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Capitolo 2

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Academic year: 2021

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1 Capitolo 21

1. Cenni sulla nascita dei rapporti fra economia e società calcistiche italiane

Tutto cominciò, in Italia, il giorno dell'Epifania del 1898, presso il campo sportivo di Ponte Carrega di Genova, vicino al letto del torrente Bisagno, nel quartiere di Staglieno.2 Infatti fu la città ligure a dare i natali al calcio italiano, grazie alla sua

vocazione di grande città portuale e quindi crocevia di persone provenienti da ogni parte del mondo e storicamente legata a doppio filo con l'Inghilterra. Basti pensare al fatto che la bandiera inglese recante la croce di San Giorgio è derivata

dall'analoga bandiera genovese. Proprio a Genova viveva il leggendario medico inglese sir James Richardson Spensley e lì portò con sé alla fine del XIX secolo la sua grande passione: il calcio, ovvero quello sport che nella sua patria era da ormai circa trent'anni (risalgono al 1863 la fondazione della Federcalcio inglese, la Football Association, e le cosiddette Regole di Cambridge, ossia la prima vera

regolamentazione del calcio scritta e riconosciuta) un passatempo diventato qualcosa di sempre più diffuso e preso sul serio. Il dottor Spensley è considerato il maggior pioniere e profeta del calcio in Italia, affiancato da altri inglesi fra cui sono celebri, fra gli altri, William Garbutt e George Fawcus. Fu infatti lui a promuovere e ad aprire agli italiani le attività di un gruppo di alti borghesi appartenenti alla folta comunità inglese residente a Genova, che aveva fondato il 7 settembre 18933 la

1 Le fonti dei dati numerici e statistici e non solo sono sostanzialmente riassumibili per tutto il capitolo (salvo differenti indicazioni) in questo breve elenco: Report Calcio (stilato periodicamente dalla Figc); calcioefinanza.it; Umberto Lago, Alessandro Baroncelli e Stefan Szymanski, Il Business del Calcio, Egea, Milano, 2004; tuttosport.com; 90min.com; calciomercato.com; tifosobilanciato.it; panorama.it; ilsole24ore.com (soprattutto il blog curato da Marco Bellinazzo). Tuttavia, la maggior parte di questi contenuti è rintracciabile presso più fonti.

2 Camillo Arcuri ed Edilio Pesce, Genoa and Genova, GGallery Editore, Genova, 1992. 3 Il gruppo, formato da una dozzina di membri, si era riunito quel giovedì sera presso il Consolato inglese della città, facendone parte anche lo stesso Console e futuro baronetto Charles Alfred Payton. Scopo della riunione fu quello di ufficializzare la fondazione di un circolo polisportivo in realtà già attivo da oltre un anno. Fonte enciclopediadelcalcio.it.

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prima società calcistica italiana,4 il Genoa Cricket and Athletic (diventato poi

"Football" pochi anni più tardi) Club, squadra chiamata infatti con il nome inglese della città, analogamente a quanto accadrà qualche anno più tardi per il Milan o per la dicitura Athletic del Bilbao. In realtà la società oggi attiva di più antica fondazione (1892) è la Pro Vercelli, che però ha aperto la sua sezione calcistica soltanto nel 1903. E fu Spensley ad incentivare proprio la pratica dell'attività calcistica, inizialmente disputata nel piccolo campo di Sampierdarena e considerata come troppo "proletaria" in Inghilterra ed infatti inizialmente snobbata dai fondatori. Il dottor Spensley fu inoltre grande promotore dello scoutismo italiano.

