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197APPENDICE AL CAPITOLO IXPer amore di completezza, darò adesso spazio ad una specie di che più volte

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APPENDICE AL CAPITOLO IX

Per amore di completezza, darò adesso spazio ad una specie di pamphlet che più volte1

Boncinelli ripropone per delineare i requisiti che ogni scienza deve avere per definirsi tale. Si tratta di una specie di decalogo forse un po' ripetitivo, perché gran parte di queste condizioni le abbiamo già trovate qua e là nel corso del

ragionamento, ma si tratta di una parte integrante del suo pensiero. In un paragrafo a parte affronterò uno di questi requisiti, che è la quantificazione, a cui Boncinelli ha dedicato molto spazio in colloquio col matematico Bottazzini ne “La serva padrona”, contrapponendolo alla matematizzazione, che è invece da lui reputata come inessenziale.

LA DEFINIZIONE DI SCIENZA

Boncinelli, con la sua formazione matematica, ama dare definizioni e dà anche della scienza una definizione ampia e articolata. Si tratta cioè di un'impresa collettiva, progressiva, che cerca di descrivere gli aspetti riproducibili del maggior numero di eventi materiali, di comunicarli in maniera non contraddittoria in modo da permettere a chiunque di fare esperimenti e previsioni, costruire macchine, materiali e mentali. Passa poi ad analizzare i vari punti elencati.

È "collettiva", perché "non la fanno i singoli, per quanto geniali"2; è collettivamente controllata, dal momento che le ricerche vengono pubblicate su riviste specializzate in cui gli esperti criticano e impongono chiarimenti, che ottengono il risultato di migliorare le ricerche stesse; mediamente una teoria se è falsa viene invalidata in un massimo di cinque-sei anni dalla sua pubblicazione. È cioè intersoggettiva, sempre aperta a nuovi contributi e alla confutazione da parte di chiunque,

indipendentemente dalla sua autorevolezza, e in tal modo rappresenta la conoscenza che più si avvicina ad un ideale impossibile di oggettività. Non è l'intelligenza di coloro che la fanno di mestiere a rendere grande la scienza, ma la loro collaborazione, la loro reciproca capacità di correggersi, cioè la cumulabilità degli sforzi. I singoli scienziati sono talvolta perfino "un po' fessacchiotti", ma l'impresa collettiva, per quanto non sia mai esente da errori, è il miglior prodotto degli uomini.

Il principio di autorità conta poco e chiunque può dire la sua, cercando di lavorare partendo dal minor numero possibile di presupposti. Per illustrare questa mentalità democratica della scienza, aperta alle critiche, purché fondate, da parte di chiunque, cita come aneddoto la disputa che avvenne a Rosignano tra il già celeberrimo Einstein e un giovane e sconosciuto fisico. Già per questa ragione si può dire che la scienza sia la miglior palestra possibile di democrazia (come sostiene anche Gilberto Corbellini col suo recente libro, intitolato "Scienza quindi democrazia", in cui afferma che la scienza moderna ha permesso e favorito la democrazia).

Ma vediamo anche che la scienza contrasta con l'ideologia, tanto che più la seconda è presente più la prima langue. La scienza è infatti scuola di democrazia e di libertà e si afferma dove la

democrazia è più salda.

La scienza non solo deve essere scevra da ideologie, ma deve per quant'è possibile limitare l'influenza di fattori emotivi; cerca infatti di "ridurre al minimo l'interferenza dei

1 Vedi soprattutto “Il posto della scienza”, concepito espressamente come pamphlet. 2 Pag. 8 di "Perché non possiamo non dirci darwinisti"

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processi di valutazione"3, anche se questo è più un progetto che un obiettivo realistico (visto che razionalità e emotività sono inscindibili). La scienza usa la razionalità perché questa

permette l'interrelazione cumulativa, lotta contro i preconcetti, è sempre aperta a critiche e

contributi ed è sempre disposta a cambiare idea. Abbiamo però visto quanto essa stessa sia debitrice nei confronti di associazioni intuitive e di insight, sebbene Boncinelli non li qualifichi come irrazionali. La scienza, soprattutto nella sua parte teorica più che in quella pratica4, è anche caratterizzata infatti da grande creatività e capacità d'innovazione, tanto da avere una vera e propria carica rivoluzionaria, per quanto questa caratteristica non compaia nella definizione. A differenza dell'artista, lo scienziato deve però dimostrare le proprie affermazioni, ed è quindi un "immaginifico frenato"5

