• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 Intorno al ruolo di Croce nella cultura italiana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 2 Intorno al ruolo di Croce nella cultura italiana"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 2

Intorno al ruolo di Croce nella cultura italiana

2.1. La presunta “egemonia idealistica”

Nel secondo dopoguerra si è affermata un’interpretazione, che si è poi largamente e lungamente diffusa, secondo la quale la vita culturale italiana della prima metà del XX secolo è stata egemonizzata dalla filosofia idealistica.

Un’attenta critica dei presupposti della suddetta posizione si ritrova in alcune pagine scritte da Eugenio Garin1, il quale si muove, nella sua riflessione, dal volume2

contenente gli atti di un convegno tenutosi a Anacapri nel giugno del 1981 e dal titolo

La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Garin riportando le osservazioni di Norberto Bobbio, il quale si era occupato

di trarre le conclusioni del convegno, scrive:

Il corso del pensiero filosofico in Italia nel Novecento […], appare spaccato in due dalla seconda guerra mondiale e dalla sua conclusione. La prima epoca sarebbe stata caratterizzata da Croce e da Gentile (“i due grandi”, secondo l’espressione di Bobbio), nel loro ambiguo rapporto col fascismo, e con la chiusura “provinciale” della cultura filosofica nazionale al grande dibattito teorico europeo. Dopo la guerra si sarebbe aperto, invece, un periodo dominato da “filosofie militanti”, ossia cariche di “impegno” civile ed estremamente politicizzate, tutte intente a una frenetica “sprovincializzazione” della filosofia italiana culminante in una attività combinatoria delle varie posizioni immesse nel circolo del pensiero nazionale, e attinte in prevalenza nell’area linguistico-culturale dei paesi vincitori3.

Alla “chiusura” provocata dall’egemonia idealistica realizzata da Croce e Gentile, direttamente o indirettamente rafforzata dal fascismo, tre “nuovi” orientamenti –marxismo, esistenzialismo, neopositivismo – avrebbero da un lato accentuato il motivo dell’“impegno”

1 Garin E., Agonia e morte dell’idealismo italiano, in AA. VV., La filosofia italiana dal dopoguerra ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 1985, pp. 3-29.

2 La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del Convegno di Anacapri giugno 1981, Guida, Napoli, 1982. I relatori erano: G. Lissa, G. Martano, Paolo Rossi, Pietro Rossi, G. Santinello, A. Santucci, U. Scarpelli, F. Tessitore, G. Vattimo, V. Verra, C. A. Viano. Norberto Bobbio traeva le conclusioni.

3 Bobbio N., Bilancio di un convegno, ivi, pp. 301-311. Ricordiamo il saggio di Banfi A., Verità ed umanità nella

filosofia contemporanea, in Studi filosofici, 1, gennaio 1947, anno VIII, pp. 1-79 e ristampato Nel 1950 nel volume L’uomo copernicano da Mondadori; tale scritto, basandosi su una periodizzazione del pensiero imperniata sulla fine

(2)

del filosofo, mentre da un altro lato avrebbero arricchito il piccolo mondo italiano, aduggiato dalla retorica “umanistica”, di tutta la ricchezza dei dibattiti “scientifici” maturati ovunque nel mondo4.

E ancora:

Si consolidò […] l’immagine costruita nella polemica postbellica di una “egemonia idealistica”, durata ininterrottamente dal 1903 alla crisi del fascismo, responsabile di aver bloccato la filosofia italiana su posizioni arcaiche e conservatrici, fertilizzando un terreno su cui sarebbe germinata l’ideologia fascista con tutti i suoi ambigui rapporti con la tradizione cattolica e la Chiesa romana. Che nel caldo del dibattito postbellico, e in un vivace intreccio di contrasti ideologici, si creasse la “figura” di una monolitica dittatura idealistica da affiancare a quella fascista, e da seppellire insieme con quella, è comprensibile, soprattutto sul piano dell’organizzazione della cultura e delle istituzioni scolastiche, ove non era possibile non tenere conto del peso di Gentile – e in diversa misura Croce – avevano avuto sul piano della riforma della scuola5.

Nel 1947 su Il Politecnico Remo Cantoni parla addirittura di “dittatura dell’idealismo”. «L’idealismo italiano, nella forma che esso rivestì di spiritualismo storicista nel pensiero di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce, dopo aver tenuto imperiosamente il campo della cultura italiana per parecchi decenni, dopo aver dominato nelle cattedre, nelle riviste, nelle case editrici, nelle coscienze, passa lentamente agli atti della storia»6.

Va aggiunto che Cantoni si rendeva anche conto – e correttamente lo dichiarava – della componente “passionale” del suo “profilo” della storia della filosofia italiana di mezzo secolo. «Non è possibile oggi – confessava – pretendere di guardare la storia ideologica italiana con imperturbabile obiettività, quasi fossimo collocati su una stella lontana e indifferente». D’altra parte il limite vero di quelle pagine, in cui Cantoni dava voce a un atteggiamento diffuso, non stava nel sottolineare un tramonto, che anzi era presentato (e neppur questo era vero) come un pacifico graduale concludersi («passa lentamente agli atti della storia»). Il limite consisteva nel dare per scontata una determinazione esatta di quello che tramontava («l’idealismo italiano»), e, insieme, nel considerare pacifica la lunghezza di quella giornata («parecchi decenni», ossia la parte del Novecento che era trascorsa), e uniforme il suo aspetto. Già la supposta corrispondenza fra “dittature” (idealismo-fascismo), consacrata dalla trasposizione (che giustamente Cantimori deplorava) di termini di storia politica sul terreno della storia della cultura, non solo configurava il dopo-idealismo come anti-idealismo, ma interpretava altresì il periodo della “dittatura idealistica” come monocorde e unitario, preparatore del fascismo7.

Garin ricorda che, nel corso della prima metà del Novecento, ci sono state due guerre mondiali, la Rivoluzione d’Ottobre e che la riflessione filosofica italiana si è misurata con tensioni politico-sociali, con movimenti d’avanguardia, con il contesto culturale

4 Garin E., Agonia e morte dell’idealismo italiano, cit., pp. 3-4. 5 Garin E., Agonia e morte dell’idealismo italiano, cit., pp. 5-6.

6 Cantoni R., La dittatura dell’idealismo, in Il Politecnico, 37, ottobre 1947, pp. 3-6; 38, novembre 1947, pp. 10-13; 39, dicembre 1947, pp. 3-5.

(3)

europeo ed extra-europeo. Andrebbe quindi rimessa in discussione la periodizzazione che fa perno sulla seconda guerra mondiale o comunque sarebbe necessario considerarne il carattere polemico-ideologico e di comodo. «Non, dunque, un periodo ben definito, durato quasi mezzo secolo; non un idealismo egemone sempre, omogeneo e con caratteri unitari e costanti»8.

