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Il propagatore istituzionale nella teoria economica

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Academic year: 2021

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FRANCESCO BOLDIZZONI

IL PROPAGATORE ISTITUZIONALE NELLA TEORIA

ECONOMICA DI GIOVANNI DEMARIA

ς · .

E’ chiaro, dunque, che occorre acquistare la scienza delle cause prime: infatti, diciamo di conoscere una cosa quando riteniamo di conoscerne la causa prima.

Aristotele, Metafisica, A3, 983a, 24-26.

1. Lo stile irriverente della gaia scienza

Quando un nuovo modo di pensare viola il simulacro del sapere convenzionale, si pone inevitabilmente il problema delle origini. Una lista delle ascendenze intellettuali di Demaria sarebbe interminabile e va certamente al di là di quella da lui stesso dichiarata nel 1932, mentre firmava la Prefazione al volume sulla Dinamica nella “Nuova collana di economisti”, con saggi di Pantaleoni, Schumpeter, J.M. Clark e Amoroso1. E’ stata giustamente rilevata la stretta parentela con

1 Dinamica economica, a cura di G. Demaria, Utet, Torino 1932, in

“Nuova collana di economisti stranieri e italiani”, diretta da G. Bottai e C. Arena, vol. V. Del Pantaleoni, Demaria apprezzava particolarmente uno scritto risalente al 1909, Di alcuni fenomeni di dinamica economica, in

Erotemi di economia, vol. II, Laterza, Bari 1925, pp. 75-127, ma ciò non gli

impedì di criticarne in più occasioni la posizione in tema di economia del benessere (Cfr. Cenni sul concetto di massimi edonistici individuali e

collettivi [1891]; si legge ibid., pp. 1-48). Pure controverso appare il rapporto

con Schumpeter, la cui Theorie egli per primo tradusse in italiano. Tanto esaltava l’idea primitiva dell’innovazione per atti creativi, quanto deprecava la svolta deduttivistica della metodologia schumpeteriana post-1930 (G. Demaria, Le forme della conoscenza in Schumpeter, “Giornale degli

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Del Vecchio (“his life-long mentor”2) e, andando ancora a ritroso, con Pantaleoni e gli artefici di quella tradizione otto-novecentesca (che sia prima di tutto italiana, mitteleuropea o marshalliana davvero poco importa) della “scienza ben temperata”3. Ma questi non furono che i suoi Maestri di economia. Gli interessi di Demaria si rivolgevano alla cultura universale, come ben documenta l’incessante attività di recensore4. Fra i politologi, citava con disinvoltura Mosca, Michels, Pareto, Lipset; fra i sociologi: Durkheim, Weber, Parsons, Aron e i francofortesi Adorno e Marcuse (tutti in qualche modo suoi contemporanei); riservava un’attenzione speciale ai padri e precursori dell’istituzionalismo: Roscher, Hildebrand e soprattutto Knies, e ancora Schmoller, Bücher, Veblen e Mitchell. Traeva respiro e profondità di sguardo dalla storiografia degli antichi e dei moderni, di Sarpi e delle Annales; attingeva, con spirito critico, al magma concettuale di una folta schiera di filosofi idealisti, spiritualisti ed esistenzialisti, di psicologi e clinici. All’appello non mancano neppure antropologi (a cominciare da Marcel Mauss) e biologi; un capitolo a sé meriterebbe la frequentazione di matematici e fisici, con molti dei quali manteneva stretti rapporti (Fermi, Fano, Castelnuovo, Segre e Cantelli fra gli altri). Parafrasando un’espressione riferita a Max Weber5, direi senz’altro che Demaria è uno degli ultimi intellettuali enciclopedici della cultura europea. Non solo, e non tanto, in quanto lettore onnivoro, ma per l’abnorme capacità di dominare linguaggi e

economisti e annali di economia” [d’ora innanzi GdE], 1951, pp. 437-459). Amoroso non ricambiò la cortesia usatagli: la tenace opposizione di quest’ultimo fece anzi slittare la nomina del Nostro ad ordinario, nel 1935 (cfr. La formazione intellettuale e scientifica di un economista critico:

conversazione autobiografica con Giovanni Demaria, a cura di G. Pavanelli

e P.L. Porta, “Il pensiero economico italiano”, 1995, p. 232). Benevolo col giovane Demaria fu invece Einaudi, ma non dovette esercitare su di lui influenze teoriche di rilievo.

2 Prendo a prestito la locuzione da A. Agnati, D. Cantarelli e A.

Montesano. Si tenga presente, in particolare, G. Del Vecchio, Lezioni di

economia applicata, vol. I, Dinamica economica, Cedam, Padova 1933, Parte generale (il materiale risale al periodo 1921-25).

3 N. Bellanca, Dinamica economica e istituzioni: aspetti dell’economia politica italiana tra Ottocento e Novecento, Angeli, Milano 2000.

4 Cfr. G. Demaria, Elementi di critica economica, a cura di A. Agnati e A.

Montesano, Cedam, Padova 1983.

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codici scientifici differentissimi. Questa sua dote, da una parte, ne faceva un formidabile sistematizzatore (vergava migliaia di pagine in pochi anni) e, dall’altra, favoriva l’incontro di discipline che non si erano mai parlate, se non nelle opere di pochi grandi.

Non so s’egli mirasse alla costruzione di una scienza sociale unificata, sicuramente desiderava pervenire a una spiegazione soddisfacente del fenomeno economico. Ma cosa sono l’economico e l’extraeconomico? Ha senso distinguerli? L’economia esisterebbe forse senza la società? Non ha questa un diritto di precedenza logica sulla prima? Nel qual caso, si dovrebbe piuttosto parlare di componenti metaeconomiche, o extra-materiali6. Ignorarle in un estremo sussulto di positivismo non ha senso; tenerle artificiosamente separate, filtrando “residui” e “derivazioni” come fossero prodotti di scarto dell’analisi economica conduce a risultati paradossali e fantastici proprio sul terreno di quest’ultima. L’unica via praticabile per risolvere il problema è includere tali variabili nel modello. Ciò complica notevolmente la vita all’economista, cui si richiede una dotazione di strumenti di molto superiore a quella standard, ma è il prezzo da pagare per elevarsi al piano degli “universali”7.

L’economia politica à la Demaria è tutto fuorchè una dismal

science ricalcata sulla sbiadita e in fondo irreale joyless economy. E’

una scienza delle passioni, dei sentimenti, degli interessi, delle pulsioni. Muove da una concezione alta dell’uomo e dei suoi fini che affonda le radici in una psicologia antiriduzionista: la “teoria delle emozioni morali e materiali”8 fondata inizialmente sulla differenza fra

noûs poietikós e psyché, come nel trattato aristotelico Sull’anima, o fra

anima razionale e irrazionale, come nell’Etica, o ancora in Cartesio e Spinoza9. Lo stile della trattazione, ricco e rotondo e sfumato per somigliare al vero, mai ostico tuttavia, ne rende la traduzione quantomeno ardua, anche perché l’economista torinese non era insolito a immagini bizzarre, prodotto dell’ironia caustica (conforme

6 F. Boldizzoni, Sulle variabili esogene dello sviluppo economico, “Storia

del pensiero economico”, 40, 2000, p. 164, n. 8.

7 Ibid., p. 164.

8 G. Demaria, Principi generali di logica economica, Cea, Milano 1945,

pp. 77 sgg.

9 R. Descartes, Les passions de l’âme, Flammarion, Paris 1996 [1649]; B.

Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata [1677], parti III, IV, V e

Tractatus de intellectus emendatione [1677], in Spinoza Opera, Carl Winters

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al suo temperamento) che riservava agli avversari, come nel caso della

Parabola del cavallo bolso e del fantino ingenuo filosofo10, e volentieri inclinava a giudizi lapidari: “molta di questa econometrica è robaccia, e cadrà”11. Privo di qualsiasi senso dell’auctoritas, sezionava, ricomponeva, demoliva le premesse logiche di generazioni di economisti, in un continuo dialogo tra pari.

