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Caratteristiche del genere

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Academic year: 2021

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2. I REPORTAGE

2.1. Caratteristiche del genere

Una delle espressioni principali del realismo proletario fu il reportage. Il termine “reportage” arrivò negli Stati Uniti dall’Unione Sovietica e, in seguito, si stabilì come genere letterario americano con caratteristiche strettamente legate al contesto sociale e letterario degli anni della Depressione. John Reed fu uno dei primi ad accogliere questa forma di giornalismo e a fornire i primi esempi di reportage, come nel caso di Ten Days That Shook the World, pubblicato nel 1919, che racconta la rivoluzione russa del 19171. Egli promosse un tipo di giornalismo dallo stile vivace, in grado di cogliere la crisi dell’America contemporanea analizzandone le ripercussioni sulle comunità e sui singoli individui; inoltre, fu tra i primi a dare all’inviato speciale un ruolo militante.

L’obiettivo del reportage era quello di descrivere in maniera dettagliata la crisi economica che sconvolgeva l’America, ma non attraverso gli occhi di un osservatore esterno che si limitava a descrivere i fatti superficiali che gli si presentavano di fronte, ma attraverso quelli di chi stava vivendo la Depressione in maniera diretta: gli operai, i poveri, i disoccupati, le donne e i senzatetto. Il reporter viveva in mezzo alla gente, parlava con chi stava

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Cfr. C. COINER, Better Red. The Writing and Resistance of Tillie Olsen and Meridel

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facendo esperienza della crisi sulla propria pelle, ascoltava le storie delle persone incontrate e le riportava così come le aveva sentite, in modo che il pubblico potesse riconoscersi in ciò che leggeva. Al contrario del giornalista tradizionale, il reporter doveva essere un “participant observer”, era necessario, cioè, che prendesse parte agli eventi che raccontava e desse libero sfogo alle proprie sensazioni e riflessioni per influenzare quelle del lettore e fare in modo che anche questo fosse indotto a riflettere2. Tutto ciò doveva contribuire a promuovere un’azione e a smuovere gli animi affinché avessero ulteriori motivazioni per continuare la lotta di classe.

Il Partito Comunista degli Stati Uniti (CPUSA) appoggiò totalmente questa forma di scrittura, infatti, la gran parte dei reportage furono pubblicati sui periodici del partito, anche perché risultavano essere un utile strumento attraverso il quale diffondere la necessità di un impegno collettivo nella lotta al capitalismo.

Charlotte Nekola descrive con queste parole il reportage evidenziandone i tratti caratteristici e la valenza sociale:

It was the ideal form of writing for revolutionary and proletarian aesthetic: it was “true”, without the distortions or excess of bourgeois individualistic fiction; it used the individual in the service of the mass; it raised political consciousness by linking one person with larger political movements; it replaced private despair with mass action3.

Sempre Nekola sottolinea come il reportage sia stata una delle principali forme di scrittura attraverso le quali le donne degli Anni Trenta hanno imparato a raccontare se stesse e il mondo femminile, trasformando l’“I” dell’osservatore in un “we” capace di racchiudere l’intera esperienza femminile.

2

Ibidem.

3

C. NEKOLA, “Worlds Unseen: Political Women Journalists and the 1930s”, in C. Nekola e P. Rabinowitz (a cura di), Writing Red. An Anthology of American Women

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Fu proprio attraverso la scrittura di reportage che Meridel Le Sueur, nel corso degli Anni Trenta, poté dare voce al suo impegno politico e poté raccontare il mondo di quelle donne e di quei lavoratori con i quali veniva a contatto ogni giorno e la cui esperienza meritava di essere riportata e accolta come esempio di lotta, forza e speranza.

Nei paragrafi successivi saranno analizzati i tre reportage tradotti per il presente lavoro e si mostrerà quanto, seppur diversi per soggetti rappresentati e, nel caso dell’ultimo, per periodo storico di riferimento, siano tra loro simili per ciò che riguarda le caratteristiche stilistiche e tematiche che investono non solo il genere reportage, ma l’intera narrativa di Le Sueur.

2.2. “Women on the Breadlines”

“Women on the Breadlines” raccoglie le storie di alcune delle donne che Meridel Le Sueur conobbe durante il periodo di lavoro prestato presso la Workers’ Alliance di Minneapolis. Il punto di vista con il quale presenta queste storie non è quello del funzionario al di sopra delle parti che scruta e giudica chi si trova in condizioni peggiori delle sue, bensì quello di una donna che vive le stesse esperienze e sofferenze delle persone che incontra ogni giorno. Abbiamo, infatti, già parlato di quanto fu duro il periodo della Depressione in America e di quanto lo fu anche per Le Sueur che, nonostante provenisse dalla “middle class”, si trovò ad affrontare significative difficoltà economiche che la portarono a rivolgersi agli enti assistenziali e a svolgere lavori occasionali per poter continuare a scrivere.

Sebbene, durante questi anni, l’immaginario collettivo fosse abituato a pensare e a vedere soprattutto gli uomini nelle file per un pasto o a mendicare per le strade, anche le donne dovettero affrontare il problema della disoccupazione, della fame, dell’abbandono da parte dei loro uomini e

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della disillusione rispetto al proprio futuro. Meridel Le Sueur fu una delle prime scrittrici a dare spazio a queste figure femminili altrimenti non considerate dalle statistiche sociali, ma che rappresentavano quell’universo al quale lei ha sempre voluto dar voce.

Il testo è strutturato in cinque sezioni nelle quali, dopo una parte introduttiva riguardante la collocazione spazio temporale, si alternano, a mo’ di ritratti, le storie di alcune delle donne conosciute da Le Sueur. Il luogo in cui è ambientata la vicenda è un ufficio di collocamento nel quale, giorno dopo giorno, si recano ragazze, madri e mogli che sperano di trovare un lavoro, ma sono, allo stesso tempo, consapevoli del fatto che questo lavoro non arriverà mai perché nessuno ha da offrirne. Le donne in attesa sono tutte accomunate dallo stesso triste destino: soffrono la fame, hanno bisogno di un’occupazione che permetta loro di comprare del cibo per se stesse e per i propri figli, si vergognano terribilmente per la loro condizione e cercano di affrontarla con dignità.