La prima partita di calcio (per come lo intendiamo oggi) ufficiale5 di cui si abbia

notizia fu disputata fra i padroni di casa del Genoa e la cosiddetta Rappresentanza Torino, una formazione data dall'unione di giocatori appartenenti alle squadre

4 Tuttavia pare che questo dato di fatto, universalmente riconosciuto, sia soltanto parzialmente vero. Sarebbe infatti più corretto affermare che il Genoa è la più antica società calcistica in attività e non in senso assoluto. Nella Torino del 1887, infatti, Edoardo Bosio, giovane e brillantissimo atleta della Società Armida di canottaggio, nonché pioniere della cinematografia, fondò il Torino Foot-ball & Cricket Club. Egli aveva lavorato per alcuni anni a Nottingham come contabile ed aveva là conosciuto questo sport nascente, appassionandosene e portandolo nella sua città con l'aiuto dei propri colleghi di lavoro inglesi residenti a Torino. La divisa presentava strisce verticali rosse e nere e colletto bianco. Due anni più tardi Luigi Amedeo di Savoia, il celebre Duca degli Abruzzi, ricordato anche per il suo spirito avventuriero ed atletico, fondò insieme ad altri esponenti della nobiltà una seconda società di quello che veniva all'epoca detto foot-ball, chiamata, non a caso, Nobili Torino. I due progetti si fusero nel 1891 nell'International Foot-ball Club, detta anche Internazionale Torino, che si scioglierà nel 1900 e della quale si dirà nel testo fra poche righe. Il Torino odierno che tutti conosciamo nascerà attraverso altre e conseguenti fusioni nel 1906, mentre la Juventus fu fondata nel 1897 da un gruppo di studenti del prestigioso liceo classico Massimo D'Azeglio che erano soliti ritrovarsi presso una panchina posta in prossimità dello storico Caffè Platti dell'attuale Corso Re Umberto, all'incrocio con Corso Vittorio Emanuele II; questa panchina è considerata il "luogo" dove tutta la storia della Juventus ebbe inizio ed è orgogliosamente conservata nel museo della società. Fonti: Archivio Storico del Comune di Torino; comune.torino.it; La Stampa; storiedicalcio.altervista.org; Fabrizio Turco e Vincenzo Savasta, Il calcio dimenticato, Editori Internazionali Riuniti, Roma, 2014.

5 Il più importante fra gli eventi non ufficiali precedenti a questo è con tutta probabilità quello che fu organizzato a Treviso, in piazza d'Armi a Santa Maria del Rovere, in occasione di una tre giorni di eventi e tornei sportivi indetta dalla Federazione Italiana di Ginnastica fra il 6 e l'8 settembre 1896; il momento più seguito fu la mattinata dedicata al torneo di calcio. Vi parteciparono tre compagini locale, la Società Ginnastica Velocipedistica Trevigiana (che fu anche organizzatrice dell'evento), l'Istituto Turazza ed il Vittorio Veneto e poi la Società Udinese Scherma e Ginnastica e la Società Ginnastica Ferrara; queste ultime due furono le protagoniste della finale, vinta dai friulani con il risultato di 2-0, laureatisi pertanto vincitori con questo torneo di uno scudetto ante litteram. Non a caso i tifosi udinesi hanno attualmente avviato una petizione per richiedere alla Federazione Italiana l'assegnazione ufficiale alla propria squadra dello scudetto 1896. Fonti: La Tribuna di Treviso; La Gazzetta dello Sport.

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dell'Internazionale Torino e del Football Club Torinese dalle quali nascerà poi, nel 1906, il Torino.6 Di questa partita conserviamo un interessantissimo tabellino,7