Il convegno di Anacapri accoglie «la “comoda” discriminante delle catastrofi del fascismo e della guerra»9 come elemento periodizzante. Bobbio, nel suo Bilancio di un convegno, esprime le sue perplessità a proposito e afferma quanto non sia affatto

per scontato «che la storia delle idee e la storia dei fatti corrano sullo stesso binario»10

e che, per quel che concerne l’idealismo, c’è da valutare attentamente la sua capacità di confrontarsi, le sue aperture culturali, e indubbiamente il fatto che esso, per certi aspetti, sia sì tramontato antecedentemente al secondo conflitto mondiale, ma che per altri versi, esso non sia morto né colla guerra, né successivamente.

Garin, a tal proposito, osserva che riguardo Croce e lo storicismo crociano è del tutto inadatta una periodizzazione incentrata sulla fine della seconda guerra mondiale, come d’altronde non funziona lo schema di un idealismo italiano egemone per cinquant’anni e concepito come un monolite rimasto nel tempo sempre uguale a se stesso. L’immagine dell’idealismo italiano quale posizione ideologica unitaria e simmetrica al fascismo si è formata in un clima, quello del dopoguerra, dominato dall’antitesi “fascismo-antifascismo”. In momento di forti scontri ideologici l’idealismo, assieme al fascismo, diventava una dittatura da seppellire, nonostante alcuni dei suoi teorici, come appunto Croce, fossero stati sicuramente antifascisti. Il filosofo napoletano fu sempre un attento “critico di se stesso” e fu in stretto contatto con la cultura europea; la sua presenza nel dibattito italiano è poi indiscutibile anche ben oltre il ’45, pur assumendo nel corso degli anni forme diverse: criticato dagli studiosi gramsciani, noto per le sue interpretazioni di Hegel e di Marx e per il suo confronto con lo storicismo tedesco; è stato l’avversario da combattere, altre volte è stato l’antenato scomodo da nascondere11.

8 Ibidem, p. 8. 9 Ibidem, p. 5.

10 Bobbio N., Bilancio di un convegno, cit., p. 305.

(4)

Garin ci riporta inoltre le osservazioni che Norberto Bobbio ebbe a fare nel ’62, scrivendo a dieci anni dalla morte di Croce. Secondo il filosofo torinese un’intera generazione di studiosi di quelle che un tempo si chiamavano le “scienze morali” era stata in Italia tutta crociana, e ciò per il modo, peculiare del filosofo napoletano, di intendere la filosofia come nient’altro che “metodologia della storiografia”.

Garin ci dice che il sistema della filosofia dello spirito, con le sue quattro parole e le sue teorizzazioni, era già agonizzante assai prima degli anni Venti e di conseguenza prima della seconda guerra mondiale12. Ciò che sopravviveva era un “metodo”

storico-filosofico. «Impostazioni e conclusioni avevano condizionato interlocutori e avversari»13. Bobbio, su questo punto, nota il grande merito di Croce nell’aver

richiamato alla «coscienza della particolarità», ad una filosofia dedita «a ben chiarire e ad approfondire la particolarità»14.

Un’ulteriore indicazione, che si trova nel contributo saggistico di Garin preso ora in esame, riguarda la questione della considerazione dell’attività di Croce all’interno di un orizzonte culturale europeo. Garin descrive il libro del 1956 Lo storicismo tedesco

contemporaneo di Pietro Rossi come

apertamente e vivacemente polemico, non solo con Carlo Antoni ma con lo stesso storicismo crociano, attraverso il complesso di studi, di traduzioni, di discussioni che ha suscitato, ha contribuito, certo molto meglio di tanti pomposi discorsi “teoretici”, a ridimensionare affermazioni d’uso, ma alla fine ha anche messo in evidenza il valore originale che la risposta crociana ha avuto nel contesto della discussione europea. Via via che si sono meglio conosciuti pensatori come Simmel e Weber – con cui Croce dialogava – si è capito che certe problematiche erano comuni in Europa, e le risposte, ancorché differenziate, si collocavano in uguale orizzonte. Non solo: si riconquistavano anche più esatte prospettive e più serie scale di valori15.

2.2. Riflessioni sulla grande influenza esercitata da Croce sulla cultura italiana

La presenza di Benedetto Croce, all’interno della vita culturale dell’Italia della prima

12 Osserva Garin in Agonia e morte dell’idealismo italiano, cit., p. 27: «non è certo nel 1945 che può collocarsi l’inizio dei tempi nuovi. L’agonia del cosiddetto “idealismo italiano” non è stata davvero breve, e si è avviata a conclusione solo quando sono entrati in crisi mortale anche tutti gli altri “ismi” coinvolti nella medesima lotta, interlocutori dello stesso discorso: non solo spiritualismi, esistenzialismi, fenomenologie e marxismi vecchi e nuovi, ma anche paleo e neopositivismi, e scientismi».

13 Garin E., Agonia e morte dell’idealismo italiano, cit., p. 19. 14 Bobbio N., Italia civile, cit., pp. 87-88.

(5)

metà del Novecento, assunse certamente dimensioni imponenti. Dai saggi, all’attività di consigliere per l’editore Laterza, dalla direzione della rivista La Critica, all’attività politica, con la sua autorevole figura intellettuale ha rappresentato un peso determinante e influente su quello scenario culturale.

Costantemente presente in ogni dibattito, ora come nemico da eliminare ed ora come testimonianza invocata, è apparso un rinnovato idealismo filosofico che de La Critica del Croce, dal 1903, si era fatto lo strumento più valido per penetrare in ogni campo del sapere. Sopravvalutarne l’influenza nello svolgimento del pensiero italiano di questo secolo è pressoché impossibile; e se si può anche concludere che a volte esso riuscì d’ostacolo al manifestarsi di temi non meno validi, non si può non riconoscere che si trattò di un orientamento decisivo dovunque, dalle lettere alle scienze. Quanto al sapere scientifico, anzi, l’impostazione crociana della Logica agì a lungo, e non sempre felicemente, sui rapporti con l’indagine filosofica che credette, a un certo punto, superato per sempre lo scoglio delle naturali investigazioni. Ed analoghi rilievi possono estendersi alla politica, all’economia, alla storia16.

Non bisogna però cadere nell’eccesso interpretativo secondo il quale in Italia ci sono stati decenni caratterizzati da un’“egemonia” o, addirittura, da una “dittatura” crociana. Questa ipotesi, non tenendo conto delle polemiche tra Croce e i professori di filosofia e quindi del mancato sfondamento del suo sistema di pensiero nelle università, tra gli stessi docenti, rimane un giudizio sproporzionato circa l’effettiva influenza dell’intellettuale partenopeo sulle dinamiche proprie della cultura italiana del tempo17.

Certo è che Croce, specialmente grazie a La Critica, fu popolare e apprezzato dai giovani studenti del primo decennio del Novecento. In un momento storico-culturale contrassegnato dalla crisi del positivismo e dello spiritualismo, nel 1912 – dice De Ruggiero – gli universitari aspettavano con trepidazione la rivista crociana «come i bambini aspettano il dolce dopo un pasto lungo e noioso»18.