Qui si prescinderà dal discutere della fortuna (o sfortuna) scientifica di Demaria, il quale, pur conosciuto precocemente all’estero, poco o nulla ha fatto, se non di recente12, per imporsi sul proscenio internazionale. Nemmeno fu – a differenza di un Eucken o di un Perroux – profeta in patria, ma questo dipese, a mio avviso, da circostanze di sociologia dell’accademia13 più che da altro. E non si tratta di un destino comune a molti precursori?

La storiografia sul nostro autore, del resto, è ancora agl’inizi. Le indagini si sono finora concentrate su due aspetti particolari, l’indeterminazione e l’“originalità”14. Ciò che propongo in questa sede è un itinerario diverso. Benchè non abbia molto senso separare le componenti del discorso demariano, credo però che, ancor più rilevante, sia il contributo all’analisi dell’esogeneità permanente, vale a dire lo studio delle costanti del comportamento umano e delle variabili di lungo o lunghissimo periodo: in quel solco si situa la riflessione sulle istituzioni economiche e sociali. Vedrò di svolgere la trama di tale impresa, dagli anni Trenta agli anni Settanta del

10 La parabola del cavallo bolso e del fantino ingenuo filosofo, dove si accenna alla indicizzazione quale causante della svalutazione monetaria,

“Rivista internazionale di scienze economiche e commerciali” (d’ora in poi RISEC), 1982, pp. 181-185.

11 Cit. da A. Canziani, Il professor Demaria nei ricordi di un allievo, in Giovanni Demaria e l’economia del Novecento, Atti del Convegno,

Università Bocconi, Milano 12 aprile 1999, p. 102 (e, in vers. estesa, nei “Working papers” del Dipartimento di Economia aziendale, Università degli Studi di Brescia).

12 G. Demaria, A New Economic Logic: Indetermination, Propagators and Entelechians, Cedam, Padova 1996. Ragioni di forza maggiore impedirono al

volume di uscire da MacMillan, per i cui tipi era stato inizialmente confezionato.

13 Cfr. P. Bourdieu, Homo academicus, Minuit, Paris 1984.

14 Giovanni Demaria e la teoria economica dei fatti nuovi, a cura di P.

Bini, numero monografico di “Storia del pensiero economico”, 32, 1996. N. Bellanca, Dinamica economica e istituzioni, cit., pp. 91-156.

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Novecento, per evidenziarne la portata e i limiti. L’impressione di fondo – lo anticipo – è che Demaria dovette gradualmente recuperare la nozione di causa, da cui si era inizialmente allontanato per liberarsi dall’eredità meccanicista della tradizione classica e neoclassica, fondendo in qualche modo teoria e storia sotto l’egida di un nuova logica dell’indeterminazione.

2. La stagione dei «Sistemi coercitivi»

Divenuto ordinario in Bocconi, fra il 1935 e il 1938 Demaria tenne un corso di politica economica15, reso piuttosto celebre dal riferimento nella sinossi di storia dell’analisi di Schumpeter. L’opera si segnala, a chi sia interessato allo studio della politica industriale italiana, perché l’autore vi ribadì il relativismo dei sistemi coercitivi, la cui auspicabilità va valutata rispetto ai fini (non necessariamente economici) della macchina leviatanica16; premessa che, assicurandogli un certo grado di tranquillità speculativa17, gli dette il tempo di preparare quella critica all’economia corporativa e ai farneticanti piani di Neue Ordnung che l’avrebbe posto in rotta di collisione col regime dopo la pubblicazione dell’articolo del ’41 sul Problema industriale

italiano e, specialmente, la relazione al convegno pisano del ’4218.

15 G. Demaria, La politica economica dei grandi sistemi coercitivi, Cedam,

Padova 1969 [1937, in litografia].

16 Alludo, naturalmente, al «Leviatano» addomesticato di C. Schmitt, Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes: Sinn und Fehlschlag eines politischen Symbols, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1938.

17 G. Pavanelli, Politica industriale e commercio estero tra autarchia e ricostruzione: il contributo di Giovanni Demaria, in Pensare l’Italia nuova: la cultura economica milanese tra corporativismo e ricostruzione, a cura di

G. De Luca, Angeli, Milano 1997, pp. 165-166.

18 Ibid., pp. 171-178. A detta di Federico Caffè, che lo rievocò in pagine di

grande effetto, il saggio del ’41 avrebbe costituito, nel secondo dopoguerra, una “componente intellettuale decisiva della politica che portò all’inserimento dell’economia italiana in quella internazionale, mediante la progressiva liberalizzazione degli scambi” (F. Caffè, Storia e impegno civile

nell’opera di Giovanni Demaria, in Pioneering Economics: International Essays in Honor of Giovanni Demaria, Cedam, Padova 1978, pp. 187-188).

“[S]e il compito del pensiero scientifico non è di lavorare “per società immaginarie”, il “prenderle come sono” non è tuttavia da intendere come

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Ma non minore interesse rivela il volume, a volerlo leggere con gli occhi del teorico. Esso è suddiviso in tre parti. La prima, e più sostanziosa, passa in rassegna i quadri dottrinali dell’intervento pubblico in economia dal Medioevo all’età contemporanea, distinguendo fra tomismo, mercantilismo, fisiocrazia, liberalismo, politiche post-liberali (protezionismo, nazionalismo, imperialismo) e programmate (a programmazione parziale, collettivismo, corporativismo); la seconda costituisce invece una sorta di metateoria (vedremo in che senso) della politica economica. Soltanto la terza parte – che occupa una porzione relativamente ridotta del tutto – esamina questioni più propriamente endogene (ma questa terminologia si era appena affacciata al vocabolario demariano), inerenti le mutue relazioni tra quantità x, y, z intrinseche ai sistemi, dedicando due capitoli agli interventi strutturali (crescita) e alle politiche anticicliche ed uno all’autarchia, vale a dire viene finalmente al compito che comunemente ci s’aspetta di veder assolto da un libro di economia.

La prima sezione non rappresenta soltanto un magistrale affresco di storia delle idee, giacchè è con intento precipuamente teoretico che vengono mostrati, per ogni sistema politico-dottrinale in successione diacronica, la filiazione e l’incardinamento da ed entro un dato quadro culturale e valoriale di riferimento. L’avvicendarsi degli orientamenti al governo dell’economia accompagna l’evoluzione della società occidentale, dal venir meno del lungo predominio della Chiesa, che aveva plasmato:

un mondo statico e non dinamico, non essendo né progressivo né regressivo19

sotto i colpi dell’etica intramondana del protestantesimo ascetico (Demaria mostra di tenere in gran credito le tesi weberiane del

rinuncia all’esplicita condanna delle inefficienze e dei parassitismi […]. Indipendentemente dalle circostanze del tempo, che ne fecero un’attestazione di sereno e consapevole coraggio, l’intransigente analisi del Demaria costituisce un punto di riferimento fondamentale per verificare quanta parte della mentalità coporativa […] fosse operante prima della sua edificazione a regime ed in quale misura essa tuttora insidiosamente sopravviva” (ibid., p. 185).

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1904)20, all’affermarsi di una prassi fondata sulla costruzione sociale del mercato, che lasciava al libero incontro della volontà delle parti la formazione di prezzi non più “giusti”, ma “naturali”.

Siffatto processo avrebbe avuto pieno compimento ai tempi di Smith e dei Classici. Essi si emanciparono dal pregiudizio fisiocratico che – coerente con l’impalcatura ideologica21 (e il carattere sussistenziale in cui permaneva l’economia reale, aggiungerei io) sotto l’Ancien Régime – sanciva la dicotomia fra classi produttive e improduttive. Tutto il lavoro, lasciato libero di seguire le oscillazioni della domanda, concorre a incrementare non già soltanto il prodotto netto ma la produttività aggregata22.

Nella successiva sterzata di matrice anglo-americana verso il protezionismo à la Cairnes, Leslie, Carey, Patten, Ely, il nostro autore non vede una rottura sul piano dei princìpi rispetto alle formulazioni del liberalismo classico, ma una sua deviazione di mera convenienza congiunturale23. Al contrario, dal Wille zur Macht traevano origine i moti del nazionalismo e dell’imperialismo teutonico nella seconda metà del secolo XIX, col loro terribile strascico coevo:

Deutschland ueber alles si grida d’altra parte in Germania per muovere

la razza tedesca all’oppressione dei popoli europei24.