divertente se letto con gli occhi di oggi, che riporta in veste di bilancio le entrate e le uscite monetarie legate allo svolgimento della partita. Fra le prime voci troviamo esclusivamente gli introiti legati ai costi richiesti agli spettatori per assistere all'incontro, ovvero quelli che nell'odierna economia aziendale sportiva sono dette matchday sources. Si tratta dei biglietti, venduti al costo di 1 lira, molti dei quali riservati ai soci iscritti ed offerti a metà prezzo oppure riservati a prezzo intero a piccoli gruppi legati ad un nominativo di riferimento; fra questi risulta anche lo stesso dottor Spensley. Accanto alla voce "biglietti" ne appare un'altra molto curiosa: per 1 lira aggiuntiva chi voleva poteva affittare una sedia per assistere più comodamente alla partita. Estremamente variegato e buffo appare invece l'elenco delle voci delle uscite: si va dalle spese per le pratiche burocratiche (permesso in carta bollata per poter far disputare la partita), alle paghe per chi vi ha lavorato (custode, segretario, bigliettai, servizio di polizia, richiesto già all'epoca, ed un certo signor Perasso per gli stendardi reali, le orifiamme), alla preparazione del campo da gioco (lavori vari e taglio dell'erba), alle spese di trasporto e di acquisto di tutto il necessario (oltre ad una generica voce di "piccole spese" figurano il fischietto per l'arbitro, i biglietti da vendere, il timbro di gomma e perfino i rinfreschi e l'affitto delle suddette sedie!). Spettava invece agli atleti pagarsi le divise e viaggio ed alloggio senza aver diritto ad alcun rimborso o paga. Alla partita assistettero un totale di 208 persone, fra le quali 154 paganti, 23 soci ed un totale di 31 ingressi aggregati a nominativi; fra questi 84 spesero l'ulteriore lira per aver diritto alla sedia. In totale le entrate raggiunsero quota 280,50 lire, mentre le uscite furono 179,05, facendo registrare un utile complessivo di 100 lire: la partita di calcio offrì quindi, oltre allo svago sportivo, anche un successo economico per gli organizzatori. Pochi mesi più tardi si disputerà il primo Campionato italiano di calcio ufficiale.

6 La partita si tenne nella data e nel luogo suddetti e terminò per 1-0 per i piemontesi grazie alla marcatura del marchese di Savage. L'arbitro per l'occasione fu un reverendo inglese, Richard L. Douglas.

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Giungerà ben presto anche in Italia il professionismo come naturale conseguenza ai rimborsi spese assicurati dalle squadre a calciatori provenienti da altre città per potersene assicurare le prestazioni. Sembra che i milionari stipendi dei calciatori odierni siano nati proprio così: grande scalpore ed indignazione suscitarono nel 1879 voci che sostenevano che la piccola squadra inglese del Darwen fosse protagonista di sorprendenti risultati in Coppa d'Inghilterra grazie alle prestazioni di due scozzesi motivati ad accollarsi i lunghi viaggi necessari per raggiungere il Lancashire da sterline che "misteriosamente" apparivano nelle loro scarpe al termine di ogni partita.8 Tre

anni più tardi il Preston North End fu perfino bandito dalla stessa competizione con l'accusa di aver fatto ricorso a professionisti. E' del tutto eloquente la difesa sostenuta dal club: non negò assolutamente di aver pagato dei calciatori, ammettendo piuttosto che questa era una pratica altrettanto diffusa presso tutte le altre squadre inglesi per assicurarsi i giocatori più talentuosi; inevitabilmente diventò presto lecito pagare gli atleti. E se in Scozia ancora non era stato accettato il professionismo, è facile immaginare l'esodo di calciatori che migravano in squadre inglesi per poter guadagnare dalla propria passione sportiva causando un grave impoverimento tecnico del proprio campionato d'origine. Si tratta di un quadro sorprendentemente simile, per quanto in realtà totalmente differente, a quello che soprattutto a partire dagli anni Novanta ha delineato divari tecnici sempre più marcati fra campionati economicamente più ricchi e più poveri. Anche la federazione scozzese dovette così ammettere il professionismo; ebbe a dire John Herbert MacLoughlin, dirigente dei Celtic Glasgow e promotore della Scottish League che "provare a fermare la marea montante del professionismo sarebbe come provare a fermare le cascate del Niagara con uno sgabello da cucina".9 Quando approdò in Italia il calcio era quindi già

incanalato verso una dimensione professionistica con una futura natura aziendale naturalmente lontanissima, ma le cui fondamenta probabilmente erano già state

8 Trattasi di Fergus Suter e James Love, originari di Glasgow e precedentemente militanti nella propria città, fra le fila del Partick Thistle. Essi sono riconosciuti come i primi due calciatori professionisti della storia. Pare che ricevettero in cambio delle proprie prestazioni sportive per il Darwen anche un posto di lavoro in un cotonificio locale. Julian Norridge, Can We Have Our Balls Back, Please?, Penguin Books Uk, Londra, 2008.