Un’analisi del ruolo di Croce nella vita culturale italiana negli ultimi quaranta anni della sua vita ci viene proposta da Coli:

dal ’14 gli studenti cominciarono ad essere affascinati dalla filosofia di Gentile, più semplicistica sul piano teoretico, e soprattutto dall’interventismo del filosofo siciliano, che riteneva la guerra mondiale un’occasione per «non vivere uso Spagna o Grecia» e per rigenerare la «Italia giolittiana», che Croce considerò invece il periodo migliore della storia italiana […].

Croce per tutta la guerra fu accusato di disfattismo e di germanofilia. Dal ’25 in poi, per

16 Garin E., Cronache di filosofia italiana (1900-1943), cit., p. 187.

17 Discorso a parte meriterebbe il notevole influsso di Croce sulla critica letteraria, anche in ambito accademico. 18 De Ruggiero G., Gli intermezzi polemici di Benedetto Croce, in Il Resto del Carlino, 30 dicembre 1912.

(6)

vent’anni, fu pubblicamente contro Mussolini, e per questo fu attaccato come il prototipo «dell’intellettuale vecchio stile, alla finestra», come diceva Gentile, teorico dell’impegno politico degli intellettuali, dell’intellettuale organico alla Nazione dello stato etico. Per vent’anni Croce non mise piede all’università di Napoli. Per un breve periodo, dal luglio del ’43, fu – come si desume dai suoi diari – una specie di grande padre della patria al quale tutti – nello sfascio generale del paese – andarono a chiedere consiglio, ma dall’aprile del 1945 diventò di nuovo il bersaglio di una polemica feroce. Più che un dittatore Croce fu un critico autorevole, ma senza seguito, dei difetti tradizionali degli italiani. Non a caso fece pubblicare Italy Today di Bolton King e Thomas Okey, nel 1902, ricordando nell’introduzione come il lamento cronico, i facili entusiasmi nazionalistici, ed una sostanziale incapacità di coscienza degli interessi nazionali fossero tipici della classe dirigente italiana. Al contrario sottolineò più volte le virtù inglesi, «troppo orgogliosi per essere nazionalisti», ma capaci di dire in guerra «right o wrong is my country»19.

Benedetto Croce fu il dominatore della vita intellettuale italiana per tutta la prima metà del XX secolo. Questa influenza, che è stata giudicata causa dell’isolamento della cultura italiana rispetto all’ambito europeo, è stata invece esercitata da Croce con spirito di libertà. Nella riconsiderazione della natura del magistero crociano ci viene in aiuto un’attenta analisi di Colli dell’Archivio della «Gius. Laterza & Figli»20.

Il protagonismo del filosofo napoletano sulla scena culturale italiana fu possibile infatti in virtù non solo dei suoi saggi e della rivista bimestrale La Critica, ma anche del suo ruolo di consigliere presso la casa editrice Laterza; anche Garin ci ricorda che Croce guadagnò in influenza ed autorevolezza grazie alla sua rivista, ma anche in virtù della collaborazione con un grande editore quale fu Giovanni Laterza21.

La «Gius. Laterza & Figli» fu un punto di incontro tra due eminenti figure: un editore che voleva dare alla sua professione funzione sociale e morale e uno studioso libero, non inserito nel mondo accademico, che considerava il lavoro scientifico una vocazione22 e che vide nella casa editrice barese lo strumento più efficace per

concretizzare il programma de La Critica23.

Il programma della rivista fondata dal filosofo napoletano fu annunciato nel novembre del 1902: da una parte intendeva risvegliare lo spirito filosofico, unendolo ai problemi della storia e della vita presente, soprattutto di quella italiana; e dall’altra, voleva offrire un quadro della produzione in ambito letterario, filosofico e storico e

19 Coli D., Il “provinciale” Benedetto Croce, in Losito M. (a cura di), Croce e la sociologia, Morano Editore, Napoli, 1995, pp. 92-93.

20 Coli D., Croce, Laterza e la cultura europea, Il Mulino, Bologna, 1983.

21 Cfr. Garin E., La casa editrice Laterza, in La cultura italiana tra ‘800 e ‘900, Laterza, Bari, 1962, p. 160. 22 Cfr. Croce C., Epistolario, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli, 1967, p. 42.

(7)

discutere i vari atteggiamenti culturali che si erano succeduti in Italia a partire dalla sua unificazione. La Critica, con l’intento di badare ai problemi generali e d’insieme, si proponeva come supplemento e sussidio alle tante pubblicazioni specializzate di storia politica, di filologia, di arte e di storia letteraria. Lo scopo della rivista era quindi quello di accompagnare le recensioni dei nuovi libri con vari articoli e contributi, dando così vita ad un primo schema della storia della produzione letteraria e scientifica dell’Italia post-unitaria.

Appare evidente, fin dai titoli delle collane, che Croce con la «Biblioteca di Cultura Moderna», i «Classici della Filosofia Moderna», gli «Scrittori d’Italia», i «Filosofi antichi e medievali» e la «Collezione storica», intendesse dare concreta realizzazione a quel vasto e ambizioso programma culturale24.

Tale progetto di riforma intellettuale e morale del paese unì Giovanni Laterza e Benedetto Croce; la via che il filosofo napoletano indicò fin da subito all’editore pugliese fu quella della pubblicazione di «roba grave»25, ovvero di libri politici,

storici, di storia artistica e di filosofia.

Croce come consigliere e direttore di collane ebbe sicuramente modo di promuovere moltissime opere al fine di attuare proprio il suo progetto culturale; ma pur considerando il suo ruolo certamente dominante all’interno della «Gius. Laterza & Figli», egli non può essere però definito il «monarca assoluto»26 di quella casa

editrice. L’editore Laterza doveva mediare tra gli interessi culturali e quelli economici: le opere proposte dal filosofo napoletano – la «roba grave, i libri di cultura» – erano indirizzate ad un pubblico di élite, ovvero i colti di professione, e pertanto a volte erano destinate a rimanere pressoché invendute o comunque spesso ad essere vendute lentamente. Per quadrare i bilanci e poter così continuare a pubblicare i libri che più soddisfacevano gli interessi filosofici di Croce, era necessario rivolgersi anche ad un pubblico più vasto, ovvero a quello medio-colto. Gli anni erano quelli della “rinascita idealistica” – vissuta spesso in generiche forme di occultismo ed esoterismo – e gli «Studi religiosi, iniziatici ed esoterici», ricordati

24 Ibidem, p. 59.

25 Pompilio A. (a cura di), Benedetto Croce-Giovanni Laterza. Carteggio 1901-1910, Laterza, Roma-Bari, 2004. 26 Coli D., Croce, Laterza e la cultura europea, cit., p. 191.