Il primo ritratto presentato è quello di Bernice, una polacca di trentacinque anni che ha sempre lavorato come domestica e che conserva ancora un atteggiamento fiducioso nei confronti della vita. È una donna sola, arrivata in città da una fattoria del Wisconsin, adora la compagnia della gente, ma ha dovuto imparare a diffidare delle persone, in quanto, per la sua ingenuità, è stata più volte truffata. I tempi difficili l’hanno costretta a rinunciare ai suoi sogni, primo fra tutti quello di sposarsi e avere una famiglia, perché avrebbe rischiato di essere abbandonata dal suo uomo e di dover provvedere da sola, senza un lavoro, ai propri figli, come è accaduto alle sue amiche. Ha dovuto rinunciare anche al sogno di costruirsi una casa, perché non ha i soldi sufficienti neppure per procurarsi un pasto al giorno, quindi quello che le resta da fare è continuare a cercare un lavoro e vivere di espedienti pur di sopravvivere.

La seconda sezione descrive due ragazze, Ellen e una sua amica, della quale non viene detto il nome, ma la cui storia è simile a quella di tante altre

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donne. Ellen, dopo aver atteso per diversi mesi che le venisse assegnato un lavoro, un giorno ha un acceso diverbio con la funzionaria dell’ufficio di collocamento e la prega di darle una qualsiasi occupazione. La donna, che ogni giorno siede dietro la stessa guardiola e si trova di fronte queste ragazze disperate, ammette di non poterla aiutare e commenta di non riuscire più a sopportare la sofferenza e la disperazione che vede quotidianamente. Questo personaggio permette all’autrice di inserire una considerazione riguardo alla classe al potere, o almeno riguardo ai rappresentati di una classe che ancora ha di che vivere e che non riesce a comprendere totalmente il disagio altrui. La funzionaria, infatti, si lamenta di aver perso l’appetito da quando lavora alla Young Women Christian Association (YWCA) e di avere spesso incubi durante la notte, ma non considera che le ragazze, che si recano nel suo ufficio tutti i giorni, sono state costrette a rinunciare al cibo e al sonno4.

L’altra ragazza, invece, si limita a raccontare di aver visto la sua amica Ellen dietro un ristorante nel tentativo di attirare l’attenzione del cuoco e di altri uomini per avere in cambio del cibo. La storia di questa ragazza è simile a quella di tante altre donne che si dimostrano prive di pietà e compassione nel giudicare chi si trova nella loro stessa condizione perché, dice Le Sueur, sono “unable to see through the mist of their own torment”5, ma dentro di loro sanno che quello è il destino che attende tutte.

L’ultimo ritratto riguarda la signora Gray, una donna di cinquant’anni che ha ormai perso ogni speranza nel futuro, dopo aver trascorso la vita a

4

Cfr. S. SIPPLE, “‘Witness [to] the Suffering of Women’: Poverty and Sexual Transgression in Meridel Le Sueur’s Women on the Breadlines”, in D. M. Bauer e J. McKinstry (a cura di) Feminism, Bakhtin and the Dialogic, State University of New York Press, Albany 1991, pp. 135-153, qui p. 141.

5

M. LE SUEUR, “Women on the Breadlines”, in E. Hedges (a cura di), Ripening.

Selected Work, 1927-1980, The Feminist Press, New York 1982, pp. 137-143, qui p. 139.

(Da ora in poi le citazioni tratte da questo testo verranno indicate con la sigla “WB” e le pagine tra parentesi).

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lavorare e ad allevare i propri figli. Ora è tormentata da un tumore che le fa percepire ancora più intensamente l’inutilità di un’esistenza trascorsa nel dolore e nella fatica ed è incapace di sentirsi viva perché “she has borne more than it is possibile for a human being to bear. She is reduced to the least possible denominator of human feelings” (“WB”, 142).

La sezione centrale sospende la presentazione delle persone in attesa all’ufficio di collocamento per aprire una parentesi ricca di riflessioni della scrittrice, la quale invita a pensare all’umiliazione che molte donne sono costrette a sopportare nel momento in cui non hanno altra scelta di fronte a sé che quella di vendere il proprio corpo:

It’s very difficult and humiliating to sell one’s body.

Perhaps it would make it clear if one were to imagine having to go out on the street to sell, say, one’s overcoat. Suppose you have to sell your coat so you can have breakfast and a place to sleep, say, for fifty cents. You decide to sell your only coat. You take it off and put it on your arm. The street, that has before been just a street, now becomes a mart, something entirely different. You must approach someone now and admit you are destitute and are now selling your clothes, your most intimate possessions. Everyone will watch you talking to the stranger showing him your overcoat, what a good coat it is. People will stop and watch curiously. You will be quite naked on the street. It is even harder to try to sell one’s self, more humiliating (“WB”, 140).

Le Sueur invita anche a chiedersi dove vadano tutte quelle donne che indubbiamente soffrono la fame e sono senza lavoro, ma che non sono contemplate dalle statistiche sociali, né si incontrano per strada a mendicare o nei dormitori pubblici. La risposta è che, devastate dalla sofferenza e prive di speranza, queste donne continuano a lottare per la propria vita nel silenzio e nell’isolamento, accontentandosi di vivere alla giornata dato che hanno dovuto rinunciare al sogno di un futuro e di una famiglia:

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of work and hungry. There are not many women in the bread line. There are no flop houses for women as there are for men, where a bed can be had for a quarter or less. You don’t see women lying on the floor at the mission in the free flops. They obviously don’t sleep in the jungle or under newspapers in the park. There is no low I suppose against their being in these places but the fact is they rarely are. […] A woman will shut herself up in a room until it is taken away from her, and eat a cracker a day and be as quiet as a mouse so there are no social statistics concerning her (“WB”, 140-141).

Questi brani permettono una considerazione riguardo allo stile di Le Sueur in “Women on the Breadlines”. L’autrice si serve di una scrittura semplice e diretta, capace di catturare in frasi e paragrafi brevi le vite scarne dei personaggi descritti, in questo modo, le storie, tutte raccontate al presente, risultano immediate e sempre attuali. Il discorso, quindi, è essenziale e sobrio, privo di ricercatezza e ampollosità; la frase mira a descrivere in modo quasi schematico la situazione per far sì che il lettore abbia subito chiaro il quadro della storia e dei personaggi. Si possono osservare, come esempi di questo tratto stilistico dell’autrice, le seguenti frasi: “I am sitting in the city free employment bureau. It’s the women section” (“WB”, 137), “Bernice sits next to me. She is a Polish woman of thirty-five. She has been working in people’s kitchens for fifteen years or more” (“WB”, 138).

I ritratti delle “donne in fila per un pasto” sono disposti secondo una struttura a climax ascendente in negativo: Bernice, infatti, rappresenta la donna che conserva ancora la propria dignità e cerca di sopravvivere svolgendo dei lavori occasionali; Ellen, che dopo mesi trascorsi nell’attesa di un lavoro arriva a compiere l’atto di vendere il proprio corpo pur di continuare a vivere, rappresenta chi è costretto ad arrendersi perché non trova alternative, ma che riesce ancora a tenere accesa la speranza in un futuro; e infine la signora Gray è l’esempio più degradante, in quanto, dopo anni trascorsi a lavorare e a prendersi cura dei propri figli, non le rimane più

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alcuna speranza ed è anzi “a living spokesman for the futility of labor” (“WB”, 142).

