• Non ci sono risultati.

Capitolo IV

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo IV "

Copied!
17
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo IV

Materiali e Metodi

In questo capitolo è riportata la descrizione dei materiali utilizzati e dei metodi adottati per portare a termine la parte sperimentale del presente lavoro di Tesi. Tale periodo è stato svolto presso il Laboratorio di Microfabbricazione del Centro Interdipartimentale di Ricerca “E. Piaggio” e presso il Laboratorio di Materiali Biomimetici e Ingegneria dei Tessuti Biologici dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.

Dopo aver riportato le teorie e le evidenze sperimentali che hanno portato all’“idea di progetto” e esposto le finalità del lavoro, verranno descritti con elevato livello di dettaglio, i materiali e le procedure implementate per realizzare l’apparato sperimentale che ha permesso di eseguire i test di coltura cellulare. Gli esiti e i dettagli di tali test verranno presentati e criticamente discussi nel capitolo successivo.

4.1. Obbiettivo della Tesi

Questo lavoro di Tesi nasce con l’obbiettivo di realizzare in vitro delle strutture

microvascolari da utilizzare in applicazioni di Tissue Engineering e, più in generale, in

applicazioni ad alto contenuto o bioingegneristico. Dalla ricerca bibliografica, effettuata tra

(2)

le principali riviste che trattano argomenti di Tissue Engineering e microvascolarizzazione è emersa l’evidenza che l’obbiettivo non è tra i più semplici (si veda lo stato dell’arte nel capitolo III).

L’approccio adottato in questa Tesi prevede l’utilizzo di strutture cilindriche, di materiale vario, sulle quali far aderire e proliferare cellule del tessuto connettivo (e.g. fibroblasti).

Fornendo gli stimoli giusti, tali cellule ricopriranno l’intera struttura cilindrica e produrranno quella porzione di matrice extracellulare (ECM) che agirà come collante per lo stesso aggregato di cellule.

Dato che l’intento finale è quello di ottenere dei microvasi, sono state previste due modalità per la creazione di un lume all’interno di tali strutture. La prima modalità prevede l’impiego di fili in nylon che verranno estratti non appena gli strati cellulari, cresciuti a partire dalla semina sulla loro superficie, saranno ritenuti di spessore adeguato. La seconda modalità prevede l’impiego di fili da sutura chirurgica riassorbibili, i quali verranno degradati per via idrolitica o enzimatica dalle stesse cellule che saranno state seminate sulla loro superficie, lasciando un lume interno.

Per entrambe le metodiche è previsto un sistema di perfusione che permetta di connettere i microvasi ad una piccola pompa peristaltica settata sui tipici parametri di flusso del sistema capillare.

4.2. Motilità e adesione cellulare

L’architettura caratteristica di un qualsiasi tessuto è il risultato di una molteplicità di processi cellulari [1]. Oltre a considerare anche il ruolo della matrice extracellulare secreta dalle cellule, bisogna distinguere tra i processi legati al ciclo cellulare (crescita, divisione, differenziamento, morte) e processi legati alla motilità delle cellule (migrazione e rimodellamento della ECM). Questi processi, soprattutto la velocità e la direzione di migrazione, sono controllati e diretti da tre tipi di interazioni:

- interazioni cellula-cellula;

- interazioni cellula-matrice;

- interazioni cellula-fase fluida.

Imparare come manipolare sperimentalmente questi processi è sicuramente un aspetto

(3)

cruciale dell’Ingegneria Tissutale, ma per tale scopo è importante prendere comunque in considerazione i sistemi dinamici complessi che sono il cuore della formazione dei pattern tessutali e che stanno anche alla base dello sviluppo embrionale. Capire e sfruttare questi processi richiede non solo la conoscenza della risposta motoria delle cellule ma anche la comprensione degli stessi meccanismi della motilità cellulare.