(8)

come la «Biblioteca esoterica», rappresentarono, con il loro successi di vendita, un importante compensazione economica ai volumi che si vendevano più difficilmente27.

Coli ricorda quanto, fin dalla fine della seconda guerra mondiale, si sia polemizzato intorno all’attività di organizzatore culturale svolta in Italia da Croce, arrivando a ritenere il filosofo napoletano responsabile di ritardi e carenze della vita intellettuale del nostro paese. Bisogna però tener presente che l’imputazione di “provincialismo” è nata in momento storico, il dopoguerra appunto, caratterizzato sia da radicali schieramenti politici e culturali – non disponibili a una considerazione più complessa e problematica della questione del significato dell’influenza crociana – sia dalla volontà di rompere rapidamente con un idealismo ritenuto complice del fascismo28.

Il provincialismo di Croce è un luogo comune che ha segnato per lunghi anni la media cultura e non solo. Coli rammenta – citando Gobetti29 – che una delle accuse

che il regime fascista mosse a carico del filosofo napoletano fu invece proprio quella di cercare di sovvertire la cultura nazionale attraverso la diffusione di idee e influenze culturali straniere. Inoltre, come si diceva prima, le presunte responsabilità di Croce circa l’arretratezza e l’isolamento della cultura italiana devono essere certamente ridiscusse esaminando anche quei limiti oggettivi alla sua libera attività di organizzatore culturale.

Spesso la decisione di far pubblicare o meno un libro era condizionata da ragionamenti di convenienza economica: i copyright stranieri erano spesso costosi e quindi capitava di preferire delle opere concesse gratuitamente a quelle di proprietà di editori esteri, inoltre bisognava tener conto delle preferenze del pubblico italiano30.

«Dal carteggio intrattenuto per circa quarant’anni col suo editore emergono così addirittura insospettati interessi per esperienze ritenute di solito da lui osteggiate, interessi destinati ad incrinare l’immagine stereotipata di un Croce dagli orizzonti ostinatamente limitati»31.

Il filosofo napoletano non fu un «monarca assoluto» all’interno della casa editrice

27 Cfr. Coli D., Croce, Laterza e la cultura europea, cit., pp. 58-59, p. 191, pp. 203-204 e pp. 225-226. 28 Ibidem, p. 10.

29 Gobetti P., Croce oppositore, in La rivoluzione liberale, IV, n. 31, 6 settembre 1925, p. 125. 30 Cfr. Coli D., Croce, Laterza e la cultura europea, cit., p. 101.

(9)

Laterza, e non poteva esserlo. Col tempo imparò le difficoltà e le contraddizioni del mondo editoriale; comprese la necessità economica di alcune pubblicazioni come quelle della «Biblioteca esoterica» e l’inevitabilità di dover posporre, nella scelta dei volumi da tradurre per il pubblico italiano, i suoi interessi alla valutazione dei costi di

copyright e delle probabilità di successo di un’opera presso il pubblico italiano;

conobbe, cioè, il ruolo dei condizionamenti economici nella diffusione della cultura.

2.3. Le accuse di provincialismo e il loro tempo

I due più importanti contributi alla tesi, per lungo tempo prevalente, di un Croce “provinciale” sono da individuarsi nella sua fama di Erode delle scienze umane e nella responsabilità, a lui attribuita, del “provincialismo” di Gramsci (con la conseguenza di aver impedito al maggior teorico del marxismo italiano un’opera di vero rinnovamento culturale e politico).

2.3.1. L’Erode delle scienze umane

Marcello Pera, in un articolo per L’Espresso del 1981, scrive: «Non furono soltanto due nuove scienze – la scienza politica di Mosca e la sociologia di Pareto – a morire prematuramente nei primi decenni di questo secolo in Italia. L’affermazione dell’idealismo mandò perduta anche la consapevolezza metodologica che a quelle scienze si accompagnava e fu così in parte responsabile della lunga decadenza della filosofia della scienza italiana. Dico “in parte” perché a questo proposito – come cercheremo di vedere – le colpe non furon tutte dalla parte dei filosofi»32.

Nell’articolo citato e in un altro comparso sullo stesso numero de L’Espresso, Pera segue una linea di riflessione caratterizzata sì dal vedere in Croce (e nell’idealismo) il responsabile principale della decadenza in Italia della filosofia della scienza –

(10)

comprese le due scienze che all’inizio del secolo erano praticamente neonate, vale a dire: la scienza politica di Mosca e la sociologia di Pareto – ma anche dall’andare al di là di questa mezza verità e dal considerare le colpe attribuibili agli scienziati stessi. Egli scrive: «Quanto a storici e giuristi, che accoglienza riservarono alla scienza politica e alla sociologia di Mosca e Pareto? È su questo punto delle responsabilità degli scienziati che dalla storia dell’idealismo prevaricatore si passa all’alibi»33.

Dei due articoli, ai quali ci siamo prima riferiti, è per noi particolarmente interessante il primo: Due scienze neonate e il loro Erode. In questo scritto Pera, dopo aver constatato la “parziale” responsabilità dell’idealismo nella «lunga decadenza della filosofia della scienza», stigmatizza Croce come l’Erode delle scienze umane. Il filosofo napoletano viene presentato come un re34 che emette una condanna a morte;

una condanna, tra l’altro, dovuta alla sua incomprensione del valore delle nuove scienze umane. Ma quale è questo valore incompreso? Secondo Pera le discipline scientifiche sono caratterizzate da:

- l’empirismo e il metodo induttivo-deduttivo.

Non c’è scienza senza metodo e non c’è scienza empirica senza metodo induttivo […]. Punto di partenza è il riconoscimento che «una scienza risulta sempre da un sistema di osservazioni», come dice Mosca. A partire da queste si costruiscono ipotesi e poi le si controllano perché «le ipotesi, per quanto belle ed ardite, nella scienza hanno un valore solo quando sono confermate dall’esperienza». Ecco la “via induttiva”. Noi, scrive Pareto, «ci troviamo di fronte ai fatti, li descriviamo, li classifichiamo, ne studiamo l’indole e vediamo se ci riesce di scoprire qualche uniformità (legge) nelle loro relazioni». Ma attenzione: osservare o raccogliere fatti soltanto non basta […]. Ciò che occorre è l’osservazione coordinata e quindi ciò che occorre è integrare la via induttiva con quella deduttiva: «L’induzione», scrive Pareto, «ci porrà sulla via di riconoscere certe uniformità sperimentali. Se ci riuscirà di trovarle, procederemo poscia per via inversa, cioè per via deduttiva, e paragoneremo le deduzioni coi fatti; se vanno d’accordo, accetteremo le ipotesi fatte, cioè i principi sperimentali ottenuti dall’induzione; se non vanno d’accordo, respingeremo ipotesi e principi».

