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Gorgia demiurgo della credenza

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LA FORZA DEL LOGOS

Gorgia a 2500 anni dalla nascita

a cura di

R. Loredana Cardullo, Francesco Coniglione

(2)

ISBN 978-88-6318-223-1

Proprietà artistiche e letterarie riservate

Copyright © 2019 – Gruppo Editoriale Bonanno s.r.l. Acireale - Roma

www.gebonanno.com gebonanno@gmail.com

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Indice

Premessa

Filippo Motta pag. 7

Introduzione

R. Loredana Cardullo e Francesco Coniglione 13

Parte prima

Gorgia, il contesto storico-culturale e il pensiero Gorgias’ Meontology vs. Nihilism

Seweryn Blandzi 23

Gorgias y Platón:

“cuando la palabra dice que la palabra no dice” Elementos para una elocuente comparación (a propósito de Teeteto 152c ss.)

Beatriz Bossi 47

Gorgia e il problema della verità, ovvero tragicità dell’esistere,

ironia dello sguardo e dominio della parola

R. Loredana Cardullo 67

La ‘potente signora’ del Mondo.

Gorgia e le Upaniṣad sul ruolo della poesia

Tommaso Cimino 81

La parola che risana. Gorgia, logica e tolleranza

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Gorgia e il diritto. Tra dialettica ed eristica

Angelo Costanzo pag. 155

Leontini al tempo di Gorgia

Massimo Frasca ” 165

Gorgia demiurgo della credenza

Lidia Palumbo ” 179

«Il bello e aureo» Gorgia.

Un brillante successo in tutta l’Ellade

Marian Andrzej Wesoły ” 199

Parte seconda La retorica dopo Gorgia I sofismi degli antichi e le fallacie dei moderni. Appunti per un programma sofistico

Giovanni Damele ” 223

Some aspects of the study of the use of rhetoric

in XVI century Aristotelian philosophy

Ennio De Bellis ” 237

Elena di Troia e la nipote di Mubarak

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Gorgia demiurgo della credenza

1

Lidia Palumbo

In questa mia relazione vorrei presentare l’immagine più famo-sa di Gorgia di Leontini, e cioè quella che ci viene presentata da Platone nel dialogo omonimo. Le immagini dei personaggi che Platone costruisce nei suoi dialoghi sono quelle con cui tali personaggi affrontano poi tutta la loro storia. Basti pensare a Socrate: benché sia per noi impossibile immaginare un Socrate diverso da quello che Platone ci ha presentato nei suoi dialoghi, esistono, nondimeno, tante altre immagini di Socrate2.

Tutta-via, le immagini costruite da Platone sono quelle che restano per sempre: restano, per così dire, cucite addosso ai suoi personaggi, perché immensa è la potenza della costruzione poetica e retorica di Platone3.

Io qui vorrei avanzare l’ipotesi che questa capacità di costruire figure immortali – questa capacità poetica e retorica di modellare con le parole immagini atte a restare nell’immaginario dei lettori – fu proprio da Gorgia che Platone la imparò. Alcune antiche

1 Nel Milione di Marco Polo vi è un passo dove è descritta la fantastica mensa

del Gran Can Cublai: «E sappiate che quelli che fanno la credenza al Gran Can sono gran signori, e tengono fasciati la bocca e il naso con dei drappi d’oro e di seta, affinché il loro fiato non vada nella vivanda del signore». In questo passo l’e-spressione interessante è “fanno la credenza”. La funzione solenne dell’assaggio si diceva “far la credenza”, perché serviva a far credere al signore che i cibi e le bevande fossero privi di veleno. Solo dopo aver osservato che gli assaggiatori, dopo aver as-saggiato, conservavano la loro buona salute, il principe credeva nell’innocenza del cibo e dava inizio alla mensa. Da questa frase è nato il nome di quel mobile che si chiama credenza e che, in origine, era il nome di quello scrigno dotato di coperchio e serratura che veniva aperto solo davanti agli assaggiatori. Si cominciò a chiamar credenza prima la vivanda contenuta nello scrigno e poi lo scrigno stesso. Riporto queste annotazioni da Gabrieli (1977), pp. 110-111.

2 Cfr. De Luise, Farinetti (1997).

3 Una efficace dimostrazione della potenza e dell’incidenza di Platone sulla

sto-ria della filosofia, e non solo della filosofia, si può leggere nella introduzione della curatrice a Michelini (2003), pp. 1-13.

(6)

fonti, infatti, presentano Gorgia come l’inventore di quest’arte4,

il protos heuretes dell’arte di costruire credenze forgiando imma-gini con le parole5.

In particolare – ed è questo l’intento specifico di questo mio contributo – è possibile evidenziare, in Platone, la presenza di questa specifica eredità di Gorgia: eredità che è definibile come produzione di una scrittura dotata di spessore plastico6, una

scrittura “poietica”, che non solo dice quel che dice, ma è in gra-do anche di “fare”, di “agire”7 e di creare una credenza nel suo

destinatario, il quale non potrà sottrarsi, non potrà evitare di «obbedire alle cose dette e approvare quelle fatte»8.

In altre parole, quanto vorrei provare a sostenere è l’ipotesi secondo la quale Platone, che riesce a ottenere il consenso del suo lettore grazie all’uso della retorica9, grazie all’uso, in particolare,

di un discorso che coinvolge il lettore e lo rende protagonista di quella stessa esperienza di cui il discorso dice, abbia ereditato da

4 Le fonti antiche citano talvolta Empedocle, talvolta Gorgia, allievo di

Em-pedocle, come fondatori della retorica. Diodoro, nel libro XII della Bibliotheca

historica, testimonia come Gorgia sia stato il vero innovatore della prosa artistica,

il primo a fare uso (eccessivo) delle figure in grado di dare espressività al discorso: viene sottolineata spesso, in particolare, la sua attitudine all’uso della metafora.

5 Sulla categoria del protos heuretes (the first discoverer) cfr. Wardy (1996), p. 8.

La difficoltà a classificare Gorgia (è un sofista? un filosofo? un retore?) non è una mera questione tassonomica, ma va al cuore del suo contributo alla storia della retorica: la sua straordinaria originalità rovescia ogni aspettativa ed elimina il con-fine tra retorica e filosofia: cfr. Wardy (1996), pp. 8-9. Negli scrittori tardi (Diod. XII 53, l-2; 82A4 DK) troviamo pronunciata una condanna dello stile gorgiano influenzata da canoni di estetica che, all’epoca di Gorgia, non erano stati ancora formulati. Secondo la testimonianza di Porfirio riportata dalla Suda (s. v.; 82A2 DK), Gorgia visse al tempo dell’ottantesima Olimpiade (460-457 a. C.): sulla scor-ta di scor-tale testimonianza Wilamowitz fissò l’anno di nasciscor-ta di Gorgia nel 500-497 a. C. e quello di morte nel 391-388 a. C.

