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Capitolo terzo IL PRINCIPIO DELLA PREVALENZA DELLA SOSTANZA SULLA FORMA: IL LEASING (IAS 17)

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Capitolo terzo

IL PRINCIPIO DELLA PREVALENZA

DELLA SOSTANZA SULLA FORMA:

IL LEASING (IAS 17)

3.1. Cenni introduttivi sul leasing

Nei capitoli precedenti è stato evidenziato come il Codice civile e il modello internazionale inseriscano il principio di prevalenza della sostanza sulla forma tra i principi di redazione del bilancio.

L’art. 2423-bis, comma 1, c.c. prevede, in particolare che «la valutatone

delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato». La dottrina ha sottolineato,

peraltro, come questa norma sembra fare riferimento alla fase di rappresentazione degli elementi patrimoniali attivi e passivi che si sono “considerati” ai fini del bilancio, piuttosto che alla fase (a monte) di registrazione e interpretazione delle operazioni di gestione1. Infatti, possono esservi elementi da non considerare ai fini del bilancio, ma che possono svolgere una precisa funzione economica nel sistema aziendale. L’art. 2423-bis sembra affermare, quindi, il postulato della funzione, che si colloca a valle rispetto al postulato della prevalenza.

Una delle dimostrazioni di questa non-coincidenza è, secondo la dottrina, il trattamento patrimoniale di un bene preso in leasing finanziario. Se infatti operasse il postulato della prevalenza, il conduttore dovrebbe contabilizzare l’operazione come un acquisto rateizzato (leasing capitalization). Solo successivamente entrerebbe in gioco il principio della funzione economica, in base al quale quel soggetto (programmando di utilizzare in modo durevole

1 GAUDENZIO ALBERTINAZZI, Sostanza e forma nel bilancio di esercizio, Milano, Giuffré,

2002; ROBERTO MAGLIO, Il principio contabile della prevalenza della sostanza sulla forma, Cedam, Padova, 1998.

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l’asset) dovrebbe iscrivere il bene considerato tra le immobilizzazioni da ammortizzare nel tempo.

Il principio della prevalenza è implicito in alcune norme del codice, come ad esempio nel caso delle operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, tra cui rientrano le operazioni “pronti contro termine” su strumenti finanziari. Infatti, l’art. 2424-bis, comma 5, c.c. prevede che le attività oggetto di contratti di compravendita con retrocessione obbligatoria a termine devono essere iscritte nello stato patrimoniale del venditore. Esse devono essere intese, infatti, nella loro sostanza, non come operazioni di doppia vendita, bensì di finanziamento2.

Il principio della prevalenza, come si è detto, trova applicazione, in particolare, con riferimento al contratto di leasing.

Il leasing è una fonte di finanziamento e costituisce un’alternativa ad altre forme di indebitamento per acquistare, di solito, immobilizzazioni materiali. La sua diffusione risale ai primi anni ‘70, quando vi sono, da un lato, le prime pronunce giurisprudenziali in materia che attestano la sua liceità e, dall’altro, viene introdotta l’Iva, mettendo fine ad un regime fiscale sfavorevole che consisteva in una doppia tassazione causata dall’Ige. Inoltre, in quegli anni la crescita è stata agevolata anche dal fatto che il credito bancario si svolgeva in un contesto ambientale protetto, quale conseguenza degli indirizzi della politica monetaria e degli indirizzi degli organi di vigilanza3.

Questa crescita si rileva senza soluzione di continuità per tutti gli anni ‘80 per subire un brusco arresto nei primi anni ‘90, a causa, in primo luogo, di una fase di recessione attraversata dall’economia italiana, durante la quale anche le alternative di finanziamento a favore delle imprese aumentano e, in secondo luogo, del fatto che, verso la fine degli anni ‘80, la legislazione fiscale ha iniziato a porre alcuni limiti alla piena deducibilità dei canoni di leasing4.

2 Lo scopo perseguito dai contraenti non è quello della cessione del bene a titolo definitivo, ma

quello del finanziamento a breve termine garantito dal trasferimento temporaneo di una certa attività facilmente convertibile in denaro.

3 VALERIO DE GIOIA, Il contratto di leasing. Approfondimenti giuridici, fiscali e contabili con

schemi operativi e formulario, Milano, Giuffrè, 2004, p. 6.

4 ALESSANDRO CARRETTA, GIACOMO DE LAURENTIS (a cura di), Manuale del leasing,

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Successivamente, l’andamento del leasing è migliorato progressivamente mostrando una tendenza di crescita costante. Attualmente sul mercato del leasing si stanno sviluppando nuove tendenze: innanzitutto si assiste ad un forte incremento dell’utilizzo del Sale and lease-back, grazie al superamento di tutte le problematiche di natura giuridica e fiscale che ne bloccavano lo sviluppo. Inoltre, si sta diffondendo sempre più la “locazione operativa”, che non prevede l’opzione di riscatto a fine contratto e presenta un elevato contenuto di servizi, come manutenzione e controlli periodici sul bene5.

Il successo di mercato del leasing è dovuto in particolare alla flessibilità di questo strumento e alla sua capacità di continuo adattamento al contesto finanziario e alla normativa civilistica e fiscale dei diversi paesi. La diffusione del leasing, da un lato, ha permesso alle imprese di avere a disposizione un nuovo strumento da utilizzare per reperire i mezzi finanziari necessari allo sviluppo della loro attività produttiva, dall’altro ha dato la possibilità a gruppi industriali e a operatori non bancari di eseguire operazioni di credito di tipo parabancario, e al sistema delle banche ordinarie di dare credito finalizzato.

In termini generali, il contratto di leasing è un contratto (atipico) in forza del quale un soggetto (di solito una società di leasing) concede in uso un bene, mobile o immobile, a un altro soggetto (definito utilizzatore), il quale si impegna a corrispondere dei canoni periodici (composti da una quota diretta a rimborsare il capitale investito e da una quota di interessi). Al termine del contratto all’utilizzatore è concessa la facoltà di riscattare il bene oggetto del contratto, alle condizioni inizialmente pattuite. In alternativa, l’utilizzatore può restituire il bene oppure stipulare un nuovo contratto di leasing sullo stesso bene a nuove condizioni.

L’unica norma che in Italia ha fornito una definizione del leasing è la legge n. 183 del 1976. Essa dispone, all’art. 17, comma 2, che «per operazioni di

locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del

5 MICHELE PIZZO, Leasing: recognition e rappresentazione in bilancio: profili evolutivi,

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conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest'ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito».

I contratti di leasing possono essere classificati in base a elementi diversi. In relazione al tipo di bene, è possibile distinguere a seconda che l’oggetto del contratto siano beni strumentali (beni mobili o beni immateriali), beni immobili o azioni. Con riferimento al soggetto concedente, si possono avere contratti in cui è direttamente il produttore a concedere in leasing il bene prodotto oppure vi è l’intervento di una società di leasing. In ordine alla natura del contratto, come si vedrà meglio in seguito, si distingue tra leasing operativo (equiparabile al noleggio) e leasing finanziario. Infine, una quarta distinzione riguarda il metodo di ammortamento finanziario, a seconda che per il calcolo del piano di ammortamento siano previsti canoni anticipati o posticipati, con calcolo degli interessi anticipati (metodo di ammortamento “tedesco”) o posticipati (metodo di ammortamento “francese”)6

.

