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L'OFFITIO SOPRA L'ONESTA'IL CONTROLLO DELLA SODOMIA NELLA LUCCA DEL CINQUECENTO

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Università di Pisa

SCUOLA di DOTTORATO in STORIA,

ORIENTALISTICA E STORIA DELLE ARTI

(curriculum: storia)

XXIII° ciclo

(2008-2010)

L'OFFITIO SOPRA L'ONESTA'

IL CONTROLLO DELLA SODOMIA

NELLA LUCCA DEL CINQUECENTO

relatore candidato

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INDICE

p . 1 INTRODUZIONE 5 Parte Prima IL VERSANTE ISTITUZIONALE 5 Cap. I

L'Offitio sopra l'Onestà

e il controllo della sodomia in Italia tra Medioevo ed Età Moderna

24 Cap. IILa prassi

43

Cap. III

Il controllo della sodomia: radici medievali

55

Cap. IV

Il controllo della sodomia: le origini

68 Cap. VLa religione civica

82 Parte SecondaLA REALTA' SOCIALE

82

Cap. VI

Le gerarchie sociali

92

Cap. VII

(3)

111

Cap. VIII

Sodomia eterosessuale

128 Cap. IXInfanzia e adolescenza. Violenza

141 Cap. XSodomia e omosessualità: un problema storiografico

157

Cap. XI

Sodomia e omosessualità: le fonti lucchesi

172 Parte TerzaIL CONTROLLO DELLA SODOMIA

NELLA CRISI RELIGIOSA DEL CINQUECENTO

176 Cap. XIISodomiti ed eretici

208

Cap. XIII

L'applicazione dei canoni del Concilio di Trento: modificazioni

245

Cap. XIV

L'applicazione dei canoni del Concilio di Trento: resistenze popolari e istituzionali. La sodomia come “Crimen Lesae Majestatis”

279 CONCLUSIONI

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Ringraziamenti

Ringrazio Giovanni dall'Orto per avermi fatto conoscere il fondo dell'Offitio sopra l'Onestà; il prof. Prosperi per avere creduto di nuovo, dopo tanti anni, in questo progetto; la professoressa Lombardi per la sua disponibilità e l'interesse dimostrato per i miei studi; Michael Rocke e Simonetta Adorni Braccesi per la generosità con cui mi hanno reso partecipe delle loro indispensabili competenze sul controllo della sodomia e sulla diffusione dell'eresia a Lucca; il prof. Helmut Puff per avermi aperto gli occhi sul dibattito storiografico internazionale sulla storia dell'omosessualità e, soprattutto, per avermi consentito di impostare in maniera corretta la spinosa questione del legame tra pederastia e “vizio nefando”; la professoressa Simona Cerutti per l'ospitalità che mi ha dato all'EHESS e per l'attenzione con cui ha valutato il mio lavoro; Antonio Romiti per la lettura coscienziosa i suggerimenti di cui mi ha reso partecipe; il dott. Nelli per il prezioso aiuto fornito nella lettura dei passi più ostici della documentazione; tutto

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il personale dell'Archivio di Stato e dell'Archivio Storico Diocesano di Lucca. Un ultimo ringraziamento a tutti coloro che, lavorando nell'ombra nelle biblioteche e nei dipartimenti, consentono a noi studiosi di compiere al meglio il nostro lavoro.

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(7)

INTRODUZIONE

Era la fine degli anni novanta quando lo storico Giovanni dall'Orto, da anni impegnato nella lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, mi ha parlato per la prima volta del fondo archivistico dell'Offitio sopra l'Onestà, una magistratura straordinaria istituita nel Quattrocento, e attiva fino alla metà del Seicento, per perseguire a Lucca il “nefando vizio” della sodomia. Al primo spoglio dei documenti mi resi subito conto che mi era stata segnalata una fonte di grandissimo interesse ed intrapresi il percorso di ricerca che mi portò alla discussione della mia tesi di laurea. Non nascondo che, dopo un iniziale entusiasmo, come spesso accade, sopraggiunse un senso di sconforto per l'essermi trovato davanti a delle testimonianze molto diverse da quelle che mi sarei aspettato di trascrivere. Ancora ignaro del dibattito storiografico sull'argomento, avevo sperato di imbattermi nella viva voce di una minoranza oppressa, schiacciata tra le maglie di una giustizia crudele e repressiva. Invero, la realtà della documentazione era più torbida della mia immaginazione. I processi e gli imputati erano centinaia, ma prevalevano condanne di scarso rilievo; i comportamenti erano spesso reiterati ma sembravano non coinvolgere in alcun modo la sfera emotiva ed affettiva degli inquisiti; questi, poi, non avevano un orientamento omosessuale così come ero abituato ad intenderlo, ma tutto sembrava muoversi nell'alveo di una bisessualità controllata dalle istituzioni, ma anche parzialmente accettata, entro certi limiti, come variante relativamente naturale del comportamento umano; le istituzioni erano molto presenti col controllo giudiziario, ma la lievità delle punizioni alla contrastava con la retorica allarmistica e condannatoria delle leggi e della predicazione. Inoltre, emergeva con prepotenza dalle fonti il problema della connessione tra i comportamenti sessuali devianti e l'eresia, nel contesto della grave crisi religiosa che, come è ormai ben noto, aveva scosso nel corso del Cinquecento la stabilità politica del “pacifico e populare stato”. A tutti questi problemi la tesi aveva dato una prima embrionale risposta, segnata però da alcuni limiti strutturali che la presente ricerca

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ha tentato, spero con successo, di superare: innanzi tutto, è stato ampliato l'ambito cronologico su cui si è dispiegata l'analisi documentaria, ma soprattutto sono stati rivisti gli strumenti concettuali per la sua interpretazione, attraverso l'ampliamento dei riferimenti bibliografici sulla storia del controllo della sodomia, sull'omosessualità in una prospettiva storica e sulla sessualità in genere; ma anche sulla complessità del fenomeno ereticale lucchese e sul significato della svolta impressa in Italia dal Concilio di Trento, per quanto riguarda il governo delle coscienze e il controllo della morale sessuale. Inoltre, si sono incrociate le fonti dell'Onestà con altri fondi che non erano stati utilizzati in precedenza: le Sentenze e i Bandi del Podestà (spoglio monumentale che ha consentito di capire quali fossero i reali esiti di molte condanne, e di rinvenire alcune pene capitali che la mia prima ricerca aveva del tutto trascurato) e, soprattutto, il fondo criminale dell'Archivio Storico Diocesano, grazie al quale è stato possibile comparare le strategie del tribunale del vicario del vescovo con quelle adottate dalla magistratura cittadina dell'Onestà.

Il caso lucchese è stato guardato alla luce del contesto urbano italiano ed europeo e delle capillari politiche di controllo della sessualità non procreativa (e del sesso omosessuale in particolare) adottate, pressoché ovunque, tra la fine del Medioevo e la prima Età Moderna. Si è cercato di isolare, in un primo tempo, le problematiche sollevate dal controllo istituzionale dalla concreta ricostruzione del vissuto quotidiano della devianza (parte prima e seconda della presente ricerca) per poi comprendere come la svolta religiosa del Cinquecento e la progressiva affermazione della Chiesa post-tridentina nell'Italia del XVI secolo abbiano influito sulle une e sull'altro (parte terza). Prima di entrare nel vivo dell'esposizione, annunciamo in breve i nuclei tematici fondamentali intorno ai quali si è incentrata l'analisi delle fonti, mantenendoli per ora in una forma interlocutoria e problematica che cercheremo di sciogliere solo al termine di questa ricerca, riprendendoli poi nelle conclusioni al fine di comprendere in che cosa il “caso lucchese” abbia confermato dei trend generali e, al contrario, da quali peculiarità sia stato caratterizzato.

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Per quanto riguarda il versante istituzionale, il primo dato da segnalare è un'inversione di tendenza nel controllo della sodomia tra Medioevo e prima Età Moderna. Se tra la fine del Due e nel corso di tutto il Trecento – e parliamo di un orientamento generalizzabile a buona parte del mondo cristiano occidentale – i crimini “contro-natura” erano associati inscindibilmente all'eterodossia religiosa, a partire dal Quattrocento nelle realtà urbane italiane emerge un diverso approccio al problema, e la non conformità sessuale venne trattata come un problema a sé stante. Vedremo in seguito le ragioni di questo mutamento, anticipando per ora che esisteva una connessione profonda tra il modello demografico (caratterizzato da una età al matrimonio relativamente alta), l'esclusione di molti (soprattutto giovani) dal mercato matrimoniale e le politiche con cui le città hanno scelto di governare la materia dei comportamenti sessuali considerati illeciti.