6 Bons (2006), p. 38 scrive: «Gorgias is a figure not only relevant to the history

of rhetoric and philosophy. His speeches belong to the earliest examples of a new literary form that arises in the fifth century: prose. Even if his style shows a strong influence from poetry, Gorgias is laying the groundwork for the genre of artistic or rhetorical prose, which will prove to be a decisive factor in the development of Greek prose in general».

7 La retorica di Gorgia – scrive Wardy (1996), pp. 34-35 – e la sua teoria del

logos erodono la polarità tra fatti e parole e anche quella tra verità e finzione.

Sull'ar-gomento cfr. Casertano (2003).

8 È una citazione dal testo gorgiano dell’Encomio di Elena (12), nella bella

traduzione di Roberta Ioli (2013), qui e di seguito adottata.

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Gorgia questa caratteristica del suo testo. Le parole – è questa l’arte plastica di Gorgia, retore e filosofo, che si ritrova in Plato-ne, filosofo e retore – nel corso del discorso10 assumono corpo11

e agiscono12. È questo, infatti, l’unico modo di “assicurarsi” il

consenso: costruire un discorso in grado di far esperire a ciascu-no, per così dire, sulla propria pelle, non la verità delle parole, ma la realtà dei fatti.

Lo scopo di questa mia relazione qui a Lentini è allora du-plice. Da un lato, essa intende presentare l’immagine di Gor-gia13 che troviamo nel Gorgia di Platone, ma, dall’altro lato, e

10 Che proprio per questa ragione è un discorso potente, un δυνάστης μέγας,

come afferma Gorgia nell’Encomio di Elena (8).

11 Bermúdez (2017), pp. 12-13 scrive: «This materialistic account of speech

is remarkable: logos works through material particles that are imperceptible given their smallness, but achieve great effects in the listener due to their subtle nature. This suggests a non-representationalist view insofar as words and speeches turn out to be nothing more than material phenomena, having none of the symbolic properties that would be required for them to fulfil a representational role. The power of speech, rather, is producing the behavioural effects of objects themselves. Seeing a person immersed in a tragic situation would move us to tears; the words of a tragic poem would make us feel and act the same way, since the small, subtle particles of logos have the same impact on our souls as the particles involved in the actual process of perception».

12 Cfr. Bermúdez (2017), pp. 5-7: «Evidence for this can be found in Helen’s

claims about logos’ power to accomplish the most divine deeds (82B11.8-14): in poetry, logoi are to the listener substitutes for actual experiences, and elicit the same behavioural effects that such experiences do (fear, tear-shedding, sorrow)». Nella nota 9 di p. 6 aggiunge: «Expressing agreement with this view, Segal holds that the role of speech is “creating ‘impressions’ upon the psyche of [the speaker’s] audience and thus somehow directing their actions” (1962, 111); and Consigny claims language is “an activity designed to effect results” in the behaviour of the listeners (2001, 76)».

13 Ho evitato di impiegare la parola “sofista”. A documentare come fossero

scarsamente definiti i confini di questo termine nell’antichità sta un passo di Elio Aristide (Aristid. II 407 Dindorf), riportato anche – mi sembra interessante sot-tolinearlo – da Giorgio Colli nelle sue lezioni su Gorgia negli anni Sessanta, rico-struite da Ernesto Berti. Cfr. Colli (2003), pp. 26-27: «Erodoto non ha chiamato sofista Solone, e poi ancora Pitagora? Non dà Androtione ai sette l’appellativo di sofisti, intendo dire i sette sapienti, e non chiama poi sofista anche Socrate, il ce-lebre Socrate? A sua volta Isocrate non chiama sofisti gli eristici e, come direbbero loro, i dialettici, mentre poi dice filosofo se stesso e filosofi gli oratori e quanti fanno professione di politica? Non altrimenti usano questi termini alcuni suoi contem-poranei. Lisia non chiama sofista tanto Platone che Eschine? Si potrebbe obiettare che in Lisia ha valore di accusa. Ma nessuna intenzione d’accusa c’è negli altri verso coloro a cui tuttavia danno il medesimo appellativo. Di più, se anche fosse lecito chiamare Platone sofista in senso di accusa, ai sofisti che nome si dovrebbe

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contemporaneamente, essa intende “decostruire” questa stessa immagine, analizzandola e mostrando come essa non presenti affatto l’opinione che Platone ebbe di Gorgia, bensì soltanto quella che volle presentare ai suoi lettori. Platone ebbe, infatti, di Gorgia – a mio avviso – un’opinione molto alta, gli apparve come il più grande tra coloro che sanno usare le parole per argo-mentare, per convincere, per sedurre. Per questa sua straordinaria capacità, Gorgia ebbe a configurarsi come un rivale di Platone nell’arte di catturare il consenso. Se nel dialogo egli viene rap-presentato come incapace di tenere testa al tentativo socratico di indurlo in contraddizione, è perché la scena dialogica è proprio lo strumento che Platone usa per attaccare il nemico e presentare ai contemporanei e ai posteri un’immagine che ne sminuisca il valore e quindi il potere. Fin da subito appare chiaro, infatti, che il contesto drammatico del dialogo sia la messa in scena della sconfitta di Gorgia, finalizzata a distruggere l’immensa fama del retore-filosofo. Ma non solo. Io vorrei provare a mostrare che la sconfitta di Gorgia non abbia solo il fine della distruzione della fama del retore, bensì anche quello dell’appropriazione di tale fama da parte di Platone. Platone intese distruggere Gorgia per appropriarsi della sua arte e costruire, grazie a questa

appropria-dare? Ma io credo piuttosto che la parola sofista fosse semplicemente un epiteto generico, e che per filosofia si intendesse una specie di buon gusto e passione per l’arte del ragionare, e non un indirizzo specifico come è oggi, ma solo cultura in

generale … certo, Platone sempre, più o meno, dà addosso al sofista; e se c’è uno