9 Richard William Cox, Dave Russel e Wray Vamplew, Encyclopedia of British Football, Psychology Press, Hove, 2002.

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poste. Tuttavia gli atleti britannici continuarono spesso a difendere gelosamente la propria dimensione dilettantistica per distinguersi con un atteggiamento un po' paradossalmente altezzoso rispetto a chi nel resto del Continente aveva fatto di quello svago una professione. Gli stipendi erano tenuti rigidamente sotto un tetto massimo ancora molto basso ed uguale per tutti gli atleti di qualsiasi categoria per evitare la possibilità alle società più facoltose di accaparrarsi tutti i migliori talenti. Questo meccanismo ricorda il cosiddetto salary cap utilizzato per lo stesso scopo nelle leghe sportive professionistiche degli Stati Uniti e venne abolito dalla Premier League soltanto in tempi molto successivi per le proteste dei diretti interessati, ovvero i calciatori stessi.

In Italia furono gli anni Venti a veder consolidare sia il professionismo dei praticanti che l'approccio più aziendale e volto all'economicità dei presidenti. Il primo calciatore professionista italiano è spesso ritenuto essere stato il vercellese Virginio Rosetta, grandissimo terzino della Juventus e della Nazionale, il quale fu protagonista per questo motivo di uno scandalo, detto appunto "caso Rosetta", che nel 1923 coinvolse tutto il calcio italiano, ancora del tutto impreparato anche in ambito normativo a tali novità. Tuttavia il titolo di primo professionista in Italia pare spettare più correttamente alla coppia formata dal leggendario Aristodemo Santamaria, attaccante del Genoa, ed Enrico Sardi: i due, che vestiranno più volte anche la maglia della Nazionale, furono acquistati insieme, nel 1913, dall'Andrea Doria dietro un compenso di tremila lire, fatto che fu denunciato dall'impiegato di banca dove si recarono a prelevare l'importo e che causò loro una salata multa e ad un anno di squalifica proprio con l'accusa di professionismo.10 In realtà, infatti, la federcalcio si

opponeva ancora al professionismo, ma era sempre più inevitabile che le squadre più ricche ed appartenenti alle grandi città si rivelassero più allettanti per gli sportivi, promettendo loro stipendi alti e/o benefici di vario tipo (dalla garanzia di un lavoro in banca assicurato all'automobile) e facendo molto spesso scandalizzare l'opinione pubblica, come accade ancora oggi. Il regime fascista sancì ufficialmente con la cosiddetta Carta di Viareggio del 1926 la distinzione fra calciatori dilettanti e

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professionisti, i quali erano però ancora una piccolissima percentuale, mentre giungevano in Italia i primi sportivi sudamericani, i cosiddetti "oriundi" che scriveranno molte pagine storiche del calcio italiano fino ai primi anni Sessanta; questi erano spronati ad attraversare l'oceano dai primi veri contratti da favola offerti ai calciatori. Basti pensare allo stipendio di Raimundo Orsi che guadagnava dalla Juventus una somma otto volte superiore a quella percepita da un magistrato, a cui era aggiunta una Fiat 509.11 Il professionismo italiano raggiunse la sua completezza

soltanto negli anni Cinquanta, mentre fu nel decennio successivo che gli stipendi diventarono elevati per tutti i calciatori delle maggiori categorie, crescendo da lì in poi e fino ad oggi in proporzioni vertiginose, tanto per quanto riguarda gli ingaggi dei calciatori che per i prezzi dei loro trasferimenti.