Questa duplice via – all’insù e all’ingiù – è propria di tutte le scienze. Infatti il metodo è unico e non c’è differenza tra la sociologia e, poniamo, la fisica. Certo, questa ha problemi suoi propri, ma si tratta di questioni tecniche legate alla difficoltà di acquisire i dati sociali,

33 Pera M., Ma la colpa non è solo di Croce, in L’Espresso, XXVII (1981), n. 37, p. 140.

34 Degno di attenzione è comunque il fatto che lo stesso Pera, nell’articolo Ma la colpa non è solo di Croce, cit., p. 137, argomenti contro la leggenda dell’egemonia di Croce e di Gentile anche nel periodo segnato dalla massima difusione dell’idealismo: «Non mancarono opposizioni e resistenze, per qualche tempo organizzate nella Società filosofica italiana. Questa “cricca antidealistica”, come ebbe a definirla Giulio Preti, sotto la guida di Francesco Orestano, tra un saluto al Duce e un omaggio all’Italia fascista, organizzò dal ’33 al ’38 sei Congressi di cui almeno quattro su problemi epistemologici. Fu così che, ad esempio, al Congresso di Roma del ’33 (tema: “Filosofia e scienza”) si ritrovarono, accanto ai filosofi, scienziati eminenti come Enriques, Fantappié, Quirino Majorana, Persico».

(11)

di dominare le variabili, di frenare la partecipazione emotiva del ricercatore. La differenza delle metodiche non implica una differenza di metodo; d’altro canto, l’unicità del metodo non implica l’unificazione di tutte le scienze. Chi sostiene che la scienza politica deve applicare lo stesso metodo della fisica o della biologia non sostiene anche che la scienza politica si riduce a fisica o biologia35.

- la rinuncia alla tentazione di ricercare l’essenza: nel campo dell’esperienza e dell’osservazione si parte dai fatti, non dai principi metafisici o teologici36.

- la consapevolezza della produzione di ipotesi provvisorie, mai definitive. Nelle scienze sperimentali non esiste certezza: ogni teoria è un’ipotesi precaria37.

- il carattere neutrale , descrittivo e mai valutativo: le scienze non offrono giudizi di valore, ma solo giudizi di fatto; esse, pertanto, non dettano delle prescrizioni, bensì intendono descrivere, spiegare e predire38.

Questi punti, scrive l’intellettuale lucchese, mettono in evidenza l’inevitabile conflittualità tra le nuove scienze umane e l’idealismo trionfante. «L’antiessenzialismo si scontrava soprattutto con Hegel. Contro cui Pareto ebbe parole di fuoco: lo accusò di esprimersi in “chiacchiere”, “ vaniloquio”, “deliri”; della Filosofia della Natura disse che era di una comica assurdità»39.

Pera dà la sua seconda stoccata nei confronti di Benedetto Croce quando lo accusa di non aver capito il valore delle nuove scienze umane e di averle così condannate.

D’altro canto, l’affermazione della neutralità della ricerca scientifica e, più in generale il metodo induttivo, si scontravano con la nozione di scienza propria dell’idealismo. Chi privava la scienza empirica di ogni valore teorico perché congerie di pseudoconcetti; chi riduceva la storia sotto il concetto dell’arte facendone la narrazione soltanto di fatti singoli; chi disdegnava le leggi empiriche e cercava invece “la” legge della storia, cioè il disegno della Provvidenza che dietro le spalle degli uomini, a loro insaputa, guida lo sviluppo dello spirito nella società; chi, infine, preferiva volare in alto fino a raggiungere il punto di vista dell’assoluto: era fatale che tutti costoro non capissero il valore delle nuove scienze umane. E infatti Croce (e l’idealismo) non capì e condannò.

L’effetto deleterio di questa condanna è ancora sotto i nostri occhi. Le giovani idee di Mosca e Pareto non attecchirono; ci ritornarono bensì molti anni dopo dall’America dove la prevalente filosofia empirista e pragmatista aveva invece saputo accoglierle. Ma intanto noi avevamo perduto l’occasione di dare origine a una tradizione solida di sociologia empirica e di scienza politica. L’avessimo usata questa occasione, saremmo oggi più progrediti in questi settori40.

35 Pera M., Due scienze neonate e il loro Erode, cit., p. 135. 36 Cfr. Pera M., Due scienze neonate e il loro Erode, cit., p. 135. 37 Ibidem, p. 135.

38 Ibidem, p. 135.

39 Pera M., Due scienze neonate e il loro Erode, cit., p. 135. 40 Ibidem, p. 135.

(12)

Possiamo notare che la posizione occupata dall’intellettuale lucchese in questo articolo è una postazione di trincea, dalla quale legittimamente si contrappone alla nozione idealista di scienza. Quando pertanto Pera scrive che Croce non capì il “valore” delle nuove scienze umane e di conseguenza le condannò, egli si riferisce a quel tipo di valore che lui attribuisce alla scienza: si faccia riferimento all’elenco puntato poco sopra riportato e si consideri la sua derivazione neopositivistica. Non è vero che Croce non attribuì valore alla scienza, semplicemente egli gliene assegnò un altro – differente da quello a cui fa riferimento Pera – e ovviamente all’interno del proprio sistema di pensiero. Le scienze, comprese quelle umane, non sono state condannate a morte dal filosofo napoletano, ma riconsiderate entro una filosofia dello spirito che invita a guardare ad esse con rispetto, ma, se vogliamo studiarle, approfondirle e svilupparle, a essere coscienti della loro natura.

Bobbio ricorda la familiarità di Croce con gli epistemologi e i filosofi della scienza (basti pensare ad esempio a personalità come Mach, Poincaré, Vailati e Avenarius) e l’esortazione da lui rivolta ai filosofi all’«esercizio appassionato e severo di una qualsiasi attività spirituale, fosse quella del poeta, dello storico, dello scienziato, o dell’uomo d’azione»41.

Croce non svaluta la scienza; la concezione che ne ha non è affatto riduttiva, anzi, assegna ad essa un posto inconfondibile nella vita spirituale.

Anche Barone in un suo saggio nota quanto il filosofo napoletano sia tutto fuorché isolato quando assume una simile teoria nel suo tempo. Egli scrive che la tesi del carattere pratico ed economico della scienza non è una stranezza crociana, bensì una concezione assai diffusa in Europa. La soluzione proposta da Croce, lungi dall’essere un’antiquata svalutazione della scienza, è una moderna posizione difesa da molti; ed il filosofo napoletano è consapevole di essere in sintonia con questa punta avanzata della cultura europea42.

Andiamo, quindi, per concludere, a rileggere le parole scritte, nel 1951, da Franco Ferrarotti e contenute nel Piano di lavoro dei suoi Quaderni di Sociologia. Il

41 Bobbio N., Benedetto Croce a dieci anni dalla morte, in Belfagor, 17, 1962, p. 631. 42 Cfr. Barone F., Croce e la scienza, in Mondoperaio, 11, novembre 1982, pp. 82-83.