Considerando il bene oggetto del contratto, il leasing può essere suddiviso in leasing mobiliare (che riguarda i beni strumentali) e leasing immobiliare. Il

leasing azionario, in particolare, ha per oggetto azioni o altri titoli rappresentativi

del capitale di un ente collettivo e rappresenta sostanzialmente un’operazione di finanziamento. Questo contratto può assumere le caratteristiche di un lease-back se i titoli siano trasferiti a una società di leasing e da questa concessi in leasing alla stessa società emittente, oppure può configurarsi come un normale contratto di leasing finanziario se il contratto di leasing viene stipulato tra una società di leasing e un soggetto diverso dall’emittente (per esempio i suoi soci)7.

Il leasing immobiliare, invece, riguarda beni immobili, già costruiti o anche da costruire8. La principale peculiarità del leasing immobiliare è quella

6 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, Assago, Ipsoa, 2007, p. 12.

7 Questa operazione consente l’ingresso di nuovi capitali, dilazionando l’esborso da parte dei

soci e consentendo di mantenere inalterata la compagine sociale (la società di leasing, infatti, rimane socia solo fino a quando sarà esercitata l’opzione del riscatto).

8 GIANFRANCESCO FIDONE, Dalla locazione finanziaria al contratto di disponibilità:

l’evoluzione del contratto di leasing immobiliare pubblico, in Il Foro amministrativo - TAR, 2012, 3, pp.

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relativa al riscatto. Vista la lenta obsolescenza del bene e la rivalutazione che ha nel tempo, il valore del bene al momento dell’esercizio del riscatto è di solito elevato, diversamente da quanto accade nel leasing mobiliare.

3.2. Il leasing operativo e il leasing finanziario nei principi contabili

internazionali: il principio di prevalenza della sostanza sulla forma

Come si è ricordato, in base alla natura del contratto, il leasing può essere definito operativo o finanziario9.

Per comprendere l’evoluzione di questa distinzione, è utile ricordare che il Fas 13 statunitense, intitolato Accounting for Leases, è stato approvato dal FASB, intervenuto nel novembre del 1976 per risolvere alcune incertezze operative diffuse nella prassi10. Il documento inizia affrontando la nozione di leasing: «for purposes of this Statement, a lease is defined as an agreement

conveying the right to use property, plant, or equipment (land and/or depreciable assets) usually for a stated period of time» (par. 1). L’operazione è, quindi, un

accordo che trasferisce (di solito, per un dato intervallo temporale) il diritto all’uso di immobili, impianti, macchinari, terreni e beni ammortizzabili. Si tratta di una definizione che, con riferimento al diritto italiano, è riconducibile alla locazione. Secondo l’art. 1571 c.c., infatti, è «il contratto col quale una parte si

obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo». In realtà il Fas 13 introduce una distinzione

che chiarisce i modelli di leasing a disposizione dell’utilizzatore. Secondo la lett. a del par. 6, infatti, l’operazione è distinguibile in due differenti categorie: da un lato i capital leases, dall’altro gli operating leases.

9 ALESSANDRO CARRETTA, GIACOMO DE LAURENTIS Manuale del leasing, cit., pp.117

ss.

10

«Despite the attention that the accounting profession has given to the matter of accounting for leases, inconsistencies remain in lease accounting practices, and differences of opinion as to what should be done about them remain. In recognition of that fact, the FASB placed on its initial agenda a project on Accounting for Leases» (FAS 13, par. 54). Esso rappresenta tuttora il principio contabile di riferimento per le imprese statunitensi.

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Anche lo Iasc ha iniziato a discutere della rappresentazione del leasing nel bilancio d’esercizio nella seconda metà degli anni ‘70. Il dibattito ha portato all’approvazione, nell’ottobre del 1980, dell’Exposure Draft 19 intitolato

Accounting for Leases11. Il documento ha adottato la visione statunitense del

problema e il purchase model delineato dal Fas 13.

Nel settembre del 1982 lo Iasc ha approvato lo Ias 17, intitolato

Accounting for Leases. Lo standard è stato poi sostituito, nel dicembre 1997,

dallo Ias17 - Leases e, quindi, sottoposto a revisione nel dicembre 200312.

Lo Ias 17 intende definire, per i locatari ed i locatori, il trattamento contabile appropriato e l’informazione integrativa relativamente ai contratti di

leasing finanziari ed operativi. In generale, questo Principio si applica ai contratti

che trasferiscono il diritto di utilizzazione di beni, anche se al locatore possono essere richiesti rilevanti servizi in relazione all’utilizzo o alla manutenzione di tali beni13.

Lo Ias 17 definisce il leasing come «un contratto per mezzo del quale il

locatore trasferisce al locatario, in cambio di un pagamento o di una serie di pagamenti, il diritto all’utilizzo di un bene per un periodo di tempo stabilito». Da

questa definizione emergono i tre elementi distintivi ed essenziali dell’operazione:

a) «il diritto all’utilizzo di un bene»: si tratta del potere materiale sulla cosa (a prescindere, quindi, dalla sua titolarità formale);

b) «un pagamento o di una serie di pagamenti»: questo è la controprestazione per utilizzare il bene e consiste in uno o più trasferimenti di risorse finanziarie dalla cui modulazione dipende il profilo finanziario dell’operazione;

11 ALBERTO QUAGLI, I principi contabili di derivazione professionale nella revisione del

bilancio dì esercizio, Bologna, Clueb, 1999, p. 75 ss.

12 Con ulteriori piccole modifiche apportate nel 2007, 2009 e 2010.

13 Il principio contabile non si applica: • in generale, ai contratti per servizi che non trasferiscono

il diritto all’utilizzo dei beni da una parte contraente all’altra; • ai contratti di leasing (locazione) per l’esplorazione o per l’estrazione di minerali, petrolio, gas naturali e risorse non rigenerative simili; • ai contratti di concessione di licenza per beni quali film, registrazioni video, spettacoli, manoscritti, brevetti e copyright; • con riferimento ai locatari di investimenti immobiliari posseduti tramite leasing finanziari (IAS n. 40); • con riferimento ai locatori di investimenti immobiliari locati tramite leasing operativi (IAS n. 40); • con riferimento ai locatari di attività biologiche possedute tramite leasing finanziari (IAS n. 41); • con riferimento ai locatori di attività biologiche locate tramite leasing operativi (IAS n. 41).

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c) «per un periodo di tempo stabilito»: il contratto non può avere durata illimitata, ma deve essere valutata in relazione alla vita utile residua del bene il cui uso viene ceduto14.

Lo standard internazionale dedica i parr. 7-19 alla tassonomia del leasing. Quest’ultimo è distinto, in linea con il purchase model, in finance lease (leasing finanziario) e operating lease (leasing operativo). Il par. 4 definisce quest’ultimo in via residuale come «un leasing differente dal leasing finanziario». Più in particolare, il leasing operativo consiste in una «locazione di beni strumentali per

un periodo di tempo breve, solitamente accompagnata da manutenzione e assistenza tecnica»15. Questo contratto viene effettuato direttamente dal produttore o dal fornitore del bene e in genere non prevede un’opzione di riscatto. Il locatario infatti «ha come finalità non tanto quella di acquisire la

proprietà del bene, quanto quella di utilizzare un bene a rapida obsolescenza tecnica per un determinato periodo di tempo, senza addossarsi i rischi tipici della proprietà, assicurandosi invece la possibilità di sostituirlo con uno nuovo al termine del contratto»16.

Il par. 4 dello Ias 17 definisce il leasing finanziario come «un leasing che

trasferisce di fatto tutti i rischi e i benefici derivanti dalla proprietà del bene. Al termine del contratto la titolarità può essere trasferita o no». In sostanza, come

si vedrà meglio in seguito, è necessario verificare se, indipendentemente dalla veste giuridica adottata, l’utilizzatore del bene è in una posizione sostanzialmente assimilabile a quella del proprietario.

