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CAPITOLO 3 METODI

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CAPITOLO 3

METODI

In questo capitolo sono illustrate le basi concettuali e scientifiche delle metodologie di cui ci si è avvalsi in questa tesi per l’analisi dei dati illustrati nel capitolo precedente. Una descrizione più dettagliata sull’utilizzo di questi strumenti, delle procedure e delle operazioni eseguite verrà fatta nel capitolo 4.

3.1 TELERILEVAMENTO

In generale il telerilevamento (remote sensing), cioè il rilevamento a distanza, è definito come quel processo d’acquisizione dell’informazione di un oggetto, area o fenomeno, senza esserne direttamente in contatto. Negli ultimi anni questo termine è stato utilizzato specificamente per indicare l’acquisizione delle interazioni che avvengono fra gli elementi della superficie terrestre e l’energia elettromagnetica. Per numerosi satelliti usati in studi ambientali sono montati sensori di tipo passivo, cioè che utilizzano l’energia elettromagnetica solare. In media circa il 10% dell’energia solare che raggiunge il suolo viene riflessa, contemporaneamente la terra si riscalda per assorbimento parziale di questa radiazione e diviene fonte di emissione di radiazioni a lunghezze d’onda della zona dell’infrarosso termico (Howarth, 1991).

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Uno degli obiettivi del telerilevamento è l’interpretazione dei dati spettrali per la realizzazione di carte di copertura del suolo, che rappresentano strumenti per la conoscenza e la gestione del territorio e delle sue risorse (Annoni e Zini, 1986). Mediante l’analisi comparata dei dati telerilevati è possibile separare i diversi oggetti della superficie terrestre in base alle loro diverse caratteristiche spettrali (Fig. 3.1).

Figura 3.1: caratteristiche spettrali dei diversi materiali (da “Remote sensing” di Floyd, 1978)

3.1.1 CARATTERISTICHE SPETTRALI DEL SUOLO E DELLA VEGETAZIONE

Le caratteristiche spettrali del suolo sono in primis correlate con la composizione mineralogica e lo spettro della riflettanza è il risultato della somma degli spettri dei componenti minerali del suolo. Come i minerali, i suoli presentano un incremento di riflettanza dal visibile all’infrarosso, con bande di assorbimento intorno ai 1.4 µm e 1.9 µm, in relazione al grado di idratazione del suolo.

Un altro fattore che influenza le proprietà spettrali del suolo è il grado di idratazione: infatti, incrementando l’umidità la riflettanza del

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suolo diminuisce, soprattutto nelle bande di assorbimento dell’acqua (IR vicino e medio), ma anche nel visibile (Fig.3.2)

Un terzo fattore che influenza le caratteristiche spettrali del suolo è il contenuto di materia organica e il contenuto di ossidi di ferro, entrambi correlati negativamente con la riflettanza (l’effetto è ridotto nelle bande sotto l’ 1,8 µm).

L’ultimo fattore che influenza le caratteristiche spettrali del suolo è la dimensione delle particelle di cui è costituito, correlata con la sua tessitura. Risultati sperimentali mostrano come la riflettanza del suolo aumenta al diminuire della grandezza delle particelle per un determinato tipo di suolo (Køkler e Zonnenveld, 1988).

Figura 3.2: caratteristiche spettrali del suolo (da “Remote sensing” di Floyd, 1978)

Le caratteristiche spettrali delle foglie sono le stesse per tutte le diverse specie. Una foglia ha una caratteristica risposta spettrale, con tre regioni ben definite (vedi Fig.3.3.). Nelle bande del visibile (0,40-0,70 µm), l’assorbimento della luce ad opera dei pigmenti fogliari predomina sulla riflettanza (15% maximum). Ci sono due

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accordo con l’assorbimento dei due pigmenti principali: la clorofilla a e b, che rappresentano il 65% dei pigmenti totali delle piante superiori. Questo forte assorbimento nelle suddette bande induce picchi di riflettanza nelle bande del giallo-verde (0,55 µm). Per questa ragione la clorofilla è anche detta pigmento verde.