Nel reportage compaiono personaggi dei quali si conosce non solo la storia, ma anche il nome, e altri che invece rimangono anonimi, come la funzionaria della YWCA e l’amica di Ellen. Tale stratagemma è usato spesso da Le Sueur: le storie di personaggi anonimi simboleggiano una situazione comune e più generale, mentre quelle di personaggi ben definiti coinvolgono maggiormente il lettore, portandolo a diretto contatto con la realtà descritta.

Allo stesso scopo contribuisce un altro elemento caratteristico della tecnica narrativa di questo reportage: l’alternanza della prima persona singolare, “I”, e della prima persona plurale, “we”. Il soggetto singolare, infatti, descrive il punto di vista di Le Sueur e racconta la sua storia, quello plurale, invece, allarga le vedute mostrando come la medesima situazione sia condivisa da più soggetti e, in questo caso, dall’intera comunità femminile.

Proseguendo nell’analisi della tecnica narrativa del testo, notiamo come, nonostante si tratti di un pezzo giornalistico, “Women on the Breadlines” non sia una forma di scrittura oggettiva in quanto Le Sueur è non solo un’osservatrice degli eventi riportati, ma vi è coinvolta in prima persona. Il narratore è quindi un esempio del cosiddetto “participant observer” che descrive e si identifica totalmente con le donne e le loro sofferenze. Le Sueur, quindi, racconta e nello stesso tempo inserisce nel testo delle riflessioni volte a suscitare dei pensieri nel lettore. Le stesse domande presenti nel reportage sono dirette a quest’ultimo per guidarlo nelle sue considerazioni e perché non resti impassibile di fronte a tali eventi: “Is there any place else in the world where a human being is supposed to go hungry amidst plenty without an outcry, without protest, where only the boldest steal or kill for bread, and the timid crawl the streets, hunger like the beak of a terrible bird at the vitals?” (“WB”, 137). E ancora “[…] there must be

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as many women out of jobs in cities and suffering extreme poverty as there are men. What happens to them? Where do they go?” (“WB”, 141). Ugualmente devono far riflettere le affermazioni perentorie del narratore che, nel finale del testo, riassume quali sono le paure principali delle “destitute women”: “It’s not the suffering of birth, death, love that the young reject, but the suffering of endless labor without dream, eating the spare bread in bitterness, being a slave without the security of a slave” (“WB”, 143).

Dal punto di vista stilistico emergono vari elementi caratteristici del genere reportage che Le Sueur sfrutta in modo magistrale. Si è già parlato della brevità delle frasi e dell’assenza di artifici retorici che rendano la drammaticità delle esperienze narrate, ma si possono qui sottolineare altri due elementi stilistici che impreziosiscono il discorso di Le Sueur, volti però non alla ricercatezza quanto più a catturare le emozioni e le vite delle donne: l’antitesi e il linguaggio figurato.

L’antitesi è una “figura retorica che consiste nella contrapposizione di parole o concetti”6 e della quale Le Sueur e altri scrittori del periodo fecero largo uso. Constance Coiner pone l’accento sui vari livelli ai quali può agire tale figura: può essere evidente al livello della frase o agire in quello più ampio dell’organizzazione del discorso, può essere utilizzata per descrivere condizioni fisiche oppure psicologiche e può stabilire due polarità contrapposte di un medesimo discorso7. In questo reportage, Le Sueur contrappone le due realtà della ricchezza e della povertà in cui si trovano immerse le donne da lei presentate, ma se la ricchezza appartiene al mondo degli “exploiters”, il mondo ben più vasto dei lavoratori si trova a vivere nella sofferenza e nella fame, a temere l’arrivo dell’inverno durante il quale il freddo sarà un ulteriore nemico da affrontare e a vagare in cerca di un

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T. DE MAURO, Il dizionario della lingua italiana, Paravia Bruno Mondatori Editori, Milano 2000, p. 139.

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lavoro inesistente che aiuti a sopportare più dignitosamente la povertà. Un altro elemento antitetico emerge dalla storia di Bernice che al sogno di costruirsi una casa e una famiglia deve contrapporre la triste realtà di non poter realizzare i propri desideri perché impossibilitata economicamente.

Fin da questo reportage, abbiamo modo di analizzare l’abbondante uso di immagini e metafore di cui Le Sueur si serve per rendere più vividi i racconti e perché il lettore sia in grado di riconoscere nel testo quella realtà che ogni giorno vede davanti ai propri occhi. Ne sono esempio le mani di una delle donne in fila nell’ufficio di collocamento che sono paragonate a “watersoaked branches” (“WB”, 139), o il corpo della signora Gray che è una “great puckered scar” (“WB”, 142), perché queste donne hanno dovuto sopportare anni di fatiche e lavori in cui anche il loro corpo ha perso vigore e femminilità. Il corpo femminile è qui, come in altri testi di Meridel Le Sueur, l’elemento che meglio esprime su di sé le gioie e i dolori della vita ed è l’unico “oggetto”, suggerisce Susan Sipple, che le donne possono sfruttare a proprio vantaggio: “Without realizing it, Ellen reveals that femininity is nothing more than a social construct; it can be manipulated, used to a woman’s advantage, put on and taken off at will”8.

“Women on the Breadlines” fu pubblicato nel 1932 su New Masses, nonostante esponesse tematiche generalmente non considerate dal giornale e dal partito, con uno stile spesso definito eccessivamente lirico. Infatti, nonostante la capacità della scrittrice di catturare in forma diretta le storie delle “donne in fila per un pasto”, il giornale evidenziò come la sua scrittura si allontanasse da quell’intento didattico e quella precisione predicati dal “realismo proletario” di Michael Gold. L’abbondante uso del linguaggio figurato, la tendenza alla poeticità piuttosto che alla semplicità, dettero modo ad alcuni editori del giornale di dubitare sull’efficacia del pezzo e soprattutto sull’interpretazione che i lettori avrebbero potuto darne. Per questo, ritennero necessario inserire una nota che evidenziasse la presa di

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distanza del giornale dalla natura disfattista del pezzo e chiarisse invece la linea militante che si intendeva perseguire:

This presentation of the plight of the unemployed women, able as it is, and informative, is defeatist in attitude, lacking in revolutionary spirit and direction which characterize the usual contribution to New Masses. We feel it is our duty to add, that there is a place for the unemployed woman, as well as man, in the ranks of the unemployed councils and in all branches of the organized revolutionary movement. Fight for your class, read The Working Woman, join the Communist Party9.