L’utilizzatore deve godere dei benefici del bene, cioè deve potersi appropriare della ricchezza che esso può generare durante tutta la sua vita utile residua (attraverso il suo impiego nel processo produttivo e il realizzo del suo valore in sede di dismissione). Il concetto è ribadito dal par. 8 dello Ias 17, secondo cui «un leasing è classificato come finanziario se trasferisce,

sostanzialmente, tutti i rischi e i benefici connessi alla proprietà». L’utilizzatore,

14

GIANLUCA DE CANDIA, Il leasing di azienda: un’opportunità per la continuità

dell’impresa, in Rivista delle operazioni straordinarie, 2011, 4, p. 55.

15 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 65.

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però, deve sopportare dei rischi relativi all’asset acquisito: la senescenza, l’obsolescenza, le riduzioni di capacità produttiva relative a danni, guasti e cambiamenti nello scenario economico17.

Il par. 10 dello Ias 17, per evitare incertezze, delinea un sistema di presunzioni a cui il redattore deve fare riferimento per il corretto inquadramento del leasing. Quest’ultimo è necessariamente finanziario, salvo si dimostri il contrario, se si verifica almeno una delle seguenti fattispecie:

«a) il leasing trasferisce la proprietà del bene al locatario al termine del

contratto di leasing;

b) il locatario ha l’opzione di acquisto del bene a un prezzo che ci si attende sia sufficientemente inferiore al valore corrente alla data alla quale si può esercitare l’opzione cosicché, all’inizio del leasing, è ragionevolmente certo che essa sarà esercitata;

c) la durata del leasing copre la maggior parte della vita economica del bene anche se la proprietà non è trasferita;

d) nel momento iniziale del leasing il valore attuale dei pagamenti minimi dovuti per il leasing equivale almeno al valore corrente del bene locato;

e) i beni locati sono di natura così particolare che solo il locatario può utilizzarli senza dover apportare loro importanti modifiche».

Il secondo punto, in particolare, è definito dal diritto anglosassone bargain

purchase option18. Nella maggior parte dei casi è prevista, infatti, l’opzione di riscatto19. In queste ipotesi (a meno che la durata del contratto sia pari alla vita utile residua del bene) il leasing finanziario può essere facilmente riconosciuto confrontando il prezzo previsto per l’acquisto del bene con la stima, riferita al momento del passaggio della titolarità, del suo fair value. Se il primo risulta molto inferiore al secondo o irrisorio (come accade spesso) il trasferimento della

17 ALESSANDRO CARRETTA, GIACOMO DE LAURENTIS Manuale del leasing, cit.,

pp.119.

18 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 65.

19 Si vedrà successivamente come si tratti, nell’ordinamento italiano, di un carattere essenziale

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proprietà è un semplice proforma: il leasing è quindi finanziario e deve essere contabilizzato seguendo la sua effettiva natura di compravendita20.

In questo caso, come controprova, i canoni sostenuti dall’utilizzatore sono molto più alti di quelli tipici della mera locazione. Essi comprendono infatti anche il godimento successivo alla scadenza naturale del contratto21. Il locatario sostiene quindi, prima del versamento del prezzo di riscatto, una buona parte del costo riconducibile alla disponibilità del bene dopo il termine del leasing.

Alle cinque fattispecie ricordate in precedenza si aggiungono alcune situazioni che prese singolarmente o congiuntamente portano a definire il leasing come finanziario:

«a) se il locatario può risolvere il leasing, le perdite del locatore relative alla

risoluzione sono sostenute dal locatario;

b) utili o perdite derivanti dalla fluttuazione del valore corrente del residuo ricadono sul locatario (per esempio sotto forma di restituzione di canoni equivalente alla maggior parte dei ricavi di vendita al termine del leasing); e c) il locatario ha la possibilità di continuare il leasing per un ulteriore periodo a un canone sostanzialmente inferiore a quello di mercato».

In tutti questi casi si tratta di particolari pattuizioni negoziali che, anche se non determinano in modo automatico la qualificazione del leasing come finanziario22, impongono al redattore di approfondire la sua natura. Le prime due ipotesi, infatti, sono indizi dell’attribuzione di rischi e benefici tipici della proprietà in capo all’utilizzatore del bene. La terza ipotesi, invece, è a metà strada tra il prezzo di riscatto irrisorio e il godimento per la maggior parte della vita economica del bene, indicati dal par. 10 dello Ias 17. Quest’ultimo ribadisce

20 GIANLUCA DE CANDIA, Il leasing di azienda, cit., p. 57.

21 I canoni di locazione possono essere ricondotti a tre differenti componenti: il ristoro per il

consumo del bene (che comprende gli oneri accessori come, ad esempio, le spese di gestione, quelle di manutenzioni straordinaria e le imposte); gli interessi sul capitale immobilizzato dal proprietario per finanziare l’acquisto del bene; un margine di profitto. Nel caso di leasing finanziario, invece, in luogo del consumo del bene si ha il costo sostenuto dal suo proprietario poiché il fattore produttivo, nella sostanza, è ceduto al locatario per tutta la sua vita utile residua a prescindere dalla sua formale intestazione. Cfr. ROBERTO RUOZI, Il leasing, Milano, Giuffrè, 1997, p. 14.

22 FRANCESCO CULASSO, Classificazione delle operazioni di leasing, in FLAVIO DEZZANI

(a cura di),-PIAS/IFRS, Assago, Ipsoa, 2012, p. 497, secondo cui «vi sono poi altri tre criteri che hanno natura meno “prescrittiva”, ma la cui presenza (di almeno uno di essi) potrebbe far pensare ad un leasing finanziario, salvo prova contraria (par. 11)».

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che «la classificazione di un leasing come finanziario od operativo dipende dalla

sostanza dell’operazione piuttosto che dalla forma del contratto».

La complessità di questa valutazione ha portato all’emanazione di due documenti interpretativi: il Sic 27, introdotto dallo Standing Interpretations Committee nel febbraio del 2000, dal titolo Evaluating the Substance of

Transactions Involving the Legal Form of a Lease, e l’Ifric 4, approvato dall’Ifrs

Interpretations Committee nel dicembre del 2004 e intitolato Determining

whether an Arrangement contains a Lease.

Dall’esame dei criteri forniti dallo Ias 17 emerge l’importanza data dai principi contabili internazionali alla valutazione dell’effettiva sostanza del contratto e in particolare la valorizzazione della proprietà economica rispetto a quella formale. Gli Ias presentano, peraltro, un diverso orientamento rispetto ai Fas statunitensi, in quanto i principi americani dettano criteri “precisi e quantificati” per la definizione del leasing finanziario, diretti a fornire elementi di certezza agli operatori. Infatti, la presenza di uno solo di essi è condizione necessaria e sufficiente per arrivare a questa classificazione. Gli Ias, invece, presentano un approccio più flessibile.

Più in particolare, il Fas 13 statunitense individua quattro criteri per qualificare la sostanza del leasing finanziario, precisando che deve essere soddisfatto almeno uno di essi:

a) il trasferimento della proprietà al locatario al termine del contratto; b) l’eventualità che il leasing contenga un’opzione d’acquisto;

c) la durata del leasing uguale o maggiore del 75% della durata economica del bene23.

d) il valore attuale dei canoni di leasing (depurati dei costi di mantenimento assicurazione, imposte e costi di gestione finanziaria sostenuti dal locatore) pari almeno al 90% del valore dei beni24.

23 Secondo il FAS 13 par. 5 g), per vita economica deve intendersi «il presumibile restante

periodo di tempo in cui il bene potrà essere utilizzato, con normali interventi di riparazione e manutenzione, per lo scopo per il quale viene stipulato il contratto». Tuttavia, «se l’inizio della durata del leasing cade entro l’ultimo 25% della vita economica totale del bene, inclusi i primi anni di utilizzo, questo criterio non viene utilizzato per classificare il leasing»: cfr. MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili, fiscali e gestionali, cit., p. 73.