Molte delle scelte che dovremo fare in un prossimo futuro e che vedono un apparente contrasto tra scienza ed etica, dal nucleare allo smaltimento dei rifiuti nocivi, all'elettrosmog, alla clonazione terapeutica, alla diagnosi preimpianto, alla terapia genica germinale, alle staminali embrionali, etc, dovrebbero essere compiute, come abbiamo detto, dalla collettività, dopo opportuna informazione, in modo democratico, perché non sono di competenza degli scienziati più di quanto non lo siano dei singoli cittadini. Si tratta infatti soltanto di prendere delle decisioni, di costruire il futuro che vogliamo, perché non esiste nessuna verità già data, in quanto le scelte a

disposizione dell'uomo non sono previste dalla natura e non hanno risposte

preconfezionate o collaudate. La scienza propone problemi nuovi, che non ci siamo mai posti, che non siamo biologicamente predisposti a gestire e a cui si può

rispondere in modi molteplici. Così come è convenzionale stabilire quando inizia la maggiore età, altrettanto convenzionale è, come sappiamo, decidere per esempio quando inizia la vita

dell'individuo o quando esattamente avviene la morte. Se anche diciamo che la vita inizia dalla fecondazione, non si può parlare però di essere umano finché nell'embrione non si delinea almeno un abbozzo di sistema nervoso, il che avviene alla fine della seconda settimana. Perché poi si possa parlare addirittura di persona, molti sono i momenti che possono essere ritenuti discriminativi sia all'interno dello sviluppo embrionale che durante la vita del bambino e non c'è nessun criterio oggettivo per sceglierne uno piuttosto che un altro. Immagino però d'interpretare correttamente il pensiero di Boncinelli se affermo che una persona è per lui il prodotto dell'interrelazione tra geni, cultura e caso6

, e dunque comincia ad esistere propriamente solo dopo il periodo delle cure parentali, dopo cioè quella "seconda nascita", di tipo culturale, che gli dà la dimensione di uomo dei nostri tempi e non solo di homo sapiens. Anzi, ancor più propriamente, bisogna attendere addirittura l'adolescenza, che rappresenta anch'essa per lui un'ulteriore nascita – di tipo biologico, che va a saldarsi con quella culturale della fetalizzazione - in cui i geni non cambiano ma semplicemente vengono immersi in un bagno ormonale che rivoluziona il soggetto. Ognuno può dunque scegliere il discrimine che più lo persuade, ma certo è che nessuno deve decidere anche per gli altri7.

Nella democrazia il conformismo appare come un grande pericolo. Le categorie del "noi" e del "voi", che sono fondamentali durante la formazione dell'individuo, se esasperate e portate avanti oltre l'età evolutiva diventano nocive e conducono alle ideologie, che sono il corrispettivo culturale delle razze, che fanno sentire come non umano, e quindi disprezzabile o addirittura eliminabile, chi

3 "Io sono, tu sei", pag. 143

4 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 57. 5 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 23.

6 Anche se, come abbiamo visto, egli definisce in tal modo l'individuo, non la persona. 7 "L'etica della vita", pag. 150.

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semplicemente è diverso8. Tale conformismo a me sembra pericoloso anche all'interno del “Collettivo”, della “Supermente”, che invece Boncinelli delinea come

squisitamente razionali e perciò tendenzialmente liberi da influenze di tipo emotivo. La scienza è "progressiva", cioè in continua espansione ed evoluzione, perché la comprensione di un nuovo fenomeno genera nuovi interrogativi e l'uomo non si accontenta mai di quello che sa. Essa mantiene tutto ciò che è ancora valido delle scoperte del passato, che è il corpus fondamentale dell'intero edificio, ma vi aggiunge ciò che è nuovo. Soltanto le sue "terre di frontiera" cambiano continuamente. Con tutto ciò, lo scienziato è sempre disponibile a rivedere tutto, non ci sono per lui verità definitive per quanto autorevolmente sostenute. Nessuna scienza sarà mai la "fine della storia9".