Ross Harrison, l’inventore delle colture tessutali, nel 1912 fece un esperimento alquanto singolare: piazzò in alcune colture dei segmenti di tela di ragno e osservò che nell’interazione con le cellule non solo è importante la consistenza del materiale ma anche l’arrangiamento geometrico e il pattern della sua superficie. Nel caso specifico, la tela di ragno era in grado di influenzare la direzione di movimento delle cellule.

Dagli esperimenti di Harrison, oggi è noto che una cellula che si trova adesa ad una fibra sottile in un mezzo fluido è vincolata a muoversi bidirezionalmente lungo l’asse della fibra.

Questo comportamento è noto come stereotropismo o guida da disponibilità di substrato ed ha rilevanza nei movimenti attraverso le fibre della matrice cellulare. Altro studioso ad occuparsi di questo tipo di fenomeni fu Paul Weiss: egli scoprì che su fibre con circonferenza di 200 μm (circa 10 volte la lunghezza tipica di un fibroblasto) le cellule continuano a muoversi parallelamente all’asse della fibra, come se fossero in grado di percepire la geometria cilindrica della fibra stessa.

Numerosi esperimenti di adesione sono stati fatti su capillari di vetro di vario diametro realizzati con una semplice procedura di glass-pulling

1

.

In Figura 4.1(a) è mostrata la schematizzazione di un fibroblasto attaccato ad una superficie cilindrica convessa. È stato osservato che i fibroblasti riescono a percepire profili di curvatura con raggio fino a 100 μm e si suppone che questa capacità sia dovuta ad una sorta di “profilo teso” formato da filamenti di actina che si estendono nel citoplasma a partire dal sito di adesione.

Questi filamenti di actina, chiamati anche fibre di stress, si formano e si staccano continuamente durante l’adesione o la locomozione della cellula su un substrato e sono anche in grado di esercitare forze di trazione sul substrato stesso.

In Figura 4.1 i fasci di filamenti di actina sono mostrati come gruppi di linee rette parallele che si attaccano al substrato in maniera tangente. È stato osservato che questi filamenti si

1 Glass-pulling: procedura grazie alla quale un capillare di vetro, se riscaldato e sottoposto a trazione lungo l’asse longitudinale, produce fibre di vetro sottilissime.

(4)

formano in numero minimo in condizioni di scarsa adesione e quindi per superfici molto convesse e le fibre esercitano la minima trazione sul substrato.

Figura 4.1: Adesione di fibroblasti su vari substrati; le linee rette rappresentano i filamenti di actina.

Su superfici cilindriche concave come quelle in Figura 4.1(b) le cellule non hanno una guida lungo l’asse del cilindro ma tendono ad orientarsi perpendicolarmente ad esso.

Questo avviene perché questo tipo di superfici favoriscono la formazione di fibre, dirette quasi ortogonalmente alle pareti, che tendono a sollevare il corpo cellulare prevenendo lo spreading lungo l’asse del cilindro.

Su superfici che presentano un cambiamento nell’inclinazione come quelle in Figura 4.1(c) il comportamento delle cellule è ancora diverso: la locomozione verso destra nella Figura 4.1 è inibita se l’angolo di inclinazione è superiore all’angolo al quale normalmente le fibre di actina incontrano una superficie piana. Superfici come questa, realizzate con tecniche ad elevata precisione, hanno mostrato che il massimo valore per questo angolo è 4 gradi e grazie alla microscopia elettronica è stato osservato che le fibre di actina terminano precisamente nel punto dove l’inclinazione diventa maggiore di questo angolo.

Molto interessanti sotto il punto di vista dell’adesione sono infine le superfici che

presentano pattern di canali che mimano in un certo qual modo la parte fibrillare della

matrice extracellulare. Realizzare un texturing casuale è molto semplice (basta utilizzare

della carta abrasiva su un substrato adatto) ma per pattern regolari e ad alta definizione è

necessario impiegare tecniche più complesse (ad esempio la fotolitografia). Substrati come

quello in Figura 4.1(d) sono stati usati per determinare la larghezza e la profondità dei

canali che consentono alla cellula di formare fibre di actina all’interno del canale o sulla

sua sommità. In questo modo canali di dimensioni opportune potrebbero fungere da binari

sui quali far migrare le cellule.