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Per quel che riguarda il locatore, invece, i principi contabili statunitensi aggiungono due ulteriori criteri diretti a stabilire se un leasing sia da considerare finanziario: se l’esigibilità dei canoni di leasing è ragionevolmente stimabile e se non vi sono incertezze nella stima dei costi non rimborsabili dal locatario in virtù del contratto di leasing.

Come è possibile rilevare, i principi americani prevedono criteri precisi e per la definizione del leasing finanziario e per definire la sostanza della transazione. Lo Sfas 13, come osserva la letteratura, «è la risultanza di un ampio

dibattito statunitense circa le motivazioni che depongono a favore della prevalenza della sostanza sulla forma e che vertono sull’identificazione dei fattori che svuotano, in un contratto di leasing, la proprietà del locatore al punto di rilevare il bene tra gli asset del locatario»25. In particolare, gli elementi individuati dalla dottrina americana per valutare il grado di svuotamento della proprietà sono riconducibili a quattro gruppi:

 il tempo, inteso come la durata minima del contratto e la vita economica del bene;

 l’importo, inteso come i costi dei canoni e il valore del bene;

 i rischi, sia di natura economica, sia di natura giuridica tra le parti ed i terzi (come il rischio di perdita e obsolescenza tecnica a carico del locatario);

 la proprietà, intesa come opzione d’acquisto, prezzo di riscatto, probabilità del trasferimento26.

Il fattore tempo considerato in sé27 determina la registrazione del bene nella contabilità del locatario, secondo lo Sfas 13, se la durata contrattuale è almeno pari al 75% della vita economica residua del bene prevista al momento della conclusione del contratto (a meno che questo non venga concluso nell’ultimo 25% della vita economica). Si tratta di un elemento che, secondo lo Ias 17, non è invece sufficiente. Infatti, spostando l’attenzione dalla vita tecnica

24 Anche in questo caso, se l’inizio della durata del leasing cade entro l’ultimo 25% della vita

economica totale del bene, inclusi i primi anni di utilizzo, questo criterio non viene utilizzato per classificare il leasing.

25 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 74.

26 Ivi, p. 75. 27

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del bene alla sua vita economica, la durata del contratto dovrebbe quasi coincidere con l’intera vita economica del bene, in quanto quest’ultima rappresenta il periodo di tempo presumibile in cui il bene può ancora essere economicamente utilizzato. La dottrina statunitense non prevede una coincidenza tra la durata del contratto e la vita economica del bene in quanto «la vita

economica del bene è frutto di una stima; tuttavia, una lunga durata del contratto, anche se inferiore all’intera vita economica del bene, a cui si aggiungono i rischi di obsolescenza, perdita di valore e di perimento del bene, nonché la responsabilità per danni a terzi, porta ad uno svuotamento della proprietà formale a favore di quella economica. La presenza di tali rischi in capo al locatario insieme al fattore tempo può essere elemento di ausilio per valutare l’effettivo grado di svuotamento della proprietà»28

.

Il fattore tempo può essere considerato insieme ai costi del contratto, visti come somma dei canoni. Se questa somma si avvicina al valore del bene alla data di conclusione del contratto, una durata contrattuale non inferiore alla vita tecnica del bene può essere valutata sufficiente per giustificare l’iscrizione del bene nell’attivo del locatario. Infine, con riferimento al fattore dell’opzione d’acquisto, se alla data di stipula del contratto si è stabilito un prezzo di riscatto conveniente rispetto al valore di mercato del bene alla scadenza, «si configura

un’ipotesi di futuro trasferimento della proprietà»29.

28

MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 75.

29 Ivi, p. 76. I due autori rilevano che «ancora una volta, mentre negli Stati Uniti la sola presenza

dell’opzione d’acquisto è sufficiente ai fini della qualificazione del contratto come leasing finanziario, con conseguente iscrizione del bene nel bilancio del locatario, in Italia vi è il vincolo fiscale che impone, come regola generale, ai fini della deducibilità dei canoni, una durata del contratto non inferiore alla metà del periodo di ammortamento quale risulta dall’applicazione dei coefficienti ministeriali per gli ammortamenti in relazione all’attività esercitata dall’impresa stessa, se il contratto ha per oggetto beni mobili, e comunque con un minimo di otto anni ed un massimo di quindici anni se lo stesso ha per oggetto beni immobili».

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3.3. I criteri della sostanza e della forma nel contesto italiano

Spostando l’attenzione dal contesto internazionale a quello nazionale, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma ha incontrato numerosi ostacoli e difficoltà a venire introdotto nel sistema bilancistico.

Un ruolo rilevante nella definizione del leasing operativo e finanziario ha avuto Ruozi30. Questo autore, ricordando l’origine angloamericana dell’istituto, lo definisce come «il contratto attraverso il quale una azienda cede in affitto ad

un’altra azienda uno o più beni mobili o immobili dietro il pagamento di un determinato prezzo, da versarsi periodicamente. Di solito, sono stati indicati come contratti di leasing tutti quelli che, oltre a questo elemento essenziale, prevedono (durante la vita del contratto e soprattutto alla sua scadenza) la possibilità, da parte dell’affittuario, di riscattare il bene preso in affitto e di divenirne quindi proprietario con la corresponsione di un prezzo prestabilito»31.

Ruozi fa riferimento alla distinzione fra il leasing operativo e il leasing finanziario. Il primo «forma originaria del contratto... può essere assimilato,

nell’ordinamento giuridico italiano, al contratto di noleggio, impropriamente usato per indicare il contratto di locazione di beni mobili». Il principale obiettivo

sarebbe «consentire al locatario la disponibilità di un bene strumentale senza

incorrere nei rischi derivanti dalla proprietà di questo». Il secondo, invece, è

«un’operazione di finanziamento a medio o a lungo termine basata su di un

con-tratto di locazione di beni mobili o immobili. Essa viene concessa da un intermediario finanziario, che interviene fra l’azienda produttrice del bene oggetto del contratto e l’azienda che ne richiede l’uso, acquistando dalla prima il bene stesso e cedendolo in locazione alla seconda, la quale si impegna inderogabilmente a corrispondere all’intermediario finanziario un determinato numero di canoni periodici per un importo globale superiore al costo del bene, la cui proprietà al termine del contratto può essere trasferita a titolo oneroso dall’intermediario finanziario all’azienda locataria»32

.

30 ROBERTO RUOZI, Il leasing, cit., p. 1 ss. 31 Ivi, p. 2.

32

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La nozione delineata da Ruozi è in linea con quella della dottrina anglosassone. La distinzione fra leasing operativo e finanziario evidenzia, però, le prime differenze. Rispetto all’orientamento del Fas 13 (e, successivamente, dello Ias 17), infatti, la qualificazione del leasing finanziario è legata alla presenza di un intermediario finanziario: «mentre quello operativo può essere

concesso da aziende industriali o da aziende finanziarie e di servizi specializzate... il leasing finanziario è concesso da aziende di struttura più semplice. Esse non posseggono infatti né un parco macchine né un servizio manutenzione-riparazioni per i beni da locare. Si tratta, perciò, di vere e proprie aziende finanziarie»33.

Molto rilevante, per comprendere l’orientamento giuridico italiano e la difficoltà di applicare il principio di prevalenza, è anche il contributo di Viganò34. Egli non definisce il leasing, ma affronta il tema delle caratteristiche delle sue diverse operazioni. Nel leasing operativo «il locatore concede in uso, ad

un’azienda richiedente, un determinato bene a fecondità ripetuta, il quale, mentre si adatti alle esigenze dell’azienda locataria sia d’altra parte del tipo di quelli che si suole denominare “standardizzati” nel senso che possono fare il caso di molte altre aziende o utilizzatori privati che svolgano attività similari od anche diverse». Se il bene fosse, invece, «non suscettibile di numerose utilizzazioni alternative presso diverse imprese» ci si trova di fronte a un

contratto di leasing finanziario35.