2. Definizioni

Quanto alle definizioni, è sempre importante sottolineare come dietro il termine sodomia e la incerta categoria dei reati “contro natura” si nascondano una molteplicità di comportamenti interdetti, e non solo gli atti omosessuali.

3. Il vissuto sociale

Sulla descrizione del vissuto sociale e delle pratiche della devianza sessuale nelle società urbane tra Medioevo ed Età Moderna (vedremo poi in cosa consistono le peculiarità del caso lucchese) si sono riscontrate alcune tendenze di fondo comuni per quel che riguarda la sodomia omosessuale: luoghi di incontro deputati alla consumazione di sesso occasionale, segnali cifrati per la negoziazione dei rapporti clandestini, tendenza alla reiterazione di atti che apparentemente non coinvolgono in alcun modo la sfera dell'affettività. Vedremo in seguito quanto pesa la natura della fonte (casi giudiziari) sulla ricostruzione di questo quadro e come non sia possibile utilizzarla per delle conclusioni di carattere

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generale. Non si è poi potuto eludere l'ormai decennale dibattito che ha opposto, e contrappone ancora, storici “essenzialisti” e “costruzionisti” (chiariremo in seguito i presupposti teorici di queste correnti interpretative). E' stato inoltre necessario comprendere i legami tra il modello di relazione pederastica tipico della antichità classica e il vissuto delle relazioni omoerotiche nelle realtà urbane italiane del Quattro e Cinquecento, modello che, possiamo anticipare, è stato determinante in una realtà come Firenze ma meno preponderante, se pur presente, nel caso Lucchese.

4. La crisi religiosa del Cinquecento

Resta poi da chiedersi quanto la crisi religiosa del Cinquecento abbia apportato delle significative novità nel controllo dei peccati “contro natura”. Se in tutta Europa con le aspre polemiche tra protestanti e cattolici riemergeva prepotentemente, da ambo le parti, lo stereotipo dell'eretico sodomita (in cui l'inversione sessuale era il compendio di ogni devianza), la Repubblica lucchese, per quanto riguarda gli atteggiamenti istituzionali, ha dato prova di una originalità i cui elementi fondamentali saranno tratteggiati nel corso dell'esposizione.

L'ultimo problema, tanto rilevante quanto complesso, è stato cercare di comprendere in che modo il progressivo riassorbimento di Lucca nel clima politico e morale della Controriforma abbia influito sul controllo dei comportamenti sessuali, tenendo conto da un lato delle linee di condotta generali imposte dalla Chiesa post-tridentina riguardo alla sessualità (questione tutt'altro che piana e su cui ancora molte ricerche dovranno essere fatte) dall'altro delle peculiarità della realtà lucchese: una piccola Repubblica che, pur giungendo a molti, inevitabili compromessi, ha continuato anche nel Seicento a difendere le sue prerogative giurisdizionali, proseguendo la battaglia che le aveva consentito, nel corso del secolo precedente, di tenere fuori dalle sue mura – quelle stesse che avevano cinto una delle città più “infette” d'Italia – i giudici del Sant'Uffizio romano.

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Parte I

IL VERSANTE ISTITUZIONALE

Cap. I

L'Offitio sopra l'Onestà

e il controllo della sodomia in Italia tra Medioevo ed Età Moderna

Il 28 febbraio 1570 il giovane Alessio di Lorenzo rilasciò la sua deposizione di fronte all'Offitio sopra l'Onestà. Benché non si sappia di preciso quanti anni avesse, è probabile che fosse piuttosto giovane, dal momento che i magistrati, al termine del processo, gli inflissero la pena solitamente riservata ai minorenni; è invece sicuro che provenisse dal contado, e che si guadagnasse da vivere vendendo “cialdoni” per le strade della città. Fin dal suo primo interrogatorio, aveva confermato la versione dei fatti fornita dal suo accusatore, Nicolao di Lommoro, processato alcuni giorni prima. L'uomo gli si era avvicinato con la scusa di acquistare alcune cialde, lo aveva condotto nella baracca di tavole dove dormiva e qui, chiuso l'uscio, lo aveva sedotto utilizzando le armi della persuasione:

voglio tu mi facci un piacere et non dichi di non, et dicendoli che piacere disse te lo puoi immaginare et esso rispose, messer no, non ci sono avezo, et Nicolao rispose me l'hai da fare ad ugni modo, che ti voglio dare un paio di braconi et un paio di calzette, che l'ho qui ma non dire cosa alcuna a persona, et così li consentì et lo sogdomitò una volta1

Non era la prima volta. La stessa scena si era già ripetuta con un calzolaio modenese, Orazio. Anche lui aveva promesso di regalargli dei calzini, gli aveva comprato dei dolci e regalato “un grosso”. Anche lui lo aveva persuaso alludendo al sesso come a un “favore”. Quello che però Orazio non poteva condividere con gli altri accusati, era il punto di vista del forestiero. Secondo quanto Alessio ha raccontato del suo corteggiamento, il giovane si aspettava di trovare in un

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lucchese un soggetto particolarmente compiacente in questo genere di “favori”:

voglio che tu mi facci un piacere, so che in lucca sete galanthuomini2 et fate de

piaceri [...] ne hai fatti a delli altri voglio che mi facci questo a me [...] et se li accostò et li mandò giù i calzoni et lo sogdomitò una volta3.

Si credeva dunque che Lucca fosse un covo di sodomiti? Sicuramente, condivideva la cattiva fama di cui l'intera Toscana godeva agli occhi del resto d'Italia, e di tutta l'Europa: «ogni volta si ricorda la soddomia» – tuonava dal pulpito il grande predicatore Bernardino da Siena nel 1425 – «la bocca è fracida di puzza», la «puzza di tutto questo paese di Toscana», arrivata ormai fino a Dio, e «dinnanzi al dimonio»4. Fin dal Trecento i predicatori avevano descritto Firenze

come una vera e propria Sodoma, e la fama della sua dissolutezza aveva travalicato le Alpi, inducendo i tedeschi a coniare gli ironici neologismi florenzer e florenzen per indicare il sodomita e la sua attività sessuale5. Se la Toscana si

trovava al vertice, era tuttavia l'intera penisola a destare forti sospetti. Nel Cinquecento, il patrizio veneziano Girolamo Priuli credeva che il prezzo pagato da Venezia nelle Guerre d'Italia altro non fosse che la punizione inflitta da Dio alla Repubblica per la corruzione dei suoi costumi morali, e soprattutto per la sua tolleranza nei confronti di questo vizio6. Ancora nel Seicento, il viaggiatore

scozzese William Lithgow annotava nelle sue memorie come la pratica bestiale della sodomia

è altrettanto diffusa a Padova come a Roma, Napoli, Firenze, Bologna, Venezia, 2 Il corsivo è mio.

3 ASL, Offitio sopra l'Onestà 1, 1570, fo: 13r.

4 San Bernardino da Siena, Le prediche volgari, edite dal padre Ciro Cannarozzi OFM, vol. IV, Firenze 1940, pp. 270-290, “Del peccato contro natura”, predica del quaresimale del 1425. Sul predicatore e la condanna della sodomia, v. M. Rocke, Sodomites in Fifteenth-Century

Tuscany: The Views of Bernardino da Siena, in K. Gerard, G. Hekma (a cura di), The Pursuit of Sodomy: Male Homosexuality in Renaissance and Enlightenment Europe, New

York/London 1989, pp. 7-31.

5 M. Goodich, The Unmentionable Vice. Homosexuality in the later Medieval Period, S. Barbara/ Oxford 1979, pp. 83-84.

6 R. Cessi, A. Segre (a cura di), I diarii di Girolamo Priuli (1499-1512), in Rerum Italicarum

Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ordinata da L. A. Muratori, XXIV-III, Bologna 1912-1938, vol. 4, pp. 30 e 33-36, citato da N.S. Davidson, Sodomy in Early Modern Venice, in T. Betteridge (a cura di), Sodomy in Early Modern Europe,

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Ferrara, Genova, né Parma ne è esente, né il più piccolo dei villaggi italiani: una mostruosa sozzeria, e tuttavia un piacevole passatempo per loro, che fanno canzoni e sonetti della bellezza e dei piaceri dei loro 'Bardassi', i fanciulli buggerati7.