Questa precisazione da parte del partito, non impedì a Le Sueur di continuare a descrivere le vicende delle donne durante la Depressione e a esaltare la loro capacità di affrontare i problemi. L’intento dei suoi reportage era, come abbiamo detto, quello di dare voce a quell’universo femminile non considerato dalle statistiche del tempo e al quale non veniva dato spazio nelle opere letterarie. Le Sueur vuole far emergere le donne e la forza da esse dimostrata nella lotta per la sopravvivenza, nonché l’aspetto che riguarda il loro sapersi relazionare con la società, tra loro e con la terra. Il fine ultimo al quale mira l’autrice è quello di trovare “in the common bond of suffering among women the source of solidarity that gives rise to political involvement and commitment”10.

Le figure femminili rappresentano il soggetto più ricco di significato nell’opera di Le Sueur, tuttavia si può notare come l’autrice in alcuni testi tenda a differenziare le donne della “working class” e quelle della “middle class”. Le prime, infatti, appaiono più vicine alla terra e al mondo della natura e quindi più sensibili a una comunicazione con essa; le donne borghesi, invece, sono spesso bloccate in questo rapporto dalla propria

9

Citato in C. COINER, Better Red, cit., p. 96.

10

J. BERGLUND, “Meridel Le Sueur”, in S. Rosendale (a cura di), Dictionary of

Literary Biography. Volume 303. American Radical and Reform Writers. First Series,

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estrazione sociale. In “Women on the Breadlines” possiamo individuare questa distinzione nei passaggi in cui la scrittrice distingue le “virgin women” dalle “destituite women”, e la funzionaria della YWCA dalle donne che vi si recano in cerca di lavoro. Le “virgin women” rappresentano, infatti, quelle donne che si trovano in buone condizioni economiche e che cercano di offrire aiuto a chi è meno fortunato di loro, o che, seppur immerse nella crisi, non cedono alla disperazione spogliandosi della propria dignità. Si tratta di donne “vergini” soprattutto dal punto di vista morale e che quindi godono del rispetto dei membri della loro classe perché mantengono fede ai propri valori. Le “destitute women”, invece, sono viste, da queste stesse donne, con sospetto perché, al contrario, tentano il tutto e per tutto per cercare di andare avanti e spesso arrivano al punto di vendere il proprio corpo se l’ufficio di collocamento non è in grado di dar loro un lavoro. Nel quadro tratteggiato da Le Sueur, tuttavia, si nota una maggiore solidarietà con il secondo gruppo di donne perché capaci di affrontare anche le prove più dure della vita pur di continuare a viverla, e anzi si può intravedere una sottile critica rivolta a quelle donne che giudicano le loro compagne e non arrivano a comprendere la loro sofferenza.

In altre opere, tra cui “Wind” e “Annunciation”, si potrà notare come Le Sueur renda meno netta questa distinzione individuando nella donna, a prescindere dalla sua estrazione sociale, la capacità di relazionarsi al mondo della natura e all’essenza vera della vita in modo più spontaneo e diretto di quanto non sappia fare l’uomo.

2.3. “I Was Marching”

Pubblicato nel 1934 su New Masses, “I Was Marching” può essere definito come il manifesto politico di Le Sueur. In questo reportage, infatti,

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l’autrice esprime il desiderio di ribellarsi alla sua origine borghese e di identificarsi con la “working class” per sentirsi parte attiva di quella lotta di classe che vedeva svolgersi intorno a sé e alla quale non aveva ancora avuto il coraggio di unirsi.

Il testo descrive la partecipazione della scrittrice al “Teamsters Strike”, tenutosi a Minneapolis dal 16 maggio 1934, e l’importanza che questo evento ha rivestito nella sua vita. Il “Teamsters Strike” fu uno sciopero durante il quale i camionisti e altri lavoratori della città si unirono in protesta contro il governo, bloccando per diversi mesi ogni possibilità di accesso e uscita dalla città a tutti i non aderenti allo sciopero. Il 20 luglio, che verrà ricordato come “Black Friday”, la polizia aprì il fuoco contro gli scioperanti, provocando il ferimento di sessantasette persone e la morte di due. In onore di questi ultimi, 10.000 lavoratori si unirono in una marcia di protesta in seguito alla quale ottennero la resa del governatore, Floyd Olson, e della Citizen’s Alliance, da sempre contraria ad ogni forma di organizzazione sindacale11.

Come evidenzia Laura Coltelli nel suo saggio, originariamente il testo era diviso, dal punto di vista strutturale, in sei sezioni scomparse nelle ristampe successive, ma utili per comprendere le fasi attraverso le quali l’autrice giunge alla totale partecipazione allo sciopero e si fonde con la realtà della classe operaia12.

In apertura del testo, Le Sueur dichiara di non aver mai potuto prendere parte a uno sciopero a causa della sua provenienza sociale che l’ha portata a dare più valore alle parole che alle azioni.

I have never been in a strike before. [...] If you come from the middle class,

11

Cfr. C. COINER, Better Red, cit., p. 102.

12

Cfr. L. COLTELLI, Le radici della memoria. Meridel Le Sueur e il radicalismo

americano degli Anni Trenta, Quattroventi, Urbino 2001, p. 82.

(Nel testo in Salute to Spring, utilizzato per la traduzione del presente reportage, la divisione in sezioni non compare, ho avuto modo, però, di reperirla sul sito http://xroads.virginia.edu/~MA01/White/anthology/proletarian.html).

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words are likely to mean more than an event. You are likely to think about a thing and the happening will be the size of a pin point and the words around the happening very large, distorting it queerly13.

Lei, come altri membri della borghesia, è stata abituata a riflettere a lungo sugli eventi e le loro conseguenze, piuttosto che ad agire per ottenere qualcosa. Per questo motivo è sempre rimasta estranea alle manifestazioni di massa, pur sentendo crescere dentro di sé il desiderio di capire e avvicinarsi a quelle persone che lottavano per essere ascoltate. Chiarisce, quindi, che il motivo per cui ha deciso di raccontare questa esperienza è proprio quello di far capire agli uomini e alle donne della “middle class”, che, come lei, sono rimasti a lungo a guardare le masse degli scioperanti senza spingersi all’azione, che è giunto il momento di uscire dagli schemi mentali borghesi e vivere l’esperienza della lotta comune, perché ormai non è più possibile rimanere neutrali di fronte a certi avvenimenti: “I am putting down exactly how I felt because I believe others of my class feel the same as I did. I believe it stands for an important psychic change that must take place in all”, perché “now in a crisis the word falls away and the skeleton of that action shows in terrific movement” (“IWM”, 177-178), e inoltre “In these terrible happenings you cannot be neutral now. No one can be neutral in the face of bullets” (“IWM”, 180).