Queste due nozioni sembrano lontane dall’orientamento anglosassone, anche se è evidente il tentativo di adattare l’istituto al contesto italiano. La standardizzazione viene interpretata in funzione del mantenimento, in capo al locatario, dei rischi della proprietà36. La personalizzazione ha lo scopo, invece, di

33

Ivi, p. 24.

34 ENRICO VIGANÒ, L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci d’impresa, Napoli, Esi,

1969.

35 Ivi, p. 12.

36 Parlando del leasing operativo Viganò sottolinea «che il bene ceduto in affitto non si presta

alle esigenze tecniche di un ristretto numero di utilizzatori o addirittura di uno soltanto. E ovvia conseguenza di quanto esposto che la proprietà del bene in questione rimanga al locatore, al quale spetta pure la cura dell’installazione del bene, della sua manutenzione e revisione e, in genere, del suo buon funzionamento. Non mancano casi nei quali perfino i materiali di normale consumo (siccome combustibili, lubrificanti e parti soggette a normale e frequente sostituzione) vengano forniti e montati o

(15)

109

trasferire i benefìci e i rischi, facendo diventare il locatario, nella sostanza, il vero proprietario del fattore produttivo37. Inoltre Viganò critica il rapporto fra le tipologie di leasing, la loro durata e la vita utile del bene: «la durata effettiva,

anche se non sempre quella nominale, di un contratto di leasing è generalmente - e si potrebbe dire necessariamente - pari alla presunta durata economico-tecnica del bene locato»38.

Anche Viganò, come Ruozi, associa il leasing operativo al coinvolgimento diretto del produttore del bene e quello finanziario alla presenza, invece, di un intermediario39. Si tratta, comunque, di una condizione necessaria ma non sufficiente per qualificare un contratto di leasing come finanziario, dal momento che l’impresa finanziaria può offrire anche contratti di tipo operativo40.

Dal punto di vista legislativo, il riconoscimento dell’istituto (anche se indiretto) è avvenuto nel 1968. L’art. 1 della legge n. 1089 del 1968 ha fatto riferimento, infatti, a una nuova modalità d’investimento in impianti, definita «locazione finanziaria»41. Questo articolo non conteneva una definizione di

inseriti nel bene dallo stesso locatore. A quest’ultimo, infine, come a qualunque proprietario di un bene, competono gli oneri connessi al diritto di proprietà: cedono, infatti, a suo carico i rischi di perdita, danneggiamento e distruzione del bene non dipendenti da incuria del locatario, ovvero gli oneri dell’assicurazione eventualmente stipulata per fronteggiare quei rischi. Alla stessa maniera, anche gli oneri fiscali connessi alla proprietà del bene locato sono pagati dall’azienda beatrice»: ENRICO VIGANÒ, L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci d’impresa, cit., p. 5.

37 «Nel caso del leasing finanziario, tutti gli oneri relativi all’istallazione e al collaudo dei beni

oggetto di locazione, al rischio di perdita o danneggiamento dei beni, alla stipulazione e al pagamento dei premi di contratti di assicurazione (sovente imposti dal locatore), ed infine gli oneri di manutenzione e riparazione ordinaria e straordinaria sono a carico del locatario, cioè dell’azienda che effettivamente sfrutta i servizi di quei beni»: ENRICO VIGANÒ, L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci

d’impresa, cit..p. 14.

38

ENRICO VIGANÒ, L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci d’impresa, cit. p. 15.

39 «Si può ricordare che il leasing finanziario è esercitato direttamente da istituti di credito; da

apposite sezioni speciali, spesso costituite in forma giuridica autonoma, di banche di credito ordinario o di credito a medio e lungo termine; da società finanziarie; da compagnie di assicurazione; da importanti investitori istituzionali; da sezioni speciali o giuridicamente autonome di imprese per il finanziamento delle vendite (per esempio, e soprattutto, delle automobili), cosiddette sales finance companies; da apposite società di leasing, sovente costituite con la partecipazione del capitale di aziende del tipo di quelle ora ricordate. Insomma, la conclusione cui ora si vuole pervenire è che la operazione di leasing ha tutte le caratteristiche di una operazione finanziaria in senso stretto» ENRICO VIGANÒ, L’iscrizione del

leasing nei conti e nei bilanci d’impresa, cit. pp. 21 e 22.

40 «È ora opportuno esaminare brevemente le aziende che praticano il leasing operativo. Esse

possono essere divise in due grandi categorie: 1) aziende produttrici di beni strumentali, le quali locano tali beni direttamente alle aziende che ne fanno richiesta; 2) aziende non produttrici di beni strumentali, che acquistano da terzi i beni da concedere in locazione»: ROBERTO RUOZI, Il leasing, cit., p. 7.

41 «Nel caso di impianti ceduti col sistema della locazione finanziaria, i canoni dovuti per tutto il

periodo di locazione sono equiparati agli investimenti nei confronti del conduttore. Nei confronti del locatore non si tiene conto degli investimenti effettuati nell’esercizio in corso alla data di entrata in vigore

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leasing, anche se ne identificava alcuni caratteri essenziali. Si trattava di una

locazione, cioè di un contratto che permette di godere di un bene. L’operazione era qualificata come finanziaria, dal momento che si fondava sul capitale di terzi. Veniva prevista, inoltre, la possibilità per l’utilizzatore di acquisire la proprietà del fattore produttivo.

L’assenza di una definizione dell’istituto ha portato il Ministero delle Finanze ad emanare la circolare n. 113 del 30 gennaio 1969. In essa si stabiliva che «scopo del contratto è quello di trasferire l'uso di beni strumentali alle

imprese che non intendono o non sono finanziariamente in grado di acquistarli. Il trasferimento avviene, a volte ad opera dello stesso produttore dei beni che si avvale delle negoziazioni in parola come mezzo per collocare la propria produzione; altre volte, invece, interviene una società la quale acquista beni che non sono normalmente disponibili sul mercato in locazione e, compiendo un’operazione che ha natura di finanziamento, ne trasferisce l’uso al conduttore che li utilizza nella propria impresa, obbligandosi al pagamento di canoni. Caratteristica del contratto è la presenza di talune clausole le quali disciplinano l’assunzione degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni ceduti in locazione, i rischi di perdita e di obsolescenza tecnica dei beni e possono contemplare la facoltà per il conduttore - dopo un certo periodo di durata necessaria - di risolvere il contratto stesso restituendo i beni locati, ovvero di continuare la locazione a canoni sensibilmente ridotti o, ancora, di riscattare, verso un corrispettivo, i beni oggetto della locazione. La presenza di tali clausole permette di distinguere le contrattazioni in parola sia dalla locazione, quale è disciplinata dall’art. 1571 c.c., sia dalla vendita a rate»42.

La definizione di locazione finanziaria fornita dal Ministero presenta molti elementi in comune con quella del Fas 13. La principale differenza riguarda la previsione dell’opzione di riscatto, cioè la possibilità «di riunire (in capo al locatario) la titolarità formale e il potere materiale sulla cosa ceduta in

del presente decreto e nei due esercizi successivi in impianti dati in locazione negli esercizi medesimi» (art. 1 della legge n. 1089/1968).