che soprattutto si mostra avverso a tale nome, mi pare proprio lui … tuttavia, si sa come a questa parola egli abbia anche dato un valore di massimo elogio; infatti, quell’essere che egli concepisce come dio sapientissimo e sede dell’assoluta verità, lo chiama in un luogo perfetto sofista». In Senofonte leggiamo (Xenoph. Cyn. 13, 8): «I sofisti parlano per indurre in inganno e scrivono per il proprio utile, e non giovano in nulla a nessuno; e non c’è tra di loro né ci fu mai chi sia sapiente, ma ognuno si contenta di essere chiamato sofista cosa che, presso gli uomini assennati, suona come un’ingiuria. Raccomando di guardarsi dagli insegnamenti dei sofisti e di tenere invece in gran conto i ragionamenti dei filosofi». Platone polemizza con i sofisti in tutte le sue opere e in Aristotele si legge (Soph. el. 165 a 21; 79, 3 DK): «La sofistica è una sapienza apparente, non reale; il sofista è un venditore di sapienza apparente, non reale». Così Colli (2003), pp. 32-33 riassume i significati antichi del termine: «Fino alla fine del V secolo, anteriormente cioè all’epoca in cui si consolida l’accezione negativa, si nota che σοφιστής, “sofista”, […] significa “maestro di un’arte” […]; in Pindaro (Ist. 5 28) significa “poeta” […]; in Eschilo (fr. 314) significa “musico” […]; in Platone (Resp. 296b) significa “demiurgo” […]; così anche Ippocrate chiama “sofisti” i fisici».

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zione, una filosofia in grado di catturare, proprio come Gorgia nel testo dice di saper fare, il consenso del suo lettore.

Sfidare verbalmente un avversario era un vero e proprio sport intellettuale degli antichi greci del tempo di Socrate, che è anche il tempo di Gorgia, un tempo in cui la filosofia è una pratica agonale – come lo è la poesia, che viene composta per essere presentata alle feste panelleniche e deve affrontare il giudizio del pubblico, come lo è la retorica, che deve praticare la persuasione dell’uditorio in orazioni politiche e giudiziarie.

Ed ecco che il Gorgia mette in scena la pratica agonale che la filosofia conduce contro la retorica14: la prima parola del testo, infatti, è proprio la parola guerra15. Come ogni guerra, essa è

con-dotta allo scopo di ottenere una vittoria, e con essa non l’annien-tamento, bensì l’“appropriazione” del nemico sconfitto. Il destino dei nemici sconfitti nel mondo antico è quello di diventare schia-vi del schia-vincitore e, come vedremo, la semantica della schiaschia-vitù è tutt’altro che estranea alla pratica agonale del Gorgia di Platone. A riprova del fatto che l’appropriazione potesse essere effettuata anche con le parole troviamo una divisione del Sofista, secondo la quale l’agonistica è una delle due forme dell’arte dell’appropria-zione (χειρωτικόν) e consiste nell’impossessarsi di qualcosa, o nei fatti o nei discorsi (ἢ κατ᾽ἔργα ἢ κατὰ λόγους χειρούμενον)16.

Nel Gorgia assistiamo, dunque, alla messa in scena dell’ap-propriazione platonica dell’arte di Gorgia17 ed è possibile

indi-14 Come scrive McCoy (2007), p. 86: «Rather than immediately revealing the

fatal flaw of the rhetoric, the Gorgias reveals that the rhetorical standpoint is pow-erful despite being anti-philosophical».

15Πολέμου καὶ μάχης φασὶ χρῆναι, ὦ Σώκρατες, οὕτω μεταλαγχάνειν,

af-ferma Callicle pronunciando la prima battuta del dialogo (Gorg. 447a1-2): «Al momento opportuno prender parte alla guerra e alla battaglia, Socrate, proprio come prescrive il proverbio», trad. Petrucci (Taglia- Petrucci 2014), da cui traiamo questa e tutte le altre citazioni dal Gorgia. Sull’importanza delle prime parole dei dialoghi di Platone cfr. Clay (2010).

16 Cfr. Plat., Soph. 219d4-7: cito dalla traduzione di Centrone (2008). Lo

scontro agonistico avviene “apertamente” (ἀναφανδόν), mentre l’altra parte della tecnica di appropriazione è la caccia che avviene “di nascosto”.

17 Cfr. Bons (2006), p. 37: «Gorgias’ reputation as a pivotal figure in the

history of rhetoric is confirmed when Plato directs his criticisms on judicial and political rhetoric in a dialogue named after him: the Gorgias. Plato portrays him as an eminent rhetor, one of those men who with their art of eloquence claim to be able to provide a competence of speaking persuasively crucial to the life of a citizen, active in public life. Plato seems to direct his attack especially against

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viduare nel testo stesso alcuni tratti significativi di tale appro-priazione.

Sulla scena del dialogo Socrate arriva proprio quando Gorgia ha finito di presentare una epideixis, la quale, secondo Wardy, sarebbe proprio l’Encomio di Elena18, lo straordinario pezzo

re-torico nel quale Gorgia dimostra l’innocenza della più colpevole delle donne, la traditrice della famiglia e della patria, su cui cade la responsabilità della più importante guerra dell’epica antica19.

Argomentare a favore dell’innocenza di Elena è il modo gorgiano di dimostrare a tutti il potere della retorica: sconfiggere tale reto-rica sarà, allora, il modo platonico di collocare la filosofia su di un gradino ancora più alto.

Nel testo Socrate pone a Gorgia una serie di domande tese a definire la natura della tecnica retorica20. Gli chiede quale sia

those rhetoricians who in the practice of their art ignore the criteria of truth and justice. To make Gorgias one of the main interlocuters of the dialogue indicates that his name was associated with this kind of rhetoric».

18 Cfr. Wardy (1996), p. 57. L’ipotesi di Wardy è interessante perché ci

permet-te di pensare che il permet-testo platonico inpermet-tenda porsi, per così dire, in continuità con il testo gorgiano, cominciando là dove quello finisce.

19 L’Encomio di Elena – secondo la ricostruzione di Bons (2006), p. 41 – ha la

seguente struttura: 1-2: introduzione; 3-5: discendenza e bellezza di Elena; 6-19: argomenti; 20-21: epilogo. Il focus del discorso è provvedere a ogni possibile spie-gazione del comportamento di Elena. Essa è ritenuta (ingiustamente secondo chi parla) responsabile della guerra di Troia e dei suoi orrori. Molta enfasi è posta sul potere del discorso e sull’amore, fattori di discolpa. Il discorso sembra essere una mistura di tipi retorici, vi si trovano non solo elementi tipici dei discorsi di difesa, ma anche sezioni che derivano dalla tradizione dell’encomio, con la menzione della bellezza e della nobile discendenza di Elena. Se paragonato alla Difesa di

Palame-de, l’Encomio sembra sviluppare un ragionamento di tipo metodico: si suddivide

l’argomento centrale in un certo numero di eventuali sotto-argomenti, viene, poi, valutata la tenuta di ciascuno di essi, la quale, se è debole, rende debole l’intero discorso. Questo metodo è conosciuto come apagoge: tale strategia, che appare stringente, sembra confutare il capo d’accusa, dando una sensazione di comple-tezza e rinforzando la conclusione. Tutto l’argomento riposa sull’idea che ciò che è cruciale è il ruolo della doxa.