In questa prima sezione, Le Sueur prosegue illustrando un ulteriore motivo per il quale si teneva lontana dalla partecipazione allo sciopero: il timore di perdere la propria identità, di trovarsi immersa in una massa senza avere un nome e un ruolo preciso, sentendosi quindi privata di tutte le certezze costruitasi nel corso della vita. La formazione borghese e intellettuale, ci dice la scrittrice, porta gli individui ad essere quasi totalmente concentrati su se stessi, ad adoperarsi per il miglioramento della

13

M. LE SUEUR, “I Was Marching”, in Salute to Spring, International Publishers, New York 1940, pp. 177-191, qui p. 177. (Da ora in poi le citazioni tratte da questo testo verranno indicate con la sigla “IWM” e le pagine tra parentesi).

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propria condizione personale e a percepire chi, intellettuale non è, come inferiore e diverso, non come individuo con il quale poter condividere un’esperienza di impegno collettivo:

The truth is I was afraid. Not of the physical danger at all, but an awful fright of mixing, of losing myself, of being unknown and lost. I felt inferior. I felt no one would know me there, that all I had been trained to excel in would go unnoticed. […] I felt I excelled in competing with others and I knew instantly that these people were NOT competing at all, that they were acting in a strange, powerful trance of movement together. […] I felt I was born out of every kind of life, thrown up alone, looking at other lonely people, a condition I had been in the habit of defending with various attitudes of cynicism, preciosity, defiance, and hatred (“IWM”, 178-179).

Tuttavia, dopo essersi recata al quartier generale degli scioperanti per diversi giorni, si rende conto di quanto sia importante abbandonare l’apatia e l’ipocrisia borghese e farsi coinvolgere da un evento che sarà la molla di tante azioni future in cui le divisioni sociali non avranno più alcun peso: “I knew this action to be prophetic and indicative of future actions and I wanted to be part of it” (“IWM”, 179).

Nelle sezioni centrali vediamo come gradualmente il coinvolgimento di Le Sueur nello sciopero si fa più concreto. Una volta entrata nell’edificio del quartier generale, infatti, decide di rendersi utile svolgendo qualche lavoro. È tentata dal rivolgersi all’ufficio che offre “some special work” (“IWM”, 180), quindi, un lavoro probabilmente più adatto alla sua estrazione sociale, ma lo supera. Vede un cartello che invita le persone a rendersi riconoscibili indicando su un distintivo il nome del sindacato di appartenenza, ma decide di non prenderlo. A questo punto si trova immersa nella folla e nella confusione e viene indirizzata a svolgere una mansione tutt’altro che speciale: lavare le tazze del caffè per gli scioperanti. Rifiutando di prendere il distintivo, Le Sueur sceglie di dedicarsi al proprio compito nell’anonimato perché capisce che la singola identità ha valore

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solo se inserita in un contesto più ampio in cui ognuno ha un ruolo utile alla causa comune. Aiutando le donne della Women’s Auxiliary, Le Sueur si rende conto di aver preso parte alla “most intense and natural organization” [she has] “ever felt” (“IWM”, 183) e si accorge di non poter più tornare indietro. Si tratta di un’organizzazione molto simile a quella di una fabbrica, in cui ogni lavoratore ha una mansione da svolgere nell’interesse del risultato finale. In questa “fabbrica” Le Sueur ha modo di osservare la divisione del lavoro tra uomini e donne. I primi si lanciano nel vivo della protesta, mentre le seconde lavorano nelle retrovie e si occupano di offrire sostegno morale e materiale ai loro uomini (preparando loro del cibo, curando le loro ferite e partecipando alla marcia).

Le ultime due sezioni descrivono il momento successivo all’attacco della polizia contro gli scioperanti e durante il quale un uomo perde la vita. Tutti si preparano per la manifestazione in onore del defunto e per far sentire in maniera ancor più decisa la loro voce. Nell’assistere all’organizzazione dell’evento e nel vedere tutte quelle persone che insieme si muovono per raggiungere un unico obiettivo, Le Sueur si rende conto che, per la prima volta nella sua vita, si sente parte di qualcosa e si sente viva:

It is curious, I feel most alive and yet for the first time in my life I do not feel myself as separate. I realize then that all my previous feelings have been based on feeling myself separate and distinct from others and now I sense sharply faces, bodies, closeness, and my own fear is not my own alone, nor my hope (“IWM”, 187).

A questo punto, sente svilupparsi intorno a sé un movimento che è fisico, ma anche ideologico, un movimento di corpi del quale lei stessa fa parte e del quale solo ora comprende il valore: “No matter how many times I looked at what was happening I hardly knew what I saw” (“IWM”, 188). Si tratta di un movimento nel quale ogni corpo si unisce all’altro per darsi forza e sostegno a vicenda, e, attraverso la partecipazione a questo

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movimento, Le Sueur raggiunge la consapevolezza di aver finalmente infranto quelle barriere che le impedivano di sentirsi parte di un progetto collettivo e capisce di aver vissuto un’esperienza che le cambierà la vita. Questa consapevolezza viene espressa nella chiusa del reportage con una frase che è al tempo stesso espressione di stupore, ma soprattutto di conquista: “I was marching” (“IWM”, 191).

Sebbene il soggetto di questo reportage sia lo sciopero dei camionisti, il tema centrale è la necessità della formazione di una coscienza di classe, di una “communal sensibility”. Le Sueur comincia a sentirsi parte del movimento di massa dal momento in cui si mette al servizio degli scioperanti, dapprima lavando le tazze e servendo il caffè ai camionisti, poi curando le loro ferite nell’infermeria. In seguito, pur continuando a sentirsi perplessa riguardo al suo ruolo nella manifestazione in quanto non appartenente alla classe operaia, partecipa al corteo e fonde se stessa con gli altri dimostranti e anziché sentirsi “lost” e “gone” (“IWM”, 185) come all’inizio, percepisce l’unione del suo corpo con quello della massa e con il movimento da essa condotto: “I felt my legs straighten. I felt my feet join in that strange shuffle of thousands bodies moving with direction, of thousands of feet, and my own breath with the gigantic breath” (“IWM”, 191). L’identificazione con la massa in protesta, quindi, deve essere sia fisica sia morale, in quanto si deve credere nell’azione e bisogna prenderne parte in prima persona. Come, infatti, ricorda Rideout, il vero potere risiede nella “working class” e nella capacità dei lavoratori di unirsi nella lotta per i propri diritti:

It is the fusing power of the mass which integrates and makes purposeful the drifting worker or the helpless, tortured member of the middle class; it is this fusing power which makes a strike possible, turns a congeries of individuals into one hard fist, hurls the working class again and again against its

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oppressors14.