La scienza si limita a spiegare i come escludendo i perché: "Chi cerca spiegazioni, o ragioni, necessarie e sufficienti deve cercare altrove e avere anche molta fortuna"10. Le ragioni, come sappiamo, sono infatti le ricostruzioni a posteriori, molto simili alle

razionalizzazioni, che cercano il “senso”, così come fa di solito la corteccia nel suo ruolo mistificatorio. La scienza tende a sostituire le descrizioni alle spiegazioni, vale a dire che non ci dice perché un determinato fenomeno avviene, ma ne descrive solo il come.

La scienza attuale non propone verità assolute, ma verità: 1) parziali, perché analizzano singoli parametri, 2) circoscritte, con un àmbito di applicazione ben delimitato, 3) provvisorie, in quanto sempre in evoluzione. Certamente è fallibile, ma molto meno di qualsiasi altra conoscenza; e tale fallibilità può riguardare la singola affermazione, ma non l'insieme. Ha inoltre una carica

rivoluzionaria o eversiva11 perché contraddice talvolta convinzioni millenarie difficili da estirpare. Mentre le nostre convinzioni morali sono in continua evoluzione ed hanno una base puramente convenzionale, così che dovremmo essere pronti a modificarle, a metterle alla prova, a cambiarle, quelle conoscitive sono, per quanto riguarda la scienza, fondamentalmente sicure nel loro

complesso.

Insieme alla tecnica, la scienza ha portato ad un inequivocabile progresso delle condizioni di vita, aumentando il benessere. Questo non significa che siamo più felici; la scienza non può darci la felicità o la saggezza, perché queste fanno parte della nostra parte genetica e irrazionale e non sono suscettibili di progresso, che caratterizza la sola razionalità12. Noi però ce ne sentiamo delusi e traditi, perché ci eravamo fatti, con la complicità spesso dei mass-media, illusioni e aspettative esagerate.

Ogni scienza ha una prima fase descrittiva, in cui sulla base di una teoria, magari inconsapevole, di partenza si decide quali oggetti trascurare e quali invece osservare. Essa esclude innanzitutto dai suoi oggetti, per intelligente autolimitazione, tutto ciò che non è "riproducibile", ma di cui con ciò non afferma l'inesistenza.

Tuttavia Boncinelli, a proposito di ciò che è irriproducibile, scrive anche, a pagina 45 de "Il posto della scienza": "Perché non si dovrebbe più ripresentare, se fosse un fenomeno reale?" e quindi sembra fare in questo caso della riproducibilità una prova di realtà.

Smentisce che la scienza si occupi solo di ciò che può spiegare, perché moltissimi fenomeni che la scienza studia non hanno ricevuto finora nessuna spiegazione. Ma se un fatto si ripresenta con regolarità è probabile che venga spiegato, perché ciò che lo scienziato cerca sono appunto le

8 "Lo scimmione intelligente", pag. 156-7.

9 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 60. 10 Pag. 84 di "Il posto della scienza".

11 Vedi pag. 28 di "Perché non possiamo non dirci darwinisti". 12 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 59.

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costanti e le regolarità. Quando manca la regolarità, bisogna però ancora aspettare, perché è possibile che cambino le condizioni, determinando con ciò la ricomparsa del fenomeno. "Le coincidenze, le combinazioni, le connessioni, che qualcuno considera significative, le apparizioni a persone singole, le osservazioni possibili solo a chi possiede particolari caratteristiche, congenite o acquisite, che tanto piacciono agli esseri umani fin dagli albori della loro storia", scrive a pagina 46 de "Il posto della scienza", "non sono e non possono essere oggetto di studio scientifico. Tanto non se ne caverebbe niente". Il requisito di riproducibilità è del resto richiesto, afferma Boncinelli, già dalla nostra biologia, perché le aspettative che qualcosa si ripresenti in determinate condizioni sono fondate sulla nostra memoria e sono alla base delle nostre abilità manuali e artigianali. Dipingo bene per esempio una certa palizzata quando ricordo come ho fatto in analoghe esperienze precedenti.