Scienza e tecnica al servizio dell’industria, messe alla prova dalla pregnante tempistica del primo conflitto mondiale25, avevano aperto la strada alle prime esperienze di programmazione, seppur a vari livelli e gradi d’intensità: dal collettivismo integrale dell’Unione Sovietica, a forme di pianificazione compatibili col sistema capitalistico nelle sue molteplici varianti. Ma tanto nelle democrazie che avevano imboccato il New Deal, quanto nei regimi totalitari (o autoritari) d’Europa ove prevalevano piuttosto logiche corporative, era ampiamente visibile:

quel vasto e progressivo movimento verso il capitalismo di monopolio e la separazione dell’autorità dalla proprietà, che è diventato in questi ultimi tempi assai accentuato, specialmente nei paesi dove la concentrazione

20 Ibid., p. 23-24. 21 Ibid., p. 39. 22 Ibid., p. 55. 23 Ibid., p. 62. 24 Ibid., p. 83. 25 Ibid., pp. 89-90.

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industriale è soggetta più al controllo dei banchieri che a quello degli industriali26.

Non si trattava forse della medesima tendenza alla “trustificazione” e alla convergenza che stava tormentando Schumpeter?27

La ‘metateoria’ della politica economica ha come riferimenti canonici le trattazioni di Del Vecchio, De Viti De Marco, Otto Brunner, dello stesso Schumpeter; poggia sulle elaborazioni di Mosca e Pareto, mentre sullo sfondo si scorgono Marx, Bergson e Sorel. Costituisce il capitolo posto a suggello della rassegna dei sistemi nel loro divenire spazio-temporale:

nessun sistema – infatti – può essere considerato sub specie aeternitatis, ma tutti al contrario esistono semplicemente sub specie historiae […], onde nessuno di essi può dirsi interamente migliore di un altro28.

Nelle determinanti degli orientamenti economico-normativi pesa dunque una grande componente extramateriale. Appare insensato demandarne lo studio ad altre discipline, perché è necessario conoscere e applicare i princìpi della sociologia e della scienza politica per comprendere in primis la dinamica delle variabili economiche e le ragioni profonde sottese agli orientamenti dei policy

maker.

Molteplici sono le cause del succedersi dei grandi sistemi: le forze sociali, l’autorità carismatica (in accezione weberiana) di certi “condottieri di folle”, le reazioni spontanee, il cambiamento tecnologico che sempre muta il quadro di riferimento29. Una riflessione interessante riguarda poi la durata di ciascuna fase:

Il tomismo è durato lunghi secoli, il mercantilismo invece appena due. I sistemi liberale e nazionale sono stati molto meno persistenti. Il primo, in particolare, ha avuto un breve e incompleto regno. E quelli attuali sono

26 Ibid., p. 90.

27 J.A. Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, Harper, New

York 1942.

28 G. Demaria, La politica economica, cit., p. 153.

29 Ibid., p. 155. Sui bergsoniani “uomini eccezionali che si tirano dietro le

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passati in breve volgere di anni attraverso vari stadi di sviluppo. Forse le forme troppo raffinate di un sistema sono le meno durature30.

Il soggetto della politica economica non è sempre, e non necessariamente lo stato, se non in astratto, ma qualsiasi individuo o gruppo “quando la forza della sua personalità si risolva nel comandare l’attività economica altrui”, adempiendo cioè “a funzioni di ordine o coercizione pubblica”31. La Chiesa medievale, i trust, i cartelli, le grandi banche, i sindacati operai, il partito nazista tedesco sono tutti soggetti politici. Di qui emerge il moderno paradosso della rappresentanza. Da un lato la presa di coscienza che essa non esiste allo stato puro, ma in forma ristretta, variamente particolaristica:

L’azione politica non è mai l’azione di tutta la collettività, ma quella, entro certi limiti, degli individui che dominano lo Stato […]. Ora, a seconda della varia costituzione della classe politica, si hanno differenze notevolissime nella politica economica32.

Dall’altro la lezione di Machiavelli, per cui

Anche se questa [la classe politica] è formata […] da individui estremamente egoisti, oppure da militari oppure da nobili, non potrà asservire interamente la maggioranza ai propri interessi, ma, a lungo andare, dovrà pure tener conto di certi interessi della maggioranza non fosse altro che è più facile governare con il consenso popolare che senza33.

L’alternanza degli orientamenti di politica economica dipende allora dal ricambio delle élites ma, di là dalle formule della propaganda, essa è “meno mutevole, nelle sue grandi linee, di quanto

30 Ibid., pp. 155-156. 31 Ibid., p. 156.

32 “Tutto questo mostra anche come la differente fisionomia di una classe

politica dominante, possa rinsaldare oppure no la grande proprietà, fare una politica di spezzettamento dei fondi, una politica in favore degli industriali o degli agricoltori o degli operai; del nord o del sud, a seconda, per esempio, che i partiti siano prevalentemente del sud o del nord; o anche un ondeggiare della politica economica con il mutare delle vicende di quei partiti politici. Gli atti della politica economica sono in favore o meno di quelle categorie o classi economiche a seconda che la classe politica ne è più o meno dipendente”, ibid., p. 159.

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si creda”34, giacchè ogni cambiamento si scontra con le forze latenti del sistema economico-sociale e richiede pertanto tempi lunghi, spesso eccedenti la durata del mandato; per la stessa ragione, una dottrina recepita ab extra necessita di una fase di acclimatamento al nuovo ambiente, che ne muta irrimediabilmente la natura originaria. Nella storia di un paese prevale sempre la continuità e non la rottura:

la politica economica […] deve tenere conto di certe forze, di certi fattori geografici, storici, morali, razziali, di certi bisogni che rimangono pressochè costanti qualunque sia il grado di organizzazione di un paese o la stessa educazione della gente. E’ quindi possibile trovare in sistemi molto diversi degli aspetti comuni proprio per queste forze che permangono35.

Pur non essendo riducibili a “un concorso di interessi materiali”, le azioni intraprese risultano dalla combinazione dei moventi altruistici e dei moventi egoistici propri della classe politica. L’ideologia è intesa – nel solco della migliore tradizione italiana – come funzionale al mantenimento del potere, il mezzo con cui il soggetto politico “pensa di contribuire meglio alla propria conservazione”:

Gli ideali sono in sostanza delle formule di utilità o convenienza collettiva con cui si giustificano in modo immaginario e di solito piuttosto oscuro (con bisticci di parole, pseudo-ragionamenti, prove verbali indeterminate, immagini fantasiose, ideali di progressi) certi atti di intervento politico-economico. Quindi essi sono sempre formule ottimistiche, di un ottimismo che spesso giunge fino alla cecità, perché la critica lasciata libera ucciderebbe subito la formula mitica36.

34 Ibid., p. 160. 35 Ibidem.

36 Ibid., p. 161. E ancora: “Gli ideali sono costituiti […] da scopi che

stanno sempre nel futuro, più o meno remoto, a seconda che sia più o meno lunga nel tempo la predicazione politico-economica. Se da un lato […] restano solo sulla carta, da un altro lato non sono certamente inutili, hanno in certo senso la funzione che Marx […] attribuiva alla religione, di ‘oppio del popolo’ […], e in questo senso tutte le superstizioni organizzate dal potere politico servono a realizzare certi scopi […]. La formula odierna di importare il comunismo integrale in tutto il mondo è in parte di tipo siffatto. Un’altra formula che fa appello all’orgoglio e allo spirito razziale delle masse, formula in parte di natura mistica, è costituita dalla magica parola ‘razza’ con cui viene educato il popolo tedesco a un nuovo tipo di imperialismo”, ibid., pp.

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Ma l’essere è altro dal dover essere. Demaria, al contrario di Walras, non teme di allontanarsi dalla pretesa “scienza pura dello scambio”, per avventurarsi sul terreno accidentato dell’economia del benessere. Il requisito di razionalità è salvo se la soluzione normativa prospettata viene posta in relazione ad un certo “metro di valore”, frutto sì “di simpatie, cultura, punti di vista particolari”, ma esplicitato a chiare lettere. Con questo atteggiamento, va da sé, egli non si vuole abbandonare ad un incondizionato relativismo dottrinale, ma neppure ripudiare, in virtù di un illusorio scientismo, la natura politica del discorso economico.