(5)

4.3. Scelta del Tipo Cellulare

La scelta del tipo cellulare è ricaduta sui fibroblasti murini

2

della linea NIH-3T3. I fibroblasti sono cellule tipiche del tessuto connettivo in grado di produrre la componente fibrillare. Il loro citoplasma è vacuolizzato e circonda un nucleo ellittico. Questo tipo di cellule produce collagene, glicosamminoglicani, glicoproteine e fibre elastiche e reticolari costituenti tipici della matrice extracellulare (ECM). Durante la crescita i fibroblasti si dividono e sintetizzano le sostanze di base; la loro mitosi viene inoltre stimolata da un danno ai tessuti. I fibroblasti possono dare origine ad altre cellule come le cellule ossee (osteociti), cellule del tessuto adiposo (adipociti) e cellule muscolari, tutte di origine mesodermica. Per la loro capacità di proliferare facilmente, i fibroblasti costituiscono sicuramente il tipo cellulare più diffuso nei laboratori di ricerche biologiche. Spesso, fibroblasti ricavati da embrione di topo vengono impiegati come cellule di supporto metabolico (feeder cells) nelle colture di cellule staminali.

Figura 4.2: Fibroblasti murini della linea cellulare NIH 3T3 colorati con DAPI3.

Quindi, questo tipo cellulare si pone come ideale candidato per una serie di motivi:

- Facile reperibilità;

- Ridotte problematiche legate alla coltura;

- Veloce proliferazione;

- Assenza di inibizione da contatto;

2 Fibroblasti estratti da topi di tipo Wistar.

3 Composto fluorescente che si lega al DNA cellulare.

(6)

- Capacità di produrre grandi quantità di ECM

4

.

Tra quelli elencati, i criteri di scelta sono fondamentalmente gli ultimi due: non avendo inibizione da contatto, le cellule formeranno strutture composte da numerosi strati cellulari, mentre grazie alle varie componenti di ECM prodotte, tali strutture risulteranno più compatte e meccanicamente resistenti.

Utilizzando una linea cellulare con le caratteristiche sopraelencate si può maggiormente indirizzare l’experimenalt design verso gli aspetti tecnici del progetto piuttosto che verso quelli cellulari. Ovviamente, viste le finalità applicative elencate nel precedente capitolo, l’evoluzione più immediata dell’esperimento coinvolgerà fibroblasti di origine umana in sostituzione di quelli murini.

4.4. Scelta del materiale di sostegno

Come accennato nei capitoli precedenti, alla base di una applicazione di Tissue Engineering si trova spesso uno scaffold: una struttura, realizzata in un opportuno materiale, con una idonea forma e con determinate dimensioni, che permette di guidare la crescita cellulare secondo una struttura tridimensionale prestabilita.

Nel caso in questione, la struttura finale da ottenere è assimilabile a condotti cilindrici formati da fibroblasti e elementi di ECM da essi prodotti.

Per questa applicazione possiamo elencare alcuni importanti requisiti che lo scaffold dovrà possedere e che possono essere inseriti tra le “specifiche di progetto” dell’esperimento:

- per l’approccio strutturale, nella quale lo scaffold serve da sostegno e verrà meccanicamente rimosso, occorre un materiale biocompatibile, non citotossico e non bioreodibile che consenta l’adesione cellulare naturalmente o con trattamenti superficiali;

- per l’approccio tissutale, nella quale lo scaffold serve inizialmente da sostegno ma verrà col tempo degradato, occorre un materiale biocompatibile, non citotossico e bioerodibile che consenta l’adesione cellulare naturalmente o con trattamenti superficiali e che si degradi senza lasciare tracce di sé in un periodo breve (ideale

4 È stato accertato che colture di fibroblasti possono essere stimolate nella produzione di matrice extracellulare attraverso l’aggiunta di acido ascorbico tra le componenti del terreno di coltura.