(13)

sociologo, descrivendo l’organizzazione interna dei fascicoli, scrive:

La sezione teorica può avere in Italia una certa importanza, soprattutto qualora si consideri come il mondo accademico italiano continui a ripetere tranquillamente il giudizio negativo del Croce, senza per altro approfondirne il senso e senza trarne tutte le implicanze. Occorre però tener presente che da noi le stesse critiche mosse dall’idealismo e soprattutto dal crocismo alla sociologia, alla sua possibilità e alla sua validità scientifica, hanno contribuito a liberare, per quanto parzialmente, la cultura italiana da quei grossolani equivoci meccanicistici e sprovvedutamente pragmatistici, da cui appare particolarmente inficiata, fra le altre, la sociologia americana43.

Inoltre, poche pagine dopo, Ferrarotti indica come prima motivazione e giustificazione dell’iniziativa pubblicistica l’inesistenza della sociologia come scienza rigorosa, in Italia e fuori d’Italia.

In Italia l’influenza del neoidealismo ha precluso per un certo tempo ogni possibilità di studio e, in genere, di attività teoretica in questo senso.

Fuori d’Italia l’empirismo, nelle sue più svariate versioni (pragmatismo, scientismo, evoluzionismo unilineare, comportamentismo, antropologismo etnografico, psicologismo, ecc.) si è rivelato insufficiente a fondare logicamente la sociologia come scienza e a garantirla come tale44.

2.3.2. Studi gramsciani

Croce viene accusato di “provincialismo” anche da alcuni studiosi gramsciani come Agazzi e Tronti. Agazzi scrive:

Non importa, a noi, oggi, se il legame di Gramsci con la cultura crociana possa aver costituito una ragione di forza, l'elemento del suo concreto radicarsi nella situazione italiana, per operarvi dall'interno in senso rivoluzionario (che è poi il tentativo proseguito, sulle sue orme, dagli intellettuali marxisti italiani nel secondo dopoguerra). A noi importa, mi sembra, chiedere se il limite oggettivo costituito dal provincialismo della cultura italiana e della società civile in cui essa si è andata sviluppando, non sia di per sé preclusivo di una vera opera di rinnovamento culturale, e di conseguenza anche un impedimento di non lieve portata al rinnovamento sociale e politico. Per di più: non è possibile lasciarsi sfuggire, in base ad una ricerca filologica accurata, che esiste nei Quaderni tutta una serie di spunti in base ai quali la stessa ipotesi della “ritraduzione” potrebbe venir giudicata inadeguata anche come mera ipotesi di lavoro. Mi sembra che se l'accettazione, come punto di partenza, di un'Italia “non a caso crociana e gentiliana” (ma non potrebbe allora dirsi di una Italia non a caso conservatrice e fascista?) ha costituito un limite alla stessa problematica gramsciana, e di quanti lo hanno seguito nella sua impostazione, d'altra parte si debba anche riconoscere che Gramsci è stata meno gramsciano dei suoi seguaci postumi: che vi sono in lui molti elementi per impostare una problematica del tutto diversa da quella che egli stesso è venuto più ampiamente sviluppando, e che solo riprendendo questi temi, ma liberamente, senza poi venire a fare una scolastica anche di questi, si possa giungere al risultato che veramente gli

43 Ferrarotti F., Piano di lavoro, in Quaderni di Sociologia, 1, Taylor Editore, Torino, 1951, p. 2. 44 Ibidem, p. 5.

(14)

stava a cuore: attuare una “ripresa” del materialismo storico al livello della più avanzata cultura mondiale. Oggi sappiamo che questa cultura non è più il crocianesimo; anzi, sappiamo che anche quando Gramsci scriveva in carcere le sue note filosofiche, non era il crocianesimo, ultimo e più splendido fiore di serra di una vita provinciale invano anelante all'apertura sul più vasto orizzonte del mondo45.

L’autore individua nel provincialismo della cultura italiana, e quindi essenzialmente nel provincialismo di un Croce protagonista della formazione di Gramsci, il “limite oggettivo” a una vera azione di rinnovamento culturale, sociale e politico da parte dell’intellettuale sardo. Una chiusura che in questo caso significa preclusione alla problematica gramsciana: una “ripresa” del materialismo storico al livello della più avanzata cultura mondiale.

L’articolo di Agazzi compare nel volume La città futura nel maggio 1959 (prima edizione) insieme anche ad un saggio di Mario Tronti che scrive:

Gramsci è pensatore tipicamente e, io direi, fondamentalmente italiano. L'Italia è il suo ambiente naturale; in essa egli affonda le sue radici nel più profondo tessuto nazionale. Finiremmo per restringere e non per ampliare, per diluire e non per approfondire, la figura teorica di Gramsci, se volessimo dargli un respiro europeo. I suoi problemi e il modo di trattare i problemi, la sua cultura e la forma della sua ricerca culturale, i suoi interessi, il suo linguaggio, la sua educazione, la stessa sua sensibilità umana, tutto vive in Italia. Ecco perché, secondo me il punto fondamentale, anche se non esclusivo, di una ricerca intorno al pensiero di Gramsci, deve fare perno intorno all'ambiente del pensiero italiano46.

Nuovamente il termine “provincialismo”, anche se assente in questo saggio, è la lente con cui l’autore indirettamente consiglia di analizzare la figura e il pensiero di Gramsci. Tronti dicendo di lui che “tutto vive in Italia”, ricorda l’immagine della serra che ha offerto precedentemente Agazzi: Croce è sì, come Gramsci, un fiore, ma allo stesso tempo il filosofo napoletano è buona parte delle sostanze nutritive del terreno con le quali le altre piante sono cresciute e, agli occhi di Agazzi e Tronti, è anche il costruttore di quella serra, vale a dire colui che ha impedito a Gramsci un’opera di vero rinnovamento culturale e politico.

L’influsso di Croce nella determinazione del pensiero di Gramsci come fenomeno provinciale è ben evidenziato anche da Salvatore Sechi:

Oggi si può pacificamente affermare che il marxismo gramsciano è di derivazione idealistica e passa attraverso la mediazione hegelo-crociana. Più volte, nelle Lettere,

45 Agazzi E., Filosofia della prassi e Filosofia dello Spirito, in La città futura, Feltrinelli, Milano, 1976 (prima edizione ridotta), pp. 139-140.

46 Tronti M., Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi. Gramsci e Labriola, in La città futura, Feltrinelli, Milano, 1976 (prima edizione ridotta), p. 86.