Quale criterio conviene adottare? Il benessere collettivo, anzitutto, non può essere dato dalla somma algebrica dei benesseri individuali: ciò pare assodato. Ma non è nemmeno riducibile all’ottimo paretiano. Occorre uscire dalla dimensione dei rapporti economici, avventurandosi nel mare magnum dell’esogeneità, poiché, come aveva intuito Ferrara, benessere economico ed extraeconomico “sono senz’altro inseparabili”. Ma il suo errore era stato quello di far dipendere il secondo dal primo:

Cosa inesatta perché […] la relazione tra i due non è sempre dello stesso segno: se uno aumenta, infatti, l’altro può diminuire, o può aumentare di meno o di più, restare costante […]. Per esempio, quando un operaio accetta un minore salario per restare in un’officina dove c’è spirito di corpo, dove le relazioni tra dipendenti e padroni sono di schietta simpatia, il benessere economico relativamente basso si accompagna a un benessere non economico elevato37.

Con l’odierno linguaggio, diremmo che il nostro autore presentava una teoria dei beni relazionali, compatibile con la sua visione dell’azione economica avvolta, e non arbitrariamente disgiunta da essa come in Pareto, in quella non economica:

il benessere collettivo aumenta se per tutti gli individui o per parte di essi aumentano il grado di pace, di stabilità sociale, la libertà, la facoltà di fare, purchè però nessun movimento in direzione opposta si produca per nessun individuo38.

162-163. Cfr. J. Ortega y Gasset, La rebelión de las masas, Castalia, Madrid 1998 [1930].

37 Ibid., p. 177. 38 Ibid., p. 183.

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L’intervento pubblico in economia dev’essere improntato all’obiettivo di favorire lo human flourishing, sopperendo anche, laddove necessario, alla tendenziale mancanza di lungimiranza dell’individuo39, ponendosi dunque in quell’orizzonte di scelta intertemporale che pertiene a un organismo la cui vita trascende la durata delle generazioni.

3. La teoria economica della democrazia

Negli anni del secondo conflitto mondiale, Demaria lavorò alla stesura di un trattato sullo stato40. Il clima di distruzione e di prostrazione morale e materiale del paese41 che, pagando il prezzo del sangue, usciva da vent’anni di dittatura, lo induceva a cercare di fondare il discorso istituzionale su basi nuove. Alla vigilia dell’Assemblea Costituente – la cui Commissione economica sarebbe stato chiamato a presiedere nel biennio 1945-4742 – lo studioso si interrogava sull’ordinamento politico più adatto a sostenere il cammino di ricostruzione dell’Italia, rivendicando, in questo campo, un autonomo ruolo per l’analisi economica43. Con metodo non dissimile a quello precedentemente inaugurato, passava in rassegna i regimi e li comparava: teocrazie medievali, monarchie assolute, costituzioni borghesi, reazioni antidemocratiche di destra e di sinistra. La fede nella proprietà privata quale “condizione essenziale del progresso di qualunque società umana”44 gli impediva di vedere con favore l’alternativa collettivista alla democrazia; d’altra parte, il suo schietto realismo pragmatico l’avrebbe portato a dibattersi, per tutta la vita

39 Ibid., pp. 178-179.

40 G. Demaria, Lo stato sociale moderno, Cedam, Padova 1946 (frutto della

fusione di due litografie: Lo stato [1942] e L’organizzazione dello stato

sociale moderno [1943]).

41 Cfr. Id., Problemi economici e sociali del dopoguerra (1945-1950), a

cura di T. Bagiotti, Malfasi, Milano 1951.

42 Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione Economica presentato all’Assemblea Costituente, vari voll., Istituto Poligrafico dello

Stato, Roma 1946-48; cfr. La Commissione Economica per la Costituente

quarantasette anni dopo, RISEC, 1992, pp. 289-302. 43 G. Demaria, Lo stato sociale moderno, cit., pp. 65 sgg. 44 Id., Discorso del Novantennio, RISEC, 1990, p. 496.

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tra il liberalismo e l’interventismo e le loro radici filosofiche, perché la ragione umana porta a entrambi, dato che entrambi non sempre si contraddicono e identico è il loro scopo, il benessere collettivo45.

Poiché tutta l’opera ruota intorno al concetto di “volere sociale migliore”, preoccupiamoci in prima istanza di definirlo. Non fosse per quel secondo attributo: “migliore”, si tratterebbe di una formula pressochè analoga alla volonté générale rousseauiana, prodotto ermeneutico (o divinatorio?) dell’anelito più profondo riposto nell’ésprit du peuple; in termini meno mistici: di una coscienza diffusa. Ma l’aggettivazione in questo caso fa la differenza. Il volere sociale, infatti – spiega Demaria –, non coincide necessariamente con l’optimum, definito in termini di “grado più elevato della civiltà, del costume e della moralità”46. Talvolta:

Le forze sociali spontanee possono […] degenerare e comportarsi come mere forze aggregate e estrinseche alla socialità e non quali vere personalità ‘sociali’. Il volere sociale che esse esprimono può non essere quello migliore47.

E’ il paradosso tocquevilliano della “tirannide della maggioranza”, che anche Karl Popper affrontava in quegli anni, durante l’esilio neozelandese48. Ma mentre per Popper, che respinge ogni giudizio di valore, il problema dev’essere posto esclusivamente in termini di devianza da una corretta rappresentanza degli interessi, contro cui l’unica garanzia legittima è la frequenza delle scadenze elettorali, per Demaria si tratta di un vizio endemico. Posto quindi che la società ha bisogno di una casta di sacerdoti, a chi spetta la definizione del volere migliore? Non è chiaro se tale funzione debba essere attribuita all’aristocrazia intellettuale49 di un novello Caffè o, com’è stato suggerito50, ad una più articolata struttura di “corpi intermedi”. Mirando all’immediatezza euristica, propenderei per la prima interpretazione.

45 Ibidem.

46 Id., Lo stato sociale moderno, cit., p. 7. 47 Ibidem.

48 K. Popper, The Open Society and its Enemies, Routledge, London 2002;

prima ed. 1945, in 2 voll.

49 Vd. infra, § 5. Cfr. ancora J. Ortega y Gasset, La rebelión, cit.. 50 N. Bellanca, Dinamica economica e istituzioni, cit., p. 296.

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Certo, è questo un atteggiamento difficilmente riconducibile agli schemi del positivismo giuridico, così come delineatisi da Kelsen in poi. Vedremo che in parte l’anomalia rientrerà quando, successivamente, verrà posto l’accento sull’efficienza economica quale criterio oggettivo (anche se non esclusivo) per la valutazione di una norma o di un complesso di norme giuridiche, o dell’operato di una specifica istituzione. Ma l’efficienza seguiterà ad essere vista soprattutto come un vincolo piuttosto che come un obiettivo; i fini (materiali e non) saranno comunque assunti come dati.

Scopo dello stato è esprimere e realizzare il volere sociale migliore di cui s’è discorso. Ciò implica, per esso e per le sue emanazioni, non una funzione di neutralità, ma il ruolo, costruttivo, di continua elevazione economica e spirituale della cittadinanza. Quest’etica dell’azione, assai distante, dal punto di vista pratico, dalla condotta astensionistica dello stato liberale, doveva esserlo a maggior ragione da ogni forma stricto sensu coercitiva51. L’avversione per le soluzioni di frontiera deponeva per una dottrina a mezza strada tra la linea di Kant-Locke-Smith e quella di Nietzsche: ciò, in sostanza, conduceva il nostro autore ad abbracciare il principio hegeliano per cui le individualità sono tante (libere di esprimersi e di essere riconosciute come tali), ma la legge morale è una.

Grazie al suo naturale “potere felicitante”, lo stato può essere visto come un “fattore di produzione”. Oltre ai compiti codificati dall’Illuminismo scozzese (la tutela di libertà, uguaglianza, proprietà, sicurezza), la forma costituzionale teorizzata da Demaria persegue quindi una pluralità di fini specifici, non tutti propriamente convenzionali: raggiungimento del “benessere organico […]; elevazione, diffusione e incremento della cultura […]; progresso tecnico […]; rimozione d[elle] imperfezioni più gravi della vita moderna […]; sviluppo massimo delle relazioni tra i popoli […]; spinta allo zenit della produzione delle ricchezze”52.