20 Se, presso i greci, rhetores erano chiamati tanto gli oratori quanto i maestri

dell’eloquenza, presso i romani il nome serviva a designare soltanto questi ultimi, mentre coloro che parlavano nelle assemblee e nei tribunali erano detti oratores. Un’eccezione in questo uso dei due vocaboli la si riscontra a Roma in età imperia-le, quando oratoria ed eloquenza divennero materia scolastica e non pratica della vita pubblica. Allora, rhetor, come presso i greci, prese a designare sia il maestro sia l’oratore. Secondo la testimonianza di Cicerone (De or. 2, 37, 155; Tusc. 4, 3, 5), l’oratoria venne portata a Roma dalla famosa ambasceria greca del 155 a. C.,

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ἡ δύναμις τῆς τέχνης21, letteralmente “il potere dell’arte”; gli

chiede di definire che cosa la retorica promette e che cosa insegna (καὶ τί ἐστιν ὃ ἐπαγγέλλεταί τε καὶ διδάσκει)22. Gorgia

rispon-de dicendo che il retore promette di renrispon-dere retori anche gli altri (449b1-2); che l’oggetto della sua arte sono le parole (449e1)23.

Come tutti sanno, nel suo testo famoso Gorgia aveva soste-nuto che le parole non hanno nessuna corrispondenza con le cose che talvolta pretendono di rappresentare24, eppure esse sono

capaci di persuadere. Per l’efficacia della persuasione la conoscen-za tecnica è irrilevante: non nella loro funzione rappresentativa del mondo, bensì nella loro funzione persuasiva dell’uditorio le parole assumono, secondo Gorgia, grande potere. Esse possono cambiare le emozioni e le opinioni di chi le ascolta. Il loro potere è paragonato a quello di una droga: come la droga sta al corpo, così la parola sta alla mente. Per usare questo potere, quel che bisogna saper fare è persuadere, non è necessario avere un sapere sui temi intorno ai quali deve essere operata la persuasione. È tut-to moltut-to coerente. Gorgia nel suo testut-to ha negatut-to quel legame tra conoscenza e persuasione che Socrate nel testo platonico, come vedremo, cerca, invece, di ristabilire25.

Le parole, secondo il testo gorgiano, possono plasmare l’ani-ma, dipingendo, ad esempio, uno spettacolo pauroso e stimo-lando gli ascoltatori a immaginarlo visivamente, inducendoli a reagire involontariamente come davanti a una visione, perché alla base della parola e della visione vi è lo stesso meccanismo, il quale può farci parlare di retorica della pittura o

dell’architettu-composta dal peripatetico Critolao, dallo stoico Diogene e l’accademico Carneade: cfr. Lübker (1989), s. v.

21 Plat., Gorg. 447c2-3. 22 Plat., Gorg. 447c2-3.

23 Cfr. Bons (2006), p. 40: «Gorgias seems to have claimed he could make

his pupils ‘good at speaking’ (Pl. Meno 95c). He is credited with the definition of the art of speaking as ‘producer of conviction’ (capable of influencing ‘the souls of the hearer’ (Pl. Gorgias 453a). His art is superior to all other arts, because ‘ev-erything submits to it, not by force but voluntarily’ (Pl. Philebus 58a–b). As will become clear below, however, he was more than an observer and teacher of persua-sive speech. The object of his investigation was skillful speech in general: besides persuasion, he was interested in the mechanics of arguments and argumentation».

24 Cfr. McCoy (2007), p. 90.

25 Quel legame tra persuasione e sapere sull’essere che Parmenide aveva

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ra. Gli occhi, in questo caso, sono ingannati perché vedono non ciò che c’è, ma ciò che l’immagine presenta loro26. Ecco la tesi

forte che Gorgia, per primo, presenta nella storia della filosofia: il potere della parola è paragonabile al potere della visione. Par-lare in modo persuasivo significa creare immagini che modellano l’anima degli ascoltatori, significa trasformare gli ascoltatori in spettatori, fruitori di immagini create con le parole.

Ora, è possibile mostrare che l’intera arte dialogica di Platone dipende da questa capacità retorica della sua scrittura. I suoi per-sonaggi sono figure che incarnano sulla scena un punto di vista, del quale essi sono “come una personificazione”27. E se Gorgia

incarna il potere della parola, se di questo potere Platone si va appropriando, la scena del Gorgia consente al lettore di assistere, per così dire, in diretta a questa appropriazione, a questa sorta di inglobamento della retorica nella filosofia. Nel testo destinato a tramandare ai posteri questo inglobamento accade che Gorgia, incalzato dalle interrogazioni socratiche e costretto a specificare la natura dell’oggetto della tecnica retorica, dica che tale oggetto è rappresentato da τὰ μέγιστα τῶν ἀνθρωπείων: le più grandi tra le cose umane28.

Ma gli umani, ribatte Socrate, sfortunatamente non sono d’accordo su quali siano le loro cose più grandi e, dunque, questa risposta è insufficiente.

Chiunque, leggendo questo testo, ricava l’immagine di un So-crate abile dialettico e di un Gorgia incapace di comprendere le regole più semplici della definizione. Ateneo di Naucrati racconta che Gorgia, dopo aver letto lui stesso agli amici il dialogo che porta il suo nome, esclamasse: ὡς καλῶς οἶδε Πλάτων ἰαμβίζειν29.

Ma Platone non sta affatto prendendo in giro Gorgia. Per comprendere ciò che di fatto il filosofo sta compiendo è neces-sario osservare che il dialogo platonico si svolge, per così dire, su due piani, entrambi verbali.

Un primo piano – che potremmo definire “manifesto”,

per-26 Cfr. Wardy (1996), pp. 46-47, il quale parla di “tirannia” della visione. 27 Uno dei modi per trasformare le parole in fatti è creare personaggi incarnanti

argomenti o comportamenti: Elena è la traditrice, Gorgia è il retore, Socrate è il filosofo. Sul fatto che i personaggi debbano avere un’affinità naturale con gli argo-menti che trattano cfr. Erler (2001), p. 68.

28 Cfr. Plat., Gorg. 451d7-8. 29 Ath. XI, 113, 3.

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ché è sotto gli occhi di tutti i lettori del dialogo – è quello che vede Socrate scontrarsi con Gorgia – la filosofia con la retorica – e uscirne vincitore, perché sul piano dialettico non c’è confronto tra la capacità dell’uno e l’incapacità dell’altro in fatto di definizioni, di coerenza discorsiva, di pregnanza argomentativa.