Gli altri pigmenti hanno comunque un’importante effetto sullo spettro nel visibile. Ad esempio il carotene, un pigmento giallo- arancio, assorbe molto fra i 0,35- 0,50 µm ed è responsabile del colore di alcuni fiori e frutti e delle foglie senza clorofilla. La xantofilla, pigmento rosso-blu, assorbe molto intorno ai 0,35-0,50 µm ed è responsabile del colore delle foglie quando cadono. Nella regione dello spettro dell’infrarosso-vicino (0,70-1,30 µm), le strutture fogliari esplicano le loro caratteristiche spettrali. I pigmenti fogliari e la cellulosa sono trasparenti alle lunghezze d’onda dell’infrarosso-vicino e comunque l’assorbanza è molto piccola (10% maximum), ma non la riflettanza e la trasmittanza, che possono arrivare al 50%. In questa regione spettrale, si trova un tipico plateau di riflettanza il cui livello dipende dalle strutture interne della foglia. La parte interna della foglia, il mesofillo, è costi-tuita da parenchima, un tessuto lasso con grandi spazi intercellulari, dall’aspetto spugnoso. Le cavità sono normalmente riempite da aria generalmente satura di vapore acqueo e possono quindi presentare diverso indice di rifrazione. La riflettanza fogliare incrementa linearmente con l’aumentare di cellule a forma diversa, con l’aumentare di strati cellulari, con il numero di spazi intercellulari e con la taglia delle cellule stesse.

Questa riflettanza dipende dallo stato relativo di spessore del mesofillo. All’interno della regione spettrale dell’infrarosso-vicino si individuano due zone principali: (1) fra 0,70 e 1,10 µm, dove la

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riflettanza è alta, eccetto nelle due bande minori associate all’assorbimento dell’acqua (0,96 e 1,10 µm) e (2) fra 1,10 e 1,30 µm, che corrisponde alla transizione tra le alte riflettanze nell’infrarosso vicino e le bande d’assorbimento associate con l’acqua nel- l’infrarosso vicino-medio. Infine nell’infrarosso-lontano (1,30 –2,50 µm) si ha assorbimento della luce da parte dell’acqua contenuta nella foglia. Poiché l’acqua assorbe molto le radiazioni a 1,45, 1,95 e 2,50 µm, queste lunghezze d’onda non possono essere utilizzate per misure di riflettanza. Nelle altre lunghezze d’onda dell’infrarosso-lontano la riflettanza aumenta quando il contenuto idrico fogliare diminuisce. Per tutte e tre queste regioni dello spettro, fattori che influenzano le risposte spettrali delle foglie sono: struttura interna o esterna , età, stato di idratazione, stress minerale e vigore (Guyot, 1989).

Figura 3.3 Caratteristiche spettrali della vegetazione (da “Remote sensing” di Floyd, 1978)

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3.1.2 Mappatura di aree percorse da incendio

Per la mappatura delle aree incendiate sono possibili tre tipi principali di approccio (N.Koutias et M.Karteris, 1999) a seconda della scala delle misure.

• L’approccio alla microscala tramite misure e interventi diretti sul campo è un metodo molto accurato, ma decisamente costoso e inapplicabile per arre vaste.

• Un’approccio alla mesoscala, tramite foto aeree, ad una scala che varia solitamente da 1:10000 a 1.25000.

• Infine vi è un’approccio alla macroscala che si serve di dati acquisiti tramite vari sistemi satellitari con una risoluzione geometrica dai 10 ai 1100m.

Fra i sistemi satellitari, i sistemi Landsat e NOAA sono quelli più largamente impiegati per la mappatura di aree incendiate; l’utilizzo di tali sensori assicura infatti risultati abbastanza accurati e decisamente economici. Per problematiche specifiche, come la mappatura catastale dei terreni, dove l’accuratezza non può essere nell’ordine di decine di metri, sono invece necessarie ulteriori indagini e misure sul campo con sistemi GPS.

Il telerilevamento può fornire oltre a una visione globale delle aree interessate da incendio, anche importanti informazioni

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sull’estensione degli incendi e sul recupero della vegetazione in seguito al passaggio del fuoco. Il telerilevamento costituisce uno strumento di sorveglianza e monitoraggio per aree ampie e inaccessibili; i dati nelle bande termiche di NOAA e AVHRR e i dati meteo dei satelliti GOES sono stati utilizzati per individuare e monitorare l’avanzamento di incendi attivi, altrimenti nascosti ai sensori ottici dal fumo o dalla foschia (Fraser et al., 2000).

Tra le diverse tecniche, la comparazione di immagini multitemporali è usata per lo studio della successione ecologica che si instaura nell’area incendiata, dalle specie pioniere fino alla piena copertura forestale. Mentre le bande del termico sono ideali per il monitoraggio e la mappatura di incendi attivi, le immagini multispettrali sono usate per l’osservazione dello studio dello stato di crescita della vegetazione nelle aree precedentemente incendiate. Con tali strumenti può essere delineata l’età dell’incendio e l’estensione dell’area bruciata, nonché lo stato di salute della vegetazione. I parametri richiesti a un sensore per la mappatura degli incendi sono una risoluzione da alta a moderata e un basso tempo di rivoluzione. Dall’altra parte, per un rilevamento e un monitoraggio istantaneo del fuoco sono richiesti una risoluzione moderata e un tempo di rivoluzione molto breve.