2. Le voci di bilancio nelle società calcistiche oggi: le entrate

Come accadeva agli albori della storia del calcio, per oltre un secolo i ricavi per le società hanno continuato ad essere quasi esclusivamente basati sulle entrate legate alla vendita al pubblico dei biglietti per assistere agli incontri. Bisogna aspettare la metà degli anni Novanta, periodo ancora ricorrente in tema di cambiamenti e rinnovamenti e di nascita del cosiddetto "calcio moderno", per poter assistere ad una più forte diversificazione delle fonti di guadagno per le compagini calcistiche; questa fu tale da ridurre nel giro di pochissimi anni la suddetta storica voce "ricavi da botteghino" ad un ruolo del tutto secondario nei campionati di vertice e presso le squadre più importanti, e comunque non più dominante quanto era sempre stato precedentemente presso i bilanci delle società di qualsiasi categoria e nazionalità. Questo fenomeno riguarda tutti gli sport, ma qui ci atterremmo soltanto alla trattazione calcistica.

11 ilpalloneracconta.blogspot.com

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Oggi le fonti di ricavo proprie di qualsiasi società di calcio (come appunto di qualsiasi altro sport) sono sostanzialmente fatte rientrare nelle seguenti tre categorie:

a. Ricavi ottenuti dal pubblico presente allo stadio in stretta relazione alle partite disputate. Si tratta dell'evoluzione dei ricavi del cosiddetto "botteghino", ovvero quelli ottenuti dalla vendita dei biglietti (oppure dagli abbonamenti, naturalmente) per l'incontro. Oggi, soprattutto in realtà come quella inglese, sono abitualmente e da anni accostati a questi molti altri servizi di ospitalità più o meno direttamente legati all'evento sportivo strettamente inteso. Si tratta del cosiddetto matchday revenue.

b. Ricavi ottenuti dai contratti stipulati con i media per la trasmissione delle partite, comprese le distribuzioni dei ricavi fatte dalle leghe e dalle federazioni organizzatrici dei tornei, come il market pool delle competizioni Uefa. Si tratta del cosiddetto broadcasting revenue.

c. Ricavi ottenuti da operazioni commerciali di qualsiasi tipo, dalle sponsorizzazioni al merchandising. Si tratta del cosiddetto commercial revenue.

Incominciamo un'analisi più particolareggiata delle singole differenti fonti di ricavo. Tratteremo invece separatamente più avanti nel testo le tematiche relative al calciomercato.

2.1 Vendita di biglietti ed abbonamenti

Oltre ad essere la più semplice ed antica forma di guadagno per il mondo dello sport, deve il suo successo alla sua affidabilità. Infatti fa riferimento ad un pubblico di utenti molto particolare: quello dei tifosi. Esistono naturalmente vari tipi di tifoso, dall'ultras al pensionato appassionato di calcio, dalla famiglia che vuole trascorrere insieme una tranquilla domenica al cosiddetto "tifoso occasionale" che frequenta gli spalti soltanto in occasione delle partite di spicco oppure perché trascinato allo stadio da un gruppo di amici. Quelli che sono più interessanti a questo punto della nostra trattazione sono quei tifosi cosiddetti committed che seguono con inintaccabile costanza e passione tutte le partite ed alle seduzioni della pay-tv guardata

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comodamente seduti in poltrona ancora preferiscono le grezze gradinate dello stadio, per cantare ed incitare fino a perdere la voce la squadra del cuore anche sotto la pioggia battente ed a temperature indifferentemente gelide d'inverno oppure torride d'estate, magari in campali trasferte a centinaia di chilometri da casa per vivere l'irriproducibile atmosfera dello stadio che il tifoso da salotto cosiddetto uncommitted, figlio del marketing del calcio globalizzato mai potrà conoscere.