Un secondo piano – che, pur essendo evidente, non è, però, esplicito, perché la sua espressione non è affidata alle parole pronunciate dai dialoganti, bensì all’effetto prodotto sul lettore dalle immagini del testo nel suo insieme – mette in scena una filosofia che, più retorica della retorica, vince il suo nemico, si impadronisce delle sue armi e le usa per riscrivere la storia dei rapporti di potere30.

Possiamo avere un saggio della maniera con cui la filosofia si fa retorica per combattere la sua battaglia, leggendo del dialogo le pagine 451e-452d. Per confutare l’affermazione di Gorgia, secon-do la quale i discorsi della retorica hanno per oggetto le più grandi tra le cose umane, Socrate cita uno scolio che «non è raro sentire nei simposi». Intonando questo scolio, gli uomini stabiliscono una gradazione tra i beni e dicono che stare in salute è la cosa migliore, la seconda essere belli, la terza arricchirsi onestamente31.

Lo scolio dimostra che quali siano le più grandi tra le cose

30 La retorica nel Gorgia si presenta come arte squisitamente politica ed è a

questa retorica-politica che Platone ha dichiarato la guerra, quella guerra che si propone di vincere, creando una filosofia retorica che possa assumersi la respon-sabilità dell’azione di governo. Quando, nel passo celeberrimo del libro V della

Repubblica (473c-d), Socrate parla della necessità di riunificare politica e filosofia,

alla parola politica possiamo sostituire la parola retorica, intendendo proprio quella retorica politica il cui potere è descritto da Gorgia nel Gorgia e dal possesso della quale dipenderà, secondo il Platone della Repubblica, la possibilità per la filosofia di governare: «A meno che […] i filosofi non regnino nelle città, oppure quanti ora sono detti re e potenti non si diano a filosofare con autentico impegno, e questo non giunga a riunificarsi, il potere politico cioè e la filosofia, e ancora quei molti, la cui natura ora tende a uno di questi due poli con esclusione dell’altro, non vengano obbligatoriamente impediti – non vi sarà, caro Glaucone, sollievo ai mali della città, e neppure, io credo, a quelli del genere umano». Trad. Vegetti (2001).

31 Cfr. Plat., Gorg. 451e1-5. Come ricorda Petrucci nella nota ad loc. della

sua traduzione del dialogo, lo scolio era un tipo di carme di breve estensione, im-provvisato o riproposto nei simposî con l’accompagnamento della lira o dell’aulo. Il testo è conservato da Ateneo e Stobeo. Nel presente scolio, il cui autore non è noto, oltre a quelli elencati compariva un quarto bene, cioè essere giovani insieme agli amici. Zanetto (1994) ad loc. accosta allo scolio il seguente passo di Solone (fr. 17 Gentili-Prato): «Felice chi ha ragazzi amati, cavalli veloci, cani da caccia e un ospite venuto da lontano».

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umane è questione controversa e che, pertanto, l’affermazione di Gorgia, secondo la quale è la retorica a realizzare le somme tra le cose umane, è quantomeno un’affermazione discutibile (ἀμφισβητήσιμον)32.

Fin qui, il primo piano, quello esplicito, che possiamo chia-mare “filosofico”, dello svolgimento dialogico della confutazione socratica di Gorgia. Ma esiste, come abbiamo detto, un altro, più importante piano, non esplicito, che possiamo chiamare “retori-co”33, dello svolgimento dialogico della confutazione platonica

di Gorgia. Per osservarlo, dobbiamo leggere la sezione 452a-d del testo di Platone, dove si mostrano tutti gli strumenti – non dialettico-definitorî, bensì squisitamente retorici – posti in essere da Platone autore, al fine di creare nel lettore la “credenza” della inettitudine di Gorgia. Dice il filosofo al retore:

Poniamo che ora d’un tratto ti si presentassero davanti34 gli artefici dei beni che ha lodato il compositore dello scolio, il medico, il maestro di ginnastica e l’uomo d’affari, e per primo il medico dicesse «Socrate, Gorgia ti inganna: non è la sua arte a occuparsi del sommo bene per gli uomini, ma la mia». Se io allora gli domandassi: tu chi sei per dire questo? Certamente direbbe che è medico. Dici allora che l’opera realizzata dalla tua arte è il sommo bene? «Come no, Socrate, – affermerebbe di sicuro, – la salute! Quale bene è maggiore della salute per gli uomini?». Se poi, dopo questo, il maestro di ginnastica dicesse a sua volta: «Anche io, Socrate, mi meraviglierei davvero se Gorgia riuscisse a esibire che l’opera che lui produce con la sua arte è un bene maggiore di quella che io produco con la mia». Di nuovo, direi anche a lui: E tu, mio uomo, chi sei? e qual è la tua opera? «Maestro di ginnastica – affermerebbe – e la mia opera consiste nel rendere gli uomini belli e forti nei corpi». Se poi, dopo il maestro di ginnastica, l’uomo d’affari – credo proprio con grande disprezzo per tutti – dicesse: «Osserva bene, Socrate, se ti sembra che vi sia, in possesso di Gorgia o di chiunque altro, un bene maggiore della

32 Plat., Gorg. 451d9.

33 Retorico e poetico, questo piano testuale è essenzialmente mimetico, come

possiamo evincere dall’uso del discorso diretto. Platone si occupa delle potenzia-lità del testo poetico e mimetico in Resp. III 392d. Sull’argomento cfr. Palumbo (2008), pp. 237-255.

34 Proprio come nell’Encomio, nel testo greco di Platone viene usato l’ottativo,

introducendo un’ipotesi, per, poi, restare ambiguamente nella dimensione ipoteti-co-immaginativa perché essa è quella che permette la manipolazione dei sentimenti avvertiti come indistinguibili da quelli suscitati da situazioni reali.

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ricchezza», rivolti a lui affermeremmo: Come dici? E tu sei il suo artefice? Lo confermerebbe. E tu chi sei? «Un uomo d’affari». Così tu valuti che il bene sommo per gli uomini è la ricchezza? – chie-deremo. «Come no!» dirà. Ma noi potremmo affermare: Eppure il nostro Gorgia rivendica che l’arte di cui è in possesso è causa di un bene maggiore della tua. È evidente che a questo punto direbbe: «E che cos’è questo bene? Sia Gorgia a rispondere!». Forza Gorgia, immagina ora che questa domanda ti sia rivolta da quelli come da me, e rispondi cos’è questa cosa che tu affermi essere il sommo bene per gli uomini e della quale ti professi artefice35.