La narrazione del reportage è condotta in prima persona dall’autrice che è quindi allo stesso tempo narratore onnisciente e osservatore partecipe. In questo modo Le Sueur non si limita a descrivere i fatti così come sono avvenuti, ma inserisce le proprie percezioni personali, immaginando che altri membri della sua classe sociale provino le stesse sensazioni, ma al contrario di lei si limitino a fare da spettatori dell’azione piuttosto che a prenderne parte. Ad essi, infatti, è indirizzato il messaggio del reportage. La narrazione, inoltre, si sviluppa in un crescendo di emozioni volte a descrivere il momento finale della completa partecipazione al movimento di massa. Questo effetto è dato da diversi elementi stilistici e strutturali presenti nel testo.

Primo fra tutti, come accennato in precedenza, la suddivisione in sezioni tematiche costruite secondo un climax ascendente, per cui si ha prima un’introduzione riguardo ai sentimenti di paura e le ragioni dell’indecisione della protagonista a prendere parte allo sciopero, si procede, nelle sezioni centrali, con la descrizione del graduale avvicinamento della stessa al luogo e all’attività dello sciopero, per poi terminare con la sua totale identificazione con la “working class”.

Altro elemento di rilievo è l’uso dei tempi verbali: nel corso della narrazione si può notare, infatti, l’alternanza del tempo passato (nella forma del “past simple” e del “past continuous”) e del tempo presente (nella forma del “present simple” e del “present continuous”). È questo un tratto stilistico spesso utilizzato da Le Sueur, in particolar modo nei reportage, con l’intento di rendere l’immediatezza dell’azione in quei passaggi in cui si vuole invitare il lettore a riflettere sul carattere sempre attuale del messaggio o lo si vuole rendere maggiormente partecipe all’azione

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W. B. RIDEOUT, The Radical Novel in the United States 1900-1954. Some

Interrelations of Literature and Society, Harvard University Press, Cambridge 1956, p.

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descritta. Pertanto, notiamo che la parte introduttiva, in cui la scrittrice conduce una riflessione critica riguardo alla società borghese americana, è tutta narrata al presente (“Besides, in American life, you hear things happening in a far and muffled way” (“IWM”, 177)), passa poi al tempo passato nella descrizione dei primi avvicinamenti al quartier generale dello sciopero e del suo ingresso (“For two days I heard of the strike” (“IWM”, 178)), ma torna poi al presente quando parla delle azioni da lei stessa svolte nella cucina dello “headquarters” (“The forewoman sets me to washing tin cups” (“IWM”, 182)). Pertanto, se anche lo sciopero è un evento passato, le dinamiche che l’hanno caratterizzato sono sempre vive e attuali e sono quelle che dovrebbero continuare a formare le coscienze.

Oltre che dai tempi verbali, l’immediatezza dell’azione è resa dalla sintassi delle frasi: in questo testo Le Sueur utilizza spesso frasi brevi, che esprimono un concetto in modo chiaro e diretto servendosi della semplice struttura soggetto-verbo-complementi (“I have never been in a strike before”, “For two days I heard of the strike”, “I stayed close to the door, watching. I didn’t go in” (“IWM”, 177-178)).

Un quarto aspetto di resa stilistica da sottolineare è l’utilizzo delle immagini. Come già detto, la scrittura di Le Sueur è molto descrittiva e si serve spesso di accostamenti di termini in grado di creare nella mente del lettore immagini vivide, volte anch’esse a rendere l’immediatezza dell’azione e a suscitare nel lettore dei pensieri o delle reazioni. In questo brano le immagini sono legate al campo semantico del calore, che poi è anche simbolo dell’ardore e della passione con la quale la “working class” si dedica alla realizzazione della “communal sensibility”. Per cui in vari passaggi la scrittrice ci informa dell’alta temperatura (“The termometer said ninety-nine” (“IWM”, 181)), del calore che regna nell’aria (“the heat is terrific” (“IWM”, 183)) e descrive uomini e donne accaldati e sudati perché impegnati nello svolgere i loro compiti (“hot men and women” (“IWM”, 180), “heat rising from them” (“IWM”, 188)). Ulteriore immagine

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dall’elevato valore metaforico è quella riguardante l’unione dei corpi. Si tratta di un’unione d’intenti che però diventa anche fisica in quanto “If you are to understand anything you must understand it in the muscular event” (“IWM”, 185).

Con Coiner15, possiamo poi individuare un ultimo elemento stilistico di questo testo che abbiamo avuto modo di analizzare anche in “Women on the Breadlines”, l’uso della figura retorica dell’antitesi. In questo caso la contrapposizione viene giocata tra il punto di vista del lavoratore che si trova immerso nel flusso dell’azione e quello dell’intellettuale borghese che si nasconde dietro l’apatia della propria ideologia di classe e si limita ad osservare da un punto di vista privilegiato. È proprio una delle donne della Women’s Auxiliary a far notare a Le Sueur l’opposizione tra il mondo intellettuale e quello operaio: “The woman said without looking at me, nodding to the palatial house, ‘It is sure good to see the enemy plan like that.’ ‘Yes,’ I said. I saw that the club was surrounded by a steel picket fence higher than a man” (“IWM”, 181). E più avanti è la stessa scrittrice a notare l’atteggiamento dei “middle class men”: “An elegant café stood across the street with water sprinkling from its roof and splendidly dressed men and women stood on the steps as if looking at a show” (“IWM”, 187). Da questi stessi passaggi, ma soprattutto dall’intero dispiegarsi dell’azione descritta nel reportage, viene evidenziato un altro elemento antitetico: quello che vede contrapporsi il “dentro” al “fuori”. L’interno, infatti, è l’ambito d’azione (se così può definirsi) della “middle class”, che rimane chiusa nel proprio limitato ambiente e tenta così di proteggersi dai movimenti che avvengono all’esterno, laddove questo diviene luogo della “working class” che per le strade agisce e protesta.

Come si può notare anche in questo testo sono presenti alcuni dei tratti caratteristici del “proletarian realism” di Gold e la capacità di Le Sueur di sfruttarli e rielaborarli per raccontare il tema che a lei stava più a cuore: la

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necessità di far emergere il mondo femminile e delle figure di donne. Anche qui, come in “Women on the Breadlines”, si può evidenziare la centralità data da Le Sueur alla relazione tra le donne e la società e delle donne tra loro: è, infatti, una donna, l’autrice stessa, colei che descrive gli eventi legati allo sciopero e colei che in prima persona vive l’esperienza della lotta di classe e dell’impegno collettivo.