42 FABIO SAPONARO, Problematiche fiscali del leasing finanziario immobiliare, in Quaderno

(17)

111

godimento»43. Questo presupposto non è una condizione essenziale negli ordinamenti di common law, che in questi casi parlano di hire purchase44.

La circolare ministeriale ha individuato però, nella locazione finanziaria, due diverse ipotesi:

a) da un lato, quella in cui era un intermediario finanziario ad acquistare, su indicazione del futuro locatario, il bene da concedere in godimento;

b) dall’altro, quella in cui era direttamente il produttore che, invece di vendere il bene, lo concedeva in leasing al locatario.

Questa suddivisione era giustificata da esigenze di natura tributaria, in quanto solo la prima fattispecie permetteva di accedere ai benefici fiscali, in quanto era una garanzia migliore della novità dell’investimento45. La dottrina

affermava, quindi, che «dalla lettura della circolare 113 si ricava dunque con

sicurezza che si ha locazione finanziaria sia nel caso che a dare in locazione il bene sia l’impresa produttrice, che nel caso in cui sia una società finanziaria che lo abbia acquistato su richiesta del conduttore: tuttavia ai soli fini specifici della detrazione per nuovi investimenti, soltanto la seconda ipotesi rientra tra le locazioni finanziarie cui si applica la disciplina prevista dalla legge 1089»46.

Questa distinzione è stata confermata dalla Assonime47. L’associazione ha emanato la circolare n. 38 del 13 febbraio 1969, la quale è all’origine, secondo una parte della dottrina, di un “equivoco tassonomico” che ha impedito il recepimento anche in Italia del principio di prevalenza. Nel documento le nozioni di leasing finanziario e leasing operativo sono completamente differenti da

43 Ivi, p. 4.

44 VINCENZO BUONOCORE a cura di), Trattato dì diritto commerciale, sez. 2. vol. 4, Torino,

Giappichelli, 2002, p. 166.

45

FABIO SAPONARO, Problematiche fiscali del leasing finanziario immobiliare, cit., p. 53, il quale rileva che «la Circ. min. 30 gennaio 1969. n. 113, nel definire l’ambito di applicazione delle agevolazioni previste dalla L. 25 settembre 1968. n. 1089, considerava sussistente la locazione finanziaria sia nell’ipotesi in cui a dare in locazione il bene fosse direttamente l’impresa produttrice del bene, che nell’ipotesi in cui tra produttore e conduttore si interponesse una società finanziaria, che acquistasse dal primo su richiesta del conduttore. In ogni caso, considerando che la finalità della suddetta legge era quella di stimolare gli investimenti in nuovi cespiti, il beneficio della detrazione per nuovi investimenti... veniva riconosciuta solo al verificarsi della seconda ipotesi: quando cioè l’acquisto del bene di nuova produzione fosse stato effettuato dall’intermediario finanziatore e da questi concesso in locazione finanziaria al conduttore».

46 AUGUSTO FANTOZZI-MASSIMO ALDERIGHI, Il leasing. Profili privatistici e tributari,

Milano, Giuffrè, 1975, p. 108.

47

(18)

112

quelle previste sia nel mondo angloamericano che dai principi contabili internazionali.

Assonime ha ristretto la nozione di locazione finanziaria, allontanandosi dall’orientamento della circolare ministeriale n. 113/1969. Essa ha sostenuto, infatti, la necessità della «figura di un’impresa intermediaria, che acquistasse i

beni dal produttore per darli in locazione alle imprese che li richiedessero».

Questa definizione della locazione finanziaria non è accostabile al lease anglosassone né al capital o finance lease. Nello stesso tempo, il documento di Assonime ha sottolineato la necessità di distinguere l’operazione non in funzione della sua sostanza ma del numero dei soggetti coinvolti48. In questo modo si è andata consolidando l’opinione, confermata dalla prassi49, secondo cui il leasing finanziario sia caratterizzato dall’interazione fra tre soggetti (l’utilizzatore, l’intermediario e il produttore), mentre il leasing operativo ne prevede solo due (l’utilizzatore e il produttore)50.

Questo approccio è stato confermato dalla prima definizione di locazione finanziaria, contenuta nell’art. 17 della legge 2 maggio 1976, n. 183. Secondo questa norma, «per operazioni di locazione finanziaria si intendono le operazioni

di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione,

48

MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 78.

49 Trib. Vigevano, 14 dicembre 1972. in Banca borsa e titoli di credito, 1973, p. 344, secondo

cui «gli aspetti peculiari del contratto di leasing operativo vanno ravvisati sia nella brevità del termine della cessione del godimento ed in conseguenza nell’acquisizione, da parte del conduttore, di una sola porzione dei servizi che può rendere il bene, sia nella mancanza della clausola che prevede la facoltà contrattuale, in via alternativa al rinnovo della locazione, di acquistare la proprietà dei beni strumentali. Il leasing finanziario o a lungo termine, invece, è caratterizzato dalla concessione dell’uso del bene per un lungo periodo, normalmente uguale alla durata di utilizzo economico del bene stesso, con la conseguenza che, corrispondendo l’ammontare complessivo dei canoni di locazione pressoché all’intero valore del bene, è prevista la facoltà del conduttore di acquistarlo, per il valore residuo, alla pattuita scadenza».

50

AUGUSTO FANTOZZI-MASSIMO ALDERIGHI, Il leasing, cit., p. 109, i quali rilevano che «così facendo l’Assonime esclude in pratica dalla locazione finanziaria il contratto di leasing, sia pure a parità di clausole caratterizzanti secondo il Ministero, stipulato da un’impresa produttrice. Quest’ultima ipotesi rientra infatti per l’Assonime nel leasing operativo come si desume “sia dalle considerazioni relative alla ratio della norma, che risultano poste in evidenza dall’ampia motivazione della circolare ministeriale, sia dalla testuale qualificazione di locazione finanziaria recata dalla norma stessa”. È importante sottolineare che mentre per il Ministero anche il leasing finanziario operato dal produttore è tale ma non si inserisce per particolari ragioni nella previsione normativa (la detrazione per nuovi investimenti), per l’Assonime tale tipo di leasing non rientra più nel concetto di locazione finanziaria che si caratterizza dunque subiettivamente per la qualità di società finanziaria dell’impresa che la esercita»

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dietro versamento di un prezzo prestabilito». Anche se l’art. 17 fa un riferimento

al concetto di “rischi”, l’elemento centrale della definizione è costituito dall'assenza di un intermediario fra chi ha prodotto il bene (o chi è incaricato di produrlo) e l’utilizzatore.

In questo modo, dal punto di vista del criterio di prevalenza, la nozione di locazione finanziaria ha assunto un significato diverso da quella angloamericana. Il legislatore italiano ha adottato, oltretutto, un approccio diverso sia da quello della Convenzione di Ottawa del 26 maggio 1988 (recepita in Italia con la legge n. 259 del 1993)51, sia da quello della Cassazione.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato, infatti, che «il leasing

operativo si distingue dal leasing finanziario, in quanto nel primo è lo stesso produttore che concede in locazione il bene all’utilizzatore, mentre nel secondo la società concedente acquista il bene da terzi al fine di darlo in locazione all’utilizzatore»52. Successivamente la stessa Cassazione53 ha stabilito l’atipicità

del contratto di leasing, distinguendo in seguito tra leasing di godimento e

leasing traslativo54. Secondo la sentenza della Cassazione del 1986, il leasing finanziario viene definito come un contratto atipico «avente per oggetto la

disponibilità di un bene per un periodo di tempo determinato, dietro il

51 Secondo l’art. 1 comma 2, della Convenzione per leasing finanziario si intende

«un’operazione che presenta le seguenti caratteristiche: a) l’utilizzatore sceglie il bene ed il relativo fornitore senza fare primario affidamento sulla capacità di giudizio del concedente; b) il bene è acquistato dal concedente in collegamento con un contratto di leasing, stipulato o da stipulare tra concedente ed utilizzatore e di cui il fornitore è a conoscenza; c) i canoni fissati nel contratto di leasing sono calcolati tenendo conto in particolare dell’ammortamento di tutto o di una parte sostanziale del costo dei bene». Si tratta di un nozione molto diversa da quella di capital o financial lease contenute nel Fas 13 e nello IAS 17.

52 Cass., 28 ottobre 1983, n. 6390, in Foro it., 1983, I, c. 1442. Secondo il Tribunale di Milano il

leasing operativo è caratterizzato da un rapporto bilaterale e non trilaterale, mancando la figura del finanziatore concedente distinto dal fornitore (sentenza del 19 maggio 1980, in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 561).

53 Cass., sentenza n. 3023 del 6 maggio 1986.

54 Cass., 13 dicembre 1989, n. 5572, in Foro it., 1990, I, c. 122. Nel leasing di godimento o

«l’utilizzazione della res da parte del concessionario, dietro versamento dei canoni all’uopo previsti, si inquadra, secondo la volontà delle parti, in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso, onde i canoni costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento». Nel leasing traslativo, invece, «le parti al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all’uso programmato ed alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicché il trasferimento del bene all’utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un’eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto».

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corrispettivo di un canone periodico fissato in relazione al recupero del prezzo del bene ed al conseguimento di un utile adeguato e tendente ad esaurire le proprie finalità produttive e finanziarie nell’ambito di quel periodo di tempo la cui scadenza è caratterizzata dal quasi venir meno dell’utilità economica della cosa utilizzata».

A metà degli anni ‘90, vi è stata una presa di posizione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri. Con il documento n. 17 sul Bilancio consolidato del 1996, essi affrontano per la prima volta la nozione di leasing derivandola dallo Ias 17. Secondo il par. 9.8 del documento, «per locazione finanziaria (leasing) si intende un contratto con cui

un concedente mette a disposizione di un utilizzatore un bene a quest’ultimo strumentale, per un tempo determinato e contro un corrispettivo periodico (canone). Il bene dato in locazione finanziaria può essere stato acquistato o realizzato dal concedente su scelta o indicazione dell’utilizzatore, ovvero potrebbe essere stato originariamente di proprietà di quest’ultimo. L’utilizzatore può assumere i rischi di conduzione del bene e ha la facoltà, al termine del periodo di locazione, di acquisirne la proprietà dietro versamento di un corrispettivo (riscatto) prestabilito».

La rilevazione nel bilancio consolidato richiedeva, inoltre, la distinzione della «generica nozione di leasing nelle fattispecie comunemente definite leasing

operativo e leasing finanziario. Il principio contabile internazionale IAS n. 17 “la contabilizzazione delle locazioni” definisce: a) leasing finanziario la locazione in base alla quale vengono sostanzialmente trasferiti in capo all’utilizzatore tutti i rischi ed i vantaggi connessi alla proprietà del bene, ed in cui la stessa proprietà del bene alla fine del periodo di locazione può essere trasferita o meno all’utilizzatore, e b) leasing operativo un contratto di locazione che sia diverso da quello di leasing finanziario». Per gli standard italiani, quindi,

la locazione finanziaria e il leasing erano sinonimi nel consolidamento. La distinzione fra quello operativo e il finanziario non si fondava, inoltre, sul

(21)

115

numero delle parti, ma sul trasferimento sostanziale dei rischi e dei benefici della proprietà55.

Le necessità di definire la materia del leasing e di individuare criteri chiari per l’applicazione del principio di prevalenza è venuta in primo piano con l’adozione dei principi contabili internazionali in Europa e con la riforma del nostro diritto societario.

L’introduzione degli Ias, come si è visto nel secondo capitolo, è avvenuta attraverso un regolamento, rendendo lo Ias 17 e la distinzione tra leasing finanziario e operativo immediatamente vincolanti. In secondo luogo, la riforma del diritto societario ha disciplinato per la prima volta, modificando gli artt. 2424 e 2427 c.c., la rappresentazione del leasing nel bilancio di esercizio. Non si è trattato, comunque, di un intervento in linea con gli standard internazionali. L’art. 2424 c.c. prevede l’iscrizione, nella lettera B dell’attivo, delle «immobilizzazioni,

con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria». Inoltre è

stato introdotto, nell’art. 2427 c.c., il n. 22 secondo cui «le operazioni di

locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto»

devono essere valutate «secondo il metodo “finanziario” (che riflette la sostanza

del contratto) diverso da quello “patrimoniale” (basato sulla forma) accolto per la iscrizione delle medesime nei prospetti quantitativi del bilancio»56.

La dottrina si è chiesta, quindi, se il riferimento alla locazione finanziaria sia un sinonimo del leasing previsto dallo Ias 17 o il contratto definito dall’art. 17 della legge n. 183/1976.

L’Organismo Italiano di Contabilità è intervenuto su questo tema con l’Oic 1 intitolato I principali effetti della riforma del diritto societario sulla

redazione del bilancio d’esercizio. L’Organismo ha aderito alla prima soluzione:

«allo stato attuale della giurisprudenza e della prassi nazionale la definizione di

“locazione finanziaria” non è coincidente con quella prevista dal citato IAS 17 e

55 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

fiscali e gestionali, cit., p. 79.

56 ERASMO SANTESSO, UGO SOSTERÒ, Il bilancio. Principi generali, struttura e regole di

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implicitamente richiamata nella disposizione in esame. Tenuto conto della particolarità della situazione italiana... sembra ragionevole considerare, in linea generale, quale condizione preliminare per l’applicazione dell’obbligo informativo riportato nel nuovo punto 22 dell’articolo 2427 del codice civile, la formale presenza nel contratto di leasing dell’opzione finale di acquisto. In tale ottica, eventuali operazioni di leasing classificabili ai sensi dello Ias 17 quali leasing finanziari (ad esempio operazioni di locazione operativa ed. “full pay out”) ma contrattualmente prive dell’opzione di riscatto potrebbero non rientrare nell’obbligo di indicare in nota integrativa le informazioni richieste. Ciò in quanto, non essendo contrattualmente prevista l’opzione, potrebbe non essere certo che la proprietà giuridica del bene locato si trasferisca in capo all’utilizzatore del bene»57

.

Questa evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale non ha portato, comunque, a un risultato definitivo. Ancora oggi vi sono, infatti, due diverse classificazione del leasing. Da un lato, vi è quella giuridica secondo cui la locazione finanziaria è un rapporto che richiede l’interazione fra un utilizzatore, un intermediario (di natura finanziaria) e un produttore. In secondo luogo vi è quella operativa che lo considera, invece, come un una relazione diretta tra il primo e il terzo soggetto, confondendosi con altri istituti come la locazione e il noleggio58. Nell’ambito della prima categoria bisogna distinguere, inoltre, i negozi a scopo di mero godimento da quelli a fini traslativi.

Questa distinzione del leasing sta, comunque, perdendo terreno di fronte a quella prevista dai principi contabili internazionali. La locazione finanziaria deve essere intesa secondo i criteri previsti dallo Ias 17, in quanto più coerente con l’assetto complessivo della normativa bilancistica italiana. La stessa riforma del 2003 si è mossa in questa direzione, anche se ha limitato l’indicazione dei criteri di determinazione del principio della prevalenza alla sola Nota integrativa.

57 Non ha rilievo, quindi, il numero di soggetti che partecipano all’operazione.

58 MASSIMILIANO BONACCHI, MASCIA FERRARI, Leasing finanziario: profili contabili,

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117

3.4. La contabilizzazione del leasing e il principio di prevalenza

Come si è già ricordato, il d.lgs. n. 6/2003 non ha risolto la questione della rappresentazione in bilancio del leasing finanziario, anche se il legislatore ha toccato il problema della prevalenza della sostanza sulla forma.

L’art. 1 del decreto legislativo ha introdotto infatti, nell’ambito dell’art. 2423-bis c.c., un nuovo principio di redazione: la necessità di considerare la «funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato».

Si tratta, come afferma una parte della dottrina, «di un pasticcio tutto

italiano, e non tanto per la differenza terminologica: il problema è nella “libertà vigilata” di cui gode il principio»59. Oltre a utilizzare una formula poco chiara

(rispetto al riferimento diretto alla prevalenza della sostanza sulla forma), il legislatore ha previsto uno spazio ridotto per la contabilizzazione di questo principio.

Per rimediare in parte a questa soluzione, la relazione di accompagnamento alla riforma ha chiarito che l’art. 2423-bis c.c. fa riferimento a una rappresentazione «secondo la realtà economica sottostante gli aspetti

formali». Inoltre, l’Oic 1, intitolato I principali effetti della riforma del diritto societario sulla redazione del bilancio d’esercizio, precisa che «l’espressione “funzione economica” adottata dal Legislatore necessita... d’una interpretazione tecnica. Il Legislatore - come si evince dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6 - ha inteso con tale espressione riferirsi al postulato della prevalenza della sostanza sulla forma, concetto indicato nel Principio Contabile n. 11 con l’espressione “prevalenza degli aspetti sostanziali su quelli formali”.... Sotto il profilo tecnico, sarebbe stato preferibile che il Legislatore in sede di esercizio della delega avesse fatto espresso riferimento al già noto principio della prevalenza della sostanza sulla forma»60.

59

ANDREA FRADEANI, La globalizzazione della comunicazione economico-finanziaria.

IAS/IFRS e XBRL, cit., p. 75.

60 OIC, Standard setter sullo schema del decreto legislativo, 2002, in cui si rileva come il

principio avrebbe dovuto «essere più correttamente riformulato in termini di prevalenza della sostanza sulla forma».

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In realtà, il legislatore manifesta un atteggiamento critico verso il principio della prevalenza. Quest’ultimo è esplicitamente previsto, infatti, solo nel caso (piuttosto raro) del trattamento contabile delle operazioni di compravendita con obbligo di cessione a termine. Per il resto, è stata prevista una contabilizzazione del leasing in cui è la forma a prevalere sulla sostanza, come prevedono gli artt. 2424 e 2427 c.c. Nel primo, relativo al contenuto dello stato patrimoniale, si specifica che nella lettera B dell’attivo si debbono riportare le «immobilizzazioni,

con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria». Nell’art.

2427 c.c., invece, si disciplina il contenuto della nota integrativa e si declassa il metodo finanziario a semplice prospetto, previsto dal n. 22, da fornire nel documento che accompagna lo stato patrimoniale e il conto economico.

La dottrina evidenzia come uno dei principali limiti alla diffusione del metodo finanziario è stata la sua totale incompatibilità con l’ordinamento tributario. In primo luogo, vi sono problemi circa il riconoscimento dei costi dell’operazione. Infatti, la deduzione delle quote di ammortamento, come sottolinea la Corte di Cassazione «deve essere strettamente collegata all’aspetto

giuridico-formale dell’operazione: l’art. 102, primo comma, del Tuir, ammette la deducibilità delle quote solo in relazione al costo dei beni materiali strumentali appartenenti all’impresa. Nell’ambito di tale sistema deve essere letto il comma 8 dello stesso art. 67, il quale riconosce la possibilità di dedurre le quote di ammortamento alla sola impresa concedente»61.

La soluzione prospettata è stata quella di un sistema “ibrido” che impone, con riferimento al leasing finanziario una contabilizzazione duplice: nello stato patrimoniale e nel conto economico viene adottato il metodo patrimoniale, mentre nella nota integrativa viene data la possibilità di rappresentare in un prospetto l’operazione secondo il metodo finanziario.

61 Cass., 19 dicembre 2002, n. 8292, in Rass trib., 2003, I, p. 45. Cfr. ENZO MIGNARRI, La

fiscalità degli strumenti di finanziamento per le imprese. Profili civilistici e caratteristiche tecniche. Disciplina nelle imposte dirette e indirette. Valutazioni di convenienza e di tax plannig. Milano, Egea,

(25)

119

Attualmente, quindi, il contratto di leasing finanziario è contabilizzato in conformità al modello patrimoniale, vale a dire come un contratto di locazione per il quale il locatario rileva:

a) i canoni di leasing quale costo dell’operazione;

b) il bene nell’attivo patrimoniale al momento del riscatto quando ne acquista la proprietà, provvedendo da questa data a imputare a conto economico le relative quote di ammortamento.

A sua volta, il concedente iscrive tra le proprie attività il bene oggetto di locazione finanziaria e imputa a conto economico il relativo ammortamento ed i canoni di locazione. Secondo questa impostazione, cioè, il locatore deve rilevare, nella propria contabilità, il bene oggetto del contratto nello Stato Patrimoniale, i canoni riscossi fra i proventi e le quote di ammortamento fra i costi operativi. Il locatario, da parte sua, registra il pagamento dei singoli canoni, che rappresentano un onere di gestione e, solo dopo aver esercitato il diritto di riscatto, includerà il bene al suo valore residuale fra le attività patrimoniali62.

Volendo a questo punto riassumere organicamente la disciplina contabile dello Ias 17, è possibile ricordare come, secondo questo principio, il leasing finanziario vada rilevato nello Stato patrimoniale del locatario «sia come attività,

sia come obbligazione a sostenere futuri pagamenti derivanti dal contratto». Nel

conto economico devono invece risultare le quote di ammortamento dei beni e gli oneri finanziari derivanti dal contratto. Per quel che riguarda il leasing operativo,

62 VALERIO ANTONELLI, Leasing finanziario, in Contabilità finanza e controllo, 2003, 3, p.

282. Con il metodo finanziario previsto dallo IAS 17 il bene oggetto del contratto di locazione finanziaria non viene più iscritto tra le attività del concedente, ma tra quelle dell’utilizzatore il quale a fronte di ciò iscrive un debito per l’operazione. Ne deriva che l’utilizzatore imputerà a conto economico le quote di ammortamento del bene e gli interessi passivi che costituiscono la componente finanziaria dei canoni di leasing. In modo speculare, il concedente iscrive un credito per l’operazione finanziaria di leasing ed imputa a conto economico gli interessi attivi che costituiscono la componente finanziaria del canone; contestualmente, la parte del canone che rappresenta la quota capitale riduce il valore del credito derivante dall’operazione di finanziamento. In base al metodo finanziario, infatti, l’operazione di leasing viene parificata ad un vero e proprio finanziamento, per cui alla stipula del contratto la società concedente contabilizza il credito verso il cliente in misura pari al valore del bene oggetto della transazione; successivamente, i canoni ricevuti vengono distinti nella quota capitale, a riduzione del credito, e nella quota interessi, sulla base del tasso implicito del contratto. Quest’ultimo, come afferma lo IAS 17, è il «tasso di sconto che, all’inizio del leasing, fa sì che il valore attuale complessivo dei pagamenti minimi dovuti per il leasing, dal punto di vista del locatore, e del valore residuo non garantito sia uguale al valore normale del bene locato, al netto di eventuali contributi e crediti di imposta spettanti al locatore». Il conduttore, quindi, oltre a rilevare il debito, iscrive fra le poste attive dello Stato Patrimoniale il bene, anche se non ne ha acquisito la proprietà.

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