento delle cellule si è visto ad essere distribuito in modo casuale variando tra 0°-90° confermando cosi i dati di letteratura. Inoltre una bassa percentuale di cellule, 20%, si possono ritenere allineate. Al contrario, l'orientamento delle cellule presente sulle strutture allineate è stato preferenzialmente limitato entro 20°. Con una percentuale di circa 50% a 50 µm e 100 µm per quelle considerate allineate, ovvero nell’intervallo 0°-10°. Dall’osservazione del grafico, sembrerebbe che la struttura a 50 µm favorisca l’allineamento, ma le differenze non sono statisticamente significative con il canale di larghezza 100 µm. Non sembrano essere differenze significative neanche nell’allineamento tra 100 µm e 200 µm, anche se 45% circa delle cellule apparentemente sono allineate. Una possibile spiegazione di questo fenomeno, potrebbe essere quello che l’analisi richiede un numero maggiore di campioni, in modo da aumentare i dati statistici. Ad ogni modo, con questo studio, abbiamo dimostrato che substrati allineati possono regolare l'organizzazione dei mioblasti e la formazione dei miotubi. I canali paralleli delle preparazioni allineano effettivamente i miotubi entro il 10° dalla direzione delle microstrutture e questo è in accordo con i dati presenti nella letteratura (Huang, 2006; Lam, 2006).

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In seguito, abbiamo valutato l’indice di forma, per esattezza l’ellicità di ogni nucleo cellulare per poter stabilire come la struttura del pattern influisce sull’allungamento. Si è osservato che rispetto al controllo, dove l’elevato errore è indicativo di un elevata diversità delle forma dei nuclei, tutte le cellule sono più allungate e le differenze in allungamento sono tutte statisticamente significative rispetto al controllo. Di nuovo, non è stato possibile evidenziare una differenza in allungamento tra le varie strutture, anche se il grafico fa sembrare che la struttura che più favorisce l’allungamento è quella a 100 µm.

Una volta allineati i miotubi e dopo averli caratterizzati nel dettaglio, quello che sarebbe interessante fare sarebbe avvicinarsi il più possibile alla realizzazione di un muscolo completo, ovvero dotato di vascolarizzazione e innervazione. Ad oggi, la vascolarizzazione costituisce ancora un grave ostacolo per le operazioni d’ingegneria dei tessuti scheletrici. Il problema è stato affrontato da tanti gruppi di ricerca ed inoltre gli approcci sono svariati. Generalmente vengono realizzati supporti polimerici per il rilascio prolungato dei fattori di crescita angiogenici (Nomi, 2002), o si sfruttano co-coltura con cellule endoteliali del tessuto bersaglio (Levenberg, 2005), e si ricorre all’utilizzo di metodi di microfabbricazione per creare canali che consentono il flusso delle sostanze nutritive e dirigere l’attacco delle cellule endoteliali (Kaully, 2009). Nonostante tutti i risultati ottenuti, la vascolarizzazione rimane ancora un ostacola da superare.

L’innervazione è un altro fattore importante da considerare nel successo dell’ ingegneria dei tessuti e medicina rigenerativa. A tal proposito, sono stati effettuati numerosi studi per indagare il processo di innervazione ed i biomateriali adatti a favorirla (Chunzheng, 2008; Sorensen, 2007), anche nel caso del muscolo scheletrico (Badylak, 2002). Ad oggi possiamo però dire che l’innervazione rimane, cosi come la vascolarizzazione, un obiettivo per i prossimi lavori nel campo dell’ingegnerizzazione del muscolo scheletrico.

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Conclusione

Il lavoro svolto durante questo periodo di tesi ha rilevato che i polimeri di origine naturale a base di gelatina e genepina possono rappresentare degli ottimi biomateriali per la realizzazione di scaffolds impiegati nell’ingegneria tissutale del muscolo scheletrico. Dalla caratterizzazione meccanica eseguita sui provini è risultato che le preparazioni gelatina 3%- GP 0,2%, gelatina 4%- GP 0,2% ed infine gelatina 5%-collagene1:1- GP 0,2%, presentano un modulo di Young simile a quello del muscolo scheletrico. Essi si presentano inoltre migliori per proprietà meccaniche e di biocompatibilità se confrontati con i polimeri utilizzati finora nell’ingegneria tissutale del muscolo scheletrico, ovvero i polimeri sintetici PCL, PLGA, PLLA ed un blend ottenuto da una miscela di PCL 20%- PLLA 10. Inoltre tutti i campioni naturali si sono dimostrati altamente biocompatibili, ma è da notare che i migliori risultati di crescita per le cellule muscolari si sono avuti sulla stiffness più simile a quella del muscolo, circa 12 kPa.

Per tale motivo con i polimeri naturali sono state realizzate strutture allineate e su di essi è stato valutato l’influenza del pattern sull’orientamento dei mionuclei, grado di orientamento dei nuclei e l’allungamento di essi. L’analisi con la microscopia a fluorescenza ha dimostrato che sulle strutture con il pattern, i nuclei si allineano efficacemente e non presentano le ramificazioni tipiche delle strutture senza pattern. Infatti, l’analisi del grado di orientamento dei nuclei ha rivelato che nelle strutture allineate 50% circa dei nuclei presentano un angolo inferiore a 20°. Al contrario, sulla struttura senza pattern gli angoli variavano in maniera omogenea tra 0° e 90°. I dati forniti dal grafico relativo all’allungamento ci dicono che rispetto al controllo le cellule si allungano, ma sembra a non esserci differenza tra le varie strutture. Tuttavia la struttura che sembra favorire di più la crescita e il differenziamento è quella a 100 µm. Inoltre l’analisi al microscopio ottico ha mostrato anche un effettivo allineamento dei miotubi.

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Futuri studi saranno orientati a migliore e implementare i dati ottenuti e anche le procedure sperimentali. In questo lavoro ci siamo limitati ad analizzare l’andamento della crescita con Alamar test e conta delle cellule, ma sarà invece importante vedere l’effetto dei substrati con stiffness diversa su altri aspetti, per esempio sulla disposizione dell’actina o sulla maturazione dei miotubi. Un altro dato che sarebbe importante indagare è l’indice di fusione in modo da avere più informazioni sulla formazione dei miotubi. I costrutti naturali sono stati reticolati con la genepina. Durante i test cellulari, il suo colore blu intenso ha reso difficile l’osservazione al microscopio delle cellule. Sostituirla con una sostanza reticolante sempre di origine naturale e bassa tossicità, potrebbe essere una soluzione. Un ulteriore risultato significativo sarebbe poter innervare le cellule e quindi creare un costrutto in grado di contrarsi. Per rendere l’insieme più simile possibile al muscolo scheletrico funzionante, un altro passo importante si potrebbe fare nel campo della vascolarizzazione, in modo da garantire il necessario apporto di sostanze nutritive e ossigeno ed allungare cosi la vita degli scaffolds una volta impiantati in vivo.

Inoltre, non bisogna dimenticare che tutte le prove sono state svolte in condizioni statiche, condizione non del tutto paragonabile a quella fisiologica. Preparare perciò degli scaffolds adatti ad essere posizionati all’interno di bireattori potrebbe essere una procedura idonea a mimare meglio la fisiologia del muscolo e ci potrebbe far capire in maniera più precisa il comportamento dei mioblasti e in seguito dei miotubi.

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