In questo passo, Socrate, nel dialogo platonico, non soltanto intrattiene un dialogo con personaggi immaginari, ma invita an-che lo stesso Gorgia a “partecipare” a tale dialogo immaginario. Mettendo in scena la figura retorica della προσωποποιία, la fi-gura della personificazione, inoltre, Platone dona enargeia al suo testo e, proprio come Socrate sta invitando Gorgia, egli invita il suo lettore a “partecipare” alla finzione dialogica. Tutto ciò ap-partiene al livello retorico del dialogo, mentre, al livello manife-sto, avviene la confutazione di Gorgia, operata da coloro i quali, a differenza del retore, sono stati capaci di difendere le loro arti36.

Proprio come i personaggi gorgiani – come il Palamede che si difende dalle accuse di Odisseo e appare convincente alle migliaia di generazioni di lettori che lo hanno incontrato, come il difensore di Elena37 che elenca le ragioni per le quali essa è da considerarsi

priva di colpa – i personaggi platonici parlano in prima persona ed esprimono sulle questioni opinioni molteplici. I personaggi par-lanti servono a rendere vivace e polifonico il messaggio di un testo. Non abbiamo davanti un trattato, come quelli che scriverà Aristo-tele, con delle dottrine da tramandare, ma una scena popolata da personaggi che ci provocano con i loro discorsi a prendere posizio-ne su determinati argomenti. Ecco un punto cruciale: la scrittura

35 Plat., Gorg. 452a1-d4. Con l’introduzione degli artefici dei beni degli umani

che in propria persona sfidano Gorgia – scrive Wardy (1996), p. 61 – Platone dispiega contro Gorgia i valori della società agonale, valori che Gorgia stesso condivide (cfr.

Gorg. 447c5-448a3), senza con ciò obbligare Socrate ad abbracciare questi valori.

36 Naturalmente il primo effetto dell’introduzione nel dialogo di questi tre

per-sonaggi fittizi è quello di moltiplicare per tre l’effetto persuasivo del discorso socra-tico teso a confutare quello gorgiano. Testimoni di Socrate, infatti, essi si schierano contro Gorgia nel contesto agonale della discussione dialogica.

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gorgiana, come quella platonica che ad essa assomiglia, al fine di convincere il lettore, lo chiama in causa, lo interroga, lo provoca. E lo chiama a esprimere un giudizio. E ciò può farlo solo un discor-so retorico, un discordiscor-so che usa la prima perdiscor-sona, l’interrogativa diretta. Nel testo platonico appena riportato abbiamo il medico, il maestro di ginnastica e l’uomo d’affari, i quali combattono la loro battaglia, alleati di Platone, come rivali del retore nell’arte di arrecare benefici alla vita degli umani. È una finzione, il testo si è fatto teatrale per vincere la sua battaglia contro la teatralità della oratoria gorgiana, la quale, proprio come la poesia drammatica, chiede la sospensione dell’incredulità. Il lettore del dialogo plato-nico si lascia convincere dal medico, dal maestro di ginnastica e dall’uomo d’affari come il lettore dell’Encomio si lascia convincere dal difensore di Elena, e in ciò tutti seguono l’esempio di Elena che si lasciò convincere dalle parole di Paride38.

Ed eccoci a un secondo punto cruciale del nostro discorso. La maniera gorgiana di provare l’innocenza di Elena, mostrando che essa fu persuasa da Paride, è persuadere a sua volta l’uditorio: far provare ai suoi ascoltatori la stessa esperienza che Elena provò, la persuasione. Questo è il modo di trasformare le parole in fatti e la finzione in verità. Platone, nel Gorgia, ripete questa esperien-za, e, se raggiunge il suo scopo, è perché fa vivere al suo lettore l’esperienza della persuasione. A persuadere il lettore del Gorgia concorrono non soltanto Socrate e i tre personaggi che abbiamo citato – il medico, il maestro di ginnastica e l’uomo d’affari –, ma anche lo stesso Gorgia gioca la sua parte sulla scena platonica tesa a persuadere il lettore e, contemporaneamente, a metterlo in guardia rispetto ai pericoli che la persuasione comporta. La po-tenza della parola persuasiva che Gorgia incarna nel testo viene presentata come pericolosa. Il potere divino e attivo del logos – è proprio il personaggio Gorgia a dirlo – rende tutti gli altri schiavi e passivi: il retore può fare “ciò che vuole” e agli altri non resta che obbedire al suo volere. Gorgia spiega:

38 Paride è il logos e i verbi che sono associati a lui nell’Encomio sono attivi,

mentre Elena è l’anima e i verbi che sono associati a lei sono passivi: cfr. Wardy (1996), pp. 42-43. L’anima di Elena è modellata dalle parole di Alessandro: il ver-bo sottolinea la mancanza di resistenza. Nell’Encomio, come nota ancora Wardy (1996), p. 42, Elena è figura di una femminilità passiva che rappresenta la condi-zione di essere rapiti, cioè convinti, cioè stregati, dal logos, che rappresenta, invece, la mascolinità attiva.

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A mio avviso la retorica è l’essere capaci di persuadere con i discorsi, sia i giudici riuniti a giudizio, sia i consiglieri nel consiglio, sia il popolo nelle assemblee. E, in effetti, in virtù di questa capacità il retore avrà come suo schiavo il medico, come suo schiavo il mae-stro di ginnastica; e sarà sotto gli occhi di tutti che il nomae-stro uomo d’affari farà affari non certo per se stesso ma per chi ha la capacità di parlare e persuadere le masse39.

Il testo gorgiano sul logos come gran dominatore non soltanto esprime l’Atene democratica, ma anche la minaccia che pesa su di essa40: Platone, presentando Gorgia come teso a rendere tutti

schiavi, identifica la figura dello stesso Gorgia con questa oscura minaccia41. E allora, agendo contro di essa, Platone potrà contare

tra i suoi alleati tutti i lettori, i quali hanno esperito l’inquietudi-ne che questa minaccia comunica e intendono combatterla com-battendo Gorgia. L’azione verbale del testo manifesto costruito da Platone per sconfiggere la retorica gorgiana comincia dalla distin-zione tra persuasione e insegnamento. Il retore persuade, ma non insegna. Chiunque insegni una qualunque cosa persuade su ciò che insegna (453c-d), ma non vale l’inverso. Non tutti i persuasori sarebbero in grado di insegnare ciò su cui persuadono. E la condi-zione di chi ha acquisito una conoscenza grazie a un insegnamento (μεμαθηκέναι) è diversa da quella di chi ha acquisito una credenza (πεπιστευκέναι)42 grazie a una persuasione. Dicendo ciò, Platone

sta creando nei suoi lettori l’idea che la persuasione filosofica sia diversa da quella retorica e che soltanto essa sia assimilabile a un insegnamento. Ma la sconfitta di Gorgia, la vera persuasione del

39 Plat., Gorg. 452e1-8. 40 Cfr. Wardy (1996), p. 38.

41 Sui rischî della democrazia cfr. Plat., Resp. 488d; Aristoph., Ve. 654-724;

Demosth.. 3, 30-32.