E' pertanto facile capire che questi soggetti, del tutto incomprensibili ed illogici e solitamente visti di cattivo occhio da parte di chi non ama lo sport sono molto differenti da quasi tutti i destinatari di altri tipi di servizi commerciali ed aziendali. Il mercato dei botteghini da stadio è caratterizzato infatti, relativamente alla categoria del tifoso più caldo e fedele, da una rigidità della domanda quasi assoluta rispetto alle possibili variazioni tanto dei prezzi proposti quanto della qualità dello spettacolo offerto. Tanto più questo discorso vale per realtà provinciali o piccole e comunque più lontane dal calcio uncommitted: pensiamo ad esempio all'umile orgoglio piemontese ed operaio dei tifosi del Torino oppure ai tifosi di Brescia ed Atalanta, per i quali lo stadio è spesso l'unico sfogo nella tante volte frustrante ripetitività della vita scandita dalla tipica accoppiata dei cosiddetti "nebbia e tondino". Tuttavia, di qualsiasi città stiamo parlando, lo stadio è il luogo dove gridare la fierezza di sventolare quei colori che rappresentano la propria città, le proprie radici, la propria passione. Ed il tifoso insoddisfatto delle prestazioni della propria squadra non cambierà certamente "fornitore", come farebbe invece il cliente o l'utente in qualsiasi altro settore economico!

Molto più sensibili alle variazioni di prezzo e di qualità sono invece la maggior parte degli altri tipi di tifoso: una stagione particolarmente sfortunata potrà facilmente scoraggiare la presenza sugli spalti di molti sostenitori meno appassionati, così come un'annata di successo oppure una promozione in Serie A incentiverà molti a seguire più da vicino la squadra in partite singole ma anche con l'acquisto dell'abbonamento stagionale, soprattutto se si tratta di una compagine del tutto non abituata a calcare palcoscenici prestigiosi. Tuttavia qualsiasi squadra, provinciale e non, che affronta una grande squadra richiamerà sempre molti tifosi non usi a frequentare lo stadio o

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poco appassionati ma attratti o dalla possibilità di veder giocare nella propria città grandi stelle del calcio oppure in quanto sostenitori della squadra ospite: negli stadi che ospitano soprattutto Juventus, Milan ed Inter sono infatti sempre presenti molti tifosi (solitamente in realtà piuttosto tiepidi) di queste grandi squadre che vivono nella città della squadra di casa o nelle città vicine.

La seconda tipologia di tifosi è largamente maggioritaria; ciò spiega perché è stato registrato un improvviso e brusco calo delle entrate per i ricavi da gare a partire dal campionato 1993/94: si tratta infatti della stagione che ha visto l'introduzione in Italia delle pay-tv, che permettono, seppure a pagamento, di seguire comodamente da casa tutte le partite del Campionato. Se a questa caduta si è rimediato con una serie di annate tutte nuovamente con segno positivo, a partire dalla stagione 2000/01 il calo è ripreso rapido ed inarrestabile.L'avvento dell'era televisiva ha infatti colto alla sprovvista il sistema calcistico tradizionale ed ha sottratto percentuali importanti di pubblico agli stadi; ne sono stati complici le politiche di aumento di prezzo dei biglietti, motivate precedentemente dal fatto di essere il più immediato traino per l'espansione dei ricavi, ma dall'avvento dell'era delle televisioni cambiate radicalmente per incentivare il pubblico a riempire gli stadi desolatamente vuoti, e l'arretratezza e la scarsa comodità offerta a tutt'oggi dalla quasi totalità degli impianti italiani (basti pensare all'assenza di servizi collegati, alla presenza di piste da atletica mai utilizzate che allontanano gli spalti dal campo o alle localizzazioni spesso urbanisticamente poco consone).

2.2 Gestione degli stadi

La seconda voce che andiamo ad analizzare è proprio quella relativa alla potenzialità dello sfruttamento dello stadio. Si tratta di un argomento su cui tanto si discute da qualche anno a questa parte, trattandosi di una via che appare inevitabile da percorrere in un futuro sempre più prossimo e riguardo la quale il sistema calcistico italiano è particolarmente arretrato: è sufficiente pensare al fatto che gli stadi hanno un'età media superiore ai sessant'anni di storia. I dati relativi all'affluenza di pubblico negli stadi dei cinque campionati tradizionalmente considerati i principali d'Europa

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per popolazione e potenza economica parlano chiaro, specie se teniamo conto che la tradizione e la passione popolare calcistica francese sono molto minori rispetto alle nostre.