Caratteristiche spettrali delle aree incendiate

E’ importante conoscere come un incendio muta le caratteristiche del territorio su cui si propaga; in particolar modo per

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studi di telerilevamento è indispensabile sapere come variano le caratteristiche spettrali dell’area bruciata.

L’intensità dell’incendio (fire severity) è un termine descrittivo che include le mutazioni fisiche chimiche e biologiche di un sito a seguito di un incendio (White et al., 1996). Gli incendi in regioni semiaride possono significare la distruzione completa della vegetazione e della lettiera, con consequente esposizione del suolo e deposizione di ceneri. Incendi di bassa o moderata intensità comportano un consumo parziale della vegetazione e della lettiera e una minore esposizione del suolo e deposizione di ceneri. L’aspetto post-incendio dei siti può essere usato per stimare l’intensità dell’incendio stesso. Molti fattori sono critici per definire le caratteristiche spettrali di tale parametro; la variazione del valore di riflettanza in ciascuna lunghezza d’onda in seguito alla defoliazione, variazioni nella forma delle curve spettrali in seguito alla defoliazione e la relazione tra riflettanza e quantità di defoliazione (White et al., 1996. Patterson and Yool 1998)

L’intensità dell’incendio è stata studiata avvalendosi di numerosi sistemi di classificazione; tali sistemi variano a seconda del tipo di vegetazione da analizzare, ma generalmente ogni sistema valuta e descrivi gli effetti del fuoco sui vari componenti dello scenario studiato, come la copertura vegetale, la copertura del suolo e la lettiera. Tali sistemi di classificazione, basati sull’indagine di campo (field based), sono applicabili mediante gli strumenti del telerilevamento, visto che le variazioni ai componenti della scena sono rilevabili nelle immagini satellitari.

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Le manifestazione del danno del fuoco possono essere sia morfologiche che fisiologiche (Murtha, 1978). Il danno morfologico comunemente riscontrabile nei territori percorsi da incendio è rappresentato dalle variazioni delle dimensioni e della forma delle piante, defoliamento , perdita di branche e collasso cellulare. Le lunghezze d’onda del near-infrared (NIR 0.7-1.1 µm)sono sensibili alla struttura della cellula vegetale e sono state usate per monitorare la mortalità forestale dovuta al fuoco, inquinamento e infestazione da parte di insetti (Iverson et al, 1989. Collins and Woodcock, 1996).

Il danno fisiologico si manifesta attraverso la diminuzione della fotosintesi, deterioramento dei cloroplasti e interruzione della traslocazione di fattori come l’acqua (Murtha, 1978). Le lunghezze d’onda del blu (0.4-0.5 µm ), del verde (0.5-0.6 µm), del rosso (0.6-0.7 µm) e dello SWIR (1.3-1.8 µm) sono sensibili alle componenti fisiologiche della vegetazione (Nelson 1983. Roy et al., 1999). Le superfici percorse da incendio sono parzialmente o completamente prive di vegetazione e caratterizzate da suoli secchi, causando così una diminuzione dell’assorbimento a queste lunghezze d’onda. Il fuoco riduce l’assorbimento nel campo del visibile da parte della clorofilla delle foglie e nello SWIR da parte del contenuto idrico delle piante. Il fuoco inoltre altera le caratteristiche spettrali delle superfici, che sono più chiare nel visibile e nello SWIR. Anche le lunghezze d’onda del near-infrared sono sensibili al danno fisiologico delle piante, in quanto un decremento della riflettanza totale nel NIR è diagnostica dello stress idrico della foglia. Il valore della riflettanza nel NIR è alto in ecosistemi sani, mentre si riduce in seguito alla distruzione della struttura della foglia o della pianta.

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L’apporto sulla superficie del suolo di carbone nero, con conseguente diminuzione di riflettanza, e di carbone grigio, con conseguente aumento di riflettanza, e l’esposizione del suolo a causa della rimozione dello strato di vegetazione sono ulteriori elementi che portano alla variazione della risposta spettrale in un territorio percorso da incendio (Tanaka et al., 1983). Tali fattori sono da valutare caso per caso quando si fa mappatura di aree percorse da incendio tramite immagini satellitari, per evitare confusione spettrale: se infatti in alcuni ambienti la deposizione di carbone sulla superficie può portare a una diminuzione del valore di riflettanza, nel caso di suoli chiari, che vengono esposti in seguito ad incendio, tale valore viene ad aumentare. L’uso di indici spettrali sensibili al contenuto idrico del suolo e della vegetazione (wetness indices) riduce il potenziale rischio di confusione rispetto ad una tecnica analitica basata sul colore del suolo (Patterson and Yool, 1998).

3.1.3 Mappatura di aree percorse da incendio: indici utlizzati

Al fine di minimizzare gli effetti secondari che affliggono i pattern di risposta radiomentrica delle chiome fogliari, dovuti a fattori come le caratteristiche spettrali del suolo, l’illuminazione, l’angolazione, fattori meteorologici (vento, nuvole), le singole bande di riflettanza sono combinate nei cosiddetti indici di verde.