42 Cfr. Plat., Gorg. 454d1-2. Come ricorda Petrucci nella nota ad loc. il

ter-mine pistis deriva dalla radice di peithomai, essere persuaso e obbedire, e designa la condizione di essere persuasi e credere. In questo contesto la pistis è nettamente distinta dalla mathesis, in quanto la prima è indipendente dalla verità dei contenuti di cui si è stati persuasi, mentre la seconda fa riferimento ai contenuti acquisiti in seguito a un apprendimento, che, in quanto tali, rispondono a requisiti di verità. La contrapposizione tra credenza e sapere, motivata qui dalle diverse caratteristiche dei due stati conoscitivi, ritornerà nella celebre immagine della linea divisa della

Repubblica (511d-e; 533e-534a), dove, però, essa, alla luce della teoria delle idee,

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lettore sulla inettitudine del retore e della retorica, non avviene a tale livello manifesto, bensì al livello implicito, quello sul qua-le valgono qua-le paure suscitate dalqua-le paroqua-le. E Platone, come abbia-mo visto, ha suscitato una paura della retorica come di una forza potente, tendente a ridurre tutti gli umani in una condizione di schiavitù. Nell’Encomio Gorgia aveva mostrato che

subito la vista, qualora veda corpi nemici e un nemico in assetto di guerra, con nemica armatura di bronzo e di ferro, l’uno a offesa, l’altro a difesa, si turba e turba l’anima, cosicché spesso gli uomini fuggono atterriti da un pericolo futuro <come> fosse presente. For-te, infatti, la verità della battaglia si insinua attraverso la paura che ha per tramite la vista e, sopraggiungendo, essa fa trascurare il bello giudicato secondo la legge e il bene generato secondo giustizia. E già alcuni, vedendo spettacoli paurosi, hanno perso in quel preciso istante il senno che prima avevano, tanto la paura spegne e caccia l’intelletto. E molti sono caduti in vari affanni, terribili malattie, insanabili follie: a tal punto la vista iscrive nel senno le immagini di ciò che si è visto. E molte altre cose che incutono terrore vengono taciute, perché le taciute sono simili a <quelle> già dette43.

Il testo44 non potrebbe essere più chiaro: “la paura spegne

e caccia l’intelletto”. Dunque, è sulla paura e sulla capacità di questa di spegnere l’intelletto che è costruita la confutazione di Gorgia, non sulla presunta contraddizione trovata nelle parole del retore che il testo manifesto presenta45.

Sul piano manifesto, Socrate sta confutando Gorgia: sta di-cendo che esistono δύο εἴδη πειθοῦς, due specie di persuasione, l’una che procura credenza senza sapere e l’altra che procura

co-43 Gorg., Enc. El. 16-17.

44 Il testo dell’Encomio è come un sotto-testo del Gorgia. Si ricordi l’ipotesi di

Wardy citata sopra, secondo la quale la epidexis già pronunciata da Gorgia all’inizio del dialogo platonico sia proprio l’Encomio di Elena.

45 Nel testo del Gorgia il retore, prima, afferma che gli studenti di retorica

che si recano da lui per apprendere l’arte apprenderanno da lui anche la giustizia, qualora ne fossero privi. Poi, egli dice che può accadere che gli allievi facciano un cattivo uso dell’arte appresa e che, in tal caso, non bisogna incolpare il maestro – che insegnò l’arte perché venisse correttamente usata –, bensì gli allievi, i quali, comportandosi male, tradiscono l’insegnamento ricevuto. In tali affermazioni gor-giane Socrate trova una contraddizione: infatti, dal momento che chi ha appreso la giustizia non può che comportarsi giustamente, non è possibile che si verifichi l’ipotesi contemplata da Gorgia di un allievo colpevole e di un maestro innocente.

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noscenza. I retori non hanno competenze e la città non affiderà mai le sue scelte a persone prive di competenza. La decostruzione dell’arte di Gorgia che avviene sul piano manifesto è al suo punto culminante (454d-455a). Il retore – si è detto – non è come un insegnante, ma è solo un persuasore (πειστικὸς μόνον): e non potrebbe nemmeno esserlo perché non è possibile insegnare cose importanti nel poco tempo in cui i retori insegnano ciò che in-segnano e, per di più, a un’assemblea tanto numerosa (455a4-7).

Quando la città deve riunire un consesso sulla scelta di medici o di ingegneri navali o di qualsiasi altro genere di artefice, in quella circo-stanza il retore non offrirà il suo consiglio; non è vero? È infatti evi-dente che per ciascuna scelta occorre che a scegliere sia il più com-petente in una certa arte. E non lo farà neanche quando saranno in questione la costruzione di mura o l’allestimento di porti o arsenali, ma spetterà agli architetti; e, ancora, neanche quando il consesso sia sulla scelta di strateghi o su una certa disposizione di schiere contro i nemici o sull’occupazione di territori; saranno allora gli esperti di strategia a offrire il parere, non certo i retori. Altrimenti, Gorgia, cosa dici su casi simili? Vedi, poiché tu stesso affermi di essere un retore e di rendere esperti di retorica anche altri, è bene informarsi da te su ciò che riguarda la tua arte […] forse, infatti, qualcuno tra i presenti potrebbe desiderare di farsi tuo allievo – avverto che ve ne sono alcuni, anzi un certo numero – ma al contempo potrebbe imbarazzarsi a porti domande. Devi dunque pensare che, pur es-sendo io a porti la domanda, lo domandino anche loro: «Qualora ti frequentassimo, Gorgia, che vantaggio avremo? Su quali argomenti saremo capaci di consigliare la città? Solo sul giusto e l’ingiusto o anche su quelli che Socrate diceva or ora?»46.