Tab. 40 Affluenza media di spettatori nelle prime due categorie (indicate per semplificare con le denominazioni italiane di Serie A e B) dei cinque campionati calcistici europei più importanti e seguiti, stagione 2014/15

campionato spettatori Serie A spettatori Serie B totale spettatori

Germania 41 362 17 548 58 910 Inghilterra 31 115 17 843 48 958 Spagna 24 189 8 433 32 622 Italia 22 057 6 608 28 665 Francia 22 582 5 474 28 056

Tuttavia va detto che il modello di riferimento in questo ambito, ovvero quello inglese, ancora non è stato emulato in nessun altro Stato, per la sua radicata presenza nella cultura calcistica inglese e per la capillarità della sua diffusione. Ma sarà proprio l'esempio britannico applicato, per quanto possibile, a tutte le differenti realtà locali ad insegnare il concetto di stadio moderno e polifunzionale, dotato di elevata qualità per l'utente ed opportunità di molteplici fonti di introiti per le società.

Cerchiamo di capire e di mettere a fuoco in modo più definito di che cosa si tratta. Dopo gli anni Ottanta, segnati da gravi tragedie avvenute negli stadi inglesi (Bradford nel 1985 e Hillsborough nel 1989) o comunque legate al calcio inglese (su tutte quella dell'Heysel nel 1985), tragedie dovute talvolta ai comportamenti delle frange più estreme delle tifoserie con il tristemente celebre fenomeno degli hooligans, talaltra ad incidenti e cedimenti delle strutture ma comunque causa di molte decine di morti, il sistema calcistico inglese fu protagonista di un periodo di rinnovamenti. Mentre infatti le società erano tutte bandite per cinque anni dalle competizioni europee per scontare la pena dovuta alle vittime dello stadio Heysel, la rinascita del calcio inglese passò anche ed in larga parte attraverso il rinnovamento del concetto di "stadio".

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Questo portò alla costruzione o alla ristrutturazione di un gran numero di impianti di celebri ed importanti squadre; furono edificati, ad esempio, gli attuali stadi di Southampton, Sunderland, Derby County e Middlesbrough, mentre subirono un profondo restyling, sia nella struttura che nei servizi, molti altri stadi, soprattutto di società di vertice, come Manchester United, Chelsea, Tottenham e Liverpool. Fra 2002 e 2003 venne perfino demolito per essere ricostruito da zero lo stadio londinese di Wembley, il più famoso impianto britannico.

Le caratteristiche comuni a queste nuove strutture possono essere così sintetizzate:

a. Capienza. Gli stadi di Premier League, la Serie A inglese, hanno una capacità di pubblico relativamente ridotta e non troppo dissimile fra squadre di vertice e squadre di bassa classifica. Soltanto Old Trafford (Manchester United), Emirates Stadium (Arsenal, che in realtà è stato inaugurato soltanto nel 2006), Etihad Stadium (Manchester City) e Saint James Park (Newcastle) superano i 50 000 posti di capienza, e fra questi soltanto il primo figura fra i venticinque maggiori impianti d'Europa. Società ai vertici del calcio continentale come Chelsea e Liverpool giocano in stadi dalla capacità poco superiore al San Filippo di Messina oppure al Dall'Ara di Bologna, tanto per fare un paragone con realtà italiane. D'altro canto, considerando il totale di quarantaquattro compagini partecipanti nell'attuale stagione 2015/16 alle prime due categorie calcistiche dell'Inghilterra, la Premier League e la Championship, soltanto tre società facenti parte della seconda (Queen's Park Rangers, Brentford e Rotherham United), giocano in stadi dalla capacità inferiore ai 20 000 posti. La maggior parte degli impianti delle società di Premier League può ospitare