• Non ci sono risultati.

Capitolo 1 LA NORMATIVA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1 LA NORMATIVA"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

1.1

Le direttive europee in materia di rifiuti

L’interesse della Comunità Europea per il settore dei rifiuti si è sviluppato di pari passo con l’evolversi della politica comunitaria a tutela dell’ambiente. Già nel 1973 il Primo Programma d’Azione aveva posto le basi per la futura azione comunitaria in materia di rifiuti e, fin da allora, la Comunità ha riservato particolare interesse non tanto alla gestione dei rifiuti già prodotti, quanto alla necessità di prevenirne e ridurne la formazione.

Consapevole del fatto che i rifiuti possono rappresentare una fonte potenziale di inquinamento, ma anche una risorsa se recuperati, la Comunità ha elaborato un sistema di norme e di azioni specifiche dirette ad intervenire all’origine del processo produttivo e, soprattutto, ad incentivare ed agevolare il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti prodotti. Lo smaltimento, attuato nelle condizioni di massima sicurezza, deve essere sempre considerato come la soluzione estrema da impiegare soltanto nei casi in cui le operazioni di recupero e riciclaggio non siano realizzabili [Andreou, 2004].

Per affrontare concretamente le problematiche inerenti alla gestione dei rifiuti, nel 1975 l’UE adotta la prima direttiva sui rifiuti (“Direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15

luglio 1975 relativa ai rifiuti” [CCE, 1975]). Questa direttiva stabilisce i requisiti base

(2)

“rifiuto”. In particolare, gli Stati membri devono assicurare che lo smaltimento ed il recupero non comportino rischio per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora e la fauna; devono garantire che lo smaltimento non crei inconvenienti a causa di rumori o odori molesti oppure che danneggi la natura ed il paesaggio. Gli Stati membri devono, inoltre, proibire lo scarico o la disposizione incontrollata dei rifiuti, implementare una rete effettiva e integrata di piani per lo smaltimento, preparare piani per la gestione dei rifiuti, assicurare che chi stocca i rifiuti li tratti preliminarmente e che gli impianti adibiti allo smaltimento dispongano dell’autorizzazione. Chi trasporta i rifiuti deve essere autorizzato ad operare e deve essere iscritto al registro opportuno. Le compagnie che effettuano il trasporto e lo smaltimento devono essere sottoposte a periodici controlli da parte dell’autorità competente e devono mantenere aggiornati i registi dei rifiuti smaltiti. Il tempo limite per adottare la direttiva originale era il 1977.

Emendamenti finalizzati al rafforzamento ed alla chiarificazione della direttiva 75/442 hanno avuto effetto nel 1993, quando è entrata in vigore la direttiva 91/156 (“Direttiva

del Consiglio del 18 marzo del 1991 che modifica la direttiva 75/442 relativa ai rifiuti”

[CCE, 1991]); questa direttiva modifica, infatti, la definizione di “rifiuto” della 75/442. Anche le definizioni di “produttore”, “detentore”, “gestione”, “smaltimento”, “recupero”, “raccolta” sono modificate od aggiunte. La direttiva classificava i rifiuti in base all’origine (urbani e rifiuti speciali) e, in funzione della caratteristiche di pericolosità (rifiuti pericolosi e non pericolosi). Inoltre, agli stati membri era richiesto di promuovere, in primo luogo, la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti (tecnologie pulite, immissione sul mercato di prodotti che non contribuiscano al rischio per l’inquinamento, ecc..), in secondo luogo il recupero dei rifiuti e l’utilizzo degli stessi come fonte di energia.

Per rispondere agli obiettivi della direttiva, ogni Stato membro era chiamato ad elaborare quanto prima, uno o più piani di gestione dei rifiuti che includessero il tipo, la quantità e l’origine dei rifiuti da recuperare o smaltire, i requisiti tecnici generali degli impianti adibiti allo smaltimento e la scelta dei luoghi idonei a tale scopo. Avrebbe dovuto inoltre contenere l’indicazione delle persone fisiche o giuridiche abilitate a procedere alla gestione dei rifiuti, la stima dei costi di smaltimento e recupero oltre che le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti. Inoltre, conformemente al principio “chi inquina paga”, il costo

(3)

dello smaltimento doveva essere sostenuto dal detentore dei rifiuti o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti.

Il 16 giugno del 1999 entra in vigore la direttiva del Consiglio relativa alle discariche (“Direttiva 1999/31/CE del Consiglio relativa alle discariche di rifiuti” [CD, 1999]) il cui scopo è di “prevedere, mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le

discariche, misure, procedure e orientamenti volti a prevenire od a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell’atmosfera, e sull’ambiente globale compreso l’effetto serra nonché i rischi sulla salute umana risultante dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica”. Individua differenti

categorie di rifiuti (rifiuti urbani, rifiuti pericolosi, rifiuti non pericolosi e rifiuti inerti) e definisce la discarica come “aree di smaltimento dei rifiuti adibite al deposito degli

stessi sulla o nella terra (vale a dire nel sottosuolo) ”. Linee guida sono date per la

domanda di autorizzazione all’apertura di una discarica, per le procedure di controllo e sorveglianza nella fase operativa nonché nella fase di chiusura e post-chiusura della discarica. Le discariche sono divise in 3 classi: discariche per rifiuti non pericolosi, adibite anche allo smaltimento degli urbani, per rifiuti pericolosi e per rifiuti inerti adibite rispettivamente al solo smaltimento dei pericolosi e degli inerti. Inoltre la direttiva stabilisce una serie di requisiti dettagliati da rispettare durante la gestione operativa, ad esempio, formula la procedura per l’ammissione dei rifiuti e bandisce alcune tipologie di rifiuto, come i liquidi, dallo smaltimento in discarica. Gli Stati membri devono assicurare che i siti di discarica già esistenti continuino ad operare solo se conformi alla direttiva; devono, infine, elaborare una strategia nazionale al fine di procedere alla riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica. In particolare:

• Entro 5 anni dall’entrata in vigore della direttiva, i rifiuti urbani biodegradabili dovranno essere ridotti al 75% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995;

• Entro 8 anni, i rifiuti urbani biodegradabili dovranno essere ridotti al 50%;

(4)

Agli Stati membri che nel 1995 collocavano in discarica più del 80% dei rifiuti urbani raccolti, è data la possibilità di rinviare la realizzazione degli obiettivi per un periodo non superiore a 4 anni.

Gli Stati membri devono riportare alla commissione ogni 3 anni un rapporto in merito allo sviluppo della direttiva sulla base del quale la commissione pubblica, a sua volta, un rapporto comunitario circa la sua implementazione.

1.2

Il recepimento delle direttive europee in Grecia

La direttiva 75/442 sui rifiuti, come la direttiva 91/156, è stata convertita a legge nazionale nel 1996 attraverso la Decisione del Ministero del Lavoro (Joint Minister

Decision, JMD) 69728/824/1996 su “misure e condizioni generali per la gestione dei rifiuti solidi” [JMD, 1996]. In generale, JDM 69728 mira ad integrare ed a

razionalizzare la legislazione più recente in materia di gestione dei rifiuti. La decisione riprende alcuni concetti chiave delle direttive comunitarie definendo cosa si intende per “rifiuti solidi”, “gestione dei rifiuti solidi”, “smaltimento dei rifiuti solidi”, “trasporto”, ecc..; stabilisce che le misure di gestione non dovrebbero peggiorare la qualità dell’acqua, dell’aria, del suolo, della flora e della fauna, non dovrebbero causare nessun disturbo a causa del rumore o dei cattivi odori e non dovrebbero, inoltre, danneggiare il panorama. Provvede alla definizione di un quadro nazionale per la politica dei rifiuti attraverso l’adozione di obiettivi a lungo termine, l’introduzione di criteri comparativi per la valutazione e la scelta dei siti idonei allo smaltimento, e l’istituzione di procedure comuni per l’implementazione della gestione dei rifiuti solidi. Affida la responsabilità per la formulazione delle linee guida circa la politica generale al Ministro dell’Ambiente, della Pianificazione e dei Lavori Pubblici (Ministry for the

Environment, Physical Planning and Public Works, YPEHODE) che, comunque,

dovrebbero agire in cooperazione con altri Ministri responsabili, con l’Associazione Centrale delle Municipalità e delle Comunità (KEDKE) e con l’Associazione delle Autorità Locali delle Prefetture greche (ENAE). In accordo alle direttive comunitarie, le direzioni intraprese devono, inizialmente, focalizzarsi sulla riduzione della produzione dei rifiuti, in particolare dei rifiuti solidi, in secondo luogo, sul riciclaggio, il riuso e il recupero, ed infine, sull’utilizzo dei rifiuti come sorgente di energia. Decide che le

(5)

competenze per la formulazione e l’implementazione delle strategie di gestione locale, spettino ai Consigli locali od alle Associazioni locali, ai Consigli di Prefettura e, in casi di incapacità, alla Regione. Introduce una procedura a due stadi per l’adozione dei piani di gestione dei rifiuti locali dove il primo stadio, prevede che il piano di gestione sia stabilito dalla Prefettura o dalle Regioni stesse, il secondo che il piano debba poi essere approvato dai Consigli locali, dalle loro Associazioni o dal loro Prefetto, successivamente deve essere di nuovo approvato dalla Prefettura o dalla Regione, dal Consiglio di Amministrazione dell’Ambiente della Regione o dal YPEHODE stesso. Infine, stabilisce che dopo la chiusura della discarica, il gestore debba assumersi la responsabilità per il ripristino ed il reinserimento ambientale [Andreou, 2004].

L’anno successivo, la decisione JMD 69728 è stata seguita da altre 2 JMDs: JMD 113944/1997 [JMD, 1997a] su “le direzioni della politica generale della gestione dei

rifiuti solidi a livello nazionale” e JMD 114218/1997 [JMD, 1997b] su “determinazione del quadro sulle specifiche tecniche e i piani generali sulla gestione dei rifiuti solidi”. JMD 113944 riarticola alcune delle definizioni, obiettivi e procedure

sancite dalla JMD 69728; inoltre aggiunge alcuni obiettivi quantitativi e definisce i requisiti minimi per la selezione dei siti per lo smaltimento dei rifiuti, inoltre suggerisce misure per incrementare il consenso pubblico e assicurare il benestare locale. JMD 114218 determina, invece, le specifiche tecniche riguardanti i sistemi appropriati, i mezzi e le procedure per ognuna delle fasi della gestione dei rifiuti (come lo stoccaggio temporaneo, la raccolta, lo smaltimento, la raccolta alla sorgente, il riciclaggio, ecc..) e specifica anche i criteri per la selezione delle discariche, oltre che per la pianificazione, progettazione e funzione dei “Siti Sanitariamente Legali di Smaltimento dei Rifiuti” (Sanitary Legal Waste Disposal Site, in greco “HYTA”), e degli impianti di trattamento meccanico e di compostaggio [Oikonomou, 2004]

Il nuovo quadro nazionale della gestione dei rifiuti era, però, diventato oggetto di serie critiche da esperti politici e legali che individuavano una serie di aspetti negativi. Il primo è che era difficile che 3 JMDs, essendo essenzialmente di natura tecnica, fossero una guida utile agli attori regionali e locali chiamati ad occuparsi della gestione locale. Il secondo è che era evidente che la gestione nazionale si affidava pesantemente sullo smaltimento dei rifiuti, alle discariche in particolare, così surclassando gli obiettivi di prevenzione, riciclaggio, riuso e recupero dei rifiuti. Il terzo è che le disposizioni sulla

(6)

gestione locale dei rifiuti sono state ritenute troppo macchinose, ed i processi prescritti erano considerati troppo complicati e perdi-tempo, sottolineando così la rigidezza legale degli atti amministrativi rilevanti (in particolare era contestata l’organizzazione su due fasi separate della pianificazione locale). Quattro, la possibilità di delegare, caso per caso, le competenze sulla gestione dei rifiuti a differenti livelli di governo avrebbe potuto generare confusione nell’allocazione verticale delle competenze, intensificare le rivalità politico-amministrative e compromettere la vera approvazione e funzionalità dei piani di gestione locali. Infine, il processo di designazione ed approvazione dei siti più adatti per lo sviluppo di attività di gestione varie è stato parzialmente surclassato dalla approvazione di procedure per specifici siti sotto la legislazione della Valutazione dell’Impatto Ambientale (Environmental Impact Assessment, EIA): la mancanza di confini chiari tra le due procedure poteva comportare una disputa legale specialmente nei casi in cui i siti erano definiti idonei alla gestione dei rifiuti [Giannakourou G., 2004].

Ci sono voluti 3 anni perché il YPEHODE preparasse il primo Piano Nazionale di Gestione Integrata e Alternativa dei Rifiuti Solidi, basato sul JMD 113944/97, che è stato trasformato in legge nel 2000 da JMD 14312/1302/2000 [JDM, 2000]. Il piano prevedeva la riduzione della produzione dei rifiuti, il riutilizzo (recupero e produzione di energia), lo smaltimento definitivo in discarica dei residui, l’ubicazione degli impianti di smaltimento in prossimità della sorgente dei rifiuti stessi, il ripristino ambientale degli impianti chiusi in funzione del contesto ambientale in cui sono inseriti, l’applicazione del principio “chi inquina paga” e l’utilizzo delle Migliori Tecnologie Disponibili. A livello locale non è stato fatto quasi nessuno progresso in quanto le autorità locali, principalmente la Prefettura, si sono mostrate incapaci di assumersi le loro responsabilità sulla pianificazione, inoltre era emerso che i costi finanziari per l’implementazione della strategia del 1996 avevano superato di gran lunga le capacità fisiche dello stato [Andreou, 2004].

Alla fine del 2001, a causa di questa situazione sommata alla pressione crescente delle direttive europee sulle discariche di rifiuti e sui rifiuti da imballaggio, la nuova leadership YPEHODE sceglie di abbandonare le procedure di pianificazione stabilite dal JMD 69728 e di procedere attraverso riforme sul sistema di gestione urbano (che comunque non sono diventate leggi fino alla fine del 2003). L’Aggiornato Piano

(7)

Nazionale di Gestione dei Rifiuti Solidi, presentato all’inizio del 2002, includeva una serie di impegni politici e ha comportato alcuni significativi cambiamenti nei piani preesistenti e nelle procedure di gestione. In particolare:

• Il primo obiettivo del piano nazionale, ripreso poi dal JMD 50910/2727/2003 [JMD, 2003], è di chiudere tutti gli impianti illegali entro la fine del 2008; infatti, YPEHODE ha presentato una tabella di marcia stabilendo i piani di riduzione annuale delle discariche incontrollate per ogni regione.

• Secondariamente, la pianificazione locale è stata affidata alla competenza di 13 regioni amministrative (ad esempio, ogni regione si impegna a preparare e presentare il piano di gestione per il suo territorio). Questo cambiamento rappresenta un serio colpo all’autonomia delle autorità governative locali nel campo della gestione dei rifiuti dato che: a) la responsabilità della scelta dei siti per la gestione e lo smaltimento ricade al di fuori delle Prefetture e delle Municipalità e b) i piani a grande scala risulterebbero al di là del controllo di ogni singola Municipalità (o ogni singola Prefettura) determinando, inevitabilmente, l’accentramento sulla pianificazione regionale.

Questo nuovo approccio è formalizzato alla fine del 2003 quando entra in vigore il JMD 50910/2727 stabilendo “le misure e i termini per la gestione dei rifiuti solidi” e istituendo linee guida per la pianificazione della gestione regionale e nazionale. L’JMD del 2003 cerca di raggiungere piena conformità con la direttiva quadro sui rifiuti, facendo particolare attenzione nello stabilire le procedure di gestione e di pianificazione effettive e funzionali. Più precisamente:

• E’ prodotto un piano nazionale di 5 anni per la gestione dei rifiuti solidi; infatti, alcuni requisiti essenziale previsti dalle leggi della UE sui rifiuti che erano stati stato trascurati nel passato, come la disposizione della rete nazionale per lo smaltimento dei rifiuti e la creazione di una statistica nazionale, sono finalmente inclusi nelle priorità del piano nazionale;

• In linea con le direzioni politiche del 2002, il piano di gestione nazionale deve essere completato da 13 piani di gestione regionale della durata di 5 anni (ognuno integrerà e supporterà la pianificazione locale preesistente);

• Inoltre, le procedure di pianificazione regionale sono semplificate e depoliticizzate. Mentre i precedenti processi di pianificazione permettevano

(8)

l’attivo coinvolgimento delle Municipalità e delle Prefetture nella designazione dei siti di discarica (producendo un numero elevato di parti in gioco), il nuovo sistema assegna la responsabilità primaria per la designazione dei siti nelle mani dei tecnici (essendo YPEHODE esperti amministratori o privati), che devono presentare un comprensibile studio di azione al consiglio regionale, ai consigli della Prefettura e alle associazioni locali delle municipalità; una volta approvato il piano dal segretario regionale, tutti gli attori sottonazionali sono chiamati a seguire le sue prescrizioni, includendo l’identificazione dei siti più adatti e delle agenzie responsabili della gestione dei rifiuti. I meriti di ogni sito sono esaminati in una fase successiva, quando sono applicate le procedure di approvazione sotto la legislazione dell’EIA.

• il nuovo quadro legislativo reintroduce la centralizzazione (anche se attraverso una via implicita) infatti, è il segretario regionale (nominato centralmente) che approva i piani regionali entro 45 giorni dalla presentazione dello studio tecnocratico; alla fine, se il segretario regionale non prende una decisione entro 90 giorni, il piano regionale può essere adottato da YPEHODE in cooperazione con il Ministro degli Interni, dell’Agricoltura e della Salute. Infine

La direttiva 1999/31/CE è stata recepita anche con il JDM 29407/3508/2002 “Misure e

termini e per le discariche”. Il nuovo JMD ripete il duplice impegno del governo greco

di chiudere le discariche abusive entro la fine del 2008 e di ridurre il conferimento dei rifiuti urbani biodegradabili in discarica al 35% entro il 2020.

1.3

Il recepimento delle direttive europee in Italia

Come spesso accade per quanto concerne il recepimento delle direttive comunitarie nel nostro ordinamento giuridico, anche le direttive in materia di rifiuti sono state recepite con notevole ritardo. Infatti, la direttiva 75/442, fulcro originario del sistema comunitario di gestione dei rifiuti, è stata introdotta nel nostro ordinamento solo con il DPR 915 del 10 settembre 1982 [DPR 915, 1982]; il decreto è stato, poi, seguito da una pluralità di disposizioni normative che sono venute ad ampliarne e, in alcuni casi, a modificarne il contenuto.

(9)

Più volte sottolineato, il sistema comunitario di gestione dei rifiuti, elaborato dalle direttive del 1991, aveva lo scopo di modificare l’assetto normativo comunitario favorendo la riduzione della produzione e la pericolosità dei rifiuti, ed introducendo nuove disposizioni che rispondessero alle esigenze di uniformare le molteplici discipline nazionali, evitando disparità tra le disposizioni in applicazione o in preparazione dei vari Stati membri. Il tutto al fine di coniugare i principio “chi inquina paga” con quello dello sviluppo sostenibile, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, in base al quale se la tutela dell’ambiente può essere assicurata in modo efficace dal singolo Stato membro, l’intervento di diritto interno deve essere preferito a quello comunitario.

In Italia, il recepimento delle direttive europee del 1991 ha determinato un forte cambiamento che ha modificato la considerazione delle discariche da semplice deposito di rifiuti a deposito controllato. Il recepimento delle direttive del 1991 è avvenuto con il Decreto Legislativo 22/97 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti,

91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio” [D.L, 1997], detto “Decreto Ronchi” che mira a razionalizzare ed a

rendere sostenibile la complessa materia della gestione e dello smaltimento dei rifiuti. Il Decreto Ronchi è diventato il fulcro della disciplina nazionale in materia di rifiuti in cui, nel rispetto del dettato comunitario, l’attività di smaltimento dei rifiuti rappresenta soltanto “la fase residuale delle gestione dei rifiuti” (art. 5 comma 1).

Assegnando un ruolo centrale alla Gestione Integrata dei Rifiuti, la disciplina italiana segue perfettamente quanto imposto a livello comunitario: il rifiuto deve essere valorizzato rendendolo materia prima-seconda, ciò è possibile tramite l’incremento della raccolta differenziata (art. 24) che consente di ottenere frazioni merceologiche omogenee e quindi più facilmente ricollocabili nel mercato dei recupero; se il rifiuto non è più materialmente riciclabile ed ha un buon potere calorifero, allora bisogna sfruttare l’energia in esso contenuta attraverso i termovalorizzatori che utilizzano il calore prodotto dalla combustione. Solo alla fine va considerato lo smaltimento in discarica dei rifiuti che non hanno altra possibilità di recupero o trattamento (art. 4). Risulta chiaro che, nel contesto della gestione integrata dei rifiuti, la discarica, non avendo alcuna funzione di valorizzazione delle risorse, e comportando un rischio per l’ambiente, rappresenta l’opzione ultima per i rifiuti non più riutilizzabili o trattabili

(10)

nelle condizioni tecniche ed economiche del momento. L’articolo 2, comma 1, del decreto amplifica notevolmente la qualifica di attività di pubblico interesse, estendendola a tutte quelle attività che sono inerenti alla gestione dei rifiuti. Al successivo comma 2, il legislatore stabilisce che “i rifiuti devono essere recuperati o

smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare giudizio all’ambiente”.

L’entrata in vigore del D.L 22/97 non ha modificato la deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984, che individuava le diverse categorie di discariche nonché i criteri per l’ammissibilità dei rifiuti. E’ nata, quindi, un’incompatibilità tra le due norme derivante dalla diversa classificazione dei rifiuti pericolosi e non pericolosi infatti per il decreto si distinguono in base alla provenienza, come disposto dal Catalogo Europeo, mentre per la delibera, in base alla concentrazione delle sostanze pericolose nel rifiuto stesso. Ciò ha comportato lo smaltimento nella medesima discarica, sia dei rifiuti pericolosi sia non pericolosi.

Tale situazione è stata modificata con l’entrata in vigore del D.L 36/2003 “Attuazione

della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” che abroga la delibera del

1984 mantenendo in vigore solo i valori limite e le condizioni di ammissibilità [D.Lgs, 2003].

Il decreto ha lo scopo di “stabilire i requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le

discariche, misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle acque superficiali, della acque sotterranee, del suolo e dell’atmosfera, e sull’ambiente globale, compreso l’effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica…” (art.1).

In base ai principi dettati dal D.L 22/97, il D.L 36/2003 pone come obiettivo a ciascuna regione italiana l’approvazione, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, di un programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica con le seguenti finalità (art.5):

• Entro 5 anni dall’entrata in vigore del decreto i rifiuti urbani biodegradabili devono essere inferiori a 173 kg/anno per abitante;

• Entro 80 anni dall’entrata in vigore del decreto i rifiuti urbani biodegradabili devono essere inferiori a 115 Kg/anno per abitante;

(11)

• Entro 15 anni dall’entrata in vigore del decreto i rifiuti urbani biodegradabili devono essere inferiori a 81 Kg/anno per abitante.

Vengono quindi definite le categorie di appartenenza delle discariche già esistenti e di quelle nuove, da classificare come discariche per rifiuti inerti, pericolosi o non pericolosi; per ognuna si definisce la tipologia di rifiuto che può essere smaltita (art.4 e 7).

Una novità introdotta consiste nel prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento in discarica di qualsiasi tipo di rifiuti che dovrà riflettere i costi reali derivanti dall’impianto in esercizio, nonché i costi stimati per la chiusura e la gestione post-chiusura per un periodo di almeno 30 anni (art.15). Tale disposizione mira ad equilibrare i costi dello smaltimento in discarica rispetto a quelli di altri sistemi di gestione: attualmente, infatti, il costo della discarica tende ad essere troppo basso rispetto ad altre forme di trattamento e di recupero ecocompatibili.

Inoltre, nell’Allegato 1, stabilisce le caratteristiche tecniche da soddisfare affinché una discarica possa essere considerata “controllata” ed abbia un impatto nullo, od il minore possibile, sulle matrici ambientali.

Il decreto definisce gli obiettivi del monitoraggio delle acque sotterranee, delle acque di drenaggio superficiale, del percolato, del biogas, della qualità dell’aria e dello stato del corpo della discarica che verranno trattati più dettagliatamente nel paragrafo 1.4 del presente capitolo.

Infine, il testo unico ambientale D.L 152/2006 riprende, non variandolo, il D.L 36/2003. I rifiuti sono trattati nella parte quarta “Norme in materia di gestione dei rifiuti e

bonifica dei siti inquinati”, titolo I “gestione dei rifiuti”in cui l’articolo 178, comma 3,

definisce che la gestione dei rifiuti sia effettuata “…nel rispetto dei principi

dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”…” [D.L, 2006].

Nei paragrafi e nei capitoli che seguono farò riferimento principalmente alla normativa italiana. E’ infatti nel contesto italiano che è nata la necessità di sviluppare una procedura avanzata per il monitoraggio di discariche RSU, pur essendo una problematica internazionale dato che la lacunosa normativa nazionale è il frutto del recepimento di direttive comunitarie.

(12)

1.4

Il monitoraggio nella normativa in Italia

Come descritto precedentemente, fino al 1982 in Italia non sono state emanate leggi sullo stoccaggio dei rifiuti; l’assenza delle normative di settore rendeva le discariche sorgenti di contaminazione diffusa delle matrici ambientali, a causa principalmente della migrazione del biogas e del percolato prodotti dalla degradazione dei rifiuti.

Il D.L 36/2003 introduce la necessità di controllare tutti i processi di discarica, sia durante la coltivazione sia a chiusura avvenuta, infatti l’articolo 8 “Domanda di

Autorizzazione”, prevede che l’autorizzazione debba comprendere [D.L, 2003]:

• il Piano di Gestione Operativa della discarica, nel quale devono essere individuati i criteri e le misure tecniche adottate per la gestione della discarica e le modalità di chiusura della stessa (comma g);

• il Piano di Gestione Post-Operativa, nel quale sono definiti i piani di sorveglianza e controllo successivi alla chiusura (comma h);

il Piano di Sorveglianza e Controllo nel quale “devono essere indicate tutte le

misure necessarie per prevenire rischi d'incidenti causati dal funzionamento della discarica e per limitarne le conseguenze, sia in fase operativa che post-operativa, con particolare riferimento alle precauzioni adottate a tutela delle acque dall'inquinamento provocato da infiltrazioni di percolato nel terreno e alle altre misure di prevenzione e protezione contro qualsiasi danno all'ambiente;

• il Piano di Ripristino Ambientale del sito a chiusura della discarica, nel quale devono essere previste le modalità e gli obiettivi di recupero e sistemazione della discarica in relazione alla destinazione d’uso prevista dall’area stessa. Il soddisfacimento dei requisiti dell’Allegato 1 “Criteri costruttivi e gestionali degli

impianti di discarica” e dell’Allegato 2 “Piani di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e di controllo e finanziario”,

sono una delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di una discarica (art.9, comma 1, lettera a); lo stesso articolo (comma 1, lettera g) prevede anche che il richiedente si impegni ad eseguire, preliminarmente all’avviamento dell’impianto, una campagna di monitoraggio delle acque sotterranee conformemente a quanto previsto dall’Allegato 2.

(13)

Nell’articolo 12 “Procedura di Chiusura”, il legislatore stabilisce che, anche dopo la chiusura che può avvenire a seguito di gravi motivi tali da provocare danni all’ambiente ed alla salute, sia il gestore il responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase post-operativa per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi all’ambiente. Lo stesso viene sottolineato nell’articolo 13, “Gestione

operativa e post-operativa”, che stabilisce che devono essere garantiti i controlli e le

analisi del biogas, del percolato e delle acque di falda che possono essere interessate. L’Allegato 1, chiamato in causa dall’articolo 3 e dall’articolo 9, contempla, nell’ambito degli impianti di discarica per rifiuti inerti, il controllo delle acque. Circa gli impianti per rifiuti pericolosi e non pericolosi, lo stesso allegato, trattando la protezione delle matrici ambientali, definisce come requisito tecnico l’impianto di captazione e di gestione del gas di discarica. Inoltre, introduce il controllo delle acque e la gestione del percolato, la protezione del terreno e delle acque ed il controllo dei gas. In merito a quest’ultimo punto, il legislatore stabilisce che le discariche che accettano rifiuti biodegradabili, “…devono essere dotati di impianti per l’estrazione dei gas che

garantiscano la massima efficienza di captazione ed il conseguente utilizzo energetico”;

l’obiettivo è di “..non far percepire la presenza della discarica al di fuori di una stretta

fascia di rispetto”.

Tra i Principi Generali (art. 1) dell’Allegato 2, citato dall’articolo 8 e 9 del decreto, sono stabilite “le modalità di gestione e le procedure comuni di sorveglianza e controllo

durante la fase operativa e post-operativa di una discarica, al fine di prevenire qualsiasi effetto negativo sull'ambiente ed individuare le adeguate misure correttive”.

Prevede che alle scadenze indicate dall’autorizzazione, “…e comunque con periodicità

almeno annuale, il gestore provveda ad inviare all’autorità di controllo i risultati complessivi dell’attività della discarica..” tra cui “la produzione di percolato (m3/anno)

e i sistemi utilizzati per il trattamento/smaltimento, la quantità di gas prodotto ed estratto (Nm3/anno) ed i risultati analitici del monitoraggio delle matrici ambientali e

delle emissioni”.

L’Allegato 2 stabilisce che il Piano di Sorveglianza e Controllo (art.8) debba essere costituito da un documento unitario, comprendente le fasi di realizzazione, gestione e post-chiusura, relativo a tutti i fattori ambientali da controllare, i parametri ed i sistemi unificati di prelevamento, trasporto e misura dei campioni, le frequenze di misura ed i

(14)

sistemi di restituzione dei dati. Il controllo e la sorveglianza devono essere condotti avvalendosi di personale qualificato ed indipendente, con riguardo ai parametri ed alle periodicità riportati come esemplificativi nelle tabelle 1 e 2 dell’Allegato 2 (tabella 1-1).

(15)

Tabella 1-2: Parametri da misurare e frequenza minima delle misure [D.L, 2003].

Il monitoraggio deve avvenire secondo le metodiche ufficiali, su:

Acque sotterrane: l’obiettivo è “…rilevare tempestivamente eventuali situazioni

di inquinamento delle acque sotterranee sicuramente riconducibile alla discarica..”. Prevede che vengano individuati “i punti di monitoraggio significativi, in relazione all’estensione della discarica (almeno un pozzo a monte a distanza sufficiente dal sito per escludere influenze dirette) e due a valle tenuto conto della direzione della falda”. Prevede che debba comprendere

almeno i parametri fondamentali, contrassegnati con l’asterisco, riportati nella tabella 1 allegato 2 (tabella 1-1); per un monitoraggio significativo o in presenza di valori anomali dei parametri fondamentali, è importante effettuare tutti i rilevamenti analitici, da eseguirsi, comunque, almeno una volta l’anno. Inoltre stabilisce che “i livelli di controllo debbano essere determinati in base alle

variazioni locali della qualità delle acque freatiche; in particolare dovrà essere individuato il livello di guardia per i vari inquinanti da sottoporre ad analisi”;

(16)

• Acque meteoriche di ruscellamento: il Piano provvederà a individuare i parametri e la frequenza di analisi relativi alle acque di drenaggio superficiale;

Percolato: “in presenza di percolato ed acqua superficiale, i campioni devono

essere prelevati in punti rappresentativi. Il campionamento e la misurazione (volume e composizione) devono essere eseguiti separatamente in ciascun punto in cui il percolato esce dall’area. Il controllo delle acque superficiali deve essere fatto in almeno due punti, di cui uno a monte ed uno a valle della discarica”. Deve essere misurata la quantità di percolato prodotta e smaltita.

Inoltre, il Piano prevede che i parametri da misurare e le sostanze da analizzare varino con la composizione dei rifiuti depositati in discarica;

• Emissioni gassose e qualità dell’aria: deve essere previsto un monitoraggio delle emissioni gassose, convogliate e diffuse, in grado di individuare anche eventuali fughe di gas esterne al corpo della discarica. A tal proposito, il piano deve definire i livelli di guardia relativamente alla presenza del gas di discarica all’esterno della stessa ed anche nel suolo e nel sottosuolo. I parametri di monitoraggio del gas devono comprendere almeno CH4, CO2, O2 con regolarità

mensile ed altri parametri quali: H2, H2S, polveri totali, NH3, mercaptani e

composti volatili in relazione alla composizione dei rifiuti. Si deve provvedere inoltre a caratterizzare quantitativamente il gas di discarica. La frequenza delle misure deve essere quella indicata nella tabella 2 allegato 2 (tabella 1-2). Il Piano prevede, inoltre, che la valutazione dell’impatto provocato dalle emissioni diffuse della discarica debba essere effettuata con modalità e periodicità da definirsi in sede di autorizzazione.

Infine l’articolo 7 dell’Allegato 2 “Adempimenti a carico dell’autorità competente per

il rilascio dell’autorizzazione” stabilisce che sia l’autorità competente ad approvare i

piani di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e controllo, nonché il piano finanziario. L'approvazione del piano di sorveglianza e controllo, che deve prevedere l'assenso degli Enti addetti al controllo (ARPA), comporta anche l'individuazione dei parametri da analizzare da parte del gestore per le varie matrici ambientali, la loro periodicità e le modalità di prelievo, trasporto ed analisi dei campioni, in modo che tutti i soggetti coinvolti adottino procedure uniformi ed omogenee.

(17)

1.4.1 Commento alla normativa

Analizzando in maniera critica la normativa vigente, emergono alcune lacune ed incongruenze sulle procedure da adottare ed i parametri da monitorare per rilevare situazioni di inquinamento riconducibili ad una discarica.

Circa il monitoraggio delle acque sotterranee, la normativa è chiara in merito ai parametri (fondamentali e non) da considerare e sulla periodicità con cui effettuare le analisi (tabella 1-2), ma tali parametri non sempre si mostrano in grado di rilevare eventuali contaminazioni da percolato. Ad esempio, cloruri e ammoniaca sono considerati traccianti del percolato in funzione dei quali i gestori fissano i livelli di guardia, ma tali elementi possono a volte avere concentrazioni naturalmente elevate quando associate ad argille o limi che costituiscono i substrati ideali ove sono ubicate le discariche stesse [Cervelli, 2006; Doveri et al., 2008]. In contesti del genere l’utilizzo di tali parametri risulta inefficace.

La normativa non prevede, invece, la determinazione di elementi come Ca, Na, K e Mg che consentono un’accurata valutazione delle caratteristiche geochimiche naturali del sito, permettendo di evidenziare eventuali spostamenti nel campo della variabilità naturale delle acque [Cervelli, 2006; Raco et al., 2008b].

Lacune emergono anche in merito al monitoraggio del percolato infatti la legge si limita a dichiarare che le sostanze ed i parametri da analizzare per caratterizzarne la composizione, variano con la composizione dei rifiuti; dà così, ampio margine al gestore della discarica che è chiamato ad indicarli nel provvedimento di autorizzazione. La normativa non da alcuna disposizione anche circa le tecniche di campionamento ed analisi del percolato che si differenziano dalle tecniche utilizzate per le acque poiché hanno caratteristiche chimiche e chimico-fisiche differenti.

Disposizioni non sono date neppure per la determinazione delle misure di radioattività per i quali non sono nemmeno previsti limiti [Raco et al., 2008b].

Il D.L 36/2003 contempla anche il monitoraggio delle emissioni gassose, convogliate e diffuse, tuttavia non fornisce alcun protocollo tecnico che permetta ai vari gestori di conoscere sia la quantità di biogas diffuso in atmosfera, sia da quale punto del suolo tale biogas venga emesso. Una ulteriore lacuna è quella di non prevedere limiti sulle emissioni diffuse che, come noto, partecipano in maniera non trascurabile all’effetto

(18)

serra [Raco et al., 2006, 2008b]. Limiti tabulari non sono previsti neanche per le sostanze odorigene infatti la normativa richiede solo che non sia percepita la presenza della discarica al di fuori di una stretta fascia di rispetto.

Il piano di monitoraggio stabilisce anche che vengano individuati i livelli di guardia relativamente alla presenza dei gas di discarica, anche nel suolo e nel sottosuolo, ma, come nel caso delle acque sotterranee, da ampio margine di valutazione e scelta al gestore.

Contraddizioni si rilevano anche sulla modalità di attuazione dei controlli infatti la normativa identifica i gestori degli impianti di smaltimento come i responsabili del monitoraggio, affida quindi le facoltà proprie del controllore a chi invece è il controllato [Raco et al., 2008b].

Infine una notevole mancanza risulta anche il fatto che non si riscontra la definizione di zone di rispetto nell’area circostante la discarica.

Alla luce delle precedenti considerazioni, si riscontra una reale mancanza nella normativa circa l’individuazione di una procedura integrata comune e condivisa a livello nazionale ed internazionale, che permetta di ottemperare alle richieste della normativa stessa, che garantisca cioè un monitoraggio valido e significativo delle discariche sia in fase operativa sia post-operativa. Questa mancanza è complice delle situazioni di crisi che spesso contraddistinguono la vita di una discarica e che determinano poi costi aggiuntivi e, soprattutto, danni alla salute dell’uomo nonché all’ambiente.

Figura

Tabella 1-1: Analisi delle acque sotterranee [D.L, 2003].
Tabella 1-2: Parametri da misurare e frequenza minima delle misure [D.L, 2003].

Riferimenti

Documenti correlati

art.2, comma 1, lett.g) discarica: area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al

- Rimozione di rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato su strade ed aree pubbliche o su strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico.. -

Questi risultati, già significativi, sono il frutto di un percorso di miglioramento che andrà ulteriormente a svilupparsi nei prossimi anni, grazie al contributo che il

In particolare, data la complessità del lavoro, è stato dato come primo obiettivo, attraverso il confronto di archivi diversi o - in alcuni casi – tramite una

Les transferts de fonds et les réalisations communautaires et individuelles sont suffisamment nombreux et conséquents pour affirmer que dans la plupart des cas les migrants

In most countries, "white-collar employees tend to see their in­ terests as different from those of manual workers and to prefer their own separate occupa­ tional unions (CLEGG

L'obiettivo di questo incontro è quello di fornire un quadro della disciplina relativa alla cessazione della qualifica di rifiuto e al regime dei sottoprodotti per aiutare

"1. Gli Stati membri adottano misure volte a promuovere, se del caso, la preparazione per le attività di riutilizzo, in particolare incoraggiando la creazione e il sostegno