(7)

sarebbe 30–60 giorni in quanto tale intervallo di tempo è ragionevolmente sufficiente per la formazione di un adeguato strato di cellule);

- Caratteristiche in comune a entrambi gli approcci sono una struttura cilindrica con diametro da 100 a 250 μm e una facile reperibilità.

Con queste specifiche, il primo materiale preso in considerazione per il primo approccio è sicuramente il nylon: facilissimo da reperire in un vasto range di diametri (0.1 mm, 0.15 mm, 0.18 mm, ecc.).

Per il secondo, la scelta è stata diretta verso la classe dei fili da sutura chirurgica riassorbibili: ne esistono di diversi materiali, i tempi di assorbimento sono vari, sono disponibili in diversi diametri, alcuni di essi sono facilmente reperibili.

4.5. Fili in nylon come scaffold

Oggi con il termine nylon si indicano tutte le poliammidi ma tale termine deriva dal nome commerciale di una resina sintetica poliammide, ottenuta per polimerizzazione di acido adipico ed esametilendiammina, sviluppata nel 1934 da un équipe statunitense per conto della DuPont.

Caratterizzato da grande resistenza, tenacità ed elasticità, il nylon è insolubile in acqua e nei solventi organici tradizionali, ma è solubile nel fenolo, nel cresolo e nell'acido formico;

la sua temperatura di fusione è 263 °C.

Figura 4.3: Tipica reazione di polimerizzazione a stadi (detta anche policondensazione) attraverso la quale si ottiene una unità di nylon 6,6 e una unità di acqua come prodotto di scarto.

(8)

L’impiego più largo del nylon è nell’industria tessile: i fili, ricavati per estrusione, vengono solidificati da un getto d'aria e vengono stirati fino a raggiungere anche quattro volte la loro lunghezza originaria. Il diametro viene controllato modificando sia la pressione con la quale il nylon fuso viene spinto nella filiera sia la trazione esercitata su di esso. Il nylon può essere prodotto in fili più sottili di quanto si possa fare con le fibre tessili tradizionali e può essere colorato. Le fibre di nylon possono avere diametri molto più piccoli delle fibre naturali e possono assumere l'aspetto e la lucentezza della seta o del cotone. Inoltre la loro resistenza alla trazione è di gran lunga superiore a quella di lana, seta e cotone.

Le fibre di nylon trovano numerose altre applicazioni: ad esempio per fabbricare paracadute, calze, fili per suture chirurgiche, corde per racchette da tennis, setole per spazzole, funi, lenze e reti da pesca. Il nylon fuso può anche essere stampato per fabbricare manufatti come pettini, utensili da cucina, ruote dentate e altre parti di macchine, guarnizioni, manicotti isolanti ecc.

Nella presente applicazione è stato utilizzato un filo da pesca in nylon che si presenta trasparente alla luce, estremamente levigato in superficie e ha un diametro nominale di 0.1 mm

Figura 4.4: Ingrandimento al microscopio ottico del filo in nylon.

4.6. Fili riassorbibili come scaffold

Quando si riporta una ferita, l’organismo tende a produrre nuovo tessuto per chiudere

la lesione e ripristinare la continuità della propria superficie; tale processo prende il nome

di cicatrizzazione. Se la ferita è molto profonda, però, la cicatrizzazione risulta più lenta e

(9)

sussiste il rischio di infiltrazione di agenti infettivi (batteri patogeni) all’interno dell’organismo stesso. La ferita può in questo caso infettarsi con la conseguente formazione di pus e rallentamento della capacità autoriparativa del tessuto.

Nel caso di ferite profonde inoltre, il processo di riparazione del tessuto può determinare la formazione di una cicatrice che può risultare deturpante. Pertanto, allo scopo di favorire la chiusura della ferita, una corretta cicatrizzazione e prevenire la disidratazione, in genere si interviene chirurgicamente e si riavvicinano i lembi della ferita applicando dei “punti di sutura” con appositi aghi e fili.

