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Luciana Salibra, Riscrivere. Cinema e letteratura di consumo (Rohmer, Moravia, Olivieri, Tomasi di Lampedusa). Firenze, Franco Cesati, 2008. ISBN: 978-88-7667-348-1

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Luciana Salibra

Riscrivere. Cinema e letteratura di consumo (Rohmer, Moravia, Olivieri, Tomasi di Lampedusa)

Firenze Franco Cesati 2008

ISBN: 978-88-7667-348-1

«Il filo che lega i quattro lavori presenti in questo volume è quello della riscrittura di opere cinematografiche e letterarie» (p. 7). Così Luciana Salibra presenta i quattro saggi intorno al

rimaneggiamento che raccoglie nel volume, traguardandoli a una nozione di grande attualità, poiché sempre più il rifacimento assume le forme di una dialettica tra media diversi, e a una riconosciuta competenza linguistica.

Il primo saggio prende l’avvio dal film del cineasta francese Eric Rohmer, Le rayon vert (1986), chiamato a confrontarsi con una doppia immagine: quella offerta dalla lingua della sottotitolazione che ha accompagnato la prima distribuzione del film in Italia e quella, successiva, datane dal testo tradotto per il doppiaggio. Se Walter Benjamin concludeva la sua riflessione sul compito del traduttore con una magnificazione della versione interlineare, vista come «l’archetipo o l’ideale di ogni traduzione» (Il compito del traduttore, in Angelus novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1995, p. 52), si scopre invece che nel mondo del cinema non sempre la compresenza è garanzia di compenetrazione, specialmente quando si tratta di integrare non due testi scritti, bensì un testo scritto (i sottotitoli) e uno parlato (il francese del film). Ed è quindi proprio il doppiaggio, più libero (e dunque potenzialmente meno fedele), ad assicurare una maggiore vicinanza a quella poetica della realtà tanto ricercata da Rohmer. Il riguardo artigianale dei dialoghisti, che curano il doppiaggio italiano e che hanno dunque il difficile compito di plasmare il parlato filmico in una lingua e in una cultura diverse, consente di soffermarsi sul “dietro le quinte” di un lavoro traduttivo misconosciuto. Il secondo saggio affronta invece il caso del romanzo La Ciociara. Anche qui l’analisi di Luciana Salibra ripropone lo schema di un triangolo culturale, in cui l’immaginario letterario di Moravia, che pubblica il suo romanzo nel 1957, è condotto a vedere il proprio riflesso distorto all’interno di due specchi ad alto coefficiente di deformazione, quali sono il cinema (con il film di De Sica su sceneggiatura di Zavattini uscito nel 1960) e la televisione (con il film a più puntate di Dino Risi, su sceneggiatura di Zapponi, Ravera nonché dello stesso Risi, apparso nel 1989). L’approccio

linguistico consente di distinguere, cogliendo nell’adattamento di De Sica l’accentuazione della presenza del dialetto romano o ciociaro; e, nella trasposizione di Dino Risi, una soluzione

insospettabilmente molto meno banalizzante di quanto il pregiudizio verso un prodotto confezionato per la televisione ci indurrebbe a pensare.

Il terzo e il quarto saggio, dedicati rispettivamente al romanzo di Renato Olivieri Il Caso Kodra, uscito nel 1978 (ridotto per «Selezione» nel 1982) e Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, uscito nel 1958 (ridotto per lo stesso periodico nel 1960), si richiamano completandosi vicendevolmente. Partono da punti della galassia letteraria che appaiono lontanissimi: il poliziesco di Olivieri, la cui ascrizione ad una narrativa di genere rimanda quasi automaticamente ad un’idea di letteratura di consumo; e il capolavoro di Tomasi, che ha generato le reazioni più diverse, dalla entusiastica esaltazione alla più gelida stroncatura, ma non è stato etichettato altrettanto nettamente. Il

trattamento al quale due opere così diverse vengono sottoposte è però identico nel momento in cui entrambe vengono pubblicate nella collana di libri condensati promossa dalla rivista statunitense «Reader’s Digest» (e dunque idealmente proposte allo stesso lettore potenziale), quella pensata per «Selezione del libro», divenuta in seguito «Selezione della narrativa mondiale». Nell’un caso e nell’altro, è stato reso seriale, riassumibile all’interno di una identica filosofia editoriale, ciò che originariamente era nato come prodotto dell’ingegno originale e irriducibile. Le riduzioni intaccano

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«gran parte dell’originalità stilistica dei due autori» (p. 10), ma hanno anche l’effetto “democratico” di schiudere le pagine di questi libri a un «intrattenimento finalizzato soprattutto a sapere “come va a finire”» (p. 10).

La pratica traduttoria che Luciana Salibra ci invita ad osservare ha a che fare, in tutti i casi

esaminati, con la macrocategoria di Triviallitteratur: siano testi di puro servizio come i sottotitoli, o lo siano meno, come il doppiaggio o la trasposizione cinematografica, o infine «narrazioni

velocizzate» (p. 7) pensate per un nuovo pubblico, in ogni caso siamo nell’ambito del «secondario» e del derivato, del «testo che per mano d’altri diventa cosa diversa da ciò che era» (p. 7). Ci si può dedicare alla letteratura di consumo accantonando ogni giudizio di valore, con la ferma convinzione che la possibilità di cogliere lo spirito di una civiltà risieda non solo nelle manifestazioni più

celebrate e unanimamente riconosciute della sua cultura, ma anche (e forse soprattutto)

nell’attenzione al grande pubblico e alle richieste che ne provengono, e che si concretizzano di volta in volta nel cinema, nella televisione e nella stampa periodica di ispirazione popolare.

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