Il carattere produttivistico connaturato all’organismo non va tuttavia confuso con quello proprio dei mezzi che esso combina, secondo l’orientamento comune della scienza delle finanze (leggi De Viti De Marco, Einaudi). Quando si suppone che il valore del bene pubblico eguaglia l’imposta, la sua paternità va imputata “alla terra, al capitale e al lavoro e non allo stato”53. Soltanto se si è disposti a

51 G. Demaria, Lo stato sociale moderno, cit., pp. 28 sgg. 52 Ibid., p. 38.

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riconoscere che il valore finale del servizio reso eccede l’imposta, il contributo dello stato artefice di pubblica felicità emerge come tale. Non credo d’ingannarmi nel ravvisare in tale, netta distinzione l’espressione più evidente di una concezione anti-contrattualistica, o trascendente, delle istituzioni preposte alla convivenza civile.

4. 1950-1968: verso una dinamica strutturale

Se il periodo che va dal 1937 al 1959 segna, nell’evoluzione del pensiero demariano, l’ingresso dell’esogeneità negli schemi del ragionamento economico54, si tratta di una gestazione lunga e complessa. Nell’articolo sull’indeterminazione del ’3255, così come nei lavori di quel decennio, prevalgono l’attenzione per i “fatti nuovi”, il completo rifiuto dell’approccio deterministico e l’adozione di una logica, per così dire, probabilistica o quantomeno disposta a contemplare la presenza di più gradi di libertà. La riflessione intrapresa culminò in un saggio del 1934 su Le basi logiche

dell’economia dinamica56 e nei Principi generali57 del 1945. Il primo lavoro si sofferma sull’entelécheia, categoria (sinonimo di energia, nel recitativo aristotelico della potenza e dell’atto58) all’origine delle fluttuazioni congiunturali, e propone una bipartizione dell’indeterminazione in logica e dinamica. Quella del primo tipo discende dall’impossibilità, per l’occhio umano, di osservare con sufficiente precisione i fatti in modo da stabilirvi nessi oggettivi: si tratta dunque di un limite cognitivo; la seconda implica l’impossibilità di descrivere il futuro (economico) come il risultato congiunto di presente e passato, per l’insorgenza di mutazioni spontanee, “atti creativi”. Nel libro del 1945, l’accento è ancora posto sulla metodologia e le implicazioni euristiche dell’indeterminazione logica, una lunga trattazione è dedicata all’indeterminazione dinamica ma –

54 A. Agnati, Avvertenza a La politica economica dei grandi sistemi coercitivi, cit., pp. vi-vii.

55 G. Demaria, Di un principio di indeterminazione in economia dinamica,

“Rivista internazionale di scienze sociali”, 1932, pp. 597-636.

56 Le basi logiche dell’economia dinamica nel clima scientifico odierno,

GdE, 1939, pp. 51-98; prima stampa 1934.

57 Principi generali di logica economica, cit.

58 Cfr. G.A. Blair, Energeia and Entelecheia: Act in Aristotle, University

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dato importante – compare accanto ad esse una terza forma che non si rintraccia negli scritti precedenti: l’indeterminazione statica. La sua apparizione è rapida e fugace59. Essa non viene esplicitamente definita e invero si rimanda a un capitolo conclusivo dove però il suo ruolo appare colto in modo ancora abbastanza riduttivo, limitatamente alla teoria del monopolio bilaterale. Soltanto negli anni successivi Demaria s’impadronì pienamente di questo concetto, destinato a divenire l’architrave del suo edificio teorico. Come avrebbe sintetizzato a posteriori:

It derives from the fact that Economics is not an autonomous science. Economic factors and variables alone are not enough to determine the properties of the system and the equilibrium solution of the problem. Other largely non-economic variables must be introduced into the model60.

Una gestazione per molti versi parallela ebbe la categoria dei “propagatori”, le forze esogene permanenti. Il problema dell’impulso come tale è di derivazione fisica, appartenendo alla scienza naturale dai tempi della filosofia antica. Sulla scia di tale suggestione, Ragnar Frisch, negli anni Trenta, aveva proposto di distinguere tra “impulse

problem” e “propagation problem” della dinamica economica, e

tuttavia la sua trattazione rimaneva condotta in termini puramente formali61. Anche Wicksell aveva accennato all’argomento62, ma in quella prospettiva monocausale che il nostro autore avrebbe sempre stigmatizzato. Bisognava dunque che l’intuizione matematica si riempisse di nuovo contenuto.

Lo studio dell’esogeneità merita certo di essere condotto anche al livello degli entelechiani (si pensi, nella realtà odierna, all’incidenza del panico sulla performance dei mercati finanziari63, o all’imprevedibile catena che un singolo shock può generare sull’economia reale) ma l’elemento chiave, nell’ottica della

59 Cfr. Principi generali, cit, p. 49.

60 G. Demaria, A New Economic Logic, cit., p. 19. Cfr anche Trattato di logica economica, vol. I, La catallattica, Cedam, Padova 1962, p. 54.

61 R. Frisch, Propagation Problems and Impulse Problems in Dynamic Economics, in Economic Essays in Honour of Gustav Cassel, Allen &

Unwin, London 1933, pp. 171-205.

62 K. Wicksell, Lezioni di economia politica, Utet, Torino 1966 [1926], p.

204.

63 Cfr. C.P. Kindleberger, Manias, Panics and Crashes: A History of Financial Crises, Wiley, New York 1996.

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costruzione di una teoria sistematica dell’economia, sta al livello della

struttura o, come direbbe Parsons, della latenza. Questa

consapevolezza è una conquista più tarda di Demaria e presuppone un concetto di durata vicino a quello di scuola francese. Da un certo punto in avanti, nella concezione demariana del tempo, il magistero di Braudel64 s’innesta, e in qualche senso domina, su quello di Bergson.

Chiediamoci ora come avvenga tutto ciò e quale sia il percorso seguìto. Mi pare evidente che lo spostarsi degli interessi dell’autore dalla congiuntura alla dinamica di lungo corso sia intimamente connesso alla fase di transizione vissuta dall’economia italiana65 e dall’occidente in generale negli anni del “miracolo”, in rapporto al perdurare della piaga del sottosviluppo nelle altre parti del globo. I suoi contributi, coerentemente col dibattito internazionale, si concentrarono progressivamente sui temi legati alla crescita66.

Nel 1950, Demaria accoglieva con aspre critiche l’uscita del libro di Hicks sul ciclo67. Gli riconosceva di essere scritto in perfetto stile keynesiano (nel suo lessico, non era propriamente un elogio68), dichiarando di non nutrire, dal canto proprio, alcuna fiducia nell’esistenza di regolarità tagliate con l’accetta; nel fatto, cioè, che

vi siano delle regolarità cicliche di 7-10 anni […]. Effetti tanto ipotetici, dedotti in modo da seguirli per molti periodi (e proprio nella scuola di Marshall il quale ammoniva che le catene dei ragionamenti deduttivi debbono

64 Si veda, come sintesi, F. Braudel, Civilisation matérielle, économie et

capitalisme (XVe-XVIIIe siècle), vol. III, Les temps du monde, Colin, Paris

1979.

65 G. Demaria, I nuovi sviluppi della teoria economica e le trasformazioni recenti dell’economia italiana, RISEC, 1965, pp. 21-38.

66 Vedi Id., Sulle funzioni quasi periodiche dell’economia in sviluppo,

GdE, 1950, pp. 241-257; Sviluppo e decadenza dei sistemi economici, GdE, 1951, pp. 198-202; Le leggi dello sviluppo pro capite nelle economie

contemporanee, GdE, 1956, pp. 123-173, 249-279; Lo sviluppo economico nel pensiero liberale, RISEC, 1960, pp. 201-217; Il progresso tecnologico e l’economia moderna, GdE, 1960, pp. 275-324.

67 J. Hicks, A Contribution to the Theory of Trade Cycles, Clarendon Press,

Oxford 1950.