La sutura delle ferite ha origini antiche: la prima descrizione è stata riscontrata in un papiro del XVI secolo a.C. mentre sono opera del medico greco Ippocrate i primi testi di traumatologia che enunciavano le regole necessarie al trattamento e alla sutura delle ferite.

Nel 1897 Lister mette in evidenza che la sterilizzazione con acido fenico dei fili evitava la crescita batterica su di essi e quindi la conseguente infezione della ferita.

La modalità con cui la ferita viene suturata può essere differente, a seconda dell’organo colpito e della regolarità del margine della ferita stessa. Anche il tipo di filo utilizzato è variabile: si possono utilizzare materiali naturali come la seta o speciali materiali sintetici; i punti applicati possono necessitare della rimozione dopo che il processo di cicatrizzazione si è completato oppure possono essere riassorbiti dal tessuto del paziente.

In ambito medico i fili da sutura, assieme ad aghi e nodi, vengono definiti mezzi di sintesi tradizionali. Secondo la terminologia medica con il termine sintesi si intende “ristabilire, mediante stabile avvicinamento, forma e funzione di tessuti artificialmente divisi”.

Figura 4.5: Mezzo di sintesi tradizionale, ago ricurvo “montato” su porta-aghi.

(10)

I fili da sutura possono essere classificati secondo diversi criteri:

ƒ in base all’origine: naturali/sintetici;

ƒ in base all’assorbibilità: riassorbibili/non riassorbibili;

ƒ in base al numero di filamenti: monofilamento/multifilamento;

ƒ in base alla capillarità: capillari/non capillari.

I fili riassorbibili naturali provocano spesso una maggiore risposta tessutale poiché vengono attaccati da enzimi, mentre quelli sintetici vengono idrolizzati ed hanno quindi un minor grado di risposta dopo l’impianto. Oggi, per questo motivo, alcuni materiali naturali come il catgut, la seta ed il lino sono stati praticamente abbandonati per essere sostituiti dai monofilamenti sintetici, in particolare da quelli riassorbibili.

Il fenomeno della capillarità può verificarsi nel caso in cui vengano adoperate suture multifilamento non rivestite, dove gli interstizi esistenti, comportandosi da piccoli capillari, determinano la diffusione di agenti batterici con rischio di infezione.

In genere la lunghezza dei fili, preparati in confezioni sterili sigillate, è intorno ai 50 cm (dai 30 ai 90 cm.) mentre il diametro, come già detto, varia in un vasto range. Nella vecchia farmacopea americana (scala USP) i calibri venivano contraddistinti da numeri convenzionali che andavano da 7-0 (sette-zero) a 4 per i fili riassorbibili naturali e da 12-0 (dodici-zero) a 6 per quelli sintetici o per i fili non riassorbibili. Nel sistema europeo oggi adoperato (scala metrica), il numero del filo equivale al valore del suo diametro in decimi di millimetro e va da 0.1 a 8, indipendentemente dal tipo. A titolo di esempio:

un filo 4-0 riassorbibile sintetico o non riassorbibile americano equivale ad un filo 1,5 europeo ed indica un filo di calibro pari a 0,15 mm;

un filo 1 riassorbibile naturale americano corrisponde al 5 europeo equivalente ad un calibro di 0.50 mm;

un filo 7-0 riassorbibile naturale americano corrisponde al 0.7 europeo equivalente ad un calibro di 0.070 mm.

Spesso i fili da sutura vengono anche colorati con coloranti approvati FDA per facilitarne la visibilità nel tessuto. Vediamo alcune delle caratteristiche e delle proprietà dei fili da sutura più utilizzati.

Con riferimento alle specifiche di progetto elencate in precedenza, la scelta del materiale per il secondo tipo di approccio deve essere fatta tra i fili da sutura chirurgica riassorbibili.

I fili da sutura riassorbibili sono oggi essenzialmente costituiti da poliesteri. Tale classe di

polimeri viene spesso utilizzata in applicazioni “temporanee” all’interno dell’organismo o

(11)

in ambienti acquosi in quanto soggetti a degradazione e riassorbimento per via idrolitica.