Il problema della “pubblica fama” fu centrale nel determinare il complesso iter legislativo che condusse i governanti lucchesi, intorno alla metà del Quattrocento, a istituire la magistratura straordinaria dei “Tre sopra l'Onestà”. Già in una legge del 22 aprile 1381 le autorità lucchesi constatavano, “non sine magna displicentia et cordium amaritude”, come a Lucca fossero presenti uomini “sue proprie salutis immemoris atque turpissimis moribus inquinati” i quali, “legem pervertentes”, erano istigati da spirito diabolico a indulgere nel vitio sodomitico (“spiritu diabolico insitgati in sodomie vitium”), inducendo fanciulli e giovani a macchiarsi di questa tremenda colpa. Il testo continuava esprimendo la preoccupazione dei legislatori per il vituperio che questa condotta avrebbe potuto attirare sulla buona fama della città, e il loro impegno a punire i delinquenti con severità esemplare, al fine di distogliere i reprobi dal persistere nel vizio ed evitare la condanna di Dio. Per riparare ad una situazione tanto incresciosa, il Consiglio attribuì l'autorità di “inquirere et investigare” contro i “delinquentes et seductores in dicto crimine” al Maggiore esattore e Capitano di Custodia8. La balìa, che

sarebbe terminata nelle successive calende di maggio, conferiva al titolare di questa magistratura il diritto di “punire, condemnare et multare” i colpevoli “pro sue arbitrio voluntatis et ut sue discretioni videbitur convenire”9. Tale

provvedimento straordinario non ebbe più un seguito nei decenni successivi, ma in esso si ravvisano già i cardini intorno ai quali si sarebbero strutturati i futuri interventi della Repubblica contro il dilagare del “vizio innominabile”. Si trattò

7 “Is as rife in Padua as in Rome, Naples, Florence, Bullogna, Venice, Ferrara, Genoa, Parma

not been exempted, nor yet the smallest Village of Italy: a monstruos filthinesse, and yet to them a pleasent pastime, making songs and singing Sonets of the beauty and pleasure of their Bardassi, or embuggered boyes”. Davidson, cit., p. 65. La traduzione in italiano è mia.

8 ASL, Consiglio Generale 7, fo: 480, 22 aprile 1381. Il Capitano di custodia era un membro della famiglia del podestà investito di numerose responsabilità nella soprintendenza e nella custodia della città e dei borghi. Compieva perlustrazioni notturne, vigilava contro il gioco d’azzardo e il possesso di armi proibite e radunava, all'occorrenza, le milizie popolari. Inoltre, era a capo dei custodi delle porte e delle guardie della città e dei borghi (ASL, CG 5, fo: 285-288, 1375-6). Tutte le informazioni relative alla delega del 1381 sono tratte dalla tesi di laurea di Bianca Rosa Imbasciati, discussa a Pisa nell'a.a. 1986-7 sotto la guida del prof. Michele Luzzati: Lucca e la repressione dell'omosessualità: i procedimenti penali del 1382. 9 ASL, CG 7, cit.

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inoltre di un banco di prova e di uno dei primi esempi di “inquisizione delegata”, una peculiarità dell'ordinamento giudiziario lucchese. Su questioni di rilevante interesse pubblico e politico il Consiglio Generale, il principale organo legislativo della Repubblica, si avvaleva in questi casi dell'autorità di sospendere “l’ordinaria giurisdizione [...] in materia di giustizia penale”, avocando a sé la conoscenza di certe cause e delegandole, in via eccezionale, “a quei giudici, magistrati di professione o semplici cittadini” che fossero apparsi più idonei ad un migliore servizio della giustizia10. Tale principio della delega straordinaria fu il fulcro di

molti interventi con cui il governo avrebbe affrontato, nei secoli a venire e con sempre maggiore frequenza , le più spinose emergenze politiche e sociali.

Il primo nucleo dell'Offitio sopra l'Onestà, una commissione di tre cittadini incaricati di investigare e inquisire contro il crimine di sodomia (eletta per la prima volta l'8 marzo del 1448) aveva questo carattere di estemporaneità: della durata iniziale di un anno, non assunse da subito delle competenze rigidamente codificate né un assetto stabile, ma gli fu da subito attribuita la medesima autorità del Gran Consiglio in materia di giustizia penale11.

Fu questo l'inizio di un crescendo di provvedimenti legislativi che fece del comportamento sessuale deviante una delle materie penali su cui l'assemblea si espresse con maggiore frequenza12. Il primo giugno del 1448, con un'aggiunta allo

Statuto, venne modificata la formula del giuramento del podestà, che da allora avrebbe dovuto esprimere fin dalla sua entrata in carica il suo fermo impegno a investigare con la massima diligenza contro il “detestabile vitium sodomiae”, processando e condannando i colpevoli come la legge gli imponeva13. Nei decenni

successivi, il proliferare delle norme ha disegnato un percorso tortuoso, segnato da un fondamentale conflitto di fondo: i legislatori si chiedevano infatti se adottare pene pubbliche, sfruttando così il deterrente dell'infamia, o favorire la segretezza

10 S. Adorni Braccesi, La magistratura delle Cause Delegate nella Repubblica di Lucca: eresia e

stregoneria (secoli XVI-XVIII), in A. Del Col, G. Paolin, L'Inquisizione Romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale. Atti del seminario internazionale, Monreale Valcellina, 23 e 24 settembre 1999, Trieste 2000, pp. 273-294, p. 273. Cfr. L. Montauti, Le cause Delegate. Un tribunale straordinario a Lucca nell’età moderna, tesi di laurea, relatore E. Pastine, Pisa a.a.

1979-1980.

11 ASL, CG 16, 8 marzo 1448.

12 Vedi a questo proposito la tesi di Laurea di Alessandro Salerni, Una repubblica cittadina: la

giustizia criminale a Lucca nel secondo Quattrocento, relatrice A.K. Isaacs, Pisa, a.a.

1983-1984, soprattutto il capitolo “La legislazione contro i sodomiti”, pp. 349-369. 13 Ibidem. Il provvedimento è in ASL, Statuti 10, aggiunte, c. 257r, 27 giugno 1448.

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delle risoluzioni per non coprire di fango il buon nome della città. Nel frattempo si definivano con maggiore chiarezza le competenze degli officiali e si rendeva sempre più complesso il sistema delle pene da infliggere ai rei14. La gestazione

terminò nel 1539, con la redazione definitiva degli Statuti (che restarono in vigore fino al giorno in cui, nel 1806, un decreto napoleonico ne sancì la soppressione15).

Al capo centosettesimo del quarto libro, dedicato alle materie penali, sotto la titolatura “Della pena de sodomiti” fu dato finalmente un assetto stabile alla magistratura. La sua sede era il palazzo del podestà, e lo stesso podestà, la sua corte e il capitano del contado erano chiamati a dargli “officio, favore e aiuto” in qualunque richiesta, sotto la pena di dieci fiorini d'oro in caso di inadempienza. Gli officiali avevano a loro disposizione un notaio per redigere i verbali delle sedute, che dovevano svolgersi almeno una volta alla settimana. Ogni sessione era retribuita con un compenso di due bolognini, mentre l'assenteismo, senza previa giustificazione, era sanzionato con un'ammenda pecuniaria. Erano inoltre stabilite norme a tutela della loro incolumità: ingiurie e offese a loro danno erano punite con una pena analoga a quella inflitta a chi offendeva il podestà o il maggior sindaco, mentre chi li avesse minacciati incorreva in una multa di cento fiorini, suscettibile di essere aumentata senza alcun vincolo a seconda della gravità delle circostanze. Dal canto loro, e a testimonianza del grado di arbitrarietà del potere conferitogli, gli officiali percossi, feriti o offesi potevano identificare e punire i colpevoli senza l'avvio di un regolare processo16.

Lucca non fu ne la prima né l'unica città ad avere scelto di affidare il controllo della sessualità deviante ad una magistrauta “ad hoc”. Da più parti, nel corso del Quattrocento, i legislatori avevano risposto alle voci allarmate che si levavano con orrore a denunciare il dilagare del vizio sodomitico moltiplicando i provvedimenti e stringendo la morsa del controllo giudiziario. Già nel 1418, trent'anni prima del provvedimento lucchese che aveva dato alla luce il primo

14 Ibidem, vedi: ASL, CG 18, p. 97 e 99-102, 8 febbraio 1458; CG 17, pp. 796-770, 23 aprile 1456; CG 18, p. 106, 25 febbraio 1458; CG 18, pp. 149-154, 21 luglio 1458; CG 18, p. 529, 25 agosto 1462; CG 20, p. 58, 24 aprile 1473; CG 20, pp. 62-63, 3 maggio 1473.

15 S. Bongi, Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, tomo III, parte III, Lucca 1867, prefazione prima, pp. XX-XI.

16 Gli Statuti della citta di Lucca nuovamente corretti, et con molta diligentia stampati per

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nucleo dei tre “sopra l'onestà”, la Repubblica di Venezia aveva istituito il Collegium subdomitarum, mentre nel 1432 a Firenze nascevano gli Officiali di Notte.

