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Questo intellettuali sono stati denominati (e si denominano essi stessi) neoconservatori, in omaggio alle loro origini progressiste, ed alla loro relativamente recente trasformazione in senso conservatore.

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Introduzione.

Dal 2001 in poi un gruppo di intellettuali e politici americani, in precedenza del tutto sconosciuto fuori degli USA, ha acquisito una grande importanza: venendo apparentemente dal nulla esso è arrivato ad acquisire una notevole influenza nella politica statunitense.

Questo intellettuali sono stati denominati (e si denominano essi stessi) neoconservatori, in omaggio alle loro origini progressiste, ed alla loro relativamente recente trasformazione in senso conservatore.

I neoconservatori hanno avuto un ruolo importantissimo nel promuovere e progettare l’invasione statunitense dell’Iraq, cui in gran parte si deve la loro notorietà internazionale, ed hanno influenzato buona parte della politica estera dell’amministrazione Bush, nella quale era all’inizio presente un notevole numero di aderenti al movimento

1

, distribuiti praticamente in tutti i dipartimenti chiave.

1 Tra cui Paul Wolfowitz: sottosegretario alla Difesa nella prima amministrazione Bush, è poi passato alla Banca Mondiale, dalla quale successivamente è stato costretto a dimettersi. Una figura, quella di Wolfowitz, molto importante per comprendere la genesi del conflitto iracheno.

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La sfida neoconservatrice.

I neoconservatori non sono unicamente e semplicemente un gruppo di pressione: sono anche un complesso movimento d’opinione, con una peculiare base teorica, nella quale la diffusione della democrazia e l’uso del potere (nonché la sua legittimità) si sostengono e consolidano a vicenda; tutto ciò inoltre si intreccia con la visione neoconservatrice del primato globale statunitense

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.

Per quanto rimasto influente per pochissimo tempo

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, questo movimento ha contribuito a plasmare in maniera determinante l’attuale scenario internazionale, il quale, senza ombra di dubbio, sarebbe stato molto diverso senza di esso

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; comprendere il neoconservatorismo, la sua concezione della realtà e la sua strategia d’azione risulta quindi estremamente importante: non solo per semplice interesse accademico, ma anche per capire la realtà del nostro tempo.

2 Risulta inoltre necessario puntualizzare quanto segue: benché il termine “neoconservatorismo”

sia sovente impiegato anche per individuare altre forme di conservatorismo (o addirittura per definire movimenti di opinione estranei agli Stati Uniti) , tale uso del termine è improprio, e provoca confusione.

3 Infatti la parabola del potere neoconservatore si attua quasi del tutto all’interno delle due amministrazioni Bush, e attualmente tale influenza è molto minore che in passato. Un esempio di ciò sono le doglianze di Michael Rubin. cfr. Michael Rubin, U.S. Policy: Back to the Future, http://www.aei.org/publications/filter.all,pubID.26248/pub_detail.asp

4 Anche se, ovviamente, le trasformazioni avvenute a livello globale non rispecchiano affatto quelli che erano i progetti e le speranze dei neoconservatori,.

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La “sfida” lanciata dal neoconservatorismo all’ordine globale (che nelle sue intenzioni originali doveva essere cambiato in meglio) è stata infatti radicale e diretta, e le sue conseguenze saranno durature e, in molti casi, permanenti.

Non basta una semplice enunciazione degli eventi dal 2001 in poi: comprendere tale “sfida” significa prima di tutto esaminare i presupposti teorici e la visione che l’hanno originata.

Struttura.

Il primo capitolo di questo lavoro si occuperà dell’origine del moderno movimento neoconservatore: un’origine da ricercarsi nell’atteggiamento statunitense nel primo periodo della Guerra Fredda, ovvero il cosiddetto Cold War Liberalism, che adottava una fortissima contrapposizione ideologica con il blocco sovietico.

Nella condivisione di tale atteggiamento, caratterizzato da una

assoluta intransigenza e sospetto verso l’URSS, nascono i

moderni neoconservatori, a quel tempo ancora schierati

nell’area progressista del panorama politico americano, e cioè

nel partito democratico.