Sotto il nome di idrolisi rientrano diverse reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa, in due o più parti, per inserimento di una molecola di acqua. Le reazioni di idrolisi sono tra le più varie; alcune sono spontanee, altre hanno bisogno di catalizzatori (spesso si tratta di acidi o basi). Nei sistemi viventi le idrolisi sono spesso catalizzate da specifici enzimi. Nel caso dell’idrolisi degli esteri, i prodotti di reazione sono acidi carbossilici e alcoli.

Figura 4.6: Schematizzazione del processo di idrolisi: AB è una molecola generica che si dissocia in due parti, A+ e B-.

I fili da sutura riassorbibili sintetici possono essere preparati come monofilamenti o multifilamenti intrecciati, in questo caso sono a volte ricoperti con una guaina polimerica e vengono definiti multifilamento rivestiti. Hanno un’ottima tollerabilità biologica ed il processo di riassorbimento comincia dopo 10–15 giorni per completarsi in 90 giorni (e.g.

Dexon

®

) o 180 giorni (e.g. PDS

®

) giorni.

Per completezza, in Tabella 4.1 sono stati riportati i fili da sutura in materiali naturali ma il loro impiego è attualmente in disuso. In Tabella 4.2 sono invece state riportate le principali tipologie di filo da sutura sintetico.

Tabella 4.1: Fili da sutura ricavati da fibre naturali.

(12)

Tabella 4.2: Fili da sutura ricavati da fibre polimeriche di sintesi.

Possiamo adesso brevemente soffermarci sulle caratteristiche di ciascun materiale tra quelli riassorbibili, tralasciando gli aspetti “chirurgici” (come ad esempio la resistenza alla trazione, la memoria o la tenuta dei nodi) in quanto non particolarmente determinanti nella scelta per la presente applicazione.

Il catgut è una sutura naturale riassorbibile costituita da un multifilamento, ottenuto dalla sottomucosa di intestino ovino o dalla sierosa dell'intestino bovino, che viene successivamente lucidato per renderlo simile ad un monofilamento. Resiste inalterato nei tessuti per un periodo di circa 8 giorni; viene poi degradato entro 30 giorni per digestione enzimatica dall'azione di linfociti e macrofagi. Se l’ambiente è ricco di fluidi (es. cavità orale) subisce un aumento volumetrico del 40% in seguito al loro assorbimento. Da ricordare inoltre la sua elevata capillarità. Oggi grazie all'aggiunta di sali di cromo al prodotto di partenza è possibile ritardare il riassorbimento sino al 18° giorno.

L'Acido Poliglicolico (nomi commerciali: DEXON

®

, DEXON PLUS, DEXON II, SAFIL

®

, GORE RESOLUT

®

, DARVIN

®

) costituisce fili da sutura multifilamento intrecciati e può presentarsi in forma non rivestita (Dexon) e rivestita (Dexon plus, Safil, Gore resolut). Il rivestimento consente di ottenere una struttura pseudo-monofilamentosa che riduce la capillarità. Presenta un lento riassorbimento che si completa intorno al 90°

giorno per scissione idrolitica delle catene polimeriche. Nel Dexon II l’intreccio viene

trattato con una sostanza idrofoba (policapronolattone-co-glicolide); Nel Safil verde

(13)

l'intreccio viene rivestito con stereato di magnesio, nel Gore Resolut con policaprolato.

Il Poliglactin 910 (nome commerciale: VICRYL

®

) è un multifilamento sintetico riassorbibile costituito per il 90% da acido glicolico e per il 10 % da acido lattico. Viene completamente degradato in 90° giornata. Presentato in commercio rivestito con stereato di calcio, a volte presenta un riassorbimento così lento da richiederne l'asportazione.

Il Polidiossanone (nome commerciale: PDS

®

) è un monofilamento sintetico riassorbibile derivato dall'acido glicolico, per sostituzione dell'atomo di ossigeno legato al secondo carbonio con due atomi idrogeno. Il riassorbimento è completo intorno al 180° giorno.