Il più comuni indici di vegetazione sono quelli basati sulla semplice divisione (ratio-based) fra bande di riflettanza o le combinazioni lineari. Mediante l’operazione di rationing si rimuovono quei disturbi che influiscono nello stesso modo le riflettanze di ogni singola banda. La maggior parte degli indici ratio-based usa, come bande spettrali, il rosso, che è correlato con l’assorbimento della

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clorofilla (vedi Fig.3.3.), e l’infrarosso-vicino, che è invece correlato con la densità del manto vegetale, arrivando così ad esplicare più del 90% dell’informazione sulla chioma delle piante. Inoltre nelle bande del rosso ed infrarosso, il contrasto tra vegetazione e suolo è massimo.

Per la mappatura delle aree bruciate è possibile distinguere fra due tipi di approccio: quello multitemporale e quello basato sull’analisi di una singola immagine post-incendio.

Nell’approccio multitemporale due immagini di una stessa area, una pre-incendio l’altra post, sono analizzate in modo da rilevare le entità percorse da incendio, in base al cambio delle caratteristiche spettrali. La rimozione dello strato di vegetazione porta infatti un cambiamento del comportamento spettrale dei pixel incendiati. In particolar modo il valore digitale grezzo della banda dell’infrarosso (TM 4) diminuisce significativamente nella situazione post-incendio (Pereira et. Al., 1997, N.Koutias et M.Karteris, 1998); tale riduzione è dovuta alla distruzione dello strato vegetale, che riflette gran parte della radiazione solare incidente intercettata da questo canale. Inoltre nel canale del SWIR (TM 7) il valore numerico grezzo riportato sale nell’immagine post, a causa della diminuzione del contenuto idrico della vegetazione (Pereira et. Al., 1997, N.Koutias et M.Karteris, 1998).

In un approccio basato sull’analisi di una singola immagini post-incendio , i metodi per la mappatura delle aree percorse dal fuoco vertono sul confronto delle diverse risposte spettrali degli oggetti all’interno della stessa immagine.

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fra le classi di land cover permanenti (Pereira et al., 1997). Punto critico dell’approccio multitemporale sono l’aumento dei costi di acquisizione e elaborazione immagini, e la registrazione radiometrica e geometrica della serie di immagini.

Le proprietà spettrali della vegetazione verde sono state usate da lunga data da parte degli esperti di telerilevamento. Jordan (1969) fu il primo a combinare le risposte spettrali del NIR e del rosso in una ratio, che si dimostrò strettamente collegata al LAI (Leaf Area index).

Una possibile classificazione dei Vegetation Index li divide in due gruppi; il primo di essi è rappresentato da indici ratio-based: fra questi il più comunemente usato sfrutta il caratteristica assorbimento della clorofilla nel rosso e l’alta reflettanza della vegetazione nel NIR (Tucker,1979). Gli indici ratio-based includono la semplice ratio (SR) sviluppata da Jordan (1969), il Normalized Difference Vegetation Index (NDVI) sviluppato da Rouse et al. (1973), e varie versioni modificate di NDVI più sensibili a particolari fattori come la variabilità dei suoli o le condizioni atmosferiche, come SAVI, MSAVI e OSAVI.

Un secondo tipo di indici sono i soil-line based o indici ortogonali. Questi indici sono basati sull’esistenza di una linea nello spazio spettrale (se si assumono due dimensioni, un piano se si assumono tre dimensioni) lungo la quale i suoli nudi di differenti luminosità giaceranno. La vegetazione aumenta perpendicolarmente alla linea del suolo. Kauth and Thomas (1976) svilupparono la loro trasformazione “Tasseled Cap” per dati Landsat MSS; la seconda componente di essa è conosciuta come “greenness index” o “green vegetation Index” (GVI). Crist e Cicone (1984) hanno poi esteso

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l’analisi alle sei bande dei dati Landsat TM (eccetto la banda dell’infrarosso termico)

Figura 3.4: formule di indici di vegetazione

Fra i vari indici riscontrati in letteratura, questa tesi si avvale del TM 7/TM 4 normalizzato, in base ai risultati ottenuti da Biagioni (2004).

Questo indice ha la particolarità di essere poco influenzato dallo scattering atmosferico in quanto non acquisisce dati in nessuna delle tre bande del visibile. Visto che i valori della ratio 7/4 sono normalizzati, tale indice può assumere valori compresi tra 1 e –1.

3.2 GIS

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Generalmente questi dati vengono registrati in forma di mappa o files denominati layers ed integrati in un Sistema Informativo Territoriale o GIS (Geographic Information Systems).