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Si vedrà quindi come la sconfitta patita in Vietnam avvii un lungo processo di trasformazione, che alla fine porterà i neocon ad entrare nel campo repubblicano, allo scopo di salvare i valori del Cold War Liberalism, minacciati dal naufragio seguito alla sconfitta, ed ormai screditati.

Nell’ambito di tale trasformazione i neoconservatori dovranno lottare non solo contro le pulsioni pacifiste in seno alla società americana, ma anche contro la visione di una politica estera disincantata e libera da eccessive preoccupazioni morali: la cosiddetta Realpolitik, un modello alternativo a quello neoconservatore, incarnato dalla figura di Henry Kissinger.

Nell’ambito di tale processo si viene a consolidare il nome stesso “neoconservatore”: nato a sinistra per criticare il rifiuto neocon dei valori della New Left, e la loro mascherata appartenenza al campo conservatore (in un momento in cui i futuri neocon militavano ancora nel partito democratico), tale epiteto diviene ben presto realtà con il passaggio neocon in campo repubblicano, e alla fine viene rivendicato con orgoglio, e non più percepito come denigratorio.

Il secondo capitolo tratterà invece del rapporto tra

neoconservatorismo e democrazia: rapporto fondamentale ed

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imprescindibile, dato che l’ancoraggio ai valori democratici, e la necessità di diffondere la democrazia laddove non sia presente, sono elementi centrali per la visione neocon e per le loro proposte di politica estera.

Nel quadro di tale questione è di certo importante la figura di Francis Fukuyama, per molto tempo aderente al movimento, e successivamente da esso distaccatosi (non per dissidi ideologici, ma piuttosto a causa del fallimento neoconservatore nell’invasione irachena).

Uno dei testi di Fukuyama, intitolato La Fine della Storia, si rivelerà comunque preziosissimo per comprendere la visione neocon di una politica estera sensibile ai valori democratici.

Politica estera che per i neocon deve coincidere con una forte spinta ad esportare la democrazia, con tutti i mezzi necessari (e quindi implicitamente, anche con la forza); ciò dovrebbe servire non solo a migliorare le condizioni del genere umano, ma anche a salvaguardare la stessa sicurezza dei paesi democratici, in primis gli USA.

Nel terzo capitolo verrà invece affrontata la questione del

potere e dell’uso della forza, che per i neoconservatori ha una

grandissima importanza.

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Importanza del resto logica, considerando che la loro strategia consiste nel riformare e trasformare in senso democratico l’ordine globale, sfida che può essere vinta (ammesso e non concesso che lo possa essere) solo con l’uso della coercizione contro i riottosi.

Si considererà anche il pensiero del noto neoconservatore Robert Kagan, che nel suo Paradiso e Potere ha messo a confronto le visioni relative al potere degli USA e dell’Europa, definite come, rispettivamente, “hobbesiana” e “kantiana”.

Nel quarto capitolo ci si occuperà invece del problema rappresentato dalla legittimazione del primato statunitense: a questo proposito l’opera di Kagan risulterà particolarmente preziosa, anche se le soluzioni trovate dallo studioso americano non risulteranno molto soddisfacenti nel definire la questione.

Tali soluzioni verranno comunque esaminate attraverso un confronto con il Leviatano di Hobbes, che esplicitamente viene utilizzato da Kagan per tratteggiare il ruolo del primato globale statunitense, paragonandolo al sovrano hobbesiano.

Inoltre per Kagan, come vedremo, la legittimazione data dal

potere non è sufficiente, e il primato americano è giustificato

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anche dalla sua democraticità, garanzia contro sue eventuali esasperazioni o arbitrii.

Infine il quinto e ultimo capitolo sarà dedicato al fallimento del

progetto neoconservatore, o, per meglio dire, alle sue cause

fondamentali: cause che in breve si riducono

all’incomprensione dei limiti che vincolano l’uso del potere nello

scenario globale; limiti che il paragone fatto da Kagan con il

Leviatano di Hobbes (che pur essendo affascinante e

appagante per i neocon si rivela alla fine improprio) impedisce

di percepire.

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