Essendo un monofilamento presenta ridotta capillarità e ridotta adesione batterica.

Il Poligliconato (nome commerciale: MAXON

®

) è un monofilamento sintetico riassorbibile costituito per il 67,5% da acido poliglicolico e per il 32,5% da carbonato di trimetilene. Il riassorbimento avviene in circa 8 mesi per idrolisi macrofagica.

Il Poliglecaprone 25 (nome commerciale: MONOCRYL

®

) è una sutura sintetica riassorbibile prodotta dalla Ethicon, monofilamento non colorata che presenta ridotta capillarità e ridotta adesione batterica.

La tipologia di filo riassorbibile utilizzata per la presente applicazione è il DEXON plus (1 metrico, 5-0 USP) prodotto dalla Syneture. Si tratta di un multifilamento intrecciato di acido poliglicolico rivestito con Poloxamer 188 per ridurne la capillarità. Il diametro corrisponde a 100 μm nominali.

Figura 4.7: Confezione sigillata del filo da sutura riassorbibile Dexon plus.

(14)

Figura 4.8: Ingrandimento al microscopio ottico del filo Dexon plus 5-0.

4.6.1 Processo di riassorbimento dei fili

L’acido poliglicolico o poliglicolide (PGA) è un polimero biodegradabile, termoplastico ed è il più semplice membro della famiglia dei poliesteri lineari alifatici. Può essere sintetizzato tramite condensazione o polimerizzazione ad apertura d’anello dell’acido glicolico. La capacità di questo polimero di formare fibre molto resistenti, è nota fin dal 1954 [2]. Tuttavia, a causa della sua instabilità idrolitica, il suo uso è stato limitato.

Attualmente invece, il PGA ed i suoi copolimeri sono ampiamente utilizzati come materiali per la preparazione di suture riassorbibili e sono anche al centro di numerosi studi in campo biomedico [3].

Il PGA possiede una temperatura di transizione vetrosa compresa fra i 35-40 °C ed una temperatura di fusione individuabile fra i 225-230 °C. Altra caratteristica è l’elevato grado di cristallinità (attorno al 45-55%) che lo rende insolubile in acqua. In generale, il PGA ad alto peso molecolare non è solubile in nessun solvente organico comunemente usato (acetone, diclorometano, cloroformio, acetato di etile e tetraidrofurano), mentre gli oligomeri a basso peso sono caratterizzati da proprietà fisiche sufficientemente diverse da essere invece solubili. Solventi contenenti un elevato numero di atomi di fluoro (e.g.

esafluoroisopropanolo e esafluoroacetone) sono tuttavia in grado di dissolvere il PGA ad alto peso molecolare, permettendo di creare soluzioni, utili nella preparazione di fibre e film [4]. Le fibre di PGA si presentano anche molto rigide, sono caratterizzate da un valore abbastanza elevato del Modulo di Young (7 GPa).

Il PGA è caratterizzato da instabilità idrolitica a causa della presenza nella sua struttura di

una serie di legami di tipo estereo. Il processo di degradazione è erosivo e sembra seguire

due passaggi, durante i quali il polimero viene riconvertito ad acido glicolico.

(15)

ƒ Prima fase: l’acqua si insinua nelle regioni amorfe non cristalline del materiale, scindendo i legami estere presenti;

ƒ Seconda fase: inizia quando la regione amorfa è stata erosa, lasciando esposta all’azione dell’acqua la porzione cristallina del polimero. Quando la struttura cristallina collassa, la catena polimerica si dissolve.

Quando esposto a condizioni fisiologiche, il PGA si degrada ad opera di processi di idrolisi casuale, ma anche ad opera di alcune classi di enzimi (in particolare appartenenti alla famiglia delle esterasi). Il prodotto di degradazione, l’acido glicolico, è non tossico e può entrare nel ciclo di Krebs, al termine del quale viene secreto in forma di acqua e anidride carbonica. Una parte dell’acido glicolico viene anche eliminata in forma di urina [5].