(15)

Gramsci rivendica al Croce (i cui libri sono i più richiesti e studiati) la posizione di «leader della cultura mondiale», di capo del revisionismo europeo. Alla sua filosofia riconosce che «rappresenta il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca». […] Ciò che importa qui sottolineare è che le Lettere mostrano come Gramsci si formi polemicamente sui testi di Croce e del neo-hegelismo, ignorando le altre posizioni esistenti nel dibattito culturale in corso, in quegli anni, in Europa. Si tratta di un fermento di idee legato ai primi risultati dell'elaborazione che nel campo della sociologia, dello storicismo, dell'economia e dello stesso marxismo, compiono Weber, Dilthey, Lukács, Kautskij, Sraffa, Chamberlin, ecc., con una originalità di apporti culturali destinata a non morire nello spazio di un mattino, ma, anzi, a imporsi in maniera durevole, costringendo il marxismo a fare con esso i conti.

Il disinteresse di Gramsci per questa direzione degli studi europei non può essere spiegato solo riferendosi alle condizioni oggettive in cui si svolgevano le sue letture. Siamo piuttosto di fronte ad un esempio concreto di intellettuale «provinciale», tipicamente italiano. Nel senso che ha l'occhio aperto ad una problematica culturale strettamente nazionale, e non scorge i collegamenti e le relazioni che si stabiliscono a livello europeo (se non internazionale) tra le diverse ideologie, filosofie e culture, di cui le formulazioni locali sono un momento autonomo (ma organico), cioè un momento mediato di un processo più vasto47.

Per Sechi il provincialismo italiano è dato dalla compresenza di più fattori: la dittatura fascista, l’egemonia esercitata, sui due possibili fronti della dialettica culturale, da Gentile e da Croce, il dogmatismo staliniano dominante nell’opposizione di sinistra.

2.4. Riconsiderazione del ruolo di Croce come organizzatore culturale

Per dare voce anche a chi ha combattuto la tesi di un Croce “provinciale” e pertanto causa delle carenze e dei ritardi dell’ambiente culturale italiano, seguiamo adesso le riflessioni che Eugenio Garin fa nel suo articolo Gramsci e Croce.

«Benedetto Croce, il più grande pensatore d'Europa in questo momento» – sono le parole con cui Gramsci presenta nella Città Futura, 1'11 febbraio 1918, un testo crociano di critica definitiva alla religione, che riproporrà ai lettori dell’Ordine

Nuovo del 17 luglio 1920 quale documento di «critica completa, spietata, vorremmo

dire definitiva» della religione. L’autore sostiene che, pur essendo notevole il peso nella formazione del giovane Gramsci di Croce e della cultura che dal filosofo napoletano aveva preso le mosse, non è esatto considerare l’intellettuale sardo un

47 Sechi S., Le lettere dal carcere e la politica culturale del PCI, in Movimento operaio e storiografia marxista, De Donato, Bari, 1974, pp. 210-212.

(16)

“crociano”. Per la verità egli fece suoi alcuni temi comuni a una parte rilevante della cultura europea del primo Novecento: innanzitutto la critica del positivismo e dello scientismo positivistico, in un’attenzione tutta rivolta al mondo dell'uomo come mondo della storia. Si farebbe veramente un grande torto ad isolare il moto di idee che dominò l'Italia fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, considerandolo un episodio «provinciale».

Le critiche al positivismo e alle sue conseguenze metafisiche circolavano in tutta Europa e perciò – si domanda Garin – che senso ha un discorso sul “provincialismo”, se Gramsci, in Italia, si venne formando in rapporto ad un pensatore come Croce che col suo antipositivismo e storicismo esprimeva in Italia una situazione europea48?

Croce risulta così il rappresentante in Italia di quella grande circolazione di idee antipositivistiche che avveniva simmetricamente ovunque e che ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Gramsci. Un Croce quindi interprete di uno spirito generale, espressione italiana degli sviluppi culturali del quadro europeo.

Debitamente intese all’interno della prospettiva gramsciana, possono essere citati, per confutare l’immagine di un Croce “provinciale”, due passi scritti dall’intellettuale sardo. Nel 1926 nelle pagine su Alcuni temi della questione

meridionale Gramsci scrive:

In Italia, non potendoci essere una riforma religiosa di massa, per le condizioni moderne della civiltà, si è verificata la sola riforma storicamente possibile con la filosofia di Benedetto Croce: è stato mutato l'indirizzo e il metodo del pensiero, è stata costruita una nuova concezione del mondo che ha superato il cattolicismo e ogni altra religione mitologica. In questo senso Benedetto Croce ha compiuto un'altissima funzione «nazionale», ha distaccato gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea, e attraverso questa cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario49.

E ancora nei Quaderni:

in realtà il Croce si inserisce nella tradizione culturale del nuovo Stato italiano e riporta la cultura nazionale alle origini sprovincializzandola e depurandola di tutte le scorie magniloquenti e bizzarre del Risorgimento. Stabilire con esattezza il significato storico e politico dello storicismo crociano significa appunto ridurlo alla sua reale portata di ideologia politica immediata, spogliandolo della grandezza brillante che gli viene attribuita come di manifestazione di una scienza obbiettiva, di un pensiero sereno e imparziale, che si

48 Cfr. Garin E., Gramsci e Croce, in Critica marxista, Quaderno III, 1967, ora in Idem, Intellettuali Italiani del XX

secolo, Editori Riuniti, Roma, 1974, pp. 354-355.

49 Gramsci A., Alcuni temi della questione meridionale, in La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 157.

(17)

colloca al di sopra di tutte le miserie e le contingenze della lotta quotidiana, di una disinteressata contemplazione dell'eterno divenire della storia umana50.

2.5. Un’altra critica alla tesi del Croce “dittatore provinciale”

Il protagonismo del filosofo napoletano sulla scena culturale italiana fu possibile in virtù non solo dei suoi saggi e della rivista bimestrale La Critica, ma anche del suo ruolo di consigliere presso la casa editrice Laterza.

A proposito della presunta egemonia culturale di Croce e i suoi effetti provinciali, Daniela Coli ha scritto che il termine “provinciale”, in Italia «viene usato per definire il sempliciotto con velleità intellettuali, incapace di adeguarsi alla idee e alle mode che giungono dalla “Grande Capitale”, che può essere, di volta in volta, Vienna, Parigi, Berlino, New York, secondo i corsi e i ricorsi determinati più dalla forza dei mass media che da quella dei filosofi»51.

Accennando alle accuse a Croce fatte dagli studiosi gramsciani negli anni Sessanta e Settanta, Coli replica: «quando si scoprì che Gramsci non era molto informato in alcuni campi del sapere, invece di riflettere sulla circostanza che egli era in carcere durante il fascismo e che in carcere, come aveva ricordato Croce, si studia male, né aveva la possibilità di leggere le novità librarie internazionali, si reagì attribuendo a Croce la responsabilità del “provincialismo” di Gramsci»52.

L’accusa di “provincialismo” rivolta al filosofo napoletano è dunque impropria: non solo negli anni Novanta del XIX secolo Croce era stato tra i protagonisti europei del dibattito sul marxismo, ma anche era stato il filosofo italiano del XX secolo più conosciuto all’estero. I giornalisti europei e americani andavano a Napoli per intervistarlo, così come facevano visita, in giro per l’Europa, a Freud o a Mann53.