68 Sulla posizione di Demaria riguardo a Keynes, fra i molti scritti rinvio

alla Testimonianza, in AA.VV., Keynes in Italia, Atti del Convegno, Università degli Studi di Firenze, 4-5 giugno 1983, s.l. 1984, pp. 41-44. Cfr. anche A. Agnati, Keynes e il dissenso di Demaria: la negazione fondamento

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essere verificate ad ogni passo colla realtà), ci sembrano, francamente, alquanto arbitrari69.

Si potrebbe obiettare che questa presa di posizione non è di per sé prova di una svolta teorica, giacchè bastava il principio d’indeterminazione dinamica, con l’impossibilità di ricavare, in una serie, l’elemento successivo dal precedente (e viceversa), per giustificarla; inoltre, le influenze esogene invocate parrebbero ancora intese come mero appannaggio dell’azione poietica degli entelechiani. Fin dai primissimi scritti, d’altra parte, il Nostro si era scagliato contro l’uso troppo disinvolto dell’interpolazione per evincere il trend (talvolta, forse, eccedendo in severità). La compagine degli autori criticati è affollata, tanto da comprendere, in pratica, tutti gli studiosi del settore: Jevons, Pigou, Mitchell, Aftalion, Fisher, Juglar, Hawtrey, Bagehot, Spiethoff, Wagemann, Haberler, Schumpeter (sì e no) e, fra quelli allora di moda, Kalecki, Kuznets, Klein, Modigliani, Mosak, Tinbergen:

Pure essi si appoggiano invariabilmente sui dati statistici costruiti nel modo visto, che prescinde dagli entelechiani. Il carattere quantitativo dei fenomeni economici è da essi messo in relazione con ipotesi, equazioni e sistemi di equazioni che prescindono dai fenomeni politici, istituzionali, sociologici di cui si fa fascio, o a cui si accenna di sfuggita come un noioso e negligibile incomodo. Un fascio trattato come acts of God che deve essere lasciato fuori dall’analisi teorica per meglio quantificare le teorie e dividere il lavoro scientifico in tanti scompartimenti-stagno70.

Eppure, qualcosa stava effettivamente cambiando. In un importante e sostanzioso articolo del 1956, Demaria ammetteva potessero sussistere altre forze, oltre agli entelechiani, in grado di agire sul movimento di una serie storica. A mano a mano che un’economia diventa moderna perdono importanza fenomeni quali carestie, epidemie e guerre (tipici della società tradizionale) ed essa si stabilizza entro un movimento meno scompaginato, che s’articola in onde sempre più lunghe. Di tali onde sono appunto responsabili i “propagatori”:

I propagatori sono condizioni generali o di settore relativamente permanenti [l’insieme dei fattori istituzionali, sociali, politici e naturali] in

69 G. Demaria, Sulle funzioni quasi periodiche, cit., p. 256. 70 Id., Le leggi dello sviluppo pro capite, cit., p. 169.

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cui si inseriscono in modo imprescindibile gli operatori economici. Si tratta in sostanza di un ambiente che non può mai essere separato dal loro agire sebbene, se diverso, determini effetti diversi in questo […]. [Q]uando efficienti, [essi] favoriscono l’incremento del reddito totale […] e, quando avversi, aumentano le alee economiche, il grado di monopolio, gli sprechi, i contrasti sociali, ecc., e riducono il grado di inserimento dell’economia nazionale in quella mondiale, onde un minore sviluppo economico generale71.

Nel ciclo non sussiste nulla di innato, di regolare, di automatico, nel senso di ‘meccanico’, poiché quello del movimento economico è il problema – logico – della combinazione di variabili esogene intese non più quali incidenza volontaristica di individualità atomizzate, o beffa stocastica di componenti erratiche, ma riconducibili invece all’azione dei gruppi umani nella loro essenza di biologia e cultura. La storia certo non si ripete, ma il continuo processo di riproduzione della società si esaurisce soltanto in tempi lunghi: nessun vero mutamento è repentino. Questo passaggio sarebbe stato rievocato dallo stesso Demaria in occasione del suo novantesimo compleanno:

Il […] problema costitutivo del sistema della esogeneità economica si coglie superando gli stati dei movimenti erratici, stagionali e ciclici, perché allora si avverte immediatamente che l’esogeneità economica è costituita anche dalla presenza di un movimento più durevole e più profondo che […] è la tendenza plurisecolare di Fernand Braudel; per il quale, come per Schumpeter, la storia economica, non essendo puramente economica, contiene anche delle variazioni tendenziali “de fond”, di lunghissima durata, che influenzano tutta l’economia, variazioni proprie delle varie “économies-mondes”72.

La sensibilità alle strutture profonde della società emerge particolarmente in un contributo del 1962, sulla Necessità di una

teoria degli epifenomeni sociali73. Si tratta di uno degli scritti più limpidi e penetranti di Demaria. Al di là della dimensione apparente di moti e rivolgimenti, crisi ed entusiasmi che si dispiegano nel tempo breve degli événements, “la ‘casa politica’ di per sé dice nulla”:

71 Ibid., pp. 250 n. 1, 271.

72 G. Demaria, Discorso del Novantennio, cit., p. 498.

73 Sulla assoluta necessità di una teoria degli epifenomeni sociali per giudicare di qualsivoglia variazione economica, GdE, 1962, pp. 689-709.

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Feudale o moderno che sia, stabile o mutevole, razionale o bizzarro, lo Stato è […] semplicemente un’amministrazione74.

La “generatrice dominante della storia” – continua citando H. Taine – è la cultura, intesa come civilisation:

E non già il diverso stato politico […]. Bisogna cioè non fermarsi alla superficie ma cogliere gli elementi decisivi, spesso inespressi, sovente seminascosti75.

Dal punto di vista dei riflessi analitici, il compimento di questo itinerario risulta parimenti evidente. Occorre anticipare che l’interazione tra forze esogene e variabili endogene del sistema generale assoluto (SGA, che rimpiazza, nella teoria demariana, l’impianto di equilibrio generale walrasiano) sarebbe stato descritto, nel Trattato di logica economica, a mezzo di un sistema lineare non omogeneo76. Ebbene, in codesto sistema, il vettore dei termini noti (entelechiani) è costituito dal prodotto fra le incognite endogene e i coefficienti matriciali (propagatori). In altre parole, tutta l’attenzione è ormai concentrata sul salto energetico che compie la variabile endogena sotto la spinta di questi ultimi.

Nel 1957, con l’uscita, in litografia, di un volume sui propagatori, e a maggior ragione l’anno seguente, quando l’intera collana dei

Materiali77 (destinata a raccogliere provvisoriamente il corpus delle conoscenze acquisite) fu completata, il disegno complessivo del sistema teorico demariano poteva quindi dirsi abbozzato nelle sue linee fondamentali. Era già delineato l’impianto che nel Trattato avrebbe distinto fra propagatori quasi naturali (demografia, psicologia e fondamenti biologici, tecnologia), politici (assetto istituzionale, monetario-bancario-finanziario, internazionale, sindacale) e quasi endogeni (delle forme di mercato, del potenziale produttivo, della distribuzione).

74 Ibid., p. 700. 75 Ibid, pp. 700, 701.

76 Id., Trattato di logica economica, vol. III, L’esogeneità, Cedam, Padova

1974, pp. 22-23.

77 Materiali per una logica del movimento economico, vol. I, La

Goliardica, Milano 1953; vol. II: Gli entelechiani, 1955; vol. III: Le basi

stocastiche della induzione economica, 1956; vol. IV: I propagatori, 1957;

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Il successivo decennio venne dedicato ad affrontare questioni particolari di specificazione e di misura (alcuni contributi furono forniti da Montesano78), relativi agli effetti dei propagatori sul SGA. Per risolvere i problemi “dell’esistenza, dell’unicità, della non negatività, dell’ottimo e della stabilità delle soluzioni”79, venne dapprima introdotta la condizione restrittiva di uniformità, per cui si supponeva essere la propagazione “uniforme, o quasi, in tutto il sistema produttivo o in tutto un suo settore”80, presto abbandonata per una più compiuta generalizzazione, “atta quindi a misurare gli effetti prodotti da sollecitazioni esogene comunque esse si manifestino, qualunque sia la variabile esogena modificantesi”81.