L’impiego dei GIS si è affermato in tutti i campi ove occorre rappresentare ed analizzare fenomeni legati al territorio o che assumono rilevanza in funzione della loro posizione geografica.

3.2.1 Definizione di GIS

Le definizioni di GIS date dai diversi autori sono molteplici: c’è chi si ferma ad una visione tecnologica e chi affronta i problemi organizzativi.

“A system for capturing, checking, manipulating, analysing and displaying data which are spatially referenced to the Earth” (Doe 1987)

“Any manual or computer based set of procedures used to store and manipulate geographically referenced data” (Aronoff 1989)

“Any institutional entity, reflecting an organizational structure, that integrates technology with a database, expertise and continuing finantial support over time”(Carter 1989)

“A decision support system involving the integration of spatially referenced data, in a problem solving environment” (Cowen)

“A set of hardware, software, geographical data and skilled people, whose goal is to efficiently manage, the capture, management,

manipulation, analysis and visualization of georeferendec data” (Raper 1990)

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Possiamo riassumere dicendo che un sistema informativo geografico (GIS) è uno strumento che permette di posizionare ed analizzare oggetti ed eventi che esistono e che si verificano sulla superficie della Terra.

Avvalendosi di componenti chiave quali hardware, software, dati, utenti e metodi è in grado di memorizzare, immagazzinare, visualizzare, manipolare ed analizzare dati geografici e alfanumerici creandone nuovi in diverse forme di rappresentazione.

3.2.2 Le componenti fondamentali di un GIS

Un Sistema Informativo Geografico è formato sostanzialmente da quattro parti: i dati, le persone, gli strumenti e il contesto organizzativo.

1. Per quanto riguarda gli strumenti ci si riferisce a un elaboratore o a una rete di elaboratori, dotati di software disegnato specificatamente per il trattamento di dati territoriali.

2. L'importanza del dato, all'interno di un GIS, è vitale: la capacità elaborativa della macchina è inutile se non sono disponibili dati validi su cui operare; occorre poi mantenere costantemente aggiornata la base informativa, pena la morte per invecchiamento del sistema.

3. Si intendono con “persone” non la componente informatica, cioè gli specialisti in grado di far funzionare gli elaboratori, ma gli utenti (urbanisti, geologi, esperti di gestione del territorio in genere), i quali estraggono "dati" dagli strumenti

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informatici e, aggiungendo la loro competenza professionale, li trasformano in "informazioni".

4. Infine il contesto organizzativo è la struttura all'interno della quale operano le persone. Nell'ambito della struttura tutto il sistema GIS trova la sua ragion d'essere in quanto è lì che le informazioni estratte dal sistema vengono tradotte in decisioni.

3.2.3 Organizzazione dell’informazione geografica

Tutte le entità e gli “oggetti” che costituiscono il territorio (e che quindi riusciamo a rappresentare su una mappa) sono caratterizzati dal fatto di possedere due tipi di informazione, diverse e integrate; un’informazione geografica e una descrittiva (gli attributi).

Per esempio un edificio porta un’informazione geografica consistente nella sua posizione sul territorio e una descrittiva consistente nella sua tipologia; lo stesso si può dire di una strada, una sezione di censimento, un lago, una foresta, ecc.

L’informazione geografica si visualizza tramite una rappresentazione cartografica, quella descrittiva tramite una tabella che riporta i valori degli attributi.

Chiamiamo questa struttura con la sigla (G-A).

La parte geografica e quella descrittiva sono concettualmente diverse; certi software memorizzano i due tipi di dati in due diversi DBMS, altri all’interno di un unico DBMS, ma anche in quest’ultimo caso la differenza concettuale tra i due tipi di informazione rimane.

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Infatti, sulla parte descrittiva, che contiene “valori” attribuiti a caratteristiche dell’oggetto possiamo applicare operatori di tipo tradizionale. Possiamo cioè confrontare oggetti diversi confrontando i valori della parte descrittiva: per esempio:

L’edificio E1 ha più vani dell’edificio E4 ?

Quante strade in quest’area sono non asfaltate ?

Sulla parte geografica possiamo applicare operatori diversi e relativamente nuovi per il mondo dell’informatica, quali la “vicinanza”, la “adiacenza”, la “connessione”, ecc. Per esempio:

Il Comune D1 confina col Comune R7 ? La strada A1 è connessa con la strada A11 ?

Gli operatori che agiscono sulla parte geografica possono essere di tipo geometrico, topologico o strettamente geografico; quelli che agiscono sulla parte descrittiva possono essere di tipo aritmetico, statistico, logico, ecc.

La struttura (G-A) quindi permette di sfruttare la potenzialità di una serie di nuovi operatori detti “spaziali” e di integrare tali potenzialità con quelle degli operatori che agiscono nel campo dei valori alfanumerici tradizionali.