Allo stesso modo la scienza è un "osservare per fare e un fare osservando", a metà strada tra la speculazione e l'empiria, così come il nostro sistema nervoso, che è finalizzato all'azione almeno potenziale.

Tuttavia la riproducibilità proprio in biologia e nella teoria dell'evoluzione è impossibile, perché l'irreversibilità del tempo e la lentezza degli eventi, che sono avvenuti in migliaia e migliaia di anni, non permettono una verifica sperimentale; ciò non vuol dire che non si tratta di scienze. "Nessuno si sognerebbe di negare l'affidabilità scientifica sulle conoscenze acquisite sul codice

genetico o sul meccanismo della sintesi proteica" e prosegue poco più in là affermando: "Una teoria può anche non essere verificabile in ogni sua articolazione e limitarsi a comprendere un certo numero di singoli fatti verificabili, se questi fatti sono logicamente correlati tra di loro e se il loro insieme permette di fare previsioni verificabili e verificate". Ecco quindi che c'è una deroga a questo requisito, in mancanza del quale devono però sopperire coerenza e prevedibilità.

Ma osservo che in situazioni analoghe egli adotta due pesi e due misure. Il fatto che la riproducibilità sia un portato della nostra biologia diventa un argomento a favore dell'uso di questo criterio, al contrario di quel che avviene per la ricerca di senso, per quanto anch'essa biologicamente fondata.

La scienza evita inoltre le ipotesi inutili13. Esclude dalla sua analisi anche altri elementi, per quanto riproducibili, ma lo fa temporaneamente e solo per semplificare, concentrando la propria attenzione sul resto. Su ciò che è stato escluso inizialmente prima o poi tornerà, non appena il concetto

precedente sarà chiaro. Per esempio, per studiare il moto, dapprima la fisica escluse l'attrito, per quanto del moto esso sia addirittura una condizione, ma tornò a studiarlo successivamente. La scienza non può mai spiegare tutto, altrimenti sarebbe una professione di fede14. Classifica i fenomeni osservati in base a differenze e somiglianze, in un'operazione che pur non essendo quantitativa è fondamentale. Cerca in tutto ciò le costanti e i princìpi generali, applicandoli per verifica ad altri fenomeni possibili, che possono confermare o smentire ciò che sembrava acquisito, e proprio questo è ciò che la rende scienza sperimentale.

Quando tale verifica porta ad una smentita della teoria stessa, si può pervenire ad una rivoluzione scientifica. Ne sono avvenute finora non più di quattro o cinque: con la teoria dei quanti, con quella della relatività, con la teoria di Darwin e con quella della deriva dei continenti. Ma in realtà bisogna parlare più di evoluzione che di rivoluzione, perché per esempio la relatività non smentisce la fisica classica, ma ne rappresenta un'applicazione particolare e spartisce i rispettivi campi di competenza. Boncinelli cita a questo proposito Thomas Kuhn15 sostenendo che la sua teoria delle rivoluzioni

scientifiche è stata, suo malgrado, eccessivamente semplificata e con ciò fraintesa. Secondo Kuhn esistono periodi in cui la scienza procede in modo normale, secondo un paradigma generalmente

13 "Il mondo è una mia creazione", pag. 49. 14 Pag. IX della prefazione a "Le forme della vita". 15 "Il posto della scienza", pag. 40.

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accettato da tutti i ricercatori, e periodi in cui nuovi dati sperimentali mettono in crisi il vecchio paradigma finché questo crolla e ne emerge uno nuovo. Tale teoria ha il difetto di limitare l'analisi alla storia della sola fisica portando pochi esempi, tra cui il più illustre è il passaggio alla

concezione copernicana. Da qui si è originata una moda, una vera e propria "valanga culturale", che banalizzando assurdamente ritiene che dietro alle affermazioni scientifiche non ci sia alcuna sostanza ma solo convenzionalità o addirittura una collusione col mondo della produzione16. Tutto ciò si salda con l'attuale tendenza irrazionalistica, mistica e antiscientifica, che descrive la scienza come inaffidabile e insicura. Al contrario essa procede con sicurezza e speditamente, anche se il suo percorso non può essere tracciato in anticipo e non è prevedibile; essa avanza per tentativi ed errori (proprio come fa l'evoluzione e la vita).