In margine all’esame sin qui condotto, va rilevata l’ambivalenza speculazione/divulgazione che caratterizza tutta la produzione di Demaria fino al Trattato, a testimonianza di uno stile accademico ormai perduto, che non concepisce cesura fra opere per la ricerca e opere per l’insegnamento, essendo sempre questo frutto di ricerca originale. Il tratto tipico dell’“economista di frontiera”, che coinvolge gli studenti nella propria avventura intellettuale82, si ritrova nel laboratorio permanente delle Ricerche di cinematica83, banco di prova per la teoria dell’esogeneità. Anche su questo terreno si esplicava la stretta e mutua interazione fra teoria e storia economica, in cui Demaria credeva al punto di dolersi vedendo quest’ultima cadere troppo sovente in mani poco competenti84, così come la prima in balìa di studiosi di scarso spessore culturale. Sulla scia di tale esperienza, il Ministero dell’Istruzione avrebbe istituito, nel gruppo concorsuale di

78 Cfr. A. Montesano, Sul calcolo degli indici di efficienza generica delle singole esogeneità, GdE, 1969, pp. 273 sgg.

79 G. Demaria, I parametri influenti sul sistema generale assoluto sottoposto a uniformi sollecitazioni esogene, GdE, 1966, p. 1121.

80 Ibidem.

81 Id., Un teorema generale sulle sollecitazioni esogene, GdE, 1968, p. 2. 82 Cfr. M.A. Romani, Da Giovanni Demaria a Giordano Dell’Amore: trent’anni tra didattica e ricerca (1945-1972), in M. Cattini et al., Storia di una libera università, vol. III: L’Università Commerciale Luigi Bocconi dal 1945 a oggi, Egea, Milano 2002, pp. 80-81, nn. 55-56.

83 Ricerche di cinematica storica. Con un’Appendice critica finale, a cura

di A. Agnati, P. Bassetti, D. Cantarelli e A. Montesano, 3 voll., Cedam, Padova 1968-71. Un quarto volume risulta edito nel 1987.

84 A. Graziani, Giovanni Demaria economista eterodosso, in Giovanni Demaria e l’economia del Novecento, cit., p. 18.

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Storia economica, un insegnamento di “Cinematica dei fatti economici e sociali”, rimasto però, sul piano concreto, una pura variante nominale. A quel progetto avveniristico, credo varrebbe oggi la pena di ripensare.

5. L’approdo sistematico

All’alba degli anni Settanta, quando tenne il suo ultimo corso in Bocconi, Demaria “era un signore ormai vecchio in doppiopetto grigio”. Non era più “l’oratore vivace ed energico che ti arringava in piedi dietro alla cattedra, eppure giungeva “come sempre con il suo passo falcato di alpino […] e dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia esalava cinquant’anni di economia vista e studiata e vissuta e insegnata personalmente”85.

Fra il 1967 e il 1974, mentre la riflessione sull’esogeneità giungeva alla sua definitiva sistemazione, la pluridecennale riflessione sulle istituzioni venne riversata nel terzo volume del Trattato. Al di là dell’aspetto quantitativo in cui non mi addentro, essendo oggetto della relazione di Achille Agnati86, vengono indicati quattro parametri attraverso cui valutare l’efficienza di un propagatore politico87. Essi sono: 1) il grado di arretratezza morale (relativa) di una data realtà politica: quanto più esso è elevato, tanto più sarà bassa la probabilità di emancipare l’economia dal sottosviluppo; 2) il grado di responsabilizzazione dei ceti dirigenti: non vale il criterio della “bilancia dei poteri” di Montesquieu, né la forma repubblicana è di per sé garanzia sufficiente di efficienza economica; 3) la velocità di circolazione delle élites, in quanto il ricambio impedisce che il regime presti il fianco “all’affarismo deteriore, alla demagogia e alla plutocrazia, ossia agli abusi, agli sprechi e alla corruzione”88; 4) il grado di collaborazione istituzionale fra propagatori: il dialogo fra i poteri dello stato accresce l’efficienza del sistema.

85 A. Canziani, Il professor Demaria, cit., p. 98.

86 A. Agnati, Paralipomeni dell’esogeneità di Demaria: le istituzioni e la misura dei loro effetti economici, nei Proceedings del Convegno.

87 G. Demaria, Trattato, III, cit., pp. 223 sgg. e l’anticipazione datane in

Id., Sulla metodologia più conveniente per giudicare delle conseguenze

economiche della realtà politica, in Scritti in onore di Giordano Dell’Amore. Saggi di discipline aziendali e sociali, vol. I, pp. 303-312.

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Diversamente dal comportamento delle forze esogene quasi-naturali, l’azione di questo tipo di propagatore può manifestarsi rapida e inattesa: l’instabilità generata è all’origine del ciclo politico, che inevitabilmente si ripercuote sul movimento economico89. Come si vede, siamo agli antipodi dell’attuale approccio di political economics. Gli artefici dei modelli oggi in voga90 presentano se stessi come innovatori epocali per il solo fatto di estendere l’analisi economica ad un campo che le è tradizionalmente estraneo (o almeno, lo è per chi è abituato a considerare la storia del pensiero economico da Lionel Robbins in poi). In realtà, essi non fanno altro che esportare, al di là di ogni limite lecito, le quattro regole della microeconomia neoclassica; e così falsificano la realtà, approfittando della scarsa perizia sociologica e politologica dei loro lettori. Lo stesso discorso vale per l’analisi economica del diritto, di cui dirò presto.

Demaria, al contrario, ci dona un’immagine della materia economica in continua trasformazione sotto l’impulso delle forze sociali, riportando l’economia al posto che realmente le spetta nel quadro generale di una teoria dell’azione:

Così per T. Parsons (The social system, 1951) la consistenza dei bisogni biologici del neonato è quasi unicamente condizionata dall’ambiente materno che costituisce il suo primo ambiente sociale. Successivamente però esso entra in una serie di nuove cerchie di socialità per cui l’adolescente non potrà che molto difficilmente deviare dalle relative sfere di permissibilità. Fatto maturo, esso sarà ancora più alle dipendenze di agenti sociali complessi […]. Pertanto l’individuo originario sparisce via via di più come attore fondamentale della realtà economica dato che su di lui domina incontrastato l’ambiente variabile della cultura, della religione, delle idealità, dei divieti e delle ricompense91.

Questo atteggiamento conoscitivo trova precisa corrispondenza a livello epistemologico, laddove si auspica, per la disciplina economica, un futuro non già d’imperialismo metodologico, ma di collaborazione e proficua integrazione con le altre scienze umane92.

Ad aggravare la tendenziale instabilità congiunturale della realtà economico-politica, concorrono principalmente tre ulteriori fattori: a)

89 Ibid., pp. 227 sgg.

90 Una rassegna in T. Persson and G. Tabellini, Political Economics: Explaining Economic Policy, Mit Press, Cambridge (Mass.) 2000.

91 G. Demaria, Sulla assoluta necessità di una teoria, cit., p. 706. 92 Ibid., p. 704.

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le altalenanti ideologie; b) le spinte verso forme di democrazia diretta; c) la coesistenza di regimi differenti. Quanto al primo punto, la concezione strumentale, di matrice moschiana dell’ideologia resta sostanzialmente invariata rispetto all’analisi condotta nei Sistemi

coercitivi. C’è però un importante corollario: “nessuna ideologia

sfugge alla legge del suo superamento”93. Ciò significa che anche la democrazia è in costante pericolo:

Il nazionalismo, la opposizione delle chiese alla idealizzazione hegeliana dello Stato, la fioritura di varie correnti in favore del liberalismo, la ripresa del totalitarismo […], lo stesso concreto e spietato atteggiamento positivistico e, infine, il senso comune intervennero più volte, se non a scartare, almeno a sospendere ideologie molto simili a quelle democratiche precedentemente coltivate. La democrazia non è, quindi, un fenomeno inevitabile94.

I movimenti di massa (nello specifico il Sessantotto, cui l’autore dedica una lucida analisi95) che nascono in seno alla società civile tendono a sovrapporsi e a inceppare gli ingranaggi delle istituzioni proprie della società politica96. Inoltre, l’esigenza di conservazione del potere in un mondo bipolare indurrebbe le istituzioni dei blocchi contrapposti alla progressiva emulazione97.

Il propagatore istituzionale propriamente inteso è composto da cinque sotto propagatori, che coincidono, grosso modo, coi poteri dello stato: i) capo dello stato; ii) potere legislativo; iii) potere esecutivo; iv) potere giudiziario; v) potere fiscale. Ciascuno di essi viene fatto oggetto di un’analisi accurata ai fini della determinazione del grado di efficienza economica e, in caso di esito mediocre, vengono formulate proposte di ingegneria costituzionale98. Non potendo qui diffondermi sopra ogni singolo punto, mi limiterò a richiamare l’attenzione sugli aspetti che, a mio avviso, conservano una certa attualità rispetto al contesto italiano, anche in relazione al dibattito sulle riforme che in questi anni occupa la scena politica. Fra le patologie del sistema parlamentare vengono indicate: le funzioni puramente notarili del presidente della repubblica; lo strapotere dei

93 Trattato, III, cit., p. 231. 94 Ibid., pp. 233-234. 95 Ibid., pp. 237 sgg. 96 Ibid., pp. 240 sgg. 97 Ibid., pp. 248-249. 98 Ibid., pp. 255 sgg.

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partiti sull’assemblea e il loro ruolo di effettivo legislatore; l’incompetenza tecnica dei parlamentari; il sovraccarico di attribuzioni in capo all’esecutivo centrale e l’abuso della pratica dei decreti; le lungaggini dei procedimenti giudiziari che, col lievitare delle spese, fanno desistere le parti dall’esercizio dei diritti99. Fra i rimedi proposti: la pubblicazione obbligatoria dei bilanci dei partiti; il voto segreto in aula; la riforma costituzionale del Senato, per trasformarlo, da doppio della Camera, a “organismo rappresentativo delle varie strutture […] più importanti nei campi scientifico, amministrativo, sociale ed economico […], competenze che altrimenti non parteciperebbero alla formazione della volontà parlamentare”100; un forte decentramento amministrativo regionale e il severo controllo delle voci di spesa; la tutela degli istituti di diritto privato dagl’illeciti della pubblica amministrazione; l’adozione di taluni princìpi (quali il ricorso sistematico all’ingiunzione o l’estensione della verifica di costituzionalità sulle leggi a tutti i gradi dell’ordinamento giudiziario) propri delle tradizioni di common law:

Nelle economie dominate dalla common law, la realtà economica è più stabile, mentre in quelle sottoposte alla civil law tale realtà è più cedevole e, di conseguenza, si ha, probabilmente, maggiore ricorso sia alla violenza che all’abbandono della giustizia ufficiale101.

Dinanzi ad analisi di questo tenore, eredi della miglior tradizione comparatistica, impallidiscono certi saggi di semplicismo, privi di ogni retroterra storico e di profondità analitica, proposti dall’odierna

law and economics102 che, nella pretesa di svelare gli arcani del meccanismo decisionale dell’autorità giudiziaria (e i presunti fondamenti economicistici di pressochè ogni istituto di diritto, a cominciare dalla proprietà), dipinge una realtà giuridica tutta in preda

99 Vd. anche Id., Prefazione a C. Castellano et al., L’efficienza della giustizia in Italia, Laterza, Bari 1968 e Per nuove forme di organizzazione della giustizia italiana, RISEC, 1968, pp. 1049-1053.

100 Trattato, III, cit., p. 269. 101 Ibid., p. 291.

102 Cfr. Encyclopedia of Law and Economics, ed. by Bouckaert et al., vol. I: The History and Methodology of Law and Economics, vol. II: Civil Law and Economics, vol. III: The Regulation of Contracts, vol IV: The Economics of Public and Tax Law, vol. V: The Economics of Crime and Litigation, Elgar,

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ai moventi del calcolo utilitaristico – cos’altro se non un malcelato tentativo di risuscitare l’antica ermeneutica del materialismo?

L’inclusione del sotto-propagatore fiscale nell’articolazione teorica sopra illustrata deriva dalla delusione per lo statuto della scienza delle finanze tradizionale. Essa intende il fenomeno fiscale:

con mero riferimento ad effetti ipotetici, propri […] degli schemi dell’equilibrio economico particolare con cui vengono esaminati i singoli tributi, ossia presupponendo la esistenza della condizione di ceteris paribus per la grandissima parte delle altre quantità economiche endogene. Quando, invece, vengono tentati schemi più ampi, si trascura che il livello e il senso delle variazioni […] sono dovute anche ad altre parti della esogeneità103.

E’ una pura illusione pensare che, con una serie di “atti volitivi”, l’esecutivo possa imporre la soluzione di ottimo, sulla base di un calcolo simulatorio effettuato a tavolino. La razionalità del decisore pubblico è limitata dagli stessi vincoli cui soggiace la conservazione del potere:

Le forze decisionali del sotto propagatore fiscale hanno le loro preferenze, le loro convenienze e le loro manchevolezze, e perciò bisogna stabilirne la potenza prima di costruire ogni modello di politica fiscale e di valutarne gli effetti economici104.

Un analogo discorso vale per il propagatore monetario, bancario e finanziario105. Accanto alla funzione istituzionale di questi “sistemi regolatori”, che hanno il compito di favorire la canalizzazione del risparmio per le imprese, la creazione di liquidità e la leva della domanda attraverso la crescita dei consumi106:

si incontrano sempre, e sovente in maniera cospicua […], operazioni di natura diversa che ubbidiscono […] a finalità che non sono più quelle sopra ricordate, ma si riferiscono al conseguimento di certi fini esogeni […] di

103 Trattato, III, cit., pp. 302-303. 104 Ibid., p. 304.

105 Ibid., pp. 398 sgg.; vd. anche La segmentazione del sistema monetario, bancario, finanziario, GdE, 1970, pp. 173-212 (vers. ridotta in RISEC, 1971,

pp. 671-695).

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stretta politica, particolaristici, o semplicemente fini […] delle personae formanti i sistemi107.

Ciò accade – continua il nostro autore – perché essi sono inseriti in un universo di relazioni, quasi a rivendicarne l’essenza di costrutti collettivi, ricordandoci che dietro le istituzioni operano gli uomini, “con i loro particolari moventi, i loro abusi, la loro irresponsabilità, la loro irrazionalità e ignoranza, le loro errate diagnosi e i loro sentimenti e risentimenti”108, tutt’altro che ininfluenti sulla manovra delle quantità endogene (“Histoire, science de l’homme. Connaissance des

hommes. Le sujet de nos études, ce n’est pas telle ou telle forme [...] d’institution. Le sujet valable de nos études, ce sont les hommes qui ont créé, qui ont adopté, qui ont perpétué les institutions”109). E se a livello interno pesa la perpetuazione dell’élite, a livello esterno è in gioco la potenza degli stati. Per questo motivo, in un’economia aperta il sistema monetario è strettamente legato, oltre che all’assetto istituzionale, al propagatore internazionale.

Quest’ultimo, a sua volta, risulta dalla combinazione di cinque elementi: la situazione politica interna e quella prevalente a livello globale (autarchica, coloniale, contrattuale bilaterale o multilaterale, di discriminazione ideologica o meno, ecc.); la pervasività e distribuzione delle reti di trasporto e comunicazione; l’andamento della bilancia dei pagamenti; i regimi doganali vigenti; l’entità e la direzione delle migrazioni110.

Alle interazioni fra azioni collettive (sindacali, oltre che padronali) ed istituzioni dello stato è dedicato un capitolo supplementare vista la “maggiore potenza” che esse rivelano rispetto al passato, “in quanto presenta[no] una effettiva capacità di modificar[e] sensibilmente i livelli e i tipi di equilibrio” della forza contrattuale […] Possibilità, peraltro, cui nessuno pensava cinquant’anni addietro, quando la potenza del propagatore sindacale non aveva grande rilievo storico”111.

107 Ibid., p. 403. 108 Ibid., p. 404.

109 Il passo è di L. Febvre. Demaria lo riporta in Sulla assoluta necessità di una teoria, cit., p. 701.

110 Trattato, III, pp. 331-332. 111 Ibid., p. 375.

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