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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE

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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE

1.1

Le microparticelle (MP)

Le microparticelle (MP) costituiscono una popolazione eterogenea di vescicole rivestite di membrana. Queste possono essere rilasciate da tutti i tipi di cellule durante l’attivazione o l’apoptosi e comparire nel sangue e negli altri fluidi biologici. Furono identificate per la prima volta nel 1967 da Wolf che aveva dimostrato la presenza nel plasma umano di piccoli frammenti derivati da piastrine. Studi successivi hanno dimostrato che questo spargimento vescicolare accade comunemente sia in cellule normali che tumorali, macrofagi, monociti, linfociti B e T, neutrofili, eritrociti, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce vascolari e cellule epiteliali. A lungo considerate sottoprodotti cellulari inerti, le MP sono ora considerate elementi subcellulari funzionalmente attivi ben distinti da altre strutture subcellulari come gli esosomi e i corpi apoptotici; operano infatti in numerosi processi fisiopatologici, come la coagulazione del sangue e l’infiammazione. Dipendendo dal tipo di cellula da cui originano e probabilmente dalle condizioni per la loro generazione, le MP possono variare in dimensione, composizione e attività funzionale (Distler, 2006).

Caratteristica delle MP è che avendo accesso al sangue, possono agire a distanza dal loro sito di origine. Sono presenti nel sangue periferico di individui sani, ma i loro livelli aumentano in pazienti con malattie infiammatorie e autoimmuni e aterosclerosi (Ardoin, 2007).

1.1.1 Composizione delle MP

Le MP sono microvescicole di 0.05-1 µm, possiedono la membrana della cellula da cui originano oltre ai contenuti citoplasmatici (Ardoin, 2007). Sono costituite prevalentemente da lipidi e proteine. La parte lipidica consiste in un doppio strato

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fosfolipidico che varia in base al tipo di cellula da cui derivano, o in base allo stimolo che le ha indotte (Morel, 2005); infatti è stato visto che la percentuale di fosfolipidi che compone il doppio strato varia tra individui sani e pazienti (Boulanger, 2001). La membrana delle MP è carica negativamente per la presenza, sul versante esterno, di fosfatidilserina (PS). Generalmente in una cellula a riposo la fosfatidilserina è localizzata sul versante interno della membrana cellulare, posizione garantita dall’attività di una traslocasi di amminofosfolipidi. Con la vescicolazione che si ha durante la liberazione delle MP, diminuisce l’azione di questo enzima che non riesce a mantenere la PS nella giusta posizione facendola comparire sul foglietto esterno della membrana delle MP.

Per quanto riguarda la parte proteica, le MP presentano le proteine di superficie della cellula da cui provengono (Fig. 1)

Fig. 1 : Rappresentazione schematica della generazione e composizione delle MP.

Le MP portano sulla loro superficie e all’interno una vasta gamma di molecole stimolatrici quali i recettori delle citochine, acido arachidonico, e DNA (Distler,

2006).

Per il fatto che hanno una composizione lipidica e proteica assai varia, esse costituiscono una fonte concentrata ed eterogenea di molecole che può svolgere un ruolo nella regolazione di molti processi biologici (Distler, 2006)

Cellula Cellula

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1.1.2 Generazione delle MP

I meccanismi intracellulari che portano alla liberazione delle MP non sono ancora completamente chiariti; è certo comunque che vengono liberate dalle cellule nel corso di due processi distinti: l’attivazione cellulare e l’apoptosi.

Durante l’attivazione cellulare si ritiene che si verifichi vescicolazione calcio-dipendente; si rileva infatti un aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+, dovuto al rilascio di questo ione dai compartimenti intracellulari e al suo ingresso dall’ambiente extracellulare, con conseguente distacco della membrana plasmatica dal citoscheletro. Il distacco è causato dall’attivazione della calpaina, una proteasi che degrada le proteine di legame talina e α-actinina. La via della calpaina però non può essere l’unico meccanismo calcio dipendente per il rilascio delle microparticelle dal momento che la calpaina è inibita dalla calpeptina ma l’azione di quest’ultima non blocca anche il rilascio delle MP (Distler, 2006). Con l’attivazione cellulare, all’aumento di calcio segue un rimodellamento della membrana plasmatica, con modifiche che includono l’esposizione sul versante esterno della fosfatidilserina e la formazione di vescicole, ovvero MP, che portano con se proteine di superficie e componenti citoplasmatiche della cellula di origine. Studi in vitro sul rilascio delle MP da parte delle piastrine hanno mostrato che l’attivazione si verifica per azione di diversi stimoli come adrenalina, adenosina difosfato, trombina, collagene, calcio ionoforo (A23187), fattori del complemento e stress (Ardoin, 2007).

Per quanto riguarda il loro rilascio durante l’apoptosi, questo è associato al fenomeno del blebbing di membrana. L’apoptosi è una forma di morte cellulare il cui fine è l’eliminazione di cellule non desiderate dell’organismo attraverso l’attivazione di una sequenza di eventi coordinati e programmati internamente alla cellula, messi in atto da una serie di prodotti genici specializzati. Si verifica per esempio durante lo sviluppo, come meccanismo omeostatico di mantenimento delle popolazioni cellulari all’interno di un tessuto, come meccanismo di difesa nelle reazioni immunitarie, o nell’invecchiamento. Le cellule che vanno incontro a questo fenomeno presentano le seguenti caratteristiche: diminuzione delle

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dimensioni cellulari, condensazione della cromatina, formazione di estroflessioni superficiali (blebs) ed infine frammentazione in corpi apoptotici (Robbins, 1999). Il rilascio delle MP sembra avvenire tardivamente nell’apoptosi, contemporaneamente alla frammentazione cellulare e alla formazione dei corpi apoptotici. Il blebbing di membrana durante l’apoptosi dipende dall’attivazione di ROCK1, una kinasi 1 associata a Rho (Ardoin, 2007). Le proteine ROCK sono attivate dal legame di Rho al GTP e sono importanti mediatori per la riorganizzazione del citoscheletro. In esperimenti con fibroblasti di topo NIH3T3 e cellule epiteliali umane di tumore della mammella MCF10A la vescicolazione delle MP è diminuita per il blocco della ROCK 1 da parte di una piccola molecola inibitrice Y27632 (Distler, 2006).

Probabilmente a seconda che le MP vengano prodotte in seguito ad attivazione o apoptosi variano sia i meccanismi con cui si formano che le dimensioni, la composizione interna e di superficie; infatti l’espressione di molecole di membrana sulla superficie delle MP di derivazione endoteliale varia a seconda che la loro formazione risulti dall’attivazione cellulare o dall’apoptosi. Non è ancora noto se queste differenze strutturali influenzino anche la loro funzione

(Ardoin, 2007).

1.1.3 Funzioni delle MP

In contrasto con la loro iniziale definizione di detriti cellulari inerti, le MP attualmente sono considerate molecole attive fisiologicamente coinvolte in almeno tre importanti processi biologici: l’infiammazione, la coagulazione e la funzione vascolare (Ardoin, 2007).

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Microparticelle e infiammazione

L’infiammazione sostanzialmente una risposta protettiva, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare e delle sue conseguenze

(Robbins, 1999).

Come dimostrato in studi in vitro, le MP possono avere attività pro-infiammatorie che risultano da diversi meccanismi. Possono rendere le cellule suscettibili a nuovi stimoli mediando un trasferimento intercellulare di recettori che vengono integrati funzionalmente nella membrana plasmatica della cellula ricevente (Distler, 2006). Questo trasferimento di recettori serve ad aumentare le risposte indotte da un determinato tipo di cellule, quindi ad amplificare la riposta infiammatoria (Ardoin, 2007; Distler, 2006). Le MP di origine piastrinica possono anche rilasciare acido arachidonico, che fa aumentare l’adesione dei monociti alle cellule endoteliali attraverso l’induzione della molecola di adesione intercellulare-1 (intercellular adhesion molecule-1, ICAM-1) nelle cellule endoteliali e dell’integrina LFA1 sui linfociti. Incentivano l’infiammazione, attivando la cascata del complemento, infatti in vitro il C1q, l’elemento di riconoscimento nella via classica di attivazione del complemento, si lega a MP derivate da cellule apoptotiche. (Distler, 2006).

L’epitelio delle vie aeree partecipa attivamente nella difesa contro i patogeni che colpiscono le vie aeree superiori e regola le reazioni infiammatorie che caratterizzano le malattie polmonari. Il reclutamento di leucociti circolanti nel sangue periferico rappresenta uno step cruciale in questi processi e richiede l’azione combinata di chemochine e molecole di adesione cellula-cellula. Le MP hanno un ruolo anche in questo ambito. Studi condotti dalla Dott.ssa Cerri nel nostro laboratorio hanno messo in evidenza la capacità delle MP, derivate da monociti /macrofagi stimolati con lo ionoforo del calcio A23187 e con l’istamina, di modulare la sintesi di citochine infiammatorie quali MCP-1 e IL-8 e della molecola di adesione ICAM-1, da parte di cellule epiteliali delle vie aeree umane

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Microparticelle e coagulazione

Nel processo coagulativo vengono richiesti non solo fattori di coagulazione attivi e ioni calcio, ma anche superfici procoagulanti, ovvero membrane che espongono fosfolipidi carichi negativamente, capaci di facilitare il legame dei fattori di coagulazione alla membrana, attivando i complessi noti con il nome di tenasi e protrombinasi (Morel, 2005). Ci sono sostanziali evidenze in vitro per l'implicazione delle MP nell'attivazione del sistema di coagulazione (Mallat,

2000). Le MP derivate da piastrine insieme alle piastrine stesse contribuiscono

all’emostasi. Durante episodi di sanguinamento acuto per esempio associato ad emofilia si nota un aumento del numero di MP piastriniche. La fosfatidilserina è esposta sul versante esterno della membrana delle MP piastriniche per questo le MP favoriscono la cascata della coagulazione. Infatti per questa loro composizione possono interagire con i fattori Va, VIII e IXa facilitando l’assemblamento del complesso della protrombinasi (Ardoin, 2007).

Microparticelle e funzione vascolare

Studi sulle proprietà delle MP hanno rivelato la loro implicazione sul tono vasale. MP piastriniche inducono l’espressione di ciclossogenasi-2 (COX-2) nelle cellule endoteliali della vena ombelicale umana e di conseguenza garantiscono la produzione di prostacicline, che sono vasodilatatori. Le MP endoteliali possono modulare l’azione rilassante dei vasi causata da NO (monossido di azoto) in modelli di ratto (Ardoin, 2007).

E' stato descritto recentemente che le MP isolate da pazienti con infarto acuto diminuiscono il rilassamento endotelio-dipendente nelle arterie; al contrario, MP isolate da soggetti sani non hanno tale effetto. Questa è una dimostrazione di un effetto diretto delle MP sulla funzione vascolare. È stato inoltre dimostrato in pazienti affetti da sindromi coronariche acute un aumentato livello di MP circolanti rispetto a pazienti con angina stabile o a individui sani . Questi risultati suggeriscono che un aumento di MP circolanti possa contribuire alla generazione e alla perpetuazione di trombi intracoronarici .

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1.2 Epitelio delle vie aeree

Le vie aeree sono rivestite da una varietà di cellule specializzate con un’ampia gamma di funzioni importanti nel mantenimento dell’omeostasi. Tali funzioni includono la regolazione del bilancio delle secrezioni polmonari, il metabolismo e la clearance delle sostanze inalate, l’attrazione ed attivazione delle cellule infiammatorie in risposta al danno e la regolazione della funzione delle cellule muscolari lisce bronchiali mediante la secrezione di numerosi mediatori. L’epitelio è anche la sede di primo contatto tra l’organismo e tutta una serie di stimoli ambientali. Quindi, il danno dell’epitelio può contribuire in modo sostanziale all’infiammazione e alle sue manifestazioni a livello polmonare .

1.2.1 Cenni di anatomia

L’epitelio delle vie aeree comprende molti tipi cellulari diversi, che in base a funzione, ultrastruttura e caratteristiche biochimiche, possono essere raggruppate in tre distinte categorie :

cellule basali

cellule ciliate

cellule secretorie

In aggiunta alle cellule propriamente epiteliali, altri tipi cellulari possono migrare e rimanere all’interno dell’epitelio o passare nel lume, ad esempio le cellule che prendono parte alla risposta infiammatoria o immunitaria quali i mastociti, le cellule dendritiche, i macrofagi, i linfociti intraepiteliali.

Un altro elemento che si osserva nella struttura epiteliale delle vie aeree sono le terminazioni nervose del sistema sensitivo e colinergico.

La fisiologia delle cellule epiteliali è profondamente influenzata dalla composizione biochimica dell’ambiente extracellulare e dalle condizioni delle

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cellule adiacenti. Anche l’organizzazione tridimensionale dell’epitelio è strettamente dipendente dalle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare. L’interazione tra cellula e cellula e cellula e matrice extracellulare è mediata da specifici recettori di superficie denominati integrine. Le integrine sono glicoproteine transmembrana costituite da eterodimeri di due subunità: α e β, le prime con funzione di legare i ligandi specifici, le seconde con attività di trasduzione del segnale. Ad oggi si ritiene che le cellule epiteliali esprimano 9 differenti integrine , due delle quali (α3β1 e α6β4) riconoscono i componenti della membrana basale e fungono da vere e proprie molecole di adesione. Le rimanenti integrine note riconoscono componenti della matrice extracellulare (extracellular

matrix, ECM) che vengono prodotti in risposta al danno e all’infiammazione.

1.2.2 Funzioni dell’epitelio delle vie aeree

La concezione dell’epitelio come barriera passiva inerte è, ad oggi, completamente superata dalla scoperta di una serie di importanti funzioni attive dell’epitelio sia nel mantenimento dell’omeostasi che durante i processi patologici. La funzione barriera, inizialmente considerata l’unica, è esercitata dall’epitelio grazie alla presenza di una serie di strutture quali le giunzioni serrate (tight junctions), che impediscono la diffusione paracellulare passiva di elettroliti ed altre molecole, ma anche di desmosomi e giunzioni gap che contribuiscono al mantenimento dell’integrità della struttura epiteliale. Nelle malattie infiammatorie delle vie aeree si può avere un esteso coinvolgimento dell’epitelio con perdita degli strati cellulari superficiali ed attivazione delle cellule epiteliali superstiti e dei fibroblasti. Quindi, oltre a fungere da barriera agli agenti esterni, la superficie epiteliale dei bronchi regola una serie di reazioni che includono la protezione da agenti chimici e microbiologici, la modulazione del processo di riparazione attraverso la secrezione di proteine della matrice extracellulare e l’interazione con

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altre cellule coinvolte nello stesso processo, in particolar modo con i fibroblasti interstiziali (Tabella 1).

Tabella 1: Funzioni dell'epitelio bronchiale (Robbins, 1997; Thompson, 1995).  Protezione dagli agenti esterni

 Regolazione del trasporto di fluidi e ioni tra superficie delle vie aeree ed il lume

 Secrezione mucosa e trasporto ciliare

 Interazione con cellule infiammatorie e loro reclutamento  Attività antimicrobica

 Protezione da ossidanti e proteasi

 Modulazione del tono della muscolatura liscia delle vie aeree  Modulazione dei processi di riparazione

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Molecola

Stimolo

Mediatori lipidici

PGE2, PGF2, TXB2, Leucotrieni Leucotrieni, bradichinine, allergeni, O3, PAF, ET-1, istamina

Citochine

IL-l, NF-α, IL-6, IL-11, LIF, IL-10 Virus, IL-lβ,TGF β

Chemochine

IL-8, GRÒ-α, GRÒ- β, Rantes, MIP-1 α, MCP-1, 4, Eotaxina-1, 2

TNF-α, ΙL-1β, virus, TNF-α, allergeni, rhinovirus,

Fattori di crescita

TGF-β, EGF, PDGF EGF, IL- β, ipossia

Proteine della ECM

Collagene tipo I e IV, FN, LN, acido ialuronico, CD44, MMP- 1, 2, 3, MMP-7, 9, TIMP-1, 2

Danno, EGF, PDGF, TNF-α, PMA, Infezioni batteriche, TGF-β

Mediatori peptìdici

Endotelina LPS, citochine proinfiammatorie, IL-6, TGF-β

Molecole di adesione

ICAM-1, Ep-CAM E, N, C-caderine IL- β, TNF-α

Integrine

α-1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, β-l, 4, 6, 8

E

GF

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1.3 L’Infiammazione

Quando si determini una lesione dei tessuti, o penetrino in essi agenti patogeni (infezioni da batteri o da virus), oppure cellule estranee appartenenti ad altri organismi sia unicellulari che pluricellulari, avviene una reazione locale di difesa che nel suo complesso prende il nome di processo infiammatorio. Questo processo comprende modificazioni circolatorie e tissutali intese dapprima a creare una barriera che impedisca l’estendersi della lesione o dell’infezione, successivamente ad inattivare e distruggere gli agenti patogeni o le sostanze estranee, ed infine a consentire la ricostituzione dei tessuti nella loro integrità (Taglietti, 2004).

La risposta infiammatoria ha luogo nel tessuto connettivo vascolarizzato comprendente il plasma, le cellule circolanti, i vasi sanguigni e i componenti cellulari ed extracellulari. Le cellule circolanti sono neutrofili, monociti, eosinofili, linfociti, basofili e piastrine. Le cellule del tessuto connettivo sono i mastociti che si trovano in prossimità dei vasi, i fibroblasti e possono trovarsi al momento nel tessuto anche macrofagi e linfociti (Robbins, 1999). Tutte le risposte vascolari e cellulari che si verificano durante i processi infiammatori sono mediati da agenti chimici di derivazione plasmatica o cellulare prodotti, liberati o attivati in risposta allo stimolo infiammatorio. Questi mediatori possono agire singolarmente, in combinazione, o in sequenza amplificando ed influenzando l’evoluzione dell’infiammazione (Robbins, 1999). L’infiammazione ha inizio con vasodilatazione e aumento della permeabilità dei capillari sanguigni, causato dalla comparsa nella regione lesa di sostanze attive sui vasi (istamina, chinine). Il risultato è un’intensa iperemia locale, innalzamento della temperatura insieme ad edema per aumento di liquidi e proteine plasmatiche (fibrinogeno, fattori intrinseci della coagulazione) nella parte infiammata. Questi primi eventi hanno il fine di impedire l’estendersi dell’agente lesivo. Le sostanze liberate hanno anche un’azione chemiotattica provocando l’attrazione di neutrofili e macrofagi che fagocitano, liberano enzimi, mediatori chimici, radicali dell’ossigeno o del’azoto per eliminare l’agente lesivo. La fase terminale dell’infiammazione prevede la

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riparazione del danno tissutale che dipende dalla gravità della lesione (Taglietti,

2004).

Si distinguono due tipi di infiammazione, l’infiammazione acuta e quella cronica: la prima è di breve durata, da pochi minuti o qualche ora, fino a pochi giorni, è caratterizzata da un essudato composto da liquidi e proteine plasmatiche (edema) e dalla migrazione di leucociti, soprattutto neutrofili; la seconda invece dura più a lungo ed è caratterizzata dalla presenza di linfociti e macrofagi, da proliferazione di vasi sanguigni, da fibrosi e necrosi tessutale. In alcuni casi l’infiammazione cronica può essere preceduta da una fase iniziale di infiammazione acuta, altre volte inizia in maniera asintomatica e con una intensità ridotta, come accade in molte malattie umane come l’artrite reumatoide, l’aterosclerosi, la tubercolosi e le malattie polmonari croniche (Robbins, 1999). L’infiammazione acuta può avere quattro esiti: risoluzione completa, formazione di un ascesso (quando il processo infiammatorio è sostenuta da organismi piogeni), guarigione per sostituzione con tessuto connettivo (fibrosi), o evoluzione in infiammazione cronica quando lo stimolo lesivo persiste (Robbins, 1999). L’infiammazione cronica invece può evolvere per esempio nella formazione di un granuloma che è un area delimitata da una parete più robusta di quella di un ascesso, ricca di elementi di derivazione connettivale insieme a fagociti in cui però possono sopravvivere a lungo agenti patogeni particolarmente resistenti o corpi estranei non fagocitabili. Il microrganismo Mycobacterium tuberculosis causa questo tipo di reazione (Taglietti, 2004).

1.3.1 Le Citochine

L’induzione e la regolazione delle risposte immuni implica interazioni multiple tra linfociti, monociti, neutrofili e cellule endoteliali. Queste interazioni possono avvenire mediante il contatto cellula-cellula o mediante l’azione di mediatori solubili a corto raggio d’azione chiamati citochine (Robbins 1999).

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Le citochine sono glicoproteine con peso molecolare molto eterogeneo compreso tra 8 e 90 kDa che regolano, come mediatori solubili, la proliferazione e la differenziazione cellulare nelle risposte immunitarie e infiammatorie. Gli antigeni inducono l’attivazione delle cellule immunocompetenti che rilasciano molteplici citochine diverse, le quali agiscono come fattori autocrini (sulle stesse cellule che le hanno secrete) sia come fattori paracrini (su cellule diverse). Tutte le citochine agiscono in maniera specifica con i recettori delle cellule bersaglio e questa interazione induce una cascata di eventi intracellulari che trasducono segnali dalla membrana cellulare al citoplasma e al nucleo (Doria, 1998).

La maggior parte delle citochine sono pleiotropiche, poiché ognuna può agire su differenti tipi cellulari, e ridondanti in quanto citochine diverse possono avere lo stesso effetto su una particolare funzione cellulare. Le interazioni cellula-cellula sono amplificate da questi mediatori attraverso la loro capacità di agire come potenti induttori di altre citochine, dando origine a delle vere e proprie cascate di citochine che interagiscono tra loro svolgendo un’azione additiva, sinergica, o antagonistica su certe funzioni cellulari (Doria, 1998).

La secrezione di questi mediatori è transitoria e strettamente regolata, ma regolata è anche l’espressione dei recettori delle citochine presenti sulle cellule bersaglio, da vari segnali endogeni ed esogeni (Robbins 1999).

Esiste una classificazione delle citochine sulla base della funzione principale o in relazione al tipo di cellula bersaglio; anche se questa classificazione risulta comoda, non bisogna dimenticare che molte citochine hanno effetti pleiotropi

(Robbins 1999).

Le citochine possono essere raggruppate in 5 classi:

Citochine che regolano la funzione dei linfociti. Queste citochine regolano l’attivazione, la proliferazione e il differenziamento dei linfociti.

Citochine implicate nell’immunità naturale.

Citochine che attivano le cellule dell’infiammazione. Queste citochine attivano i macrofagi durante le risposte immunitarie cellulo-mediate. • Chemochine. Citochine con azione chemiotattica.

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Citochine che stimolano l’emopoiesi. Stimolano la proliferazione e il differenziamento dei leucociti immaturi (Robbins 1999).

1.3.2 Le Chemochine

Le chemochine costituiscono una superfamiglia di piccole proteine (8-10 kDa) in grado di esercitare effetti chemiotattici sui leucociti e di attivarli. Oltre al loro ruolo nella regolazione dell’attivazione e del reclutamento dei leucociti, le chemochine agiscono sui fibroblasti, sulle cellule muscolari lisce e sui progenitori delle cellule emopoietiche (Robbins 1999).

Sono proteine di 60-80 aminoacidi, caratterizzate da 4 cisteine altamente conservate in tutti i membri della famiglia. Le cisteine sono organizzate tra loro a formare dei ponti disolfuro che gli conferiscono la caratteristica struttura tridimensionale che le contraddistingue (Doria, 1998).

Le chemochine possono essere classificate in vario modo, in base alla loro derivazione cellulare, alla loro funzione o alla loro struttura. La classificazione oggi più comunemente in uso è quella che suddivide le chemochine in 4 sottogruppi principali, in base alla posizione reciproca dei primi due residui cisteinici della sequenza dei quattro conservati in tutte le chemochine. Pertanto si riconoscono chemochine CC (o α-chemochine), in cui le prime due cisteine sono adiacenti, chemochine CXC (o β-chemochine) in cui le prime due cisteine sono intervallate da un altro aminoacido, chemochine CX3C (o γ chemochine) in cui tre aminoacidi dividono i primi due residui cisteinici delle molecole, e C- chemochine (o δ chemochine) in cui, eccezione alla regola, esistono solo 2 residui cisteinici conservati anziché quattro

Le chemochine esercitano il loro effetto legandosi a recettori di superficie accoppiati a proteine G. Questi recettori contengono sette domini trans-membrana

(Robbins, 1999) e dopo essere stati attivati dal legame con le chemochine

innescano una serie di meccanismi intracellulari che risultano nella formazione di Inositolo-trifosfato (IP3), liberazione di Calcio e attivazione di Protein kinasi C.

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Ad oggi sono note 50 diverse chemochine e 19 recettori. Esiste una cosiddetta “promiscuità” tra chemochine e recettori, intesa come la capacità di alcuni recettori di legare più chemochine e di alcune chemochine di riconoscere più di un recettore .

Negli ultimi 10-15 anni alle chemochine è stato riconosciuto un ruolo in molte patologie tra cui l’aterosclerosi, le malattie autoimmuni, la sclerosi multipla, l’infezione da HIV e il cancro .

1.3.3 IL-8 (Interleuchina 8)

IL-8 appartiene alla famiglia CXC. E' un piccolo polipeptide (P.M. 8kDa) prodotto da numerosi tipi cellulari, quali monociti, cellule epiteliali, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, fibroblasti e cellule nervose; la secrezione di IL-8 avviene attraverso processi di esocitosi. Il recettore di IL-8 appartiene alla famiglia dei recettori di tipo rodopsinico, caratterizzati dall'avere 7 domini transmembrana. IL-8 è un potente chemiotattico ed attivatore dei neutrofili, mentre ha poca attività sui monociti e sugli eosinifili. Cellule epiteliali delle vie aeree in coltura primaria sintetizzano IL-8 costitutivamente ;inoltre, numerosi stimoli sono ingrado di attivare la sintesi di questa molecola, tra cui l'infezione con il virus dell'influenza, l'IL-1 e il TNF-α. In questi ultimi anni sono stati effettuati studi sul ruolo della chemochina IL-8 in patologia. Questa molecola risulta coinvolta in processi infiammatori acuti e cronici, a livello dei quali può essere considerata sia un marcatore sia un mediatore. Infatti alte concentrazioni di IL-8 sono state osservate nell'espettorato indotto con inalazione di soluzione salina ipertonica, nei lavaggi broncoalveolari (BAL) e nel siero di soggetti con asma, con fibrosi cistica e con sindrome da distress respiratorio acuta . Inoltre l'infusione intratracheale di IL-8 causa la migrazione di neutrofili verso il tessuto bronchiale e all'interno dello spazio luminale in vivo .

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1.3.4 MCP-1(Monocyte Chemotactic Protein 1)

MCP-1 è una chemochina appartenente alla famiglia delle chemochine CC. È un potente agente chemotattico per i monociti, i linfociti T attivati e le cellule NK (Natural Killer) .

Gli effetti di MCP-1 sulla migrazione delle cellule mononucleate ne suggeriscono un importante ruolo nei processi infiammatori. Questa supposizione è stata validata da studi condotti in vivo su modelli animali e studi epidemiologici condotti su popolazioni umane. Uno degli esempi più caratteristici sono le patologie cardiovascolari. Il modello oggi accettato di patogenesi della malattia aterosclerotica è quello di un quadro infiammatorio in cui le cellule endoteliali soffrono un danno come risultato di persistenti elevati livelli di colesterolo ossidato e di shear-stress derivante dall’ipertensione e dal disordinato flusso ematico . In risposta a questi fenomeni i monociti circolanti vengono attratti nel subendotelio dove si differenziano in macrofagi nel tentativo di riparare il danno. Tuttavia la persistente ipercolesterolemia porta ad un uptake di colesterolo da parte dei macrofagi che rimangono bloccati nella parete del vaso arterioso. L’attivazione costante dei macrofagi conduce inoltre alla secrezione di chemoattrattanti e fattori di crescita per le cellule muscolari lisce. Il risultato di questi fenomeni è la formazione della placca aterosclerotica matura. MCP-1 prodotto dalle cellule endoteliali danneggiate è stato fin dall’inizio considerato il principale candidato per il reclutamento dei monociti nella placca. Questa ipotesi è stata confermata dall’analisi di topi knockout per MCP-1 e CCR2 (recettore per MCP-1). In diversi modelli di aterosclerosi è stato dimostrato una consistente riduzione della deposizione lipidica sulla parete vascolare ed una riduzione in numero ed estensione delle placche aterosclerotiche.

In tutti i casi il miglioramento della malattia si associava ad un ridotto numero di macrofagi nelle lesioni, in accordo con un modello in cui MCP-1 sia il principale responsabile del reclutamento monocitario nel subendotelio .

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Per quanto riguarda la patologia infiammatoria umana, esistono alcuni studi di genetica di popolazione che cominciano a fornire una visione più specifica del ruolo di MCP-1 e CCR2. Ad esempio, è stata dimostrata una significativa associazione tra un polimorfismo del promotore del gene per MCP-1 e l’aumentato rischio di malattia coronarica . Questo polimorfismo si è dimostrato responsabile di un’aumentata trascrizione di MCP-1 in vitro, fornendo così una possibile spiegazione dell’effetto osservato .E’ inoltre stato dimostrato un effetto protettivo verso la malattia coronarica di un polimorfismo del recettore di MCP-1, CCR2, che da’ luogo alla sintesi di una forma meno responsiva del recettore, rinforzando l’ipotesi che alti livelli di MCP-1 possano influire sul rischio coronarico .

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1.4 I PPAR (Peroxisome Poliferator-Activated Receptors)

I PPAR, sono fattori di trascrizione attivati da ligando appartenenti alla superfamiglia dei recettori ormonali nucleari. Questi recettori sono stati identificati nel 1990 negli epatociti dei roditori e il nome deriva dalla loro capacità di indurre la proliferazione del perossisoma (Kota, 2004). Inizialmente erano noti per il loro ruolo nella regolazione del metabolismo glucidico e lipidico; solo recentemente è stato individuato il loro coinvolgimento anche nella regolazione di altri fenomeni come l’infiammazione (Belvisi, 2006). Si conoscono solo tre isoforme derivanti da tre geni diversi: PPAR-α, PPAR-δ/β e PPAR-γ; codificate rispettivamente dai geni NR1C1, NR1C2 e NR1C3. Tutte le isoforme presentano caratteristiche simili sia dal punto di vista strutturale che funzionale (Kota, 2004), variano più che altro nella distribuzione tissutale, infatti PPAR-α è maggiormente espresso nei tessuti con un alto catabolismo di acidi grassi come fegato, cuore, rene e muscolo; PPAR-γ invece è espresso nel tessuto adiposo e PPAR-δ/β è espresso in un ampia gamma di tessuti ed il suo ruolo specifico non è stato ancora chiarito (Trifilieff, 2003).

Questi recettori attivati possono legarsi ad una sequenza specifica nella regione del promotore di geni bersaglio regolandone la trascrizione oppure possono interagire direttamente con fattori di trascrizione inibendoli funzionalmente (Belvisi,2006). I PPAR sono attivati da ligandi endogeni come acidi grassi e derivati delle prostaglandine come il 15-deoxy-∆12-14PGJ2 (15d-PGJ2) (Kota,

2004) e da ligandi esogeni appartenenti alla famiglia dei tiazolidindioni come il

Rosiglitazone (Tesse, 2008).

Il sottotipo γ è quello maggiormente coinvolto nel processo infiammatorio; esso è espresso infatti in cellule del sistema immunitario come monociti/macrofagi, cellule B e T e cellule dendritiche (Belvisi, 2006). E’ stato dimostrato che, agonisti dei PPAR-γ inibiscono il rilascio di mediatori pro-infiammatori da parte dei monociti (Jiang,1998) e da cellule dell’epitelio sia alveolare che bronchiale (Wang, 2001), inoltre inibiscono la proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari e inducono apoptosi nelle cellule endoteliali e nei macrofagi. Sono stati

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pubblicati molti studi sugli effetti anti-infiammatori degli agonisti PPAR su modelli animali di asma, artrite, ischemia da riperfusione e malattia di Alzheimer. Tutti questi dati indicano che gli agonisti PPAR rappresentano possibili trattamenti contro le malattie infiammatorie croniche (Belvisi, 2006).

1.4.1 Caratteristiche strutturali e meccanismi biologici dei PPAR

Il recettore PPAR presenta quattro domini funzionali chiamati A/B, C, D, e E/F (Fig. 2).

Fig. 2: Rappresentazione schematica dei domini funzionali dei PPAR.

Il dominio A/B si trova nella regione N-terminale e presenta una regione AF-1 che è responsabile della attivazione indipendente dal ligando del recettore; il dominio C è il dominio di legame al DNA; il D serve per il legame al recettore di eventuali cofattori ed il dominio E/F è responsabile dell’attivazione dipendente dal ligando e contiene la regione AF-2 che serve per reclutare cofattori per favorire la trascrizione del gene. In particolare, il dominio C di legame al DNA si lega ad una sequenza nucleotidica, elemento risposta proliferatore del perossisoma (PPRE) localizzata all’interno della regione promotore dei geni bersaglio. I PPRE presentano la ripetizione di un elemento (DR)-1 costituito da una sequenza di due esanucleotidi (AGGTCA) separati da un singolo nucleotide spaziatore. Prima di legarsi a questa PPRE il recettore PPAR si associa all’RXR (recettore retinoico Х membro della superfamiglia dei recettori ormonali nucleari attivati dal legame con l’acido 9-cis-retinoico) per formare un eterodimero che può attivare o reprimere la trascrizione genica a seconda della sua interazione con

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fattori coattivatori o corepressori (Kota, 2004; Scher, 2005). L’isoforma γ è quella meglio conosciuta e si è visto che l’eterodimero PPAR-γ/RXR inattivo è localizzato nel citoplasma ed è fortemente legato a dei corepressori che gli impediscono il legame al DNA. In seguito al legame con il ligando, l’eterodimero si attiva e il coreperessore si stacca; in questo modo il PPARγ/RXR è libero di entrare nel nucleo e di interagire a livello del PPRE nella regione del promotore del gene bersaglio, provocando l’attivazione o la repressione del gene (Belvisi,

2006;Scher, 2005).

L’interazione trascrizionale dell'eterodimero con l’elemento risposta nella regione del promotore richiede il reclutamento di proteine co-attivatrici (Fig.3).

Fig. 3: Meccanismo di trascrizione genica del PPAR.

E’ stato riscontrato che PPAR-γ può esercitare la sua funzione di regolatore della trascrizione genica, senza interagire direttamente con il DNA; infatti l’eterodimero PPAR-γ/RXR si lega a fattori di trascrizione causando un inibizione funzionale di questi che non sono più in grado di indurre la trascrizione di geni bersaglio. Questo meccanismo è stato dimostrato per le proteine appartenenti alla

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famiglia NF-κB e per diversi membri della famiglia delle MAPK (proteina kinasi attivata dal mitogeno) (Belvisi, 2006).

1.4.2 PPAR-α

PPAR-α è altamente espresso nel cuore, fegato, muscoli scheletrici, tessuto adiposo, nelle cellule endoteliali e nei monociti/macrofagi dei roditori e dell’uomo (Kota, 2004). In questi tessuti svolge un importante ruolo di regolatore dei geni coinvolti nel metabolismo degli acidi grassi e sembra mediare in particolare il bilancio tra metabolismo degli acidi grassi e del glucosio in condizioni di stress fisiologico come nella resistenza all’insulina o nell’ischemia miocardica (Cresci, 2008).

I PPAR-α attivati favoriscono la captazione cellulare degli acidi grassi perché aumentano l’espressione delle proteine trasportatrici e delle traslocasi degli acidi grassi; inoltre amplificano l’espressione delle lipoproteine lipasi facendo diminuire i livelli di trigliceridi nel fegato (Kota, 2004).

Questo tipo di recettore ha un ruolo anche nell’infiammazione: gli agonisti infatti diminuiscono l’espressione della ciclossigenasi-2 (COX-2) nelle cellule muscolari lisce vascolari attraverso la repressione di NF-κB (Kota, 2004).

1.4.3 PPAR-β/δ

Questa isoforma è ampiamente espressa in molti tessuti e cellule ma è presente ad elevati livelli nel cervello, nel tessuto adiposo e nella pelle (Cresci, 2008; Kota,.

2004). Nonostante le varie ricerche, l’identità funzionale di PPAR-β/δ non è

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Si pensa sia coinvolto nell’ossidazione degli acidi grassi in adipociti e nei muscoli scheletrici e che sia un importante mediatore della sensibilità all’insulina oltre ad avere un ruolo nell’obesità (Cresci, 2008).

1.4.4 PPAR-γ

PPAR-γ è maggiormente espresso nel tessuto adiposo, attivato svolge un ruolo in molti processi biologici come il differenziamento degli adipociti, il metabolismo lipidico e l’omeostasi glucidica (Kota, 2004). Negli ultimi anni gli è stata inoltre attribuita un’ampia partecipazione in molti aspetti dell’infiammazione (Belvisi,

2006).

La formazione di adipociti è un processo di differenziamento di cellule precursori dette pre-adipociti che diventano capaci di accumulare gocciole lipidiche. PPAR-γ è un importante fattore di trascrizione coinvolto nella progressione delle cellule precursori in adipociti completamente differenziati. L’attivazione dei PPAR-γ inoltre promuove l’apoptosi di adipociti maturi pieni di lipidi; questo provoca la stimolazione del differenziamento di altri pre-adipociti (Kota, 2004).

La resistenza insulinica è un fenomeno complesso che non dipende solo dal diabete; infatti la sensibilità all’insulina la si può perdere anche con la gravidanza e l’obesità (Robbins, 1999). In vari studi si è visto che i PPAR-γ migliorano la resistenza all’insulina, in quanto contrastano in vivo con l’azione del TNF-α che induce insulino-resistenza negli adipociti. Questi agonisti stimolano l’espressione della proteina trasportatrice del glucosio (GLUT4) necessaria per la sua captazione negli adipociti. (Kota, 2004).

L’infiammazione è un processo importante in molte malattie delle vie aeree e prevede il rilascio di citochine pro-infiammatorie e di radicali liberi dell’ossigeno da parte di cellule infiammatorie attivate come i neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi. Oggi si ritiene che PPAR-γ sia un agente anti-infiammatorio poiché ostacola l’infiammazione, inibendo l’espressione di molti geni pro-infiammatori, inibendo la liberazione di citochine e di agenti chemiotattici (Belvisi, 2006).

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Sono stati effettuati molti studi su cellule epiteliali delle vie aeree che sostengono il ruolo anti-infiammatorio dei PPAR-γ. Ad esempio uno studio effettuato su cellule A549 dimostra che questi recettori sono immunomodulatori negativi. Nelle A549 l’IL-4 induce l’espressione di PPAR-γ; dopo aver trattato le cellule con gli agonisti 15dPGJ2 e ciglitazone si è riscontrato una diminuzione dell’espressione di citochine in modo dose dipendente. Solo nelle cellule trattate con ciglitazone però si è verificata una lieve secrezione di IL-8 che però è stata immediatamente bloccata pretrattando le cellule con IL-4 (Wang, 2001). Gli agonisti di questi recettori quindi possono rappresentare un nuovo trattamento farmacologico contro diverse malattie delle vie aeree come l’asma, la malattia polmonare cronica ostruttiva, la sindrome da distress respiratorio e la fibrosi polmonare (Belvisi,

2006).

Gli agonisti PPAR-γ hanno anche effetti anti-aterosclerotici in diversi modelli animali (Kota, 2004). L’aterosclerosi è una patologia caratterizzata da un ispessimento della tonaca intima delle arterie dovuta all’accumulo di cellule schiumose (Robbins, 1999). L’attivazione dei PPAR-γ ostacola la formazione di cellule schiumose regolando l’espressione di geni sia dei trasportatori che mediano il flusso di colesterolo sia di quelli che codificano per i recettori scavenger CD36 dei macrofagi (Tesse, 2008). I tiazolidindioni inibiscono l’espressione delle molecole di adesione delle cellule vascolari (VCAM-1) e delle molecole di adesione intercellulare (ICAM-1) provocando la riduzione dell’accumulo di monociti nelle tonaca intima delle arterie (Kota, 2004).

L’attivazione dei PPAR-γ blocca la sovrapproduzione di NO, l’espressione di IL-6 e TNF-α (tumor necrosis factor) e l’induzione di COX-2 e iNOS attraverso la repressione dell’attivazione sia di NFκB che di AP1 (activator protein-1). Questi dati suggeriscono un ruolo protettivo degli agonisti PPAR-γ nelle malattie cardiovascolari per le loro proprietà anti-infiammatorie (Tesse, 2008).

I PPAR-γ sono espressi anche nei macrofagi alveolari umani dove inibiscono la produzione di citochine, aumentano l’espressione del CD36 e migliorano la fagocitosi di neutrofili apoptotici da parte di queste cellule, tutti eventi necessari alla risoluzione dell’infiammazione (Belvisi, 2006).

L’attività anti-nfiammatoria degli agonisti dei PPAR è da attribuire ad antagonismo del fattore nucleare di trascrizione NFκB e alla capacità dei recettori

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attivati di agire direttamente a livello del DNA, recentemente sono stati dimostrati anche effetti non genomici dei recettori PPAR legati, ad esempio, all’inibizione delle modificazioni del calcio intracellulare indotte da f-MLP in cellule mononucleate umane (Singh, 2005). Singh e collaboratori con il loro studio hanno proposto il Rosiglitazone come un possibile agente protettivo nei confronti del danno microvascolare tipico del diabete. In questa patologia si verifica una iperattivazione di monociti che porta ad irrigidimento del citoscheletro e a ridotta deformabilità cellulare che può occludere i più piccoli vasi sanguigni causando microangiopatie. Queste alterazioni citoscheletriche dipendono dalla polimerizzazione dell’actina che si ha quando i monociti sono attivati. Con la polimerizzazione dell’actina sulla superficie cellulare compaiono estroflessioni che possono aumentare il rischio di micro-occlusioni. Il Rosiglitazone riduce la polimerizzazione della actina indotta da f-MLP nei monociti umani attraverso un meccanismo indipendente dall’interazione del recettore PPAR-γ a livello del DNA, influenzando la concentrazione di calcio intracellulare o l’attività della proteina chinasi A (Akt) (Singh,. 2005).

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1.4.5 15-deoxy-

12,14

-PGJ2 (15d-PGJ2)

Il 15d-PGJ2 è una prostaglandina recentemente scoperta. Le prostaglandine sono eicosanoidi, derivati dell’acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo di 20 atomi di carbonio disponibile con la dieta o liberato dalla membrana cellulare. In risposta a stimoli di varia natura può avvenire il rilascio di acido arachidonico che diviene substrato per enzimi come le cicloossigenasi (COX-1 COX-2) per la produzione di prostaglandine (Fig. 4).

Fig. 4 : Sintesi delle prostaglandine

Le prostaglandine sono implicate in molti processi come l’infiammazione, l’emostasi e la trombosi.

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Il 15d-PGJ2 è un ligando endogeno del recettore PPAR; legandosi all’eterodimero PPAR/RXR lo attiva per modulare la trascrizione di geni bersaglio mediante interazione diretta con il DNA, o per inibire funzionalmente fattori di trascrizione come NFκB. Si pensa anche che il 15d-PGJ2 possa reprimere l’attività di NFκB interagendo direttamente con esso (Scher, 2005).

1.4.6 Rosiglitazone

Il Rosiglitazone è un agonista esogeno dei recettori PPAR-γ, appartenente al gruppo dei tiazolidindioni, sensibilizzatori all’insulina (Fig. 5). Legandosi al PPAR-γ regola la produzione degli adipociti e la secrezione degli acidi grassi nonché il metabolismo del glucosio, determinando così un aumento di sensibilità all’insulina nel tessuto adiposo, nel fegato, e nel muscolo scheletrico (Holand,

2007). Inoltre il Rosiglitazone ha anche proprietà anti-infiammatorie; ad esempio

riduce la secrezione di IL-8, un mediatore dell’infiammazione indotto da TNF-α in cellule monociti-macrofagi della linea MonoMac6 (Caito, 2008 ).

Figura

Fig. 1 : Rappresentazione schematica della generazione e composizione delle  MP.
Tabella 1: Funzioni dell'epitelio bronchiale (Robbins, 1997; Thompson, 1995).   Protezione dagli agenti esterni
Tabella 2: Molecole espresse/prodotte dall’epitelio delle vie aeree .
Fig. 3: Meccanismo di trascrizione genica del PPAR.
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