Il metodo sperimentale, assieme al ragionamento, è uno dei requisiti più importanti. Ma come si concepisce un "esperimento"? Ogni esperimento è carico di teoria, magari inconsapevole. Bisogna innanzitutto porsi un obiettivo, che consiste nel rispondere con un sì o con un no ad una precisa domanda che ci siamo formulati, in quanto partiamo sempre da qualcosa che sappiamo (un a priori) e che vogliamo meglio chiarire: non si parte mai dal nulla. La chiarezza di idee è fondamentale, dobbiamo sapere abbastanza bene cosa cerchiamo e dobbiamo poi raccontarlo altrettanto chiaramente a chiunque. Ogni esperimento va ripetuto svariate volte, da parte di operatori diversi e in condizioni differenti, diffidando dai risultati troppo belli o troppo brutti, perché ciò che è intuitivo spesso non è vero.

Una scienza viene confermata dalle sue verifiche sperimentali, dalle sue applicazioni materiali o teoriche e anche dalla sua capacità di prevedere. Per fare un esempio della grande capacità di previsione della scienza basti pensare alla tavola di Mendelev, che già ipotizzava l'esistenza di elementi prima che fossero noti. Ma la stessa esistenza dei positroni o dei quark e l'espansione dell'universo sono state affermate in quanto conseguenze, soltanto successivamente accertate, di rigorosi studi teorici.

Le realizzazioni pratiche sono la prova del nove della validità della teoria e costituiscono quindi una forma convincente di verifica, che dimostra quanto sbagli il convenzionalismo. Abbiamo già detto come quantismo e relatività siano stati dimostrati indirettamente dalla grande quantità di

applicazioni tecnologiche estremamente utili che hanno reso possibili. L'aspetto pratico e

tecnologico è inscindibile dalla scienza, perché questa è un conoscere in funzione del fare, anche se l'aspetto teorico è prioritario e possiede la maggior carica innovativa. Certamente le applicazioni tecniche non vanno sottovalutate, perché il metodo sperimentale che ha fondato la scienza si avvale di verifiche e di sperimentazioni, ma Boncinelli non accetta neanche un eccessivo pragmatismo che sposti la ricerca teorica in secondo piano; il primato è sempre e comunque della scienza. Essa non è schiava della tecnica, perché ha con questa un rapporto che è insieme d'indipendenza e di

interconnessione.

La scienza è lenta e circospetta, ma, come la tecnica, è condizione di libertà, perché ci affranca sempre di più dai condizionamenti del biologico. Ha lo scopo di capire com'è fatto il mondo, mentre la tecnica cerca di migliorare le condizioni d'esistenza; però entrambe “ci cambiano la vita ed anche le idee”17. Talvolta le leggi del mercato incidono sia in senso positivo, come sprone, sia in senso negativo, per esempio creando dei bisogni che non sono reali e dei quali bisognerebbe liberarci. Spetterebbe alla politica, alla collettività sorvegliare su tutto ciò, diffondere, decidere ciò che possono o devono fare gli scienziati. Boncinelli è infatti fiducioso nel potere della politica e fa l'esempio della "moratoria di Asilomar" negli Usa, che è riuscita a bloccare per cinque anni l'ingegneria genetica. Se in Italia non lo si riesce a fare è per una debolezza specifica del nostro sistema politico e non della politica in generale.

L'accumulazione del sapere scientifico è indiscutibile e comunque positiva; ciò che si può e si deve

16 "Il posto della scienza", pagg. 40-41 17 Pag. 3 di "E ora?".

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discutere è invece la sua utilizzazione.

Certamente i finanziamenti condizionano e indirizzano non tanto la teoria quanto le ricerche e, soprattutto, la tecnica, la quale è altra cosa, è puramente strumentale, non è un fine, ed è nata molto tempo prima della scienza. "Solo quando la tecnica è messa al servizio della continua richiesta e della continua offerta può diventare un pericolo"18 come succede quando si inducono falsi bisogni.