2.4. “The Dark of the Time”

L’ultimo reportage preso in esame, fu pubblicato su Masses and Mainstream nel 1956. Scritto negli anni in cui Le Sueur fu osteggiata dalla politica del senatore McCarthy, “The Dark of the Time” descrive un periodo buio e di disagio non solo nella carriera della scrittrice, ma anche nella società americana. Il reportage, infatti, rende testimonianza della situazione degli Anni Cinquanta, in cui vigeva un senso di spaesamento dovuto allo scoppio della guerra in Corea e alla crescita delle tensioni razziali a causa dello spostamento di bianchi e neri dal sud del paese16.

Il testo racconta un viaggio compiuto da Le Sueur dal nord verso il sud degli Stati Uniti con l’intento di visitare il luogo in cui Nancy Hanks diede alla luce Abraham Lincoln. Come accennato nel primo capitolo, tra gli Anni Cinquanta e Settanta, Meridel Le Sueur, pur incontrando numerose difficoltà nella pubblicazione dei propri testi, continuò a dedicarsi all’attività letteraria e all’impegno politico e compì numerosi viaggi in autobus durante i quali raccolse le esperienze dirette delle persone e da cui risultarono diversi reportage e articoli. L’occasione del viaggio permette all’autrice di entrare in contatto con tutte quelle persone che durante gli anni della Guerra Fredda e dell’imperversare della politica capitalista vivono il disagio del cambiamento e dell’incertezza del proprio futuro e le

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dà modo di riflettere sulla situazione corrente. Le Sueur raccoglie le esperienze di queste persone parlando con loro o ascoltando le loro conversazioni, dipingendo uno spaccato di vita americana allarmante e sconcertante.

Anche questo reportage è diviso in sezioni che, oltre a definire le tematiche portanti del testo, scandiscono le fasi del viaggio della scrittrice e i suoi pensieri.

Nella prima sezione, Le Sueur definisce quello che è il tema principale dell’intero reportage: la triste realtà del capitalismo e le ipocrisie di cui si nutre e a causa delle quali “our people in America are in deep anguish”17. Il capitalismo viene dipinto come un sistema totalmente illusorio, incapace di offrire certezze, ma piuttosto guerra, morte, sofferenza, povertà, divisioni sociali e razzismo. Sono le parole stesse delle persone incontrate da Le Sueur durante il suo viaggio a mettere in evidenza il fatto che il capitalismo porti con sé solo negatività, illusioni e incertezze: “The thing about capitalist ‘things’, commodities, is that they are not permanent” (“DT”, 231), dice un uomo che viaggia tra il nord e il sud Dakota; “Nothing in a job”, dice un altro, “you can work all your life and where are you? I done everything [...]. Nothin’ in it”(“DT”, 233).

Spinto dalla ricerca di quella stabilità perduta, il popolo americano si mette in movimento sperando di trovare condizioni di vita migliori. Esso è mosso dalla consapevolezza che lo stare fermi ad aspettare che le cose cambino non porti a niente e anzi è spinto al movimento proprio dall’insegnamento offerto da chi è già caduto in rovina: “return to the dust of earth, to the angry lean men and the risen dust of wrecked men and women” (“DT”, 232). Questo “dark flux of all on the move” (“DT”, 231) vede incontrarsi donne, bambini, soldati, prostitute, lavoratori, tutte persone

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M. LE SUEUR, “The Dark of the Time”, in E. Hedges (a cura di), Ripening, cit., pp. 231-239, qui p.231. (Da ora in poi le citazioni tratte da questo testo verranno indicate con la sigla “DT” e le pagine tra parentesi).

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che viaggiano mosse dalla speranza di cambiare la propria condizione, ma consapevoli dell’insuccesso al quale vanno incontro. Come è stato sottolineato nel paragrafo dedicato ad “I Was Marching”, per Le Sueur il movimento fisico genera un movimento ideologico, infatti per lei “the source of American culture lies in the historic movement of our people” (“DT”, 239). Solo attraverso l’unione tra individui dalle vite e dalle esperienze più disparate si può sperare in un miglioramento collettivo. In questo caso poi, il movimento più che volto all’unione della massa in previsione della lotta, deve condurre alla terra, a quella fonte di certezza, di forza e di vita che tanta importanza ha nella poetica di Le Sueur. “Let us all return” (“DT”, 239) è l’invocazione finale pronunciata dall’autrice a sostegno delle preghiere di quei soldati che ha incontrato nell’ultima fase del suo viaggio e che invocavano proprio un ritorno alla terra, alle origini, alla semplicità e all’essenza della vita:

Home! Return, return, he says, there’s where we went on Sunday for a picnic, the fishing hole, the orchards, the prairies, the haying… the green corn knee-high by Fourth of July. Oh God’s country this is, let me return… Bring me back, that’s all I ask. Receive me, furrow. Plow deep for me, Indian valley, bring me home around the world. Oh! he cries, this country! Oh my country. There ain’t nothin’ better (“DT”, 238-239).

A differenza del tono di “I Was Marching”, però, quello che permea questo testo appare maggiormente pessimistico. A vent’anni di distanza dal suddetto reportage, Meridel Le Sueur sembra essersi resa conto ancora di più delle conseguenze dell’avvento del capitalismo e di quanto la lotta per avversarlo non abbia ottenuto i risultati sperati.

Nelle sezioni centrali del testo vengono scandite le varie tappe del viaggio di Le Sueur per giungere a Elisabethtown e vengono descritte le persone incontrate. Meridel incontra dapprima una donna, che viaggia verso Chicago con i suoi figli, la quale le riporta alla mente l’immagine di Nancy Hanks: “Nancy Hanks I’m sure had a body like this, ill nourished, thin yet

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strong, gaunt, a little tall, black hair, blue snapping eyes, the weight and burden strained through a sharp militant humor” (“DT”, 232). Anche in questo testo, quindi, è centrale la figura di una donna, una donna che ancora una volta occupa una posizione marginale nell’immaginario collettivo perchè offuscata dalla figura più autorevole del figlio: Abraham Lincoln. Di lei nessuno sa niente nella cittadina dove è vissuta, e l’umile luogo dove ha messo al mondo il proprio figlio è reso ancor più insignificante dall’imponente monumento costruito in onore di quel figlio. Un destino, il suo, simile a quello di tante donne costrette all’anonimato a causa del proprio genere, e delle quali lei diviene emblema:

But here the woman unnamed, the cabin of her agony within the edifice of governing man, the thoughts of sages, all male, engraved around the solemn marble; around the wild unknown woman, hidden in the thought of man, bitted within an old dead idea, yet wild and strong she is yet in the body of all women (“DT”, 237).