Gli oggetti di una mappa sono logicamente raggruppati in classi, ciascuna delle quali contiene al suo interno dati omogenei (la classe delle strade, quella dei tralicci, ecc.). All’interno di una classe sono contenuti più oggetti non necessariamente identici, anzi in genere ciascuno con una sua propria caratterizzazione in termini

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statale, o provinciale, o non asfaltata, ecc.). Le classi sono dette anche strati o livelli informativi (in inglese layer).

Una classe di oggetti è caratterizzata dall’avere una rappresentazione geometrica e una struttura di attributi ben definita.

Considerando l’esistenza di molti strati informativi, la sigla prima adottata si trasforma in

n*(G-A).

Consideriamo oggetti appartenenti a livelli informativi diversi, come ad esempio strade ed edifici. Ciascuno di essi ha una struttura (G-A). La parte “A” è strutturata diversamente per le due classi: mentre la parte descrittiva della classe “strade” descriverà, ad esempio, il tipo di pavimentazione della strada, il suo nome, la larghezza, ecc., la parte descrittiva della classe “edifici” descriverà la destinazione d’uso dell’edificio, la sua altezza, il numero di vani presenti, ecc.

Se la parte “A” è molto diversa per le due classi, al contrario la parte “G” è strutturata in modo molto simile; infatti, qualunque sia la classe, la descrizione geografica si basa su un unico criterio: le coordinate geografiche che esprimono lo sviluppo di una casa sono scritte nello stesso “linguaggio” di quelle che esprimono la curva di una strada.

Questa caratteristica permette di applicare operatori spaziali a oggetti appartenenti a classi diverse; mentre in assenza di informazione spaziale non siamo in grado di mettere in relazione oggetti diversi, sfruttando il comune linguaggio con cui è codificata l’informazione spaziale possiamo confrontare, correlare, collegare, tramite operatori, oggetti eterogenei.

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Gli operatori che agiscono su oggetti appartenenti a strati diversi sono la versione algoritmica di quello che facciamo quando, guardando una carta, mettiamo in relazione entità eterogenee. Tuttavia sulla carta i tipi di oggetti eterogenei e le loro caratteristiche sono limitati, mentre in una logica GIS non abbiamo, da questo punto di vista, alcun limite concettuale.

3.2.4 Utilizzo della tecnologia GIS

Le possibilità offerte dalla tecnologia GIS vengono sfruttate in modo diverso a seconda delle applicazioni e del tipo di dati disponibili.

Il primo modo di utilizzare la tecnologia GIS è quello della banale restituzione grafica di quanto presente negli archivi. Siamo nel mondo della cartografia numerica, in quanto si utilizza la parte geometrica dell’informazione, combinando più livelli; di quanto sintetizzato in n (G-A) si sfrutta prevalente “n” e “G”. Oltre a tutte le operazioni geometriche legate alla rappresentazione, è possibile attivare livelli informativi predefiniti e gestire le tecniche di restituzione. I documenti che ci troviamo di fronte sono in questo caso simili a quelli della cartografia tradizionale.

Il secondo caso riguarda i cartogrammi. Si tratta della identificazione di un tema (descritto da un attributo) che viene rappresentato tramite la base cartografica. Gli elementi grafici sono una “buccia” che ospita un tematismo. Esempi tipici sono una

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mappa che presenta, sempre su base comunale, i risultati di una consultazione elettorale. Questo tipo di uso incontra molta fortuna per:

· le nuove capacità interpretative proposte dalla rappresentazione geografica rispetto alla rappresentazione tabellare:

· la facilità intrinseca del processo di creazione del cartogramma, anche per chi non è esperto di informatica;

· l'estrema rapidità con cui viene ottenuto un risultato.

Si parla in questo caso di cartografia tematica (o forse meglio cartografia monotematica). L’elemento caratteristico è l’utilizzo dell’informazione presente nell’attributo, pertanto, della sigla n (G-A) si sfrutta “G” e “A”. I documenti risultati di questo modo di operare sono molto diversi da quelli della cartografia tradizionale; rispetto a quest’ultima essi presentano un aspetto più quantitativo, mentre al contrario mancano di un contesto di riferimento.

Un’estensione di questo modo di operare è quello dell’analisi delle caratteristiche di un oggetto rappresentato graficamente. Invece di avere un’analisi globale di un’area dove per ogni entità geografica si evidenzia il valore di un solo attributo, in questo caso si evidenziano, per una specifica entità, tutti gli attributi. Con un diverso modo di operare di sfrutta sempre “G” e “A” di n (G-A) . Da un punto di vista operativo, si identifica un’entità e, in un’apposita finestra, appaiono i valori cercati.