Altro requisito fondamentale della scienza è la trasmissibilità; essa comunica, in modo chiaro, sintetico, non ambiguo e soprattutto coerente e non contraddittorio, i propri risultati, per permettere a chiunque, compresi i non iniziati, di rifare e controllare gli esperimenti in oggetto. È dunque importante il linguaggio, che non deve essere poetico o evocativo, come invece avviene in certe terapie psicoanalitiche, ma deve seguire le regole del discorso e dell'argomentazione enucleate a partire da Aristotele19. Tutto deve poter essere sinteticamente riassumibile e comprensibile per chiunque e i termini usati devono essere altrettanto chiaramente definiti. Occorre infatti che ci sia una comunicazione efficiente tra la scienza e la gente, mentre purtroppo ci sono attualmente mediatori poco attendibili che hanno provocato il discredito della scienza e della razionalità. Boncinelli è infatti un sostenitore dell'importanza della divulgazione, di cui attualmente è uno dei rappresentanti più attivi e conosciuti.

Una maggior chiarezza sarebbe auspicabile anche nel linguaggio quotidiano, dove spesso usiamo termini che hanno un significato diverso per i diversi interlocutori. In parte tali differenze sono ineliminabili e inevitabili, perché fanno capo alla nostra coscienza fenomenica, che è insondabile e incomunicabile; ma molto si può fare, volendo, per diminuire la litigiosità e le incomprensioni. Purtroppo i filosofi amano invece la polisemia e vi sono molti cultori dell'ambiguità e personaggi che prosperano proprio grazie alle continue variazioni di significato di uno stesso termine.

Popper sostiene che una teoria non contraddittoria è scientifica quando è falsificabile e dunque

nessuna teoria può essere mai completamente verificata. Ma il lavoro degli scienziati se da una parte consiste nel prendere in esame tutte le possibili obiezioni - come abbiamo visto che fece meticolosamente Darwin per vent'anni prima di pubblicare la propria teoria - si alimenta anche di tutte le possibili conferme, perché lo scienziato non è un masochista! La teoria di Popper viene però talvolta strumentalizzata per sostenere la falsificabilità della scienza, sull'onda del discredito della razionalità che oggi è di moda, mentre l'intenzione del suo autore era proprio di salvaguardare la scienza, delimitandone il campo e distinguendola da ciò che non è scientifico20.

In tempi recenti la scienza è caduta in disgrazia perché viene accusata di non pervenire a conoscenze certe e di portare ad applicazioni tecnologiche che ci mettono a repentaglio; ciò ha provocato una fuga di massa e un rifugiarsi in visioni mistiche o magiche.

Per quanto siano belli e fantasiosi i racconti mitici, non raggiungono mai il potere rappresentativo della scienza, basti pensare al genoma o all'evoluzionismo, il quale ultimo con solo due principi-chiave, di mutazione e di selezione, riesce a spiegare tutto il vivente21.

Eppure la gente teme la scienza, perché questa è imprevedibile e ci può portare verso l'ignoto; teme in particolare la biologia, perché questa si avvicina alle nostre grandi speranze (evidentemente individuali, di salute e di eternità) e quindi alle nostre grandi paure (la sofferenza, la morte). Inoltre le esagerate aspettative di molti giornalisti e filosofi, che l'hanno presentata come se fosse la panacea di tutti i mali, hanno provocato altrettanto grandi delusioni. Ma attenzione, perché se abbandonassimo scienza e razionalità potremmo non ritrovarle più!

18 "E ora?", pag. 112.

19 Pag. 129 di "Pensare l'invisibile". 20 Pag. 60 di "Il posto della scienza".

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Purtroppo, al grandioso progresso tecnico non corrisponde affatto un adeguato progresso spirituale. Bisognerebbe intensificare collettivamente l'educazione ed escogitare un sistema per far avanzare il livello morale22. Infatti, "se sul piano cognitivo siamo disposti ad avere un atteggiamento aperto, rendendoci conto per esempio del fatto che abbiamo ancora molto da imparare, è sul piano emotivo – che non è cumulativo e progressivo, ma istantaneo e costituzionalmente privo di memoria – che si presentano i maggiori problemi. [...] La priorità e

l'imprescindibilità delle sensazioni emotive fanno poi sì che anche le facoltà razionali finiscano per mettersi al loro servizio, trovando dei motivi razionalmente ammissibili per giustificare lo stato d'animo prevalente e fornendo all'occorrenza "spiegazioni" ad hoc sull'origine di tale stato di cose."23

