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IINNSSTTAABBIILLIITTAA’’ FFLLUUIIDDOODDIINNAAMMIICCHHEE:: IINNDDAAGGIINNEE SSPPEERRIIMMEENNTTAALLEE SSUULLLL’’IINNDDUUTTTTOORREE FFAASSTT22 INDAGINE SPERIMENTALE SULL’INDUTTORE FAST 2 7 INSTABILITA’ FLUIDODINAMICHE:

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(1)

INDAGINE SPERIMENTALE

SULL’INDUTTORE FAST 2

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2

Nelle turbomacchine ad uso spaziale la necessità di disporre di velocità di rotazione e di densità di potenza sempre più elevate ed al tempo stesso l’esigenza fondamentale di limitare i pesi, hanno aumentato la possibilità, anche in assenza di fenomeni cavitanti, di avere fallimenti strutturali causati da instabilità.

Nei paragrafi seguenti verranno descritti i principali fenomeni di instabilità seguendo una delle molteplici classificazioni riportate in letteratura [1]: in particolar modo verranno trattate le instabilità fluidodinamiche con un rapido accenno a quelle rotodinamiche. Particolare attenzione verrà rivolta all’individuazione ed all’analisi delle instabilità fluidodinamiche riscontrate sull’induttore FAST2 di AVIO.

(2)

7.1

Classificazione dei fenomeni di instabilità

Data la complessità e la varietà dei fenomeni di instabilità, che sono ancora oggi materiale per nuove ricerche, la letteratura [Brennen[1]] ha individuato un sistema di classificazione che divide le possibili forme di oscillazione del flusso in tre differenti categorie al cui interno si possono distinguere un certo numero di fenomeni.

  

 Oscillazioni globali del flusso

Sono fenomeni vibratori che coinvolgono oscillazioni del flusso su larga scala, quali:

 “Stallo rotante” e “Cavitazione rotante”

Tali fenomeni possono emergere se alla macchina è richiesto di funzionare ad angoli di incidenza elevati, vicini al valore dell’angolo per cui le pale possono subire lo stallo. Spesso succede che lo stallo si manifesti inizialmente su un ristretto numero di pale adiacenti e che questa “cella stallata” si propaghi circonferenzialmente ad una velocità pari ad una frazione della velocità di rotazione della macchina. Questo tipo di fenomeno è tipicamente osservato nelle macchine che possiedono un elevato numero di pale, come i compressori, ma è stato individuato anche nelle pompe centrifughe. Quando la macchina opera in regime cavitante il fenomeno si presenta con degli aspetti particolari e viene riferito come stallo rotante con cavitazione. Un fenomeno diverso, denominato cavitazione rotante, prevede che una o due pale presentino una maggiore o minore estensione di cavitazione con la formazione di un disturbo che propaga in direzione circonferenziale, come avviene per lo stallo rotante, ma a velocità supersincrona.

 “Surge” ed “auto-oscillazione”

Il “surge” si manifesta nelle macchine che lavorano in una condizione di carico sulle pale elevato, condizione che tipicamente coincide con la zona in cui la curva di prestazione (Φ,Ψ) ha pendenza positiva. Questa è una instabilità di sistema alla quale cioè contribuiscono tutti i componenti del sistema. Si verificano quindi oscillazioni di pressione e di portata attraverso l’intero impianto. Quando è presente anche la cavitazione il fenomeno viene chiamato auto-oscillazione e può avvenire anche in zone a pendenza negativa.

 “Cavitazione parziale” e “ Supercavitazione ”

Tali eventi possono divenire instabili se la lunghezza della paletta è paragonabile alla lunghezza della cavità; in queste condizioni la cavità collassa vicino al bordo di uscita. Un tale fenomeno può portare a violente oscillazioni su tutta la lunghezza della cavità .

(3)

 “Line Resonance”

I fenomeni di risonanza avvengono quando una delle frequenze di passaggio delle pale della turbomacchina coincide con uno dei modi acustici della linea di aspirazione o di quella di scarico. Le oscillazioni di pressione associate a questi fenomeni di risonanza possono essere molto dannose.

 “Rumore di cavitazione”

Il rumore di cavitazione può a volte raggiungere livelli sufficienti a causare la risonanza con le frequenze di vibrazione delle strutture.

 Oscillazioni “POGO”

Tale forma di instabilità è causata dal fatto che nella maggior parte dei casi non si ha a che fare con sistemi immobili ma con macchine che sono soggette a forti accelerazioni. Un esempio di tale tipo di instabilità si ha in un razzo a propellente liquido, in cui le vibrazioni longitudinali del razzo provocano oscillazioni di pressione e di flusso all’interno dei serbatoi e nei tubi di ingresso; tali eventi, accoppiandosi con oscillazioni della pompa (“cavitation surge”), causano fluttuazioni della spinta e del veicolo in senso longitudinale.

 Oscillazioni locali del flusso

I principali tipi di problemi causati da oscillazioni locali del flusso e da vibrazioni delle palette sono:

 “Flutter di paletta ”

Come nel caso dei profili alari ci sono circostanze in cui una pala può cominciare a vibrare in conseguenza delle particolari condizioni del flusso (angolo di incidenza, velocità), della rigidezza della pala e del sistema di supporto.

 “Eccitazione di paletta”

Tale fenomeno si può presentare se esistono delle interazioni rotore-statore. Questi effetti sono particolarmente importanti per le pale di uno statore che si trovi a valle di un rotore e viceversa: le scie che si staccano dalle pale a monte possono provocare vibrazioni importanti alla frequenza di passaggio delle pale o un suo multiplo. L’eccitazione della pala può essere anche dovuta al distacco di vortici od oscillazioni di zone cavitate.

 Forze radiali e rotodinamiche

Le componenti perpendicolari all’asse di rotazione possono causare diversi tipi di problemi:

 “Forze radiali”

Dovute alla non uniformità del flusso in ingresso, anche quelle stazionarie rispetto all’alloggiamento creano effetti di vibrazione sull’albero e sui cuscinetti.

(4)

 “Forze rotodinamiche”

Sono il risultato del movimento eccentrico dell’asse di rotazione dell’albero della girante. Esse possono provocare una riduzione della velocità critica dell’albero e quindi un calo delle prestazioni (riduzione della velocità operativa raggiungibile dalla macchina).

Un metodo per individuare la natura del fenomeno vibratorio di una turbomacchina è quello di esaminare le frequenze tipiche a cui si manifesta e la variazione di queste con la velocità di rotazione. Ciascuna delle instabilità sopradescritte è contraddistinta da frequenze dominanti diverse alcune delle quali funzioni della velocità di rotazione; nella tabella successiva sono riportate le frequenze tipiche di vibrazione dei vari fenomeni oscillatori osservati sperimentalmente nelle turbomacchine.

TIPO DI INSTABILITA’ CAMPO DI FREQUENZA

Surge Sistema-dipendente , 3 ÷10 Hz nei compressori

Auto-oscillazione Sistema-dipendente, (0.1÷0.4) Ω

Stallo rotante (0.5÷0.7) Ω

Stallo nel diffusore (0.05÷0.25) Ω

Cavitazione rotante (1.1÷1.2) Ω

Cavitazione parziale oscillante < Ω

Distacco dei vortici Frequenza naturale di distacco

Rumore di cavitazione 1÷20 kHz

Forze radiali frazione di Ω

Vibrazioni rotodinamiche frazione di Ω(quando ci si avvicina alla velocità critica) Flutter di paletta Frequenza naturale della paletta nel fluido

Tabella 7.1 – Frequenze tipiche di vibrazione dei fenomeni di instabilità [1]

7.1.1 Lo stallo rotante

Lo stallo rotante è un fenomeno che si può verificare nelle schiere quando le pale operano ad elevati angoli di incidenza, prossimi a quello di stallo. Nelle pompe questo vuol dire che il coefficiente di flusso Φ è stato ridotto fino ed al di sotto di quello corrispondente al massimo valore del coefficiente di lavoro Ψ. Emmons et al. [12] hanno fornito per primi una spiegazione coerente dello stallo che propaga.

(5)

Figura 7.1 – Propagazione dello stallo rotante

Supponiamo che la schiera di figura 7.1 lavori in condizioni di elevata incidenza. Se la pala B stalla, si genera una scia separata che aumenta il bloccaggio del flusso nel canale tra la pala A e la pala B provocando una deviazione del flusso come indicato in figura; si registrerà quindi un aumento dell’angolo di incidenza del flusso che investe la pala A ed una diminuzione del medesimo per la pala C.

Quindi la pala A tenderà a stallare mentre lo stallo sulla pala C tenderà a scomparire; in tal senso si può affermare che lo stallo tende a salire rispetto al flusso che sopraggiunge. La cella di stallo, che può comprendere anche più di una pala, ruota quindi intorno all’asse della macchina, da cui il nome di stallo rotante. La velocità di propagazione è chiaramente una frazione della componente circonferenziale della velocità wθ1 e

tipicamente, nel caso di un rotore, lo stallo ruota nelle stessa direzione del rotore con una velocità 0.5÷0.7 Ω.

Nella distinzione tra stallo rotante e “surge” è importante notare che il disturbo mostrato in figura 7.2 non implica necessariamente alcuna oscillazione della portata totale attraverso la macchina; piuttosto implica una ridistribuzione del flusso. D’altro canto è sempre possibile che una perturbazione causata da stallo rotante possa risuonare con uno dei modi acustici della linea di aspirazione o di scarico, nel qual caso sono verificabili significative oscillazioni della portata.

Benché l’occorrenza dello stallo rotante sia possibile in qualsiasi turbomacchina, esso è più frequentemente incontrato nei compressori che hanno un elevato numero di pale. Un criterio approssimato per determinare l’occorrenza dello stallo rotante è quello del massimo valore della prevalenza al diminuire del coefficiente di flusso anche se Greitzer [13] riporta un certo numero di casi in cui il fenomeno si verifica anche in zone a pendenza negativa della curva di prestazione. Un criterio più sofisticato, dovuto a Leiblein [14] prevede l’uso del fattore di diffusione Df. Secondo Leiblein lo spessore di momento dello strato limite si correla al fattore di diffusione dato da

(

wmaxw2

)

wmax dove wmaxè la massima velocità sul lato in aspirazione e

w

2 è la velocità alla sezione di

A

B

(6)

uscita. L’esperienza indica che lo stallo rotante comincia quando Df viene aumentato sopra circa 0.6.

Brennen [1] indica che lo stallo rotante non è mai stato riportato nelle pompe con basso numero di pale (3 o 4) forse per via che Df non raggiunge valori intorno a 0.6 per le pompe assiali e gli induttori.

Il numero di pale è un fattore importante perché è legato alla solidità e minore è la solidità maggiore è la frazione del canale tra le pale che rimane libera anche in presenza di separazione dello strato limite; poiché il bloccaggio del canale è il meccanismo che permette la propagazione dello stallo si capisce l’importanza del numero di pale.

Murai [15] ha studiato l’effetto delle presenza di una limitata zona di cavitazione sullo stallo rotante ed ha osservato che la cavitazione provoca delle variazioni nella velocità di propagazione.

Figura 7.2 – La curva caratteristica di una pompa assiale con 18 palette [15]

Si deve comunque tenere presente la differenza tra il fenomeno studiato da Murai, in cui lo sviluppo di cavitazione è secondario rispetto allo stallo rotante ed il fenomeno della cavitazione rotante che si presenta in punti in cui la curva di prestazione (Φ,Ψ) ha pendenza negativa ed è stabile.

Per le pompe centrifughe basta qui ricordare che il fenomeno è stato osservato sperimentalmente.

7.1.2 La cavitazione rotante

Induttori e giranti che non mostrano alcun segno di stallo rotante in regime non cavitante possono presentare, in condizioni di cavitazione, un fenomeno che superficialmente è simile allo stallo rotante; questo fenomeno è conosciuto come cavitazione rotante. Nella figura successiva è visibile la comparsa della cavitazione rotante e della auto-oscillazione nelle prestazioni di due induttori; si può notare come esse si manifestino a bassi σ. La cavitazione rotante si presenta in zone a pendenza negativa della curva (Φ,Ψ), zone cioè

(7)

con la pala in condizioni lontane dallo stallo. La dinamica della zona cavitata è quindi essenziale per la comprensione della cavitazione rotante.

La cavitazione rotante è stata individuata esplicitamente da Kamijo, Shimura e Watanabe[16]. Quando è stato possibile osservarla essa si è presentata quando il numero di cavitazione è stato ridotto fino ad un punto in cui la curva di prestazione comincia a risentire del degrado causato dalla cavitazione. Rosenmann [17] ha riportato che le vibrazioni (ora riconosciute essere causate dalla cavitazione rotante) dell’albero della turbomacchina avvenivano per valori di σ pari a 2÷3 volte il valore di “breakdown” σb ed erano particolarmente evidenti ai valori più bassi di Φ per cui le pale sono più caricate. Tipicamente succede che ulteriori riduzioni di σ, al di sotto dei valori per cui si presenta la cavitazione rotante, conducono alla nascita di auto-oscillazioni o di “surge”, come indicato in figura 7.3.

Non è assolutamente chiaro perché alcuni induttori e giranti non esibiscano affatto cavitazione rotante ma procedano direttamente alle zone in cui ci sono auto-oscillazioni, se queste si presentano.

I valori della velocità di propagazione, ricavati sperimentalmente, si distribuiscono nella fascia di circa (1.1÷1.45)Ω.

Figura 7.3 – Presenza della cavitazione rotante e della auto-oscillazione nelle prestazioni di due induttori [16]

E’ importante evidenziare a questo punto le differenze che esistono tra lo stallo rotante e la cavitazione rotante: il primo avviene in zone dove la pendenza della curva caratteristica (prevalenza rispetto alla portata) è positiva e quindi instabile, mentre la seconda si manifesta in zone dove la pendenza è negativa e quindi normalmente stabili se non vi fossero fenomeni di cavitazione. Inoltre la velocità di propagazione dello stallo rotante è normalmente inferiore a quella della pompa (subsincrona) mentre per la cavitazione rotante avviene il contrario (supersincrona).

(8)

7.1.3 Il “surge”

Il “surge” e le auto-oscillazioni sono instabilità di sistema che coinvolgono le caratteristiche della pompa e quelle di tutti gli elementi che costituiscono il circuito. Gli effetti producono non solo oscillazioni di pressione e portata ma anche vibrazioni che possono essere molto intense e possono minacciare l’integrità della turbomacchina e di tutti gli elementi che fanno parte del sistema. Per spiegare come si esplichi questo tipo di instabilità occorre fare riferimento alla figura seguente in cui la caratteristica stazionaria della pompa, curva (Φ,Ψ), è rappresentata insieme alla caratteristica stazionaria del resto del sistema.

Figura 7.4 – Esemplificazione di caratteristiche quasi-statiche stabili ed instabili [1]

In condizioni di lavoro stazionarie l’incremento di pressione attraverso la pompa deve eguagliare la caduta attraverso il resto del sistema, nelle stesse condizioni di portata, per cui il punto di lavoro è individuato dal punto O. Supponiamo quindi che avvenga una escursione dalle condizioni di equilibrio, ad esempio un piccolo decremento della portata. La pompa A, come appare chiaro in figura, avrà un incremento di prevalenza maggiore rispetto alla diminuzione di prevalenza nel resto del sistema a causa della diversa pendenza delle due curve; la portata tenderà perciò a risalire nuovamente riportando il sistema nelle condizioni iniziali.

La caratteristica della pompa A è detta quasi-staticamente stabile perché tende a riportare il sistema al punto di equilibrio O mentre il contrario succede per la pompa B che ha una caratteristica quasi-staticamente instabile. La forma più nota di questa instabilità, conosciuta come “surge” di compressore, è forse quella che avviene nei compressori multistadio, la cui caratteristica ha la forma mostrata in (b) della figura 7.4.

La descrizione precedente della stabilità in condizioni quasi-statiche aiuta a visualizzare il fenomeno ma costituisce una separazione artificiale del sistema nella componente pompa e nel resto del sistema. Una descrizione analitica si ottiene definendo una resistenza

*

i

R per ciascun componente del sistema definita da:

(7.1)

(

)

* i d H R dm

=

(9)

in cui ∆H è la caduta di pressione quasi-statica attraverso il componente (ingresso meno uscita), ed è funzione della portata di massa m. In questo modo la pendenza della caratteristica della pompa è data da -R*PUMP mentre quella del resto del sistema è data da

*

SYSTEM

R . Il precedente criterio di stabilità è equivalente a:

* 0

i i

R >

(7.2) e quindi il sistema è quasi-staticamente stabile se la resistenza totale del sistema è positiva. Tutto quanto precedentemente detto è valido se le variazioni sono sufficientemente lente da poter considerare valida la caratteristica stazionaria della pompa e quindi è applicabile alle instabilità a bassa frequenza. A frequenza più alte è necessario includere l’inerzia e la comprimibilità dei vari componenti del flusso. È da notare infine che, mentre le instabilità in condizioni quasi-stazionarie avvengono sicuramente quando la resistenza totale del sistema precedentemente definita è negativa ci possono essere altre instabilità dinamiche che avvengono quando il sistema è quasi-staticamente stabile. Ciò perché la resistenza è funzione della frequenza, almeno sopra un certo valore di questa, per cui ci possono essere dei punti operativi in cui la resistenza dinamica totale è negativa in determinati campi di frequenza. Il sistema può quindi essere dinamicamente instabile pur essendo quasi-staticamente stabile.

7.1.4 L’auto-oscillazione

Questo tipo di fenomeno di surge avviene di solito quando si raggiungono valori molto bassi del coefficiente di cavitazione, per i quali la prevalenza comincia a diminuire; in tali condizioni infatti possono essere amplificate le violente oscillazioni della pressione e del flusso che si ripercuotono sull’intero sistema, provocando seri danni ed una ulteriore caduta delle prestazioni. La figura 7.5 mostra la regione in cui tale fenomeno di solito avviene, al variare del coefficiente di flusso, per la pompa dell’ossigeno liquido del SSME; si può notare come tale fenomeno avvenga a bassi valori di σ.

Figura 7.5 – Rappresentazione delle prestazioni della pompa LOX del SSME (girante IV) ad una velocità di 6000 rpm, in presenza di auto-oscillazioni [1]

(10)

L’auto-oscillazione è una instabilità dinamica nel senso descritto al paragrafo precedente poiché avviene quando la pendenza della curva (Φ,Ψ) è negativa.

La figura seguente mostra la dipendenza della frequenza di auto-oscillazione, ΩA , dal coefficiente di flusso, dal numero di cavitazione e dalla geometria della turbomacchina negli esperimenti fatti da Braisted e Brennen su diversi induttori.

Figura 7.6 – Rappresentazione del rapporto tra le frequenze di auto-oscillazione e dell’albero in funzione del coefficiente di cavitazione per diversi induttori montati sulla pompa ad LOX

del SSME (sono riportati in figura i coefficienti di flusso) [1]

Tenendo sempre a mente che questa è una instabilità di sistema si nota comunque che l’espressione

(

2

)

12

A

=

σ

(7.3)

sembra offrire una legge di stima, anche se grossolana, delle frequenze di auto-oscillazione. Non esiste alcun modello analitico accettato per la previsione dell’ampiezza dei fenomeni di auto-oscillazione, mentre l’energia dissipata in tali ampie oscillazioni può portare a variazioni sostanziali della curva media (nel tempo) di prestazione.

Le auto-oscillazioni possono provocare forze assiali sull’albero dell’ordine del 20% della spinta assiale [17]. Come già visto per il “surge”, le auto-oscillazioni compaiono con maggiore frequenza quando l’induttore è molto caricato, cioè a bassi coefficienti di flusso.

Si è inoltre constatato come gli eventi dinamici connessi con le auto-oscillazioni siano strettamente correlati con il fenomeno del “backflow”.

La figura seguente mostra, infine, la corrispondenza che sussiste fra il rapporto tra le frequenze di auto-oscillazione e dell’albero e la velocità di rotazione della pompa.

(11)

Figura 7.7 – Rappresentazione del rapporto tra le frequenze di auto-oscillazione e dell’albero in funzione della velocità di rotazione [1]

7.1.5 Il “surge” di cavitazione

In presenza di cavitazione si può avere “surge” anche con pendenza negativa della curva di prestazione (Φ,Ψ); questo fenomeno è conosciuto come “surge” di cavitazione (“cavitation surge”) e molti studi sono stati fatti da NASA (1970) per determinarne la correlazione con l’instabilità globale POGO.

Il “surge” di cavitazione è causato (Young et al. [18]) da un aumento del volume della cavità in corrispondenza di una riduzione della portata. Questo effetto è rappresentato da un valore positivo del cosiddetto “mass flow gain factor”, definito come il rapporto tra la riduzione del volume della cavità e la corrispondente riduzione dell’angolo di incidenza. Considerando che pendenze positive causano sia “surge” che stallo rotante è possibile che un valore positivo del “mass flow gain factor” possa causare sia “surge” di cavitazione che cavitazione rotante.

Tsujimoto e Semenov [9] hanno individuato recentemente due nuovi fenomeni di instabilità di cavitazione negli induttori provati nella campagna di sviluppo del motore LE-7. I ricercatori hanno individuato un fenomeno assiale denominato “surge” di cavitazione di ordine superiore (“higher order cavitation surge”) a 244 Hz, corrispondenti a circa 5Ω ed un fenomeno rotante denominato cavitazione rotante di ordine superiore, anch’esso a circa 5Ω, molto vicino quindi al suddetto fenomeno assiale.

7.1.6 Tabella riassuntiva delle instabilità fluidodinamiche

Nella seguente tabella sono state riassunte le caratteristiche delle principali forme di instabilità fluidodinamiche cercando di evidenziare in quali circostanze si manifestano per poter così meglio individuarle al momento dell’analisi spettrale.

(12)

QUANDO CARATTERISTICHE NOTE S ta ll o r o ta n te

elevati angoli di incidenza • intorno al max di Ψ ma ri- scontrato anche a pendenze negative di (Φ,Ψ)

Df(Leiblein)>0.6

• solidità elevate(< è la solidità e > canale da bloccare)

subsincrono

• fen. circonferenziale • ruota nella direzione del rotore a (0.5÷0.7)Ω generalmente no oscillazione portata • ridistribuzione flusso • fluttuazione di portata se risonanza con modo acustico C a vi ta zi o n e ro ta n te bassi σ • pendenza negativa (Φ,Ψ) (lontano da stallo)

• anche per σ per cui ψ non ancora degrado significativo

supersincrono • fen. circonferenziale • rotante o controrotante • (1.1÷1.45)Ω per σ minori nascono auto- oscillazione o surge • vibrazioni albe- ro alla stessa freq. • insignificante negli spettri a valle S u rg

e • carico elevato (Φ basso) pendenza positiva (Φ,Ψ) • oscillazione di presssio fenomeno assiale ne e portata rumoroso • pulsante(anche visivamente) A u to -o sc il la zi o n e

• σ ridotto a valori per cui si risente degrado prestazioni • pendenze negative di (Φ,Ψ) • valori bassi di Φ

• la frequenza scala con Ω (a differenza del surge) •

(

2

)

12 A

=

σ

produce forze radiali fino al 20% forze assiali • ciclo isteresi al variare di σ S u rg e d i ca vi ta zi o n

e • è un surge sulle presenza di cavitazione pendenze negative di (Φ,Ψ) per σ per cui non è significa- tivo degrado di ψ

fenomeno assiale • mass flow gain factor positivo legato a POGO • aumento del volume cavità in corrisp. riduzione della portata S u rg e d i ca vi ta zi o n e d i o rd in e su p er io re fenomeno assiale • frequenza (4÷5)Ω • riscontrato da poco [9] C a vi ta zi o n e ro ta n te d i o rd in e su p e ri o re • ai Φ più alti • riducendo Φ compare ai σ più alti fenomeno circonferenziale fluttuazione ca- vità minore rispetto cavita- zione rotante • si può soppri- mere variando geometria

(13)

7.2

Analisi spettrale: metodologia

L’analisi dei fenomeni dinamici che si manifestano nel flusso viene effettuata tramite l’analisi di Fourier del segnale raccolto dai trasduttori piezoelettrici. Per determinare il contenuto in frequenza dei segnali viene utilizzato l’autospettro mentre per la determinazione della fase tra segnali provenienti da due trasduttori diversi si utilizza il cross-spettro che fornisce direttamente il valore della fase in funzione della frequenza. In questo ultimo caso è inoltre opportuno calcolare la funzione di coerenza (si veda il capitolo 4) per stimare la bontà di un modello lineare della propagazione del segnale (in funzione della frequenza) tra due stazioni di trasduttori.

Seguendo una procedura classica (Bendat [2]), l’autospettro ed il cross-spettro vengono determinati tramite i seguenti passi logici:

1. dividere la registrazione dei dati xn(epurati del valore medio), n=0,1,...,Nnd, in nd blocchi ciascuno costituito da N valori con lo scopo di ridurre il rumore di fondo

2. per sopprimere il “side-lobe leakage” [2], usare una finestra di rastremazione dei dati in ciascun blocco

{ }

xn , n=0,1,...,

(

N−1

)

, ad esempio la finestra di Hanning

3. calcolare gli N punti X f

( )

k k=0,1,...,

(

N−1

)

della FFT (se necessario ridurre l’incremento di varianza causato dalla rastremazione dei dati, calcolare la FFT sovrapponendo gli intervalli)

4. aggiustare il fattore di scala di X f

( )

k per la perdita dovuta alla rastremazione (usando la finestra di Hanning moltiplicare per 8 / 3)

5. calcolare la funzione di densità dell’autospettro dagli ndblocchi di dati tramite l’equazione

( )

2 1 1 nd xx i k i d S X f n N t

= =

(7.4) dove

( )

2 1 0 j k n N N i k i k i n n X f t X t x e π

−   −   = = =

essendo Xikle componenti di Fourier e ∆t l’intervallo di campionamento.

Il calcolo dei coefficienti X f

( )

k e Y f

( )

k (dove la notazione x ed y sta ad indicare due trasduttori diversi) è stato effettuato tramite la routine di Matlab che implementa l’algoritmo della trasformata rapida di Fourier (FFT).

La funzione di coerenza è stata calcolata tramite l’equivalente della 4.36

( )

( )

( )

( )

2 2 xy xy xx yy S f f S f S f

γ

= (7.5)

(14)

ricordando che si ottiene un risultato privo di significato, pari ad 1 per tutte le frequenze, se il numero di medie nd degli spettri è anch’esso unitario [2].

Come finestra di rastremazione dei dati è stata adottata quella di Hanning. Quando due segnali vengono moltiplicati nel dominio del tempo i corrispondenti dominii in frequenza subiscono una convoluzione; ciò significa che se ad esempio lo spettro originale è rappresentato da un picco infinitesimalmente stretto (ad esempio una funzione delta), lo spettro del segnale che è stato moltiplicato per la finestra corrisponde allo spettro della finestra stessa traslato in corrispondenza del picco. La finestra di Hanning rappresenta il giusto compromesso tra la finestra di Blackman che porta ad un’eccessiva apertura in frequenza del picco (effetto negativo) accompagnata da una notevole riduzione delle “code”(effetto positivo) che vengono a crearsi allorquando si individua una frequenza intermedia tra quelle di base e la semplice finestra rettangolare che porta alla situazione opposta ovvero ad una riduzione dell’apertura in frequenza del lobo principale (effetto positivo) ed ad un’eccessiva presenza di “code”(effetto negativo)[3].

Si riporta di seguito l’espressione della finestra di Hanning

1 1 cos 2 0 2 0 h h t u t T T u altrove

π

   =  −   ≤ ≤     = (7.6)

Figura 7.8 – La finestra di Hanning. (a) Finestra nel dominio del tempo. (b) Finestra nel dominio della frequenza [2]

Nella figura seguente si confronta lo spettro delle frequenze di un segnale consistente in due onde sinusoidali (una delle quali ha frequenza esattamente uguale a quella di una “funzione base” mentre l’altra ha frequenza intermedia tra quelle di due “funzioni base”) nel caso in cui si faccia subito la DFT (a) e nel caso in cui, prima della DFT si applichi la finestra di Hanning (b). Come messo in risalto dalla figura seguente, la finestra di Hanning agisce sui due generici picchi di frequenza nel modo seguente:

(15)

0 50 100 150 200 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 t[sec] p [b a r]

• i due picchi divengono più simili (effetto positivo) • le “code” vengono ridotte sensibilmente (effetto positivo)

• la risoluzione risulta minore ed i picchi risultano più estesi (effetto negativo)

Figura 7.9 – Effetto sugli spettri dell’utilizzo della finestra di Hanning [3]

Per quanto riguarda la risoluzione dello spettro essa è data da : df 1 T

= (7.7) Fissare la risoluzione significa fissare l’ampiezza dell’intervallo temporale T di calcolo di ciascuno spettro; dal momento che ogni spettro è ottenuto mediando i risultati su un numero nd di tali intervalli consecutivi, risulta in questo modo fissata anche l’ampiezza temporale totale Tr. Se l’intervallo Tr risulta troppo lungo non si può più approssimare la pressione in ingresso all’induttore costante durante l’intervallo.

L’assunzione che viene infatti fatta è che, in intervalli di tempo piccoli rispetto alla durata dell’esperimento, si possa assumere che il numero di cavitazione rimanga costante con una qualità non inferiore a quella di un corrispondente valore nominale di σ, in condizioni nominali di pressione (una stima dell’errore commesso al variare della lunghezza dell’intervallo è riportata in tabella 6.2).

Figura 7.10 – Intervalli temporali per il calcolo degli spettri

T esperimento

p

T T r

(16)

Come riportato nel paragrafo 7.1 molti fenomeni oscillatori sono proporzionali alla velocità di rotazione Ω dell’induttore; pertanto due fenomeni a frazioni molto vicine della velocità angolare risultano comunque separati in termini assoluti di una quantità proporzionale alla Ω stessa. Per questo motivo nelle prove di qualifica delle turbopompe, che si svolgono a velocità Ω molto elevate, ci si accontenta di bande di risoluzione più ampie in confronto a quelle necessarie in analisi di dati ricavati a velocità ridotte, quali quelle qui studiate.

Si nota come all’aumentare del numero di medie dello spettro nd si riduca l’intervallo di tempo T e dunque l’insieme di punti campionati sul quale viene calcolato lo spettro, venendo così a peggiorare la precisione in termini di localizzazione delle frequenze. Per l’analisi effettuata al paragrafo successivo si è assunto che una buona stima della frequenza consenta di distinguere due fenomeni a distanza di 1 Hz circa; ciò vuol dire che deve essere df ≤ 0.5 Hz e quindi che l’intervallo di base per il calcolo degli spettri debba avere una durata maggiore o uguale a 2 secondi. Nella tabelle che segue vengono riportati i parametri adottati nell’analisi.

Velocità di campionamento [sps] 1000

Numero totale di campionamenti dell’esperimento continuo 240000

Risoluzione dello spettro df [Hz] 0.5

Intervallo totale Tr [secondi] 6.0

Intervallo di calcolo di ciascuno spettro T [secondi] 2.0

Numero di medie dello spettro nd 3

Frequenza di Nyquist [Hz] 500

Tabella 7.3 – Parametri adottati nella costruzione degli spettri

La presentazione dei risultati segue lo schema dei diagrammi a cascata (“waterfall plots”), in cui vengono riportati in cascata gli spettri delle frequenze a vari numeri di cavitazione ad un determinato valore di Φ. Da questi diagrammi è possibile ricavare le informazioni utili sul contenuto in frequenza del segnale.

Lo studio successivo consiste nel cercare di capire quale sia il fenomeno legato a ciascuna frequenza di interesse. Come prima cosa si indaga se i picchi in esame osservati ad un dato valore di Φ si presentino anche per valori superiori od inferiori del coefficiente di flusso. Si osserva poi se il fenomeno si manifesta per ogni valore di σ o sia legato prevalentemente ai valori più bassi del coefficiente di cavitazione; in questo modo si riesce a legare il fenomeno al grado più o meno sviluppato della cavitazione. Si passa poi allo studio più approfondito dello spettro tramite l’analisi della fase del cross-spettro e della funzione di coerenza di più coppie di trasduttori posizionati nella stessa stazione assiale e separati angolarmente di una quantità nota (ad esempio, nel caso della disposizione disegnata per il FAST2, i sei trasduttori alla stazione di ingresso sono separati di 45° l’uno dall’altro).

Come anticipato nel capitolo 4, nell’analisi di due segnali raccolti da trasduttori separati angolarmente di una certa quantità, che vedono passare sotto di essi la stessa storia di pressione, lo scostamento dal valore 1 della funzione di coerenza ci dice con quale bontà

(17)

possiamo supporre che una determinata frequenza misurata da uno dei due trasduttori corrisponda allo stesso fenomeno misurato a quella frequenza dall’altro trasduttore. Se la funzione di coerenza si avvicina ad 1 significa che la causa che genera i due segnali è la medesima. Lo studio della fase del cross-spettro permette invece di capire se il fenomeno studiato sia una oscillazione assiale (ad esempio un’auto-oscillazione od un surge) oppure un fenomeno rotante (ad esempio uno stallo rotante od una cavitazione rotante):

• fenomeno assiale: la fase del cross-spettro deve essere nulla in corrispondenza della frequenza analizzata per ogni coppia di trasduttori posti nella stessa stazione assiale

• fenomeno rotante: il rapporto tra la fase del cross-spettro e la separazione angolare della coppia di trasduttori deve essere un numero intero, pari al numero di lobi.

Questa ultima affermazione trova spiegazione nel seguente ragionamento.

Si considerino due onde nella coordinata angolare θ intorno all’induttore. La prima sia un’onda ad un lobo mentre la seconda sia a tre lobi. Un osservatore statorico posizionato ad un certo angolo

θ

non sarà in grado di distinguere le due onde nel caso in cui la prima, ad un lobo, ruoti con frequenza c = 3ω e la seconda, a tre lobi, ruoti a frequenza c = ω. Disponendo però di due sensori in posizioni angolari diverse

θ

e

θ

+

∆θ

, si può misurare la storia di pressione e poiché l’onda è stazionaria, l’unica differenza tra i due segnali è la presenza di una fase. Pertanto si può scrivere

( )

cos

(

)

pθ t =

t (7.8)

( )

cos

(

(

)

)

cos

(

)

pθ ∆θ+ t =

t+

t =

t+

ϕ

(7.9)

dove:

Ω = pulsazione con cui l’onda viene individuata nel sistema statorico (analisi spettrale) φ = fase tra i due segnali (argomento del cross-spettro)

t = intervallo di tempo che un punto dell’onda impiega a spostarsi da un trasduttore

all’altro

t può essere ricavato in funzione della velocità dell’onda c tramite t = θ/c. Dall’equazione (7.9)si ricava inoltre ∆t = φ/Ω ed eguagliando le due espressioni trovate

si ottiene

c

∆θ

ϕ

= (7.10)

e quindi la frequenza di rotazione dell’onda è

c

∆θ

ϕ

(18)

La pulsazione Ω, come l’angolo di fase φ vengono ricavati dall’analisi spettrale, mentre la separazione ∆θ tra i trasduttori viene scelta all’atto del montaggio degli stessi, per cui le quantità che determinano c sono note o ricavabili.

L’osservatore statorico misura dunque una pulsazione Ω “apparente” e generata dal numero di lobi dell’onda stessa. Poiché l’analisi precedente è in grado di fornire la velocità c dell’onda, il numero di lobi risulta determinato dal rapporto

lobi n

c

= (7.12)

che in virtù della(7.11)può anche essere scritto come

lobi

n

ϕ

∆θ

= (7.13)

7.2.1 Osservazioni sulla simmetria ed asimmetria dei fenomeni rotanti

Quanto affermato nel paragrafo precedente a riguardo dei fenomeni rotanti ed all’individuazione della frequenza reale di rotazione del fenomeno, presuppone che i lobi che si vengono a formare siano equidistanti angolarmente l’uno dall’altro. Il fenomeno è quindi considerato simmetrico. Nel caso in cui non venga fatta la suddetta ipotesi, le cose si complicano. Per indagare come la procedura basata sulla trasformata di Fourier operi nel caso di fenomeni rotanti a lobi asimmetrici è stato scritto un programma in Matlab (si veda l’appendice al capitolo) in cui il contenuto in frequenza del segnale viene individuato per mezzo della semplice trasformata discreta di Fourier.

Come primo caso si è analizzato il possibile fenomeno asimmetrico rotante a due lobi. Supposta nota la velocità angolare di rotazione del fenomeno (ωR), si introduce come primo parametro l’angolo di separazione dei due lobi (α). Come secondo parametro

dell’analisi si è scelto l’angolo di separazione tra i trasduttori che rilevano il segnale (∆θ). La situazione che si viene così a delineare è quella riportata nella seguente figura dove il

fenomeno a due lobi è rappresentato come una forcella rigida imperniata sull’asse di rotazione.

∆θ

α

A2

ω

R

t1

A1

t2

(19)

Il trasduttore t1 acquisirà un segnale, per comodità sinusoidale, a frequenza variabile a seconda che stia campionando nell’intervallo A1 o nell’intervallo A2. Il trasduttore t2 acquisisce lo stesso segnale di t1 ma traslato temporalmente di ∆t = θ/ωR. Nella seguente figura è possibile osservare il segnale periodico raccolto da due trasduttori virtuali separati di 90° e lo sfasamento temporale del medesimo nel caso di ωR = 10 π (e dunque di frequenza del fenomeno pari a 5 Hz) e di α=120°.

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale periodico 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 1 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 2 tempo [s]

Figura 7.12 – Segnale raccolto dai due trasduttori virtuali t1 e t2 (ωR=10 π, αααα=120°, ∆∆∆∆θ=90°)

Mediante la trasformata discreta di Fourier del segnale periodico si risale al contenuto in frequenza del segnale; il programma calcola anche la fase della cross-correlazione dei due segnali. L’indagine viene effettuata facendo variare l’angolo α e mantenendo fissa la separazione angolare ∆θ. Si riporta di seguito, come esempio, il caso di α = 180° e

θ = 90; in questo caso particolare il fenomeno risulta simmetrico a due lobi ed in effetti, come affermato nel paragrafo precedente, sullo spettro non si legge la vera frequenza di passaggio del fenomeno ma una frequenza doppia, pari quindi a 10 Hz. La fase del cross-spettro risulta 180°, in accordo con la (7.13), pari cioè al numero di lobi moltiplicato per la separazione angolare tra i trasduttori.

(20)

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale periodico 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 1 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 2 tempo [s]

Figura 7.13 – Segnale raccolto dai due trasduttori virtuali t1 e t2 (ωR=10 π, ααα=180°, ∆α ∆∆∆θ=90°)

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 0 500 1000 1500 frequenza [Hz] a m p ie z z a 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 -200 -100 0 100 200 frequenza [Hz] fa s e [ d e g ]

(21)

∆ ∆ ∆ ∆θ [rad] α α α α [rad] Frequenza individuata [Hz] Fase individuata [deg] π /2 π 10 180 π /2 0.9π 10 180 π /2 0.8π 10 180 π /2 0.7π 10 180 π /2 0.6π 10 180 π /2 0.5π 5 90 π /2 0.3π 5 90 π /2 0.1π 5 90 π /3 0.9π 10 120 π /3 0.8π 10 120 π /3 0.6π 10 120 π /3 0.5π 5 60 π /3 0.3π 5 60 π /3 0.1π 5 60

Tabella 7.4 – Studio parametrico di un fenomeno asimmetrico a due lobi (ωR=10 π)

Dai risultati riportati nella tabella precedente si possono trarre le seguenti conclusioni:

• se il fenomeno rotante è simmetrico oppure asimmetrico fino ad un certo livello, sullo spettro si legge una frequenza pari al numero di lobi moltiplicato per la frequenza vera del fenomeno (nel caso di tabella si legge 10 Hz) e la fase del cross-spettro risulta un multiplo intero (pari al numero dei lobi) della separazione angolare tra i due trasduttori utilizzati per la cross-correlazione

• se il fenomeno rotante è fortemente asimmetrico, sullo spettro si legge la frequenza vera del fenomeno (5 Hz nel caso esaminato) e la fase del cross-spettro coincide con la separazione angolare dei due trasduttori.

Da queste due osservazioni si comprende come lo strumento di analisi che verrà utilizzato per caratterizzare le instabilità fluidodinamiche non sia in grado di distinguere un fenomeno rotante ad un lobo da un fenomeno rotante fortemente asimmetrico a due lobi; in entrambi i casi, infatti, la fase della cross-correlazione risulta essere uguale alla separazione angolare tra i due trasduttori. Si nota inoltre come, nel caso di fenomeno rotante fortemente asimmetrico a due lobi, la frequenza che si legge sullo spettro rappresenti la vera frequenza del fenomeno.

Per meglio comprendere come gli strumenti adottati nell’analisi delle instabilità fluidodinamiche interpretino i fenomeni rotanti asimmetrici, è stato analizzato anche il caso di un fenomeno rotante asimmetrico a tre lobi. In questo caso i parametri aumentano in quanto gli angoli tra i lobi risultano tre e dunque due possono essere variati a piacimento. Per semplificare lo studio parametrico è stato fatto variare soltanto uno dei tre angoli, lasciandone uno fisso a 120° ed il rimanente variabile di conseguenza (la somma dei tre angoli deve essere 360°). La figura seguente mostra la schematizzazione di tale

(22)

fenomeno, le figure 7.16 e 7.17 mostrano un esempio di come opera il programma mentre la tabella successiva riporta i risultati dell’indagine parametrica.

α

3

ω

R

α

1

t1

α

2

t2

∆θ

Figura 7.15 – Schematizzazione di un fenomeno asimmetrico ruotante a tre lobi

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale periodico 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 1 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.16 0.18 0.2 -1 -0.5 0 0.5 1 segnale 2 tempo [s]

Figura 7.16 – Segnale raccolto dai due trasduttori virtuali t1 e t2 R=10 π, αααα1=120°, αααα2=80°, ∆∆θ=30°)

(23)

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 0 2000 4000 6000 8000 frequenza [Hz] A m p ie z z a 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 -200 -100 0 100 200 frequenza [Hz] fa s e [ d e g ]

Figura 7.17 – Ampiezza dello spettro e fase del cross-spettro R=10 π, αααα1=120°, αααα2=80°, ∆∆∆∆θ=30°) ∆ ∆ ∆ ∆θ [deg] α α α α1 [deg] α αα α2 [deg] Frequenza individuata [Hz] Fase individuata [deg] 90 120 120 15 -90 90 120 110 15 -90 90 120 105 15 -90 90 120 100 15 -90 90 120 80 15 -90 90 120 70 15 -90 90 120 65 10 -180 90 120 40 10 -180 90 120 20 10 -180 90 120 1 10 -180 30 120 120 15 90 30 120 80 15 90 30 120 69 15 90 30 120 65 10 60 30 120 1 10 60

Tabella 7.5 – Studio parametrico di un fenomeno asimmetrico a tre lobi (ωR=10 π)

Anche in questo caso, quando il fenomeno risulta “debolmente” asimmetrico, sullo spettro si legge un multiplo intero (pari al numero di lobi) della frequenza reale del

(24)

fenomeno (5 Hz). Allorquando il fenomeno diviene fortemente asimmetrico, ovvero quando α2 si riduce sotto i 65°, sullo spettro si legge la frequenza di 10 Hz , pari al doppio della frequenza vera del fenomeno; ciò sta ad indicare che il fenomeno viene interpretato come un fenomeno a due lobi “debolmente” asimmetrico come evidenziato dalla fase. Da quanto osservato segue che lo strumento di analisi che verrà utilizzato per caratterizzare le instabilità fluidodinamiche non risulta in grado di distinguere un fenomeno rotante simmetrico a due lobi da un fenomeno rotante fortemente asimmetrico a tre lobi; in entrambi i casi, infatti, la fase della cross-correlazione risulta essere uguale al doppio della separazione angolare tra i due trasduttori.

La tabella seguente riassume quanto osservato in questo paragrafo.

φ/∆θ possibilità Frequenza letta

Fenomeno rotante ad un lobo f vera

1

Fenomeno rotante fortemente asimmetrico a due lobi f vera Fenomeno rotante simmetrico a due lobi 2 f vera Fenomeno rotante “debolmente” asimmetrico a due lobi 2 f vera 2

Fenomeno rotante fortemente asimmetrico a tre lobi 2 f vera

Tabella 7.6 – Tabella riassuntiva (φ = fase del cross-spettro, ∆∆∆∆θ = separazione angolare trasduttori utilizzati)

7.3

Calcolo delle frequenze naturali dell’impianto

Nell’indagine sulle instabilità fluidodinamiche è importante conoscere le frequenze naturali dell’impianto in cui vengono effettuate le prove; ciò permette infatti di discernere, all’interno del contenuto in frequenza fornito dagli autospettri, le frequenze legate ai fenomeni oggetto di studio e quelle rappresentanti appunto le frequenze naturali del circuito.

7.3.1 Il modello quasi-monodimensionale

Il problema fondamentale è quello di caratterizzare le oscillazioni periodiche all’interno dell’impianto. Il caso particolare da cui viene estesa la trattazione è quello di un condotto rigido, rettilineo, a sezione leggermente variabile. Il flusso al suo interno viene assunto quasi-monodimensionale ed incomprimibile mentre per quanto riguarda le oscillazioni esse vengono assunte periodiche (di periodo pari a 2π/ω) e di piccola ampiezza. La seguente figura mostra il caso preso in esame dove p e

V



rappresentano rispettivamente la pressione e la portata volumetrica. Il soprasegno indica il valore medio della grandezza mentre il valore dell’oscillazione è rappresentato secondo la notazione complessa.

(25)

Figura 7.18 – Notazione per la caratterizzazione del flusso in un condotto rigido

Si possono così scrivere le equazioni di continuità e conservazione della quantità di moto nel seguente modo:

2 1 V =V (7.14) 2 1 2 2 2 1 2 2 2 1 2 1 1 1 1 2 2 x x x p p V V dV g dx k A A A dt

ρ

λ

  − = − − −  −  

   (7.15) Il termine k nell’equazione della quantità di moto rappresenta il fattore di perdita e può essere espresso come

2 1 2 1 1 2 p p k V A

ρ

− =        (7.16)

mentre il termine 1/λ rappresenta il reciproco della lunghezza inerziale λ ovvero

2 1 1 x x dx A

λ

=

(7.17)

Si può notare che quest’ultimo termine si riduce al rapporto tra la lunghezza del condotto e la sezione del medesimo nel caso di un tubo dritto a sezione costante.

Come precedentemente accennato, introducendo la teoria delle piccole perturbazioni, la pressione e la portata si possono scrivere come somma di una componente media stazionaria e di una componente oscillatoria:

ˆ i t

V=V+Ve ω e p= p+peˆ iωt (7.18) Sostituendo le (7.18) nelle (7.14) e (7.15), una volta sottratta la soluzione stazionaria e linearizzate al primo ordine le perturbazioni, si ottiene:

1 2 2 2 2 1 2 1 1 ˆ ˆ 1 1 ˆ p p V k V i A A A V

ω

ρ

λ

 − =  + −  +           (7.19)

(26)

Se a questo punto associamo la portata volumetrica ad una corrente elettrica e la caduta di pressione tra monte e valle ad una caduta di tensione, è possibile instaurare una analogia elettrica in cui i termini della (7.19)

2 2 2 1 2 1 1 1 V k V A A A

ρ

 + −           e

ρ

λ

(7.20)

rappresentano rispettivamente una resistenza elettrica R ed un’induttanza L (la caduta di tensione ai capi di un induttanza si può infatti scrivere, in termini di grandezze complesse, come il prodotto tra corrente ed impedenza; quest’ultima risulta essere Z = iωL da cui l’analogia). Alla luce di queste osservazioni, la (7.19) si riduce a

1 2 1 ˆ ˆ ˆ p p R i L V

ω

− = +  (7.21)

Adottando un formalismo più generale ed appropriato anche nel caso di flussi comprimibili e per componenti diversi dai semplici condotti, la (7.21) può essere scritta come segue: 2 1 2 1 1 2 1 2 1 ˆ ˆ ˆ ˆ ˆ ( ) ˆ ˆ ˆ ˆ p p p p R i L V H V V V V

ω

= +  ⇒  =    =           (7.22)

dove H rappresenta la matrice di trasferimento dinamica del condotto od in generale del componente e vale

(

)

1 0 1 R i L H =  − +

ω

   (7.23)

7.3.2 Calcolo del coefficiente di perdita k

Il coefficiente di perdita k è un indice della caduta di pressione che si ha in un fluido allorquando attraversa un condotto o più in generale un elemento in cui è soggetto ad un’azione da parte delle forze di attrito viscoso alla parete. Quello delle perdite di pressione è un problema classico dell’ingegneria idraulica e per questo il calcolo del coefficiente k è agevolato da una serie di tabelle, grafici ed espressioni empiriche rintracciabili in letteratura (ad esempio in [10]).

Per i tubi a sezione circolare si ha

l k f D   =     (7.24)

(27)

di attrito. Quest’ultimo risulta funzione del numero di Reynolds all’interno del condotto e della rugosità relativa definiti rispettivamente come

ReD uD

ν

= e S D e D

ε

= (7.25)

dove υ è la viscosità cinematica del fluido e εsè la rugosità della superficie interna al tubo. Il valore di f viene molto spesso determinato facendo uso di diagrammi come ad esempio quello di Moody riportato nella figura 7.19

Per la stesura di un programma che calcoli automaticamente il valore di k conviene invece far uso di espressioni empiriche come ad esempio quella di Churchill:

1 3 12 12 2 8 1 8 Re f A B         = ⋅  +  +       (7.26) con 16 0.9 1 2.457 ln 7 0.27 Re D A e          =   + ⋅          (7.27) 16 37530 Re B=     (7.28)

(28)

Nel caso di raccordi e curve k viene calcolato come nella (7.24) ma si introduce il rapporto equivalente tra lunghezza e diametro, rapporto ricavabile direttamente da tabelle. Per quanto riguarda infine il coefficiente k di entrate e sbocchi, esso viene direttamente ricavato da tabelle in funzione del rapporto tra le aree a monte e valle.

7.3.3 Matrice di trasferimento dinamica di una pompa non cavitante

Sotto le assunzioni di liquido incomprimibile confinato da pareti rigide, di pompa funzionante in regime stazionario (ovvero i tempi caratteristici dei fenomeni naturali del sistema sono superiori ai tempi di residenza del fluido nella pompa) e non cavitante, introducendo la teoria delle piccole perturbazioni (di periodo 2π/ω) nelle definizioni del coefficiente di flusso e della prevalenza si ottiene:

1 1 1 1 1 1 1 ˆ ˆ T T V V A R A R

φ

φ

=  ⇒ =  (7.29) 2 2 2 1 2 1 1 2 2 1 ˆ ˆ ˆ t t t t T T p p d p p R R d

ψ

Ψ

ρΩ

φ

ρΩ

φ

− = ⇒ − = (7.30)

Dal momento che la velocità del flusso può essere espressa come il rapporto tra la portata volumetrica e la sezione di passaggio, ricordando l’espressione della pressione totale definita nell’equazione (2.7) ed eliminando

φ

ˆ e pˆt2pˆt1 si ottiene:

2 1 2 1 1 1 2 2 2 1 2 1 1 ˆ ˆ ˆ 1 1 ˆ 2 T t R V d p p p p V V V A A d A A

ρΩ

ψ

ρ

ρ

φ

  = + ⇒ − = −  −        (7.31)

La (7.31) permette di scrivere direttamente la matrice di trasferimento dinamica per una pompa non cavitante:

1 2 2 1 2 1 1 1 1 0 1 T R d V H A d A A

ρΩ

ψ

ρ

φ

   − −    =      (7.32)

Come si può osservare la matrice presenta soltanto il termine “resistivo”.

7.3.4 Caratterizzazione della silent throttle valve

Per quanto riguarda la caratterizzazione del comportamento della silent throttle valve si sono sfruttati i risultati ottenuti nel lavoro di tesi [11] nel quale si è dimostrato con prove sperimentali come si possa a buon diritto legare il salto di pressione fornito dalla valvola

(29)

al quadrato della velocità. Il coefficiente k è stato calcolato dunque come nella (7.16); le perdite di pressione legate alla valvola sono state calcolate a ritroso ovvero imponendo l’uguaglianza tra le perdite di pressione nei condotti di aspirazione e mandata (note) e nella valvola stessa (incognita) con il salto di pressione fornito dalla pompa (noto) nelle date condizioni operative (portata e numero di giri del motore).

7.3.5 Il modello numerico dell’impianto

Il circuito di prova è stato schematizzato come nella figura seguente dove si è scelto di aprire il circuito medesimo in corrispondenza del serbatoio di pressurizzazione. Gli elementi principali risultano così:

• il condotto di aspirazione (ls)

• il condotto di mandata (ld)

• la pompa (p) • la valvola (v).

Figura 7.20 – Schema del circuito. S = aspirazione; D = mandata; p = pompa ;

V = silent throttle valve

I primi due elementi contengono al loro interno tutte le informazioni relative alla resistenza e all’induttanza dei singoli componenti che li costituiscono, in particolare i tubi, le curve ed i raddrizzatori di flusso. Questi ultimi sono stati schematizzati come una serie di tubicini posti in parallelo e da soli costituiscono la maggior parte del termine resistivo associato ai due condotti. Nella configurazione adottata per le prove sul FAST2 sono state introdotte due nuove fonti di perdita di pressione ovvero:

• il brusco passaggio di sezione subito dopo il raddrizzatore di flusso • le cadute di pressione a filtro discusse nel paragrafo 6.1.

La prima di queste è una perdita concentrata e facendo uso delle tabelle riportate in [10] è stato immediato il calcolo della sua “resistenza”.

Per quanto riguarda la seconda si sono rivelati utili i dati sulla pressione in ingresso raccolti durante le prove effettuate senza i filtri sul primo esemplare di FAST2 (si veda il capitolo 5). Il salto di pressione fornito dai filtri (nel caso specifico due) è stato calcolato come:

filtri ingresso ingresso ingresso ingresso

senza con

(motore acceso) (motore spento) (motore acceso) (motore spento)

filtro filtro

p p p  p p 

∆ =

(30)

0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 0.3 0.35 φ ψ data 1 cubic

Tale salto di pressione è stato calcolato per quelle portate per le quali erano stati campionati i dati sia nella configurazione senza filtri sia in quella con i filtri montati. Operando in questo modo si riesce a costruire la curva discreta di caduta di pressione al variare della portata. Il polinomio che meglio interpola tali dati risulta di secondo grado ed è stato forzato a passare dall’origine in quanto fisicamente per portate nulle la caduta di pressione attraverso i filtri deve essere nulla (figura 7.21). Il legame quadratico permette l’utilizzo della (7.16) e, facendo uso della (7.20), risulta:

2 2 2 filtri 2 filtro a A k V p aV k R = A

ρ

=  ⇒ = ⇒  (7.34) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 x 10-3 0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 portata [m3/s] p e rd it e d o v u te a i fi lt ri [ b a r] dati interpolazione

Figura 7.21– Perdite di pressione nelle cadute a filtro

Per il calcolo dei termini relativi alla pompa si è fatto uso dei dati geometrici del FAST2 (paragrafo 5.2) e si è approssimata la curva delle prestazioni in regime non cavitante con un polinomio di terzo grado come è mostrato nella seguente figura.

Figura 7.22 – Curva caratteristica dell’induttore FAST2 e polinomio interpolante

3 2

151 9. 53 582. 1 9414. 0 2472.

(31)

A questo punto risulta possibile scrivere la matrice di trasferimento dinamica dell’intero sistema ; essa risulta il prodotto ordinato delle singole matrici di trasferimento.

(

)

(

)

1 1 1 0 1 0 1 0 1 P A A V M V M SIST R R i L R R i L L H = − + −

ω

+    −    − −

ω

=       1 0 1 eq eq R i L

ω

 =     (7.35)

Il pedice V indica i termini associati alla valvola, M quelli della mandata, P quello della pompa, A quello della aspirazione (al cui interno figurano le perdite per le cadute a filtro). Sviluppando il prodotto delle matrici si scopre che i termini Req e Leq sono rispettivamente dati dalla semplice somma delle singole resistenze ed induttanze.

Poiché si sta ragionando con un circuito chiuso dovrà risultare:

(

)

2 1 1 1 2 1 2 2 1 1 ˆ ˆ ˆ 0 ˆ SIST ˆ SIST ˆ p p p p p H I H V V V V V       =  ⇒  =   ⇒ −  =  =      

L’unica soluzione non nulla si ha pertanto per:

(

)

det IHSIST =0

Sviluppando i conti, dopo una lunga serie di passaggi, si perviene al seguente risultato:

0 eq eq eq eq R R i L i L

ω

ω

− − = ⇒ = (7.36)

Nell’appendice al capitolo è riportato l’algoritmo di calcolo del modello numerico sopra descritto. Le portate utilizzate sono quelle alle quali sono stati calcolati gli spettri. Le frequenze naturali del flusso all’interno dell’impianto configurato per le prove sul FAST2 sono quelle riportate nel grafico di figura 7.23 e nella tabella 7.7 .

0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 0.06 0.07 0.08 0.09 0 5 10 15 φ F re q u e n z a n a tu ra le [ H z ]

(32)

Φ .010 .020 .030 .040 .050 .060 .065 .070 .076 .083 .090 fNATURALE [Hz] 8.2 4.7 3.6 3.1 2.9 2.7 2.7 2.6 2.6 2.5 2.5

Tabella 7.7 – Frequenze naturali del circuito

7.4

Analisi spettrale: risultati

Come anticipato nei paragrafi precedenti, i risultati vengono presentati sottoforma di diagrammi a cascata (“waterfall plots”). Dal confronto dei diagrammi costruiti utilizzando gli autospettri ricavati da segnali di trasduttori diversi posti nella stessa stazione assiale si è visto che i diagrammi a cascata che ne derivano sono pressoché identici, presentando lo stesso contenuto in frequenza. I grafici riportati nei paragrafi successivi sono stati ottenuti tramite gli autospettri dei segnali raccolti dal trasduttore centrale nella stazione di ingresso, indicato in rosso nella figura seguente.

trasduttore tappo

trasduttore utilizzato per i waterfall (stazione di ingresso)

trasduttore utilizzato per i waterfall (stazione mediana)

trasduttore utilizzato per i waterfall (stazione di uscita) 1 2 3 4 5 6 7 8

Figura 7.24 – Schema della disposizione dei trasduttori piezoelettrici e dei tappi sul plexiglas fatto costruire per le prove sull’induttore FAST2

Interessante è anche osservare come cambino i “waterfall plots” relativi alla sezione centrale ed a quella di uscita dell’induttore; proprio per tale finalità sono stati montati i trasduttori indicati in verde ed in blu nella precedente figura.

In questo lavoro si è cercato di esplorare tutto il campo di prestazione della macchina (e non solamente un intorno del punto di lavoro), allargando l’analisi anche ai valori più bassi di Φ per i quali non si ha un comportamento da vero induttore.

7.4.1 I “waterfall plots”

Si riportano di seguito i diagrammi a cascata per i valori di Φ adottati nelle prove in regime cavitante descritte nel paragrafo 6.3.

(33)

Figura 7.25 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.090, Q=8.22 l/s, T=23°C, 4000 rpm)

Figura 7.26 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.083, Q=7.58 l/s, T=23.5°C, 4000 rpm)

(34)

Figura 7.27 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.076, Q=6.94 l/s, T=24°C, 4000 rpm)

Figura 7.28 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.070, Q=6.40 l/s, T=22.4°C, 4000 rpm)

(35)

Figura 7.29 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.065, Q=5.94 l/s, T=21.7°C, 4000 rpm)

Figura 7.30 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.060, Q=5.48 l/s, T=25°C, 4000 rpm)

(36)

Figura 7.31– Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.050, Q=4.57 l/s, T=22°C, 4000 rpm)

Figura 7.32 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.040, Q=3.65 l/s, T=25.4°C, 4000 rpm)

Figura

Figura 7.9 – Effetto sugli spettri dell’utilizzo della finestra di Hanning [3]
Figura 7.36 – Autospettro della pressione in ingresso (Φ=0.090, Q=8.22 l/s, T=23°C, 4000  rpm) con indicazione delle frequenze di interesse
Figura 7.41 – Autospettro della pressione in ingresso con soppressione delle armoniche legate  al passaggio delle pale  (Φ=0.090, Q=8.22 l/s, T=23°C, 4000 rpm)
Figura 7.43 – Ampiezza del picco dell’autospettro al variare dell’ampiezza della sinusoide  campione (frequenza 100 Hz, T r = 6 s, T=2 s , dt=1/1000 s)
+7

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