Il terzo modo di utilizzare la tecnologia GIS è quello più classico in cui si integrano informazioni provenienti da diversi livelli informativi. Ciascun livello fornisce un tema, come nel secondo caso, e diversi temi sono posti in correlazione tra di loro. In questo

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caso, della sigla n (G-A) si sfruttano tutte tre le componenti: “n”, “A” e ovviamente “G”. La correlazione delle informazioni provenienti dai diversi strati avviene in diversi modi.

Si possono distinguere tre casi.

1. Integrazione di dati tramite rappresentazione. In questo caso si rappresentano, su video o su carta, dati di tipo eterogeneo e l'operatore ne trae le conseguenti deduzioni. Il processo di integrazione dei dati è effettuato dall'uomo, mentre un elaboratore opera quale disegnatore. L’interpretazione può avvenire o dall’analisi della sovrapposizione di carte tematiche o anche aiutandosi con la presentazione di valori che descrivono gli oggetti rappresentati (parte descrittiva). Una mappa di densità di popolazione disegnata sopra ad una mappa della viabilità permette di fare verifiche o programmi in termini di politica dei trasporti; una mappa che presenta, su base comunale, i risultati di una consultazione elettorale sovrapposta ad una mappa di reddito induce ad altre considerazioni. Questo tipo di trattamento offre all'operatore incredibili possibilità e combinazioni di dati eterogenei sono limitate solo dalla fantasia; tuttavia esistono problemi tecnici relativi alle metodologie di sovrapposizione.

2. Il secondo sottocaso è quello dell’integrazione di dati tramite elaborazione. Questo è il caso in cui vengono correlati tra loro dati eterogenei con l'ausilio di un software GIS. L'operatore riceve un prodotto complesso cui deve aggiungere la propria interpretazione. Un esempio è quello del calcolo del rischio di

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grande quanto più il bosco è vicino ad una strada, ma lontano da un abitato, e ancora dipendente dal tipo di bosco, dal tipo di terreno, dalla pendenza, ecc. Si tratta evidentemente di gestire un insieme di dati diversi secondo un certo modello. Questo tipo di trattamento è quello che dà il maggior valore aggiunto ai dati, ma presenta ovvie difficoltà legate alla qualità dei dati, alle caratteristiche del modello, ad una difficile interpretazione dei risultati e infine ai limiti intrinseci del software GIS.

3. Limitatezza intrinseca dei software GIS. I software oggi disponibili offrono funzionalità potenti, ma di tipo generale. In molti casi, invece, si ha a che fare con problemi particolari che richiedono l’uso di modelli specifici. Sono esempi la dispersione di gas nell’atmosfera, la diffusione di inquinanti nella falda, e altri. In questo caso occorre integrare il software GIS con i modelli disciplinari adatti allo scopo.

3.2.5 Strutture dati: struttura vector e struttura raster

Esistono due formati base di layers denominate rispettivamente raster e vettoriale.

I layers vettoriali sono utili per descrivere distinti “oggetti” presenti nel territorio(punti, linee, superfici). Nel formato vettoriale ogni oggetto viene descritto da una serie di coppie di coordinate per ognuno dei punti cospicui che concorrono a configurarne con sufficiente dettaglio la forma. Le primitive per modellare la geometria degli oggetti del mondo reale nel campo vettoriale sono Punto,

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Linea, Area. La primitiva Volume, facilmente intuibile come significato, non viene usata.

1. Il Punto

La primitiva Punto è costituita da una coppia di coordinate a cui sono associati attributi. La primitiva Punto modella oggetti del mondo reale che possiamo rappresentare come punti; alcune entità del mondo reale sono da un punto di vista semantico veri e propri punti, come ad esempio la cima di un monte. Altre entità hanno una struttura areale, ma possono essere rappresentate come punti: questo può avvenire o per motivi di scala o per motivi che dipendono dall’uso che si intende fare dei dati.

2. La Linea

La primitiva Linea è costituita un insieme ordinato di punti a cui sono associati attributi. Il punto iniziale e quello terminale sono chiamati estremi. La primitiva Linea modella oggetti del mondo reale che possiamo rappresentare come linee. Come nel caso dei punti la rappresentazione di un oggetto tramite un Linea dipende dalla scala e/o dall’uso che si fa dei dati. Ad esempio, limite di costa è una linea; una curva di livello (pur non essendo un oggetto) è una linea; un acquedotto si rappresenta come una linea quando ci interessa in quanto strumento di trasporto di risorse e non come occupazione fisica dello spazio, e analogamente una strada. Ad una primitiva geometrica sono associati attributi che descrivono caratteristiche dell’entità del mondo reale che la primitiva rappresenta. Gli attributi possono assumere un solo valore che pertanto è da ritenersi valido per tutta la primitiva.