QUANTIFICARE E MATEMATIZZARE

La matematica per Boncinelli non è scienza sperimentale, anche se gioca un ruolo importantissimo nelle varie scienze empiriche, di cui accelera il progresso; ma tale ruolo strumentale non è secondo lui insostituibile, perché tale velocizzazione non è indispensabile. È infatti vero ad esempio che il calcolo tensoriale ha permesso ad Einstein di formulare la teoria della relatività generale, ma questa avrebbe potuto benissimo essere formulata in altro modo. Allo stesso modo l'elettromagnetismo si basa sulle equazioni di Maxwell, ma può farne anche a meno24. A Bottazzini che ne "La serva padrona" osserva che solo il calcolo differenziale permise a Einstein di scrivere equazioni invarianti, Boncinelli replica che l'invarianza nasce più dalla fisica che dalla matematica, perché poggia sul concetto di simmetria, che ha una natura logica e probabilmente un'origine genetica - innata - in quanto si basa sui meccanismi di riconoscimento biologico degli esseri viventi.

La stessa legge di gravità ad esempio può essere anche descritta solo a parole, per concetti, perché semplicemente quantifica; non è necessario che venga matematizzata. Quantificare è necessario, matematizzare no. La matematizzazione non è dunque un requisito indispensabile per una disciplina che pretenda di essere scientifica; essa può esserci, ma non necessariamente. Questa distinzione risulta più evidente in scienze diverse dalla fisica, per esempio nella psicologia

sperimentale, in cui prendere i tempi con cui un soggetto riconosce qualcosa non significa di certo matematizzare. La matematizzazione per certe scienze può essere "accessoria come un

soprammobile" o perfino inutile.

Ciò che invece è necessario perché una scienza possa dirsi tale, e che ha segnato l'inizio della scienza moderna, è la quantificazione, cioè un ragionamento quantitativo e per simmetrie, che si applica una volta individuati i giusti parametri e classificato i fenomeni, una volta trovate le giuste relazioni e gli strumenti di misura adeguati. In alcune cosiddette scienze la matematica non

funziona perché è la teoria che fa acqua, perché non sono stati individuati i parametri giusti, ed è come se per studiare la caduta dei gravi si misurasse la temperatura!

Senza la teoria non ha senso la matematizzazione e la stessa biologia per esempio non è ancora in grado di enucleare i propri meccanismi di fondo25, a meno che qualcuno non inventi una nuova matematica, capace di applicarsi con successo alla biologia26, scoprendo una logica che ancora non conosciamo e che regna nel DNA.

Soprattutto ne "La serva padrona" affronta quest'argomento in contrasto con Bottazzini e -

22 "Il male", pag. 226. 23 "Il male", pag. 69.

24 "La serva padrona", pag. 163. 25 "La serva padrona", pag. 205. 26 "La serva padrona, pag. 208.

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rifacendosi a Frege - definisce la matematica come una parte della logica, cioè come scienza della deduzione, come sistema ipotetico-deduttivo che partendo da nozioni primitive o assiomi può applicarsi ma non necessariamente ai dati sperimentali producendo conclusioni vere da premesse vere. Le proprietà matematiche sono contenute nella loro definizione non però come le travi nella casa, ma "come la pianta nel seme". Tirarle fuori può essere arduo e faticoso e comporta

evidentemente il passaggio dalla potenza all'atto. Ciò che la distingue dalla logica è l'avere

oggetti propri, ideali - che sono i numeri - che la rendono meno formale della logica. Teoremi ed affermazioni sarebbero delle invenzioni umane di cui successivamente si scoprono e si analizzano alcune proprietà.

A me sembra che il rapporto tra quantificazione e matematizzazione corrisponda grosso modo a quello tra matematica ingenua o primitiva, che ha una base genetica innata, e matematica come prodotto culturale. Volendo, la prima corrisponde anche alla razionalità elementare, automatica ed emotiva del “sistema 1”, mentre la

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