Il secondo incontro vede come protagonisti due uomini che discutono riguardo i loro progetti futuri, tanto ambiziosi quanto privi di slancio e contenuti. Uno si sta recando a Cincinnati per concludere un affare, ma le sue intenzioni sono tutt’altro che serie, vi dedicherà il tempo necessario per farsi un bel gruzzolo; l’altro vorrebbe trovarsi un lavoretto che gli permetta di comprarsi un’auto, ma anche le sue intenzioni suonano futili in quanto ammette di non dare alcun valore alla propria vita: “I don’t give ten cents for my own life. Not one cent” (“DT”, 233).

Significativi sono poi altri due episodi/incontri: quello alla stazione di Louisville e quello sul treno diretto a St. Paul. Nel primo, Le Sueur assiste a una lite tra un venditore di scommesse bianco e un soldato di colore. Viene quindi messo in evidenza quanto fossero ancora forti, in quegli anni, le tensioni razziali e quanto fossero accentuate proprio da quel movimento di massa, di cui abbiamo parlato, che ha messo a contatto individui di origini e ceto sociale diversi. Sul treno, invece, Le Sueur incontra alcuni soldati

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diretti nelle rispettive città per un periodo di licenza, e si scontra con la triste realtà della guerra in Corea, della morte che questa ha portato con sé e della perdita di fiducia nel futuro che ha causato nei ragazzi che si sono trovati a combatterla senza volerlo e senza sapere perché.

Ogni persona incontrata lungo il percorso, seppur diversa dall’altra per vissuto ed estrazione sociale, vede davanti a sé lo stesso triste destino, un destino di sconfitta e privo di speranza.

Ad accentuare questo concetto contribuiscono le tante immagini di morte e decadenza diffuse nel testo: le bare, l’oscurità, la terra morente. Nell’ultima sezione, tuttavia, nell’intento di ribaltare queste immagini di morte, ancora una volta Le Sueur fa un monito agli intellettuali, chiarendo quale deve essere la loro posizione e il loro compito nella situazione attuale. Un compito in grado di infondere nuova speranza nel popolo americano e che deve essere svolto con intensa partecipazione al fine di infiammare gli animi, altrimenti non raggiungerà alcun obiettivo:

[…] the artist must become voice, messenger, awakener, sparking the inflammable silence, reflecting back the courage and the beauty. He must return really to the people, partisan and alive, with warmth, abundance, excess, confidence, without reservations, or cold and merely reasonable bread, or craftiness, writing one thing, believing another, the superior person, even superior in theoretic knowledge, an ideological giant, but bereft of heart and humility (“DT”, 239).

Dal punto di vista stilistico, il reportage è molto complesso perché permeato da un intenso tono lirico. Tale liricità è suggerita sia dal significato metaforico che soggiace a tutto il testo, sia da alcuni accorgimenti di carattere linguistico e sintattico.

Di notevole importanza è la metafora riguardante la donna che è simbolo della terra americana, del luogo in grado di offrire riparo e di accogliere i figli oppressi e feriti dalla vita, ma anche capace di dare la vita a uomini valorosi in grado di trasformare il paese con la loro opera. Nancy

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Hanks rappresenta questa donna che è anche terra, e come lei anche la madre incontrata sull’autobus. Si è già accennato alla metafora riguardante il movimento delle persone che è simbolo di un ritorno alla terra, ma si può aggiungere qui che il suo significato si estende a quello del ritorno alla vita e alla voglia di rendere questa vita ancora degna di essere vissuta. In ultimo si può sottolineare un passaggio del testo dall’alto valore metaforico:

I was going to Elisabethtown in the dawn and I was startled deeply for the earth was red, gashed, ad if steeped in blood, man-red in the dawn that flooded the tipped spring moon which seemed to pour a blood light over us. I remember I heard the earth was red here but it is startling to see it, red earth out of which came Abe, from the red dawn of Nancy Hanks too (“DT”, 235-236).

Qui l’immagine prevalente è quella del colore rosso, diffuso dal sorgere del primo sole, che dà alla terra una tonalità simile al sangue. Con questa immagine, Le Sueur vuole esprimere il concetto dell’uguaglianza di tutti gli uomini, un’uguaglianza che viene loro dall’essere tutti figli della stessa terra e di avere nelle vene lo stesso sangue, perciò, in funzione di questa uguaglianza, gli uomini dovrebbero unirsi nel tentativo di un miglioramento reciproco.

Sintatticamente, il testo è costituito da periodi lunghi e articolati, in cui, ancora una volta, Le Sueur alterna l’uso del tempo presente e del tempo passato in un modo che, in alcuni casi risulta spiazzante, ma che contribuisce a rendere l’immediatezza del discorso e a dare l’idea che l’azione si stia svolgendo nello stesso momento in cui è raccontata. I dialoghi non sono delimitati da segni interpuntivi quali due punti, lineette o virgolette, ma anzi sono inseriti all’interno della narrazione formando un tutt’uno con essa. Il lettore riesce comunque a seguire l’alternarsi delle voci grazie all’abilità dell’autrice di creare delle distinzioni tra la voce narrante e le persone con le quali questa si trova a dialogare o delle quali riporta i discorsi. In un’intervista all’autrice, infatti, Neala Schleuning ha messo

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l’accento proprio su questa capacità di Le Sueur di saper cogliere le voci della gente e di saperle riportare con fedeltà in quanto convinta che proprio dalle persone vengano i veri significati delle cose:

Neala: You’ve really captured the “people’s” language and not the academicians’ words and forms and structures. […]

Meridel: I think all the great language comes from the oppressed. […] All lyricism, poetry, symbols, archetypes came from the working class. I learned speech from the farmers and workers. It was the only lyrical, poetic, living speech that I heard – on the street, the market, the farm, the church, the radical hall18.

In conclusione si può affermare che, se anche quest’ultimo reportage è stato scritto con uno scarto temporale di vent’anni rispetto a “Women on the Breadlines” e “I Was Marching”, ruota intorno allo stesso tema dei testi precedenti: la necessità di un cambiamento sociale e ideologico che porti con sé un miglioramento collettivo e rompa le barriere che impediscono agli individui di agire per un fine comune e sentirsi parte della terra americana fisicamente e moralmente.

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N.SCHLEUNING, America: Song We Sang Without Knowing. The Life and Ideas of

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