Croce si impose all’attenzione della cultura europea con i suoi libri e «nel 1942 era tra i filosofi europei ai quali la Library of Living Philosophers, una collezione molto

50 Gramsci A., Quaderni del carcere, Giulio Einaudi editore, Torino, 1977, pp. 1326-1327. 51 Coli D., Il “provinciale” Benedetto Croce, cit., p. 77.

52 Ibidem, p. 79.

(18)

importante in America, aveva pensato di dedicare un volume»54.

La rivista da lui diretta, La Critica, era appunto caratterizzata dalle puntuali recensioni delle opere straniere.

Per quanto riguarda l’accusa fatta a Croce di essere l’Erode delle scienze sociali, Coli nota che nella prima metà del Novecento la sociologia in Italia non fu affatto assente, basti pensare alla corrente sviluppatasi sulla scia della Rerum Novarum. Senza dimenticare inoltre la Rivista Italiana di Sociologia

che, dal 1897 al 1921, diede un contributo non così miserevole al dibattito internazionale. Fin dal primo numero pubblicò articoli di Durkheim, di Pareto, di Sergi, senza contare l’attenzione continua per gli Stati Uniti, sia per la produzione intellettuale che per la stessa realtà sociale americana. Croce, il cui scambio epistolare con Pareto e le cui diverse posizioni furono documentate dal Giornale degli economisti, partecipò – sulla stessa

Rivista Italiana di Sociologia – anche alla discussione – tuttora in corso tra gli stessi

sociologi – sulle difficoltà teoriche implicite nel tentativo di definire la sociologia come scienza autonoma55.

2.6. Un’esemplificazione dell’azione esercitata da Croce nel campo culturale italiano. Max Weber

Come esemplificazione della messa in discussione dei topoi del provincialismo di Croce e del suo presunto ostracismo nei confronti della sociologia (un luogo comune, il secondo, direttamente collegato a quello riguardante l’egemonia culturale del filosofo napoletano), trattiamo la sua attività di organizzatore culturale relativamente all’opera di Max Weber.

Se Croce fu sempre un severo critico della sociologia italiana – il Trattato di

sociologia generale di Pareto fu da lui definito «un caso di teratologia scientifica»56

egli guardò però quantomeno con interesse alla sociologia europea, da Simmel e Durkheim57 a Weber58.

Di Weber, nel 1919, fece pubblicare dalla Laterza Parlamento e governo nel nuovo

54 Coli D., Il “provincaile” Benedetto Croce, cit., p. 79. 55 Ibidem, p. 90.

56 Croce B., rec. di V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Barbera, Firenze, 1923, in La Critica, 22 (1924), fasc. III, pp. 172-173.

57 Tracce dell’interesse di Croce per l’opera di Durkheim le troviamo sia in Materialismo storico ed economia

marxistica, Laterza, Bari, 1973, pp. 103-104 e in La Critica, 4 (1906), fasc. III, pp. 314-315.

(19)

ordinamento della Germania e si interessò anche a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, che però non riuscì a far pubblicare per l’alto costo di copyright

richiesto dagli editori tedeschi e soprattutto a causa dell’insuccesso commerciale del primo libro weberiano introdotto in Italia: Parlamento e governo era andato quasi tutto al macero59.

Coli, facendo riferimento alla prefazione all’edizione italiana di Parlamento e

governo, dice che Croce, nonostante il suo costume fosse di solito abbastanza

austero, approvò una presentazione, fatta scrivere da Ruta, molto elogiativa.

Inoltre la studiosa mette in evidenza la natura dell’introduzione in Italia da parte di Croce di quel volume weberiano: «era innanzitutto una proposta politica che egli avanzava nell’acceso dibattito del dopoguerra»60. La volontà di far conoscere, alle

soglie della marcia su Roma, uno dei fondatori della Repubblica di Weimar e la sua proposta di dare una soluzione democratica alla crisi del suo paese – una riforma democratica dello Stato strettamente legata ad una “politica di potenza” – deve essere elemento di riflessione nella considerazione dei rapporti di Croce col fascismo e dell’influenza esercitata dal filosofo napoletano sul comportamento politico degli intellettuali italiani in quel periodo61.

Questo basta per affermare che, pur non essendo un weberiano, Croce non ostacolò certo la conoscenza di Weber in Italia, anzi, egli fu tra i primi divulgatori dell’opera dell’intellettuale tedesco. Una colpa che potrebbe essere imputata al filosofo napoletano è la sua predilezione per la cultura europea, innanzitutto per quella tedesca: al più, egli potrebbe cioè essere accusato di europeismo. Nel dopoguerra la “sprovincializzazione” della cultura italiana – considerata chiusa anche al dibattito europeo a causa dell’egemonia idealistica e, direttamente o indirettamente, del fascismo – significò invece attingere in prevalenza dall’area linguistico-culturale dei paesi vincitori, Stati Uniti in primis.

La sua attenzione fu sempre rivolta alla cultura tedesca e anche quando divenne Ministro dell’Istruzione del governo Giolitti si impegnò da subito nel riallacciare le

59 Ibidem, p. 86.

60 Coli D., Croce, Laterza e la cultura europea, cit., p. 153.

(20)

relazioni culturali tra Italia e la nuova Germania di Weimar, vedendo in essa un possibile futuro alleato62.

Riferimenti

Documenti correlati

Questo è in estrema sintesi il concetto che CROCE ROSSA ITALIANA sta cercando di diffondere con lezioni gratuite a tutte le persone che vivono e lavorano con bambini.. Un

Tags: Nuova scena italiana libro pdf download, Nuova scena italiana scaricare gratis, Nuova scena italiana epub italiano, Nuova scena italiana torrent, Nuova scena italiana

La prima (Collège Allal Ben Abdallah) si trova nella zona di Oued Zhoun, al margine nord-orientale della Medina e nelle immediate vicinan- ze delle concerie Chouara – una fra

forse offrire un punto di osservazione dal quale provare a rileggere la geografia (o le geografie) di Giuseppe Dematteis e le interpretazioni che l’accompagnano. Per una geografa

Franco Megna e da tutta la dirigenza F.I.T.P, il corso perse- gue l’obbiettivo della federazione nella formazione dei dirigenti e, pandemia permettendo, sarà seguito da altri

riutilizzare l'esistente fabbricato di centrale mantenen- done inalterati, e quindi valori zzandone , gli aspetti stori- co-architettonici. L'acqua è convo- gliata al

Apis mellifera ligustica (Spinola, 1806); Apis mellifera sicula (Montagano, 1911); Apis mellifera mellifera (Linnaeus, 1758); Apis mel- lifera carnica (Pollmann, 1879);

 Identifica le priorità umanitarie della CRI e riflette il nostro impegno a prevenire ad alleviare la sofferenza umana, contribuisce alla promozione ed al mantenimento