Ecco allora che la scena dialogica si popola di nuovi perso-naggi, allievi potenziali di Gorgia, retori in pectore che, usando la prima persona plurale, si rivolgono a Gorgia e gli chiedono di spiegare i vantaggi dell’arte. A questo punto, nella finzione dialo-gica, il personaggio Gorgia cade nella trappola tesagli da Platone e dice che sono sempre i retori e mai i tecnici, gli esperti, a dare consigli politici:

Socrate, tenterò di disvelarti chiaramente tutte le capacità della re-torica: tu stesso infatti mi hai ben indicato la via. Sai di certo che

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questi arsenali navali e le mura di Atene e l’allestimento dei porti hanno visto la luce su consiglio di Temistocle e poi in parte su quello di Pericle, e non su quello dei relativi artefici […]. Proprio nel momento in cui ci si trovi di fronte a una delle scelte di cui parlavi or ora, Socrate, vedi che sono i retori quelli che consigliano e portano i loro giudizi a vincere sugli altri circa questi argomenti47.

Nella finzione dialogica, Socrate finge di essere ammirato dalla divina grandezza (δαιμονία τὸ μέγεθος)48 della retorica,

mentre Gorgia pronuncia le frasi destinate ad essere usate con-tro di lui:

La retorica comprende in sé ogni capacità. Te ne fornirò una gran-de prova. È già capitato più volte che, andando con mio fratello e con gli altri medici da un malato che non voleva bere un farmaco o mettersi nelle mani del medico per farsi operare o cauterizzare, il medico non era capace di persuaderlo e l’ho persuaso io, grazie a nessun’altra arte al di là della retorica. Affermo anche che nel momento in cui giungessero in una qualunque città tu voglia un uomo esperto di retorica e un medico, se dovessero competere (διαγωνίζεσθαι) con discorsi in un’assemblea o in un qualsiasi al-tro consesso per quale debba essere scelto come medico, il medico rimarrebbe indietro e verrebbe scelto quello capace di parlare (τὸν εἰπεῖν δυνατόν), se lo volesse. E se poi competesse (ἀγωνίζοιτο)49 contro qualsiasi altro artefice, l’esperto di retorica potrebbe per-suadere meglio di qualsiasi altro a farsi scegliere: non esiste infatti nulla su cui non saprebbe parlare di fronte alla massa in modo più persuasivo di qualsiasi altro artefice. Di tali qualità e grandezza è infatti la capacità di quest’arte!50

Non serve qui spiegare nel dettaglio i modi attraverso i quali Socrate51 – su quello che abbiamo chiamato “piano manifesto”

47 Plat., Gorg. 455d6-456a3. 48 Plat., Gorg. 456a5-6.

49 Il contesto agonale dell’intera discussione è sottolineato anche dalle

occor-renze del verbo ἀγωνίζομαι, che significa gareggiare, contendere, specificamente in giochi pubblici (cfr. Hdt. 2, 160), ma anche vincere una causa, pronunciare un’ar-ringa, discutere, argomentare, e, significativamente, indica anche rappresentare in una gara drammatica (cfr. Hdt. 5, 67; Demosth. 19, 246).

50 Plat., Gorg. 456a 8-c7.

51 Socrate dice di intravvedere una contraddizione nelle affermazioni di Gorgia.

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del testo – si produce nella complicata confutazione del discorso gorgiano. Quel che conta è che Platone ha retoricamente costrui-to, incarnandola nel personaggio di Gorgia, un’immagine paurosa della retorica, capace di parlare a tutti e su tutto, capace di risul-tare immediatamente persuasiva su qualsiasi argomento (457a-c). Secondo la presentazione della retorica, ricca di implicazioni poli-tiche, fatta dal personaggio Gorgia nel dialogo, il singolo oratore attivo schiavizza, infatti, la moltitudine passiva, soggiogandola. I lettori sentono di essere potenziali vittime di questa retorica ti-rannica e sottraggono a essa il loro consenso, ma, così facendo, non sanno di essere stati soggiogati da una persuasione ancora più occulta, per così dire, di quella che andavano fuggendo. Quella della filosofia, intesa come arte dialettica di porre domande e dare risposte nell’interesse dell’argomento e non spinti da quella

phi-lonikìa che anima, invece, i dibattiti tra i sofisti e gli eristi, non è

una descrizione fedele del comportamento del Socrate del Gorgia, il quale, come abbiamo provato a mostrare, altro non è che lo strumento retorico del tentativo platonico di vincere Gorgia nella discussione, nella discussione condotta non già alla ricerca della verità intorno alla natura dell’arte retorica, bensì alla ricerca della sconfitta dell’interlocutore: di un interlocutore fittizio, il quale risponde non già ciò che risponderebbe il vero Gorgia se fosse interrogato sull’argomento, bensì ciò che nella finzione dialogica servirà a umiliare il retore e la retorica, per trasmettere alla storia la vittoria della dialettica e della filosofia. Ciò che va sottolineato, a questo punto, è che la filosofia vince sulla retorica facendosi retorica, cioè fingendosi naturale e veritiera, usando non soltan-to la resoltan-torica dell’antiresoltan-torica (come sotsoltan-tolineavano gli studi di Rossetti negli anni Novanta)52, ma addirittura la stessa capacità

retorica di cui è in possesso il nemico che viene sconfitto, il quale, vinto, consegna, per così dire, le armi al nemico che le userà e le

di persuadere la folla circa ogni argomento, capace di persuadere più del compe-tente, più del medico, per esempio, anche su argomenti di medicina; ma ciò potrà accadere solo perché la folla è ignorante, dacché chi sa si lascia persuadere solo da chi sa. Tale persuasione, allora, non è un insegnamento, il quale trasformerebbe un non sapere in sapere, bensì è un artificio, una mechané. Esso fa sembrare sapiente l’i-gnorante agli occhi dell’il’i-gnorante, giacché, nel caso della persuasione di cui stiamo parlando, a essere ignorante non è solo chi viene persuaso, ma anche chi persuade, il quale non sa, ma “sembra” sapere grazie all’artificio in cui consiste l’arte retorica.

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potenzierà, proprio grazie a questa vittoria. L’unica traccia di veri-tà che è possibile rintracciare in questa magistrale messa in scena platonica della sconfitta della retorica a opera della filosofia è che Platone consegna al lettore tutti gli strumenti per decodificare, nei termini che abbiamo provato a descrivere, l’operazione che sta compiendo nel testo del Gorgia. Esso, il testo, infatti, si presta alla lettura duplice che abbiamo proposto, una lettura duplice che, se, da un lato, presenta la discussione tra Socrate e Gorgia, d’altro lato, presenta questa stessa discussione come la finzione che Plato-ne allestisce per il suo lettore al fiPlato-ne di insegnargli le regole stesse dell’allestimento della finzione, le regole retoriche e poetiche della costruzione filosofica della credenza, vale a dire, l’arte straordina-ria di Platone ereditata da Gorgia.

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