Gli studi condotti su suture realizzate in acido poliglicolico hanno mostrato come il materiale perda la metà della sua resistenza in circa due settimane ed il 100% in un mese. Il polimero viene poi completamente riassorbito dall'organismo in una finestra temporale di 4-6 mesi.

Figura 4.9: Processo di idrolisi dell’acido poliglicolico; n indica il grado di polimerizzazione, R' e R'' indicano la restante parte della catena.

Come già accennato, negli anni che seguirono la sua scoperta, il PGA veniva considerato

un polimero di classe inferiore a causa della sua facilità di degradazione. Fu nel 1962 che

questo materiale ebbe il suo exploit poiché fu utilizzato per sviluppare la prima sutura

sintetica riassorbibile e venne brevettato con il nome “Dexon”. Poiché le fibre erano

resistenti ed in grado di degradare fino a monomeri idrosolubili, le suture preparate con

(16)

questo materiale riscossero un notevole successo nel campo della chirurgia, in particolare per il vantaggio di non dover eseguire successive operazioni per la rimozione dei punti.

Utilizzando PGA sono stati preparati anche dispositivi medici impiantabili biodegradabili, come viti, piatti, bacchette e spilli.

Il ruolo giocato dal PGA nel campo delle suture biodegradabili ha poi aperto la via all’utilizzo di questo materiale anche in campo biomedico, ad esempio nel settore dell’Ingegneria Tissutale (realizzazione di scaffold con diversi approcci) e del rilascio controllato di farmaci.

Allo scopo di ottenere polimeri con caratteristiche specifiche, diversi copolimeri del PGA

sono stati preparati usando altri monomeri. I copolimeri presentano caratteristiche

intermedie in termini di velocità di degradazione e solubilità a seconda del rapporto fra i

vari monomeri usati nella sintesi e della natura stessa di tali monomeri.

(17)

Bibliografia

[1] G.A. Dunn: “Cell motility and tissue architecture”. Chapter 117, Biomedical Engineering Handbook, 2000.

[2] D.K. Gilding, A.M. Reed: “Biodegradable polymers for use in surgery - polyglycolic/poly(lactic acid) homo- and copolymers: 1”. Polymer 20: 1459-1464.

DOI:doi:10.1016/0032-3861(79)90009-0 (December 1979).

[3] J. Middleton, A. Tipton: “Synthetic biodegradable polymers as medical devices”.

Medical Plastics and Biomaterials Magazine (March 1998).

[4] E. Schmitt: “Polyglycolic acid in solutions”, U.S. Pat 3 737 440, 1973.

[5] P.A. Gunatillake, R. Adhikari: “Biodegradable Synthetic Polymers for tissue

engineering”. European Cells and Materials 5: 1-16, (2003) ISSN: 1473-2262.

Riferimenti

Documenti correlati

La caratterizzazione di un sensore termico di portata per liquidi non è stata mai investigata in modo esaustivo in letteratura; il presente lavoro di tesi, dunque,

ogni scheda per causa di morte riporta il link al quale collegarsi per consultare e scaricare le tabelle dei rischi relativi suddivisi per Comune e per genere. una cartella

Interpretando x,y,z come coordinate si dica qual è la mutua posizione dei 3 piani rappresentati dalle equazioni del sistema al variare di k reale. In tal caso il sistema è

[r]

LE RETTE SONO LINEE CHE MANTENGONO LA STESSA DIREZIONE SENZA INIZIO

Premettendo che il ROI fornisce una misura del grado di efficienza della gestione aziendale e, pertanto, esprime l’attitudine dell’azienda a produrre reddito attraverso la

© The Author(s). European University Institute. Available Open Access on Cadmus, European University Institute Research Repository... weapons trade, fraud and money

Oltre ad essere utile come applicazione di concetti e formule fino a qui illustrati, questo studio metter` a chiaramente in evidenza la inadeguatezza della teoria classica