Benché non esista nelle fonti alcun richiamo esplicito all'antecedente fiorentino, il debito dell'istituzione lucchese nei suoi confronti è evidente, non solo per quanto riguarda la struttura dell'istituzione ma anche, e soprattutto, per le analogie nella prassi giudiziaria. A differenza di Venezia, infatti, dove si celebravano pochi processi ma si infliggevano punizioni severissime, tanto a Firenze quanto a Lucca, ad un numero elevato di procedure giudiziarie corrispondevano pene relativamente blande17. Tra la seconda metà del

Quattrocento e la prima del Cinquecento si contavano infatti nella Serenissima una media di circa cinque imputati l'anno18, mentre a Firenze, secondo le stime di

Michael Rocke, la media era di circa 220. Tra il 1432 e il 1502 (anno in cui la magistratura degli Officiali di Notte fu soppressa) vi furono processate tra le 15 e le 16 mila persone, di cui oltre 30 mila (più o meno 43 l'anno) condannate19.

Per poter compiere simili calcoli e quantificare l'attività dell'Offitio lucchese è necessario formulare alcune premesse sullo stato delle fonti a nostra disposizione. Il fondo, conservato presso l'Archivio di Stato di Lucca, è composto da sei volumi rilegati. Di questi, i primi cinque raccolgono gli atti processuali, il sesto un ampio repertorio di nomi. Per quanto riguarda la possibilità di effettuare stime numeriche, pesa sulla comprensione storica delle vicende una profonda lacuna: partendo i resoconti integrali dei processi dal 1551, viene infatti a mancare tutto il primo secolo di attività della magistratura. Il primo problema è stato tentare di comprendere le ragioni di questa assenza. La risposta è stata fornita dai “Libri di Corredo alle Carte della Signoria”. In essi sono state infatti annotate le disposizioni che il Magnifico Consiglio imponeva per l'archiviazione dei casi

17 R. Canosa, Storia di una grande paura. La sodomia a Firenze e a Venezia nel Quattrocento, Milano 1991, pp. 7-10.

18 Ibid., p. 144. Per il Quattrocento vedi G. Ruggiero, The Boundaries of Eros. Sex, Crime and

Sexuality in Renaissance Venice, New York 1985 (ed. italiana: I confini dell'eros: crimini sessuali e sessualità nella Venezia del Rinascimento, Venezia 1988); per il Cinquecento, G.

Scarabello, Devianza sessuale ed interventi di giustizia a Venezia nella prima metà del XVI

secolo, in AAVV, Tiziano e Venezia, Vicenza 1980.

19 M. Rocke, Forbidden Friendships. Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence, New York/Oxford 1996, p. 47. L'autore ha tratto i dati relativi a Venezia da Ruggiero, cit., e da E. Pavan, Police des moeurs, societé et politique à Venise à la fin du Moyen Age, in «Revue Historique» 1980 (264), pp. 241-288.

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giudiziari aperti “contra blasphemantes et sodomitas”20. I libri dei processi,

ingiungeva la legge, dovevano essere riposti «in numero di cinque et non più» nella Tarpea (la camera segreta dell'Archivio, di cui solo il primo cancelliere teneva le chiavi e dove non era consentito entrare senza particolari licenze21)

aggiungendo poi che «l'offitio che metterà il sexto libro, debbi et sia tenuto abbrugiare il più antico libro ci troveranno»22. Dal momento che l'ultimo volume

del fondo dell'Onestà termina con la soppressione dell'Offitio, è spiegata la ragione per cui siano cinque i volumi a nostra disposizione, e la datazione dell'incipit della documentazione al 1551 è quindi il frutto di circostanze parzialmente casuali. Ed è stata tutto sommato una fortuna che le decisioni del governo si siano limitate a queste norme a tutela del buon nome della cittadinanza, poiché gli Officiali più volte hanno premuto perché il materiale raccolto fosse distrutto di anno in anno. Una lettera non datata inviata dagli officiali al Gran Consiglio, partendo dalla considerazione che era volontà stessa dei Signori e della principale assembela legislativa fare in modo che «questo Offitio dell'Honestà si esserciti con quella più segretezza sia possibile», esprimeva una viva preoccupazione che i libri affidati poi ai cancellieri «in più svariati modi [...] possino essere visti da altri [...] et non ci pare stia bene, anzi sia contro la mente del prefato Magnifico et Illustrissimo consiglio, perciò ne parrebbe approposito et honorevole che s'intendesse ordinato per l'avvenire, che tutti li Offitij che saranno per li tempi cominciando hora, fusse tenuto alla fine dell'offitio, come si ambrugia il libro di Tarpea, facesse ambrugiare anchora, il libro delli atti fatti al suo tempo»23. A quanto pare la richiesta non fu accolta, se qualche anno dopo, nel

1572, fu reiterata nei «Ricordi» che a fine dicembre gli officiali lasciavano alla «Magnifica città di Lucca» e ai magistrati che, di li a poco, sarebbero subentrati: «Et ancora li diremo che si ritrovano in mano del canciglieri di molti libri dell'offitio et ci pare che stia male che restino in questo modo che possano esser visti da più persone, et a noi sarebbe parso che se ne facesse parola con Magnifici Signori che si brugiassene come l'altra volta n'è stato parlato al Magnifico

20 ASL, Libri di Corredo alle carte della Signoria 1, fo: 101r-104v.

21 S. Bongi, Inventario del Regio Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1988, vol I, prefazione, pp. xiv-xv.

22 ASL, Libri di corredo, cit., fo: 104v. Il provvedimento riportato non è datato.

23 Raccolta insieme ad altri fogli, rilegati ma non numerati, quasi alla fine del primo volume (Onestà 1).

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consiglio di altri, et che per l'avenire ciaschuno offitio in capo del anno, se le restasse qualcosa che al tempo suo non havesse potuto spedire lo lassasse in ricordo dell'offitio successore et poi brugiasse il libro»24.

Benché il repertorio di nomi, sesto elemento del fondo, ci consentirebbe di anticipare le stime di qualche decennio (contiene infatti delle rubriche in ordine alfabetico ordinate per anno a partire dal 1539), la sua attendibilità come fonte impone una maggiore circospezione. Per quanto anche in queste pagine siano raccolti minuziosamente, accanto ai nomi, dati utili ai fini della ricerca come età e mestiere delle persone registrate, non è chiaro a quale titolo queste fossero incluse negli elenchi, se come inquisite, sospette o condannate. E' stato possibile comparare alcune rubriche posteriori al '51 con le trascrizioni integrali dei processi, e nella maggioranza dei casi sembra si sia trattato di processati, ma la corrispondenza dei dati non è sempre biunivoca e non consente un uso troppo disinvolto delle informazioni. Ciò nonostante, accanto ad alcuni nomi sono state annotate con chiarezza delle condanne, la cui veridicità è stata verificata successivamente consultando i volumi delle “Sentenze e Bandi” nel fondo del podestà.

Tenuto conto di queste precauzioni di metodo, si può ipotizzare che circa 571 persone furono processate tra il 1539 e il 1551, e di queste 96 (ma la cifra è sicuramente al ribasso) condannate, mentre tra il '51 e il '99 fonti ben più affidabili ci consentono di contare 368 condanne per 596 imputati. Cifre tutt'altro che trascurabili se si tiene conto della loro incidenza su una popolazione che alla metà del Cinquecento contava circa 20 mila abitanti (cifra destinata ad accrescersi nel corso del secolo, fino a sfiorare i 30 mila nel Seicento25), a fronte di una realtà

urbana come Firenze, che vide la sua popolazione crescere tra il 1427 e il 1550 dalle 40 alle 60 mila unità, o come Venezia, che già nel 1442 aveva più di 80 mila abitanti, e che aveva superato la soglia dei 100 mila nel 1509. Certo, anche tenendo conto di queste differenze, il caso fiorentino resta ineguagliato ma, fatta salva questa eccezione eclatante, in nessuna delle altre realtà urbane studiate

24 Onestà 2, fo: non numerato, 31 dicembre 1572.

25 S. Adorni-Braccesi, «Una città infetta». La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del

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finora, non solo in Italia ma in tutta Europa, si sono registrati tanti processi quanti nella Repubblica di Lucca.