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3. L’Area

La primitiva Area descrive una parte di piano compresa all’interno di una linea chiusa ed è costituita da un insieme ordinato di punti con associati attributi; il punto iniziale e quello terminale coincidono. La primitiva Area modella oggetti del mondo reale che possiamo rappresentare come aree e non presenta problemi di modellazione. Se un attributo varia all’interno dell’oggetto, è necessario dividere l’oggetto originario in due o più oggetti in modo da avere omogeneità di attributi. Questo principio di omogeneità degli attributi vale per l’area come per la linea, mentre non vale per i punto che è adimensionale.

Gli attributi

Principio di omogeneità degli attributi: all’interno di un’entità semplice di dimensione maggiore di 0 gli attributi assumono valore costante su tutta l’entità Gli attributi che sono collegati ad una primitiva Area o Linea possono essere di vario tipo. Il tipo di attributo si valuta con riferimento a cosa succede se si spezza l’elemento in due parti. Con riferimento ad un’Area si può avere:

· Attributi qualitativi: spezzando l’area l’attributo mantiene la sua coerenza

· Attributi quantitativi: spezzando l’area l’attributo perde la sua coerenza

· Attributi specifici: spezzando l’area l’attributo mantiene una certa coerenza, ma probabilmente perde la sua validità.

Da un altro punto di vista di può pensare che una frammentazione di elementi in altri elementi più piccoli costituisce in

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un certo senso un aumento di scala, cioè una conoscenza di maggiore dettaglio. Questa non può derivare dagli stessi dati; qualsiasi modello si applichi in questo processo, i risultati sono comunque arbitrari: solo una nuova rilevazione può produrre informazione di maggiore dettaglio. Di questa situazione non risentono, per la loro natura, gli attributi qualitativi; ne risentono invece tutti gli altri, anche se in modo diverso.

Struttura raster

I layers di tipo raster descrivono una certa regione spaziale suddividendola in celle (pixel) organizzate in matrici (grid), aventi un certo orientamento geografico e una origine in un punto di coordinate definite. La dimensione del lato della cella è variabile secondo le esigenze del tema da rappresentare. A ciascuna cella è associata un’informazione numerica o alfanumerica (attributo), che definisce la modalità o il valore assunto nella cella dal tema territoriale rappresentato. I piani descrittivi di tipo raster sono adatti per descrivere variabili territoriali che variano in modo continuo (altitudine, pendenza, piovosità, provvigione) ma è spesso utile ridurre alla rappresentazione in formato raster (rasterizzazione) anche variabili territoriali che variano in modo discreto nella regione spaziale considerata (es. tipo di proprietà, viabilità, …). Ciò consente di attuare analisi e classificazioni di una cella (e quindi dell’intero territorio), in funzione dei valori che in essa assumono i diversi temi sotto i quali la cella è stata descritta nei rispettivi layers raster.

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3.2.6 Operazione di incrocio

Leggendo una carta siamo in grado di capire le relazioni spaziali che esistono tra oggetti diversi. Noi sappiamo leggere i segni presenti su una carta, sappiamo interpretarli in termini di entità e sulla base di considerazioni geometriche come ad esempio la vicinanza, l’intersezione, l’allineamento, l’orientamento siamo in grado di capire se un insieme di case formano un paese, se da una strada principale si può deviare su una secondaria, se due punti sono reciprocamente visibili, se una casa ha facciata esposta al sole, ecc.

All’interno di uno strumento GIS le relazioni spaziali tra oggetti, con esclusione di quelle codificate nella topologia, sono memorizzate in modo implicito all’interno della parte geometrica dell’informazione.

L’incrocio è un’operazione che, sfruttando la parte geometrica dell’informazione, permette di esplicitare alcuni tipi di relazioni spaziali tra oggetti. Tali relazioni possono naturalmente collegare fenomeni espressi tramite primitive diverse, come ad esempio una mappa di “qualità della vita” espressa su base censuaria e localizzazioni puntuali di reati.

L’operazione opera tramite un certo algoritmo che agisce su entità codificate all’interno dello strumento GIS e ne restituisce le relazioni cercate in modo automatico. Occorre però non sottovalutare anche la possibilità di definire relazioni tra oggetti codificati in un archivio GIS in modo semplicemente visivo, come si fa quando si legge una carta disegnata. In questo caso lo strumento GIS è usato come archivio e come strumento di disegno, capace di evidenziare particolari tematismi presenti negli attributi.

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Il concetto di rapporto spaziale tra oggetti, di cui abbiamo portato alcuni esempi, è un concetto più ampio di quello che si può ottenere con l’operazione di incrocio, così come è comunemente inteso. Tuttavia se è vero, come è vero, che uno strumento GIS è principalmente un “integratore di informazione eterogenea”, l’operazione di incrocio è la traduzione algoritmica di quello che è il significato più profondo dei GIS.

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