Il sistema delle pene inflitte dall'Offitio sopra l'Onestà ai colpevoli era molto articolato. Dalla prima stesura medievale degli Statuti fino alla redazione del 1539, passando per il labirinto di riforme elaborate tra il Quattro e il Cinquecento, l'atteggiamento dei legislatori aveva rispecchiato una considerazione sempre più accorta delle condizioni soggettive di chi compiva il reato. Dopo la prima raccolta statutaria del 1308 (in cui il crimine era punito con una ammenda di 300 lire seguita dal bando perpetuo)26 ci fu un inasprimento delle sanzioni, con

l'introduzione nella nuova stesura del 1331 della condanna a morte per i maggiori di 18 anni27. Da allora in poi, nella misura in cui aumentava l'estensione del

controllo, le pene vennero tuttavia progressivamente mitigate. L'8 febbraio del 1458 la condanna capitale venne abolita28. Fu reintrodotta poco dopo29, ma

all'interno di una disposizione che, tenendo conto di molte variabili nella determinazione del grado di colpabilità del reo, riduceva considerevolmente le sue possibilità di applicazione. Il sistema delle pene si assestò da allora nella forma che è poi confluita negli Statuti del 1539, e che ha costituito il quadro di riferimento all'interno del quale si è articolata l'attività dell'Offitio, perlomeno negli anni in cui la documentazione ci ha consentito di studiarla. Per ragioni di sintesi e di chiarezza espositiva si è scelto di raccogliere in uno schema il contenuto delle pagine che stabilivano, in linea teorica, quale fosse la sorte a cui andavano incontro coloro che, nel Cinquecento, erano riconosciuti dalla giustizia lucchese colpevoli del crimine di sodomia:

26 Statuto del comune di Lucca dell’anno MCCCVIII ora per la prima volta pubblicato, in S. Bongi (a cura di), Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, tomo III, parte III, Lucca 1867, p. 230.

27 ASL, Stauti 4 (1331), libro I, cap. LCIII.

28 Sono sempre debitore del Salerni (cit.), per i riferimenti legislativi tra il Quattro e il Cinquecento. La disposizione è in ASL, CG 18, p. 99-102, 8 febbraio 1458.

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Pene per i sodomiti (Statuti del 1539)30

età del reo prima condanna seconda

condanna

terza condanna

minore di 14 Ad arbitrio degli officiali

maggiore di 14

minore di 18 25-50 battiture

Battiture 1 anno carcere

18-30 1 anno carcere

50 fiorini 2 anni carcere100 fiorini Pena capitale

30-50 berlina

2 anni 100 fiorini

Pena capitale

maggiore di 50 Pena capitale

Se paragonate alla asciutta semplicità della legge veneziana, che non prevedeva altra condanna che la pena di morte e in cui, tutt'al più, si discuteva su come infliggerla e se fosse giusto o meno attenuare le sofferenze dei condannati decapitandoli prima di sacrificarli sul rogo31, il parallelo tra le leggi fiorentine e

lucchesi si impone e le modalità con cui le due città toscane hanno proceduto nel trattamento della sessualità deviante emerge, allo stato attuale delle conoscenze, come un unicum nel quadro delle legislazioni anti-sodomitiche della prima Età Moderna. Firenze era giunta ad una sistemazione delle norme già nel 1432, in concomitanza con l'istituzione degli Officiali di notte. Eccone il prospetto, sintesi di una disposizione varata tra il 12 e il 13 aprile del medesimo anno:

30 Gli Statuti, cit.

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Le disposizioni fiorentine del 143232 età prima condanna seconda condanna terza condanna quarta condanna quinta condanna sesta condanna minore di 18

50 fiorini 100 fiorini 200 fiorini 500 fiorini pena di morte

maggio re

di 18 10 fiorini 25 fiorini 50 fiorini

100 fiorini un'ora di gogna in piazza della Signoria. 200 fiorini bando di un

anno pena di morte

Per quanto venisse dato evidentemente un peso molto diverso a Lucca e a Firenze alle variabili della età e della recidività, lo spirito che ispirava entrambi i provvedimenti era il medesimo e, nonostante non sia stato rinvenuto alcun documento che testimoni la volontà lucchese di adottare le strategie elaborate dal potente vicino, è assai probabile (anche alla luce della successione temporale dei provvedimenti nelle due città) che il governo della piccola Repubblica abbia scelto di fare propria una politica elaborata altrove.

Tuttavia, se una cosa è descrivere il corpo normativo che regolava l'attività processuale, certo è tutt'altra valutare la congruità tra le disposizioni legislative e la reale prassi giudiziaria. La stessa severa giustizia veneziana derogava con frequenza alla durezza delle norme. Nel corso del Cinquecento le pene di morte presero a diminuire nella Serenissima, lasciando il posto ad altre sanzioni, pur severe come la condanna alle galere a vita33 o al bando perpetuo, comminato per

lo più ai rei condannati in contumacia34.

Anche a Lucca, le pene inflitte con maggior frequenza dall'Offitio sopra l'Onestà erano più miti di quelle imposte dalle leggi, benché ne rispettassero sostanzialmente l'impianto, considerando la giovane età un'attenuante e la somma delle condanne una ragione, ovvia se si vuole, di inasprimento progressivo delle sanzioni. Un altro breve schema ci aiuterà a cogliere la discrepanza tra le norme

32 Ibid., pp. 41-42. 33 Ibid., pp. 144-145.

34 G. Martini, Il vizio nefando nella Venezia del Seicento. Aspetti sociali e repressione di giustizia, Roma 1988, p. 69.

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vigenti e la prassi applicativa e, al contempo, il relativo ordine con il quale gli officiali hanno fatto uso del loro potere arbitrario:

Pene prevalentemente inflitte dagli officiali

età pena corporale pena pecuniaria pena carceraria bando

10-14 12-25 staffilate 4 scudi 15 giorni 6 mesi

14-18 25 staffilate 4-8 scudi 1 mese 6 mesi – 1 anno

18-25 12.5 scudi 2 mesi 2 anni

25-35 12.5 scudi 2 mesi 2 anni

Tutte e quattro le soluzioni (pena corporale, pena pecuniaria, detenzione in carcere o bando) erano offerte alla scelta dell'imputato riconosciuto colpevole come equivalenti, e stava a lui decidere in che modo assolvere il proprio debito nei confronti della giustizia. Sebbene non per tutte le condanne emesse sia stato possibile risalire alla pena effettivamente scelta, in un'ampia maggioranza di casi (342), delle sintetiche annotazioni hanno riferito la volontà del reo. Le pene corporali sono state il 17.8 %, ma era frequente che fossero inflitte ai più giovani senza fornire loro altre alternative. La maggioranza relativa degli incriminati, il 32%, ha invece scelto il bando per “purgare” il crimine, mentre è di 27.4 la percentuale sul totale delle sanzioni pecuniarie esborsate dai rei. Solo una minoranza, il 16.6%, ha preferito scontare la propria pena con la detenzione nelle carceri del Sasso, e si è trattato, assai spesso, dei condannati più poveri.

Non erano molto frequenti i casi di recidività, o per lo meno, a fronte di molte persone che si sono ritrovate per più volte a rispondere dell'accusa (86), solo un'esigua minoranza ha subito più condanne. In questi casi il rigore della giustizia si è fatto sentire anche nelle camere del palazzo lucchese. Tra le “Sentenze e Bandi” del podestà compare, il 21 ottobre 1550, un elenco di 16 persone accusate di avere tutte, “più e più volte” dall'anno 1545 in poi, commesso il vizio

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sodomitico nella città di Lucca35. I minori coinvolti furono puniti a seconda dei

casi con 25 o con 50 “cinghiate”, mentre i colpevoli tra i 18 e i 30 anni si videro imporre una multa di 50 fiorini d'oro a cui, questa volta, non era affiancato in alternativa, ma imposto in aggiunta, un anno di bando. Due di essi, un certo Jacopo di Lucca e Baldassarre di Girolamo dal Fabbro, avendo già accumulato in passato una condanna a loro carico, videro raddoppiare la sanzione pecuniaria a 100 fiorini d'oro. Ma colui che si trovò a subire la peggiore delle sorti fu un loro coetaneo, Bastiano Stiabuzzotti. Era ormai alla sua terza condanna e il suo destino fu segnato da una secca frase, che la mano del notaio ha ben separato dalle altre: “igne comburi ita quod moriatur”36. Bisognerà attendere gli anni '80 del

Cinquecento per vedere di nuovo formulata questa sentenza.

Da parte loro, gli Officiali di Notte fiorentini non hanno inflitto che pene pecuniarie. A questo proposito Michael Rocke ha ipotizzato degli interessi di natura economica dietro l'estensione e l'ampiezza del controllo nella città medicea. In un periodo di grave crisi per le casse dello Stato, le magistrature autofinanziate avevano infatti il vantaggio di non gravare sui conti pubblici, contribuendo anzi a incrementarne gli introiti attraverso la riscossione delle sanzioni monetarie37.

Tenendo conto solo della documentazione relativa a questa magistratura si rischierebbe, tuttavia, di avere un'immagine troppo edulcorata dell'atteggiamento delle istituzioni della città medicea nei confronti del reato. Benché le multe fossero infatti di moderata entità (anche i più poveri, che hanno costituito la maggioranza degli imputati, erano in grado di pagarle), a Firenze non furono solo gli Officiali ad occuparsi di sodomia. Il compito della magistratura era impedire la diffusione del vizio sodomitico e il suo ambito di competenza erano i rapporti consensuali, mentre le corti ordinarie, come ad esempio gli Otto di Guardia, hanno continuato ad avere piena giurisdizione sui casi più gravi, come i casi di violenza o quelli in cui il crimine assumeva i connotati di un atto sacrilego (rapporti consumati in chiesa, relazioni tra cristiani ed ebrei). Anche nella “moderata” Firenze, furono quindi pur sempre sei le vicende giudiziarie che si sono concluse, tra il 1420 e il 1500, con un sodomita morto sul patibolo38.

35 ASL, Podestà, Sentenze e Bandi 264, fo: 268r-v. 36 Ibid., fo: 199 r-v.

37 Rocke, Forbidden friendships, cit., p. 53. 38 Canosa, Storia di una grande paura, cit., p. 46.

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Il rapporto tra le magistrature incaricate di perseguire la sodomia e il potere politico era molto simile tanto nelle due città toscane quanto nella “Serenissima Repubblica” di Venezia. Per quanto riguarda Lucca abbiamo già visto come l'Offitio sopra l'Onestà fosse un'espressione diretta del Gran Consiglio, del quale acquisiva, in virtù del meccanismo della delega, i pieni poteri in materia di giustizia. Il Collegium Subdomitarum veneziano era nato invece come una commissione interna al Consiglio dei Dieci, magistratura fondata in occasione della congiura Querini-Tiepolo, che nel 1310 aveva messo seriamente a rischio la tenuta delle istituzioni repubblicane. Investita inizialmente di “precise mansioni di polizia politica, atte a prevenire e reprimere qualsiasi tipo di attentato contro la sicurezza dello Stato”, nei secoli successivi la balìa, in virtù della sua rapidità e discrezionalità, fu soggetta ad una abnorme estensione delle competenze, che ne fecero una “espressione evidente di un progressivo sforzo di controllo oligarchico”, suscitando “non pochi conflitti di giurisdizione con altre magistrature”39. E non a caso, fu proprio al termine di un conflitto giurisdizionale

che nel 1418 i Dieci riuscirono a garantirsi il pieno controllo sulla sodomia, dopo anni di contenzioso con le magistrature ordinarie, soprattutto con i Signori di Notte40, che continuavano a rivendicare l'esercizio della loro autorità nel campo

della sessualità deviante. La prima volta che i Dieci avevano rivendicato la loro competenza in materia fu in occasione di uno scandalo che nel 1406 aveva visto coinvolti numerosi nobili e alcuni religiosi41. Dopo anni di aspre polemiche, in cui

i Signori di Notte furono accusati di corruzione e inadempienza, i Dieci ne ottennero la completa esautorazione con l'istituzione, il 6 aprile del 1418, del Collegium Subdomitarum42. A differenza della magistratura lucchese, quest'organo

aveva piena autorità nella fase investigativa e nell'istituzione dei processi, ma mancava della facoltà di giudicare: tutto il materiale raccolto doveva in ultima

39 Martini, cit., p. 26.

40 Organo costituito da sei membri “chiamati a tutelare l'ordine nelle ore notturne e a compiere indagini sulle turbolenze, sulla illegale detenzione di armi ed in generale sui fatti di violenza nei quali non fosse stato versato sangue”. Canosa, Storia di una grande paura, cit., p. 92.

41 Ruggiero, cit., p. 211 e sgg. (tutte le citazioni dall'opera si riferiscono all'edizione italiana); P.H. Labalme, Sodomy and Venetian Justice in the Renaissance, in «Revue d'histoire du droit», 52 (1984), pp. 217-55; Canosa, Storia di una grande paura, cit., pp. 95-98.

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istanza essere sottoposto all'autorità dei Dieci, ai quali spettava la decisione finale43.

A Firenze l'oligarchia di governo aveva da subito controllato direttamente la nomina degli Officiali di Notte, consentendo di eleggerli solo all'interno di una ristretta cerchia di persone selezionate dalla Signoria e dal Consiglio. Soltanto a partire dal 1446 furono consentite normali procedure elettorali, ma le restrizioni a cui rimaneva soggetta la scelta contribuivano a mantenere la magistratura sotto lo stretto controllo dell'élite politica e sociale. Cinque di essi dovevano infatti appartenere obbligatoriamente alle sette maggiori gilde, in cui erano rappresentati gli interessi dei grandi mercanti, dei banchieri, e dei ceti professionali e produttivi della città, mentre solo un membro era eletto dalle 14 gilde minori composte di artigiani e bottegai44.

I meccanismi di controllo politico della giustizia nella piccola repubblica di Lucca erano molto differenti e rispecchiavano non solo la peculiarità degli ordinamenti, ma anche le consuetudini e gli usi invalsi nella gestione del potere del “pacifico et populare Stato”. In primo luogo, a differenza che a Firenze, le corporazioni, pur di grande importanza nel determinare l'articolazione interna del mondo del lavoro, erano prive qui di qualunque peso e rappresentanza politica45.

In secondo luogo, il controllo delle cariche da parte dell'oligarchia non aveva bisogno di interventi artificiosi sul sistema elettorale. Infatti, nonostante il meccanismo delle elezioni, tanto per gli organi principali (il Consiglio Generale e gli Anziani46) quanto per gli Offiti minori, fosse pensato per favorire la rotazione

dei singoli membri, tutto a Lucca era ordinato affinché, dietro un rispetto formale dell'alternanza di governo, il controllo restasse nelle mani dell'oligarchia mercantile. Benché Lucca, scrive Marino Berengo, fosse “il governo più popolare d'Italia e nessuna sua deliberazione” venisse presa “se non alla presenza di un

43 Ruggiero, cit., p. 222.

44 Rocke, Forbidden Frienships, cit., p. 48. 45 Berengo, Nobili e mercanti, cit., pp. 7-8.

46 Il Consiglio Generale è il principale organo legislativo. Ha durata annuale ed è composto di 90 membri, 30 per ciascuno dei terzieri in cui è divisa la città. Gli Anziani, l'organo esecutivo, sono invece 10, il Gonfaloniere di Giustizia che ne presiede le sedute e nove membri eletti ogni due mesi da un collegio elettorale di 36 cittadini. I membri del Consiglio Generale sono invece scelti dagli Anziani e da una commissione di 12 cittadini. Nonostante il potere crescente dell'esecutivo, l'assemblea cittadina, radunandosi fino a tre volte alla settimana, è rimasta sempre “il vero cuore della vita repubblicana”. Impegnata in una intensa attività legislativa, nominava inoltre le magistrautre ordinarie e straordinarie. Ibid., pp. 22-23.

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centinaio di consiglieri”, tutti erano a conoscenza del fatto che “il problema risiedeva nel concentrarsi dell'autorità non in pochi cittadini, ma in poche famiglie”47. L'intera vita politica ruotava infatti intorno a 24 casati48 con un

sistema di bilanciamento dei poteri che impediva a ciascuno di emergere al di sopra degli altri49. Pur detenendo nelle loro mani quasi la metà dei seggi, questi

avevano saputo comunque assicurare, con grande sapienza strategica, un certo grado di rappresentanza anche ad un vasto numero di famiglie «mediocri», neutralizzandone così il potenziale sovversivo50.

La composizione dell'Offitio sopra l'Onestà rispecchiava perfettamente la distribuzione del potere all'interno dei principali organi politici della città. Dei 141 cittadini che hanno rivestito la carica di officiali nella seconda metà del secolo (più precisamente ci riferiamo a un campione che va dal 1545 al 1591) 58 (il 41%) erano membri dei 24 casati più rappresentati politicamente. A questi si sono affiancati membri di famiglie minori che avevano fatto ingresso per la prima volta nel governo nei primi decenni del Cinquecento come i Sanminiati51 (1511), i

Boccella52 (1526), i Lamberti53 (1528), i Mazzarosa54 (1529) e di altre, come i

Menocchi55 (1532), gli Orsucci56 (1532) e i Sinibaldi57 (1532), a cui le porte della

rappresentanza politica si erano aperte solo dopo il moto degli Straccioni58. La

47 Ibid., p. 31.

48 Poggi, Arnolfini, Bernardi, Trenta, Burlamacchi, Cenami, Guinigi, Balbani, Guidiccioni, Tegrimi, Rapondi Bernardini, Martini, Franciotti, Turrettini, Vellutelli, Del Portico, Mei, Nobili, Pini, Micheli, Serfederighi, Sergiusti, Serdini. Ibid., p. 28, nota.

49 Il moto dei Poggi e la sua repressione hanno segnato, con l'espulsione dell'importante consorteria dalla vita pubblica cittadina, l'unico tentativo, fallito, in questa direzione. Ibid. pp. 83-99.

50 Ibid., p. 128.

51 Ludovico Sanminiati è stato officiale nel 1548 (ASL, Riformagioni Pubbliche, CG 42, p. 573, 9 nov. 1547) e nel nel 1565 (Ibid. 51, p. 355, 23 nov. 1564).

52 Ampiamente rappresentata la famiglia dei Boccella. Giovanni Maria è stato eletto come membro dell'Onestà nel 1550 (Ibid. 44, p. 553, 19 nov. 1549), Giuseppe per tre volte nella seconda metà del secolo: nel 1570 (Ibid. 56, p. 415, 30 nov. 1569), nel 1581 (Ibid. 66, p. 612, 23 nov. 1580) e nel 1590 (Ibid. 74, p. 833, 9 dic. 1589).

53 Girolamo nel 1550 (ibid. 44, p. 553, 19 nov. 1549), Nicolao nel '62 (ibid. 50, p. 761, 17 nov. 1561), Pietro nel '71 (ibid. 57, p. 475, 20 nov. 1570) e Antonio nel '77 (ibid. 63, p. 437, 26 nov. 1576).

54 Fabio Mazzarosa fu uno dei “tre sopra l'Onestà” nel 1572 (ibid. 58, p. 509, 2 dic. 1571). 55 Vincenzo, officiale nel 1585 (ibid. 70, p. 457, 7 dic. 1584).

56 Sul finire del secolo, furono investiti della responsabilità di perseguire il “nefando vizio” Giovanbattista, nel 1585 (ibid. 70, p. 457, 7 dic. 1584), e Jacopo nel 1588 (ibid. 73, p. 392, 7 dic. 1587).

57 Vincenzo nel 1559 (ibid.) e Augusto nel 1580 (ibid. 65, p. 451, 23 nov. 1579).

58 Ringrazio Alessandro Ragagli per avermi fornito l'elenco delle riformagioni in cui si indicevano le elezioni annuali dell'Offitio. Per quanto riguarda invece le date in cui le famiglie sono entrate per la prima volta a far parte del ceto di governo la fonte è ASL, Libro d'oro della

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violenta rivolta dei tessitori, scoppiata nel 1531, aveva infatti avuto come sbocco politico l'inclusione nella classe dirigente, in una posizione di secondo piano, di quelle famiglie medie e “comode” che si erano messe a capo dell'anonima schiera dei rivoltosi59.

Tuttavia, il ceto mercantile-nobiliare lucchese non è stato coinvolto nell'attività dell'Offitio solo in veste di giudice, ma spesso ha anche visto dei suoi membri seduti sul banco degli imputati. La trasversalità sociale degli inquisiti è infatti una costante dell'attività delle magistrature che in Italia si sono occupate di sessualità deviante. Abbiamo già visto come a Venezia, la nascita stessa del Collegium subdomitarum era stata anticipata dal passaggio di competenze dai Signori di Notte ai Dieci proprio in occasione dello scandalo che aveva visto coinvolti, accanto ad anonimi popolani, diversi membri del patriziato veneziano. Ancora nel Cinquecento, fonti di natura diversa (testi legislativi, prediche, diari privati e scritti di polemisti) testimoniavano le crescenti preoccupazioni per la corruzione del ceto dirigente. “Che debbo io dire et scrivere, sapientissimi lectores” – scriveva nei suoi diari il patrizio Girolamo Priuli – “dei Patritij et Senatorij Venetti, provecti di etade, pieni di sapientia, cum la barba canuta, che in questo sgomorreo vitio errano tanto immersi et suffochati?”60. A Firenze furono

ben 503 (circa il 12% del totale) i rappresentanti delle più influenti famiglie comparsi tra il 1478 e il 1502 davanti alla giustizia a rispondere dell'accusa di sodomia. Rocke ha poi ristretto l'indagine a quel gruppo selezionato di 110 lignaggi riconosciuti negli studi di Anthony Molho61 come il cuore più profondo

dell'élite fiorentina, il vertice della sua vita sociale e politica, per rilevare che anche al suo inetrno l'ampia maggioranza (91) ha avuto almeno un membro62

nobiltà lucchese, 1826-1847, “Del tempo in cui ciascheduna famiglia cominciò ad havere de' Signori”, p. 30-31.

59 Berengo, Nobili e mercanti, cit., pp. 117-146. Le contestazioni furono scatenate dalla riforma degli statuti della “Corte dei mercanti”, che riduceva considerevolmente la libertà dei tessitori di produrre e vendere in proprio senza passare per il controllo e l'intermediazione dei potenti che controllavano il grande commercio.

60 R. Cessi, A. Segre (a cura di), I diarii di Girolamo Priuli, cit., vol. IV, pp. 35-36. Citazione tratta da Canosa, Storia di una grande paura, p. 137.

61 A. Moholo, Marriage Alliance in Late Medievale Florence, Cambridge (Massachusetts) 1994. 62 Furono 8 gli Adimari e 5 gli Alberti. Gli Altoviti, i Bardi e i Capponi hanno contato

rispettivamente 10, 4 e 6 imputati, come 8 furono i Cavalcanti, 4 i Frescobaldi e 3 i Guicciardini. Neanche i Medici, con 9 imputati, si sono sottratti alle accuse. Pandolfini e Peruzzi, 4; 5 i Soderini e gli Strozzi, mentre nell'ordine furono 6, 9 e 12 gli incriminati tra i familiari dei Pucci, dei Ridolfi e dei Ruccellai. Rocke, Forbidden Friendships, cit., pp. 141-2.

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coinvolto in un processo per sodomia presso gli Officiali di Notte o dinnanzi agli Otto di Guardia. Sembra tuttavia che gli Officiali si siano dimostrati in questi casi più restii a formulare sentenze di condanna. Le lamentele per queste ingiustizie hanno talvolta raggiunto gli stessi magistrati. Un accusatore segreto nel 1494 aveva denunciato l'iniquità degli officiali, accusandoli di condannare la povera gente rimandando illesi i potenti. Una sentenza di assoluzione per il nobile Niccolao di Giovanni Corsini, registrata nel 1470, è stata commentata da un anonimo “glossatore” (che aveva avuto evidentemente accesso agli atti dei processi) con la lapidaria nota a margine: “mentirono per la gola”63.

Il paragone con Venezia non sarebbe in questo caso del tutto appropriato, dal momento che la maggiore severità delle pene potrebbe avere favorito, nel caso di illustri imputati, le pressioni politiche per la loro assoluzione. Stupisce forse ancor meno, quindi, che nella Serenissima i nobili riuscissero con maggiore facilità degli altri imputati a sfuggire la condanna a morte, riuscendo a convertirla in un bando a vita spesso ridotto a un esilio di soli due anni64.

Dal canto loro, le fonti lucchesi hanno consentito di risalire all'estrazione sociale (attraverso la presenza di un nome familiare o l'indicazione del mestiere) di circa 1100 persone coinvolte nell'attività dell'Offitio. Ben 333 erano appartenenti al ceto mercantile e di governo65, e tra queste una sessantina

appartenevano alle 24 principali famiglie. Altrettanti erano i membri di casati di più recente affermazione, per lo più entrati a governare dopo il moto degli Straccioni. Non è semplice determinare quale fosse l'atteggiamento dei magistrati nei loro confronti a partire da una disamina delle condanne. Infatti, la maggioranza degli appartenenti di famiglie ricche o agiate rinvenuti nelle fonti (200 su 333) si trovano sfortunatamente proprio in quel sesto volume, il repertorio di nomi, più povero di informazioni e meno affidabile66. Se però prendiamo in

63 Ibid., p. 145.

64 Canosa, Storia di una grande paura, cit., p. 108.

65 Abbiamo qualche – giustificata – reticenza ad utilizzare il termine nobile (e altri consimili come ceto nobiliare etc.) per descrivere l'oligarchia lucchese: la definizione era a Lucca abbastanza desueta ancora nel Cinquecento. In fondo, nobile lo è diventato, nel corso del secolo, chi governava. Il passaggio tardivo, prima ancora di trasformarsi in un irrigidimento della figura sociale del mercante e uomo di governo lucchese, è stato testimoniato, a un livello in principio solo verbale, dalla progressiva traslazione cinquecentesca, negli atti notarili, dall'appellativo di “civis et mercator” a quello di “nobiles viri”. Berengo, Nobili e mercanti, cit., pp. 256-257.

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considerazione il materiale processuale conservato in maniera pressoché integrale abbiamo una percentuale di condanne per i restanti 133 inquisiti, che si aggira intorno al 40%, dato non trascurabile, certo, ma ben al di sotto della media dell'82% calcolata sul campione complessivo dei processati. L'élite del “pacifico et populare stato” ha dunque goduto di un moderato favoreggiamento da parte degli Officiali al momento in cui erano formulate le sentenze definitive, ma non ha mai avuto la garanzia di una piena impunità ed è stata sempre oggetto del vigile controllo dei magistrati, che pure erano espressione dello stesso ceto politico e di governo.

che hanno subito sanzioni sono il 20.4% del totale, mentre la percentuale complessiva dei condannati tra le persone coinvolte nell'attività dell'Offitio è del 24.6%.

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Cap. II

La prassi

Tra il XIII e il XIV secolo gli statuti comunali dedicavano uno spazio crescente alle materie criminali, e quasi ovunque, a cavallo tra Medioevo ed Età Moderna, includevano un libro in cui queste erano trattate sistematicamente67. La

dilatazione degli ambiti di competenza del penale era uno strumento politico fondamentale nella ridefinizione degli assetti di potere, il cui utilizzo strategico era trasversale, e interessava tanto le comunità politiche che difendevano il loro carattere “di popolo” quanto quelle che viravano verso forme di governo di tipo signorile. “La giustizia, e in particolare la giustizia cresciuta intorno al penale” – scrive Andrea Zorzi – “servirono infatti il processo di affermazione politica di nuovi gruppi sociali e familiari, e di legittimazione dei nuovi assetti di potere”68. Il

proliferare delle magistrature straordinarie (e l'estensione delle loro competenze ai reati contro la morale) sono stati, in realtà come Lucca e Firenze, uno dei principali strumenti di questa affermazione. Nel XV secolo si dipanava, infatti, “un'intensa offensiva pubblica verso quelle pratiche sociali e quelle abitudini comportamentali contrarie al generale sistema di valori e di codici morali della civitas”, come “la sessualità deviante”, le “molestie al clero”, il “lusso”, il “gioco d'azzardo”, la “blasfemia” e la “corruzione degli ufficiali pubblici”69. L'affermarsi

di una giustizia “attiva” attraverso lo sviluppo delle procedure «ex-officio», in

67 A. Zorzi, Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell'Italia comunale, in M. Bellabarba, G. Schwerhoff, A. Zorzi, Criminalità e giustizia in Germania e in Italia.

Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed Età Moderna, Bologna 2001,

pp. 13-34 (v. pp. 21-22). 68 Ibid., p. 13.

69 Id., L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze 1988, p. 56 e, in generale, pp. 56-63. Del medesimo, cfr. La giustizia al tempo di

Savonarola. Rappresentazioni culturali e pratiche politiche, in Girolamo Savonarola. L'uomo e il frate: atti del XXXV convegno storico internazionale, todi, 11-14 ottobre 1998, Spoleto 1999.

Se l'attenzione rivolta dalle istituzioni giudiziarie al controllo dei costumi era il segno tangibile dell'estensione delle competenze dello Stato, la riflessione giuridica forniva, sul piano teorico, la legittimazione intellettuale delle nuove forme di potere. Compito principale di notai, cancellieri e funzionari fu quello di imporre agli occhi dei sudditi l'affermazione della certezza di sé del potere statale. Grazie a quest'opera di legittimazione, lo Stato si impose come realtà oggettiva e assoluta a cui era dovuta obbedienza per implicita adesione: “lo Stato si affermò soltanto rimuovendo in universis hominibus la convinzione che il suo potere o la sua attività fossero in qualche modo sindacabili” (M. Montorzi, Fides in Rem Pubblicam. Ambiguità e

tecniche del diritto comune, Napoli 1984, p.12). Sulla legittimazione intellettuale delle nuove

forme di potere bedi anche P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica

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luogo della giustizia “reattiva”, che mirava piuttosto alla composizione dei conflitti interni alla comunità, fu uno degli aspetti principali di questo profondo processo di trasformazione70. Il procedimento accusatorio, che poteva essere

avviato da qualsiasi privato, vedeva il giudice collocarsi in una posizione di arbitro super partes ed era improntato a criteri di pubblicità e oralità. L’inquisitio era invece determinata dall’iniziativa («ex-officio») del magistrato, che guidava tutto lo svolgimento del processo, curava l’assunzione delle prove e rivestiva ordinariamente il ruolo di accusatore e quello di giudice71. Il primo tipo di

procedura presupponeva una parte offesa, che spesso richiedeva un giusto risarcimento, e riguardava perciò reati «privati» che, “per loro natura, non erano considerati destabilizzanti per l'ordine pubblico e sociale dello stato”72.

L'inquisitio era invece la procedura in uso per i reati «pubblici», quelli che, nelle parole del Priori – giurista veneto del Seicento – «principalmente si commettono in offesa di Dio, ovvero del principe o che spettano all'interesse e utilità pubblica»73.

Per quel che riguarda la persecuzione della sodomia, gli Statuti lucchesi davano ai “tre sopra l'Onestà” la possibilità di procedere tanto per accusa quanto per inquisizione. Tale duplicità non era però una peculiarità della nostra magistratura. Nel suo insieme, la giustizia lucchese, e i molti Offiti chiamati ad amministrarla, disponevano, per quasi ogni tipo di reato, di questo doppio canale. La quarta parte degli Statuti, quella dedicata al diritto criminale (“punire i maleficii”), si apriva con un capitolo introduttivo che, sotto il chiaro titolo “Di procedere contra gli delinquenti” tracciava in linea generale i principi che regolavano la persecuzione dei reati penali. Il primo ad essere introdotto, dopo l'obbligo per ciascun giudice di perseguire con quanto più zelo possibile i crimini di sua competenza, era proprio quello in virtù del quale era concesso “a ciascheduno giudice [...] secondo apparterrà alla sua giurisditione di procedere sopra qualunque eccessi et delitti [...] tanto per accusa, quanto anchora per

70 Zorzi, Negoziazione penale, cit. p. 21-22 e p. 13. Sull'affermazione delle procedure ex-officio, vedi X. Rousseaux, Initiative particulière et poursuite d'office. L'action Penale en Europe

(XII-XVIII siècles), in «International Association for the History of Crime and Criminal Justice

Bulletin» 1993 (18), pp. 58-92

71 E. Dezza, Accusa e inquisizione dal diritto comune ai codici moderni, Milano, 1989, p. 4-5. 72 Martini, cit., p. 74.

73 L. Priori, Prattica criminale secondo il rito delle leggi della Serenissima Repubblica di

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inquisitione, et per officio, et con dinuncia de consoli, et senza dinuncia”. Tuttavia, nonostante la molteplicità di opzioni, anche la giustizia lucchese, nel suo insime, pendeva decisamente in favore della procedura inquisitoria. Si specificava infatti, nel passo successivo, che, nel caso in cui “pendente il processo cominciato per inquisitione, sopravvenisse lo accusatore” non si dovesse fermare l'inquisizione, dal momento che, in tal caso, la procedura accusatoria sarebbe potuta servire a salvarlo da eventuali indagini, se era coinvolto nel crimine. Ma ancor più rivelatore in questo senso è il passo successivo, in cui si consentiva, al contrario, di sospendere sempre ed in ogni momento la procedura accusatoria per intraprendere quella inquisitoria se al giudice fosse parso necessario investigare contro lo stesso accusatore, per verificarne eventuali correità rispetto ai crimini denunciati74.

Quello che era peculiare degli officiali sopra l'Onestà era invece la totale arbitrarietà del potere loro concesso e la sospensione di tutte le norme a tutela di inquisiti e accusati normalmente previste negli Statuti. Ad essi era infatti concessa

ogni autorità, et balia, la quale ha il Consiglio Generale, in ricercare, investigare et procedere, et non siano stretti da alcune leggi, over statuti, ma procedere, ricercare, et investigare siano tenuti, et omissa ogni solennità, et sustantialità di ragione et statuti, et come alla discretione loro parrà, in modo che licito sia al ditto Officio ogni modo, et via per haver la verità summaria75

La verità summaria. Non c'è quindi da stupirsi che, in questa deregolamentazione, non sia stato sempre possibile comprendere in quale modo fosse dato il “la” ai processi, se con procedura inquisitoria, accusatoria, o per via “mista”. Talvolta le procedure giudiziarie prendevano avvio dalla denuncia della parte lesa di uno stupro. In qualche caso sono stati i genitori di ragazzini abusati a presentarsi nel ruolo di querelanti. Un tessitore di Val d'Ottavo, Giovanni Tomei, si recò a Palazzo nel marzo del 1552 per chiedere giustizia della violenza subita da “Giovanni Paulo suo figlio di età di anni nove in circa”:

sono circa due mesi che vedendoli la pelaia et vaiuolo et domandando et 74 Gli Statuti della città di Lucca, cit., libro IV, cap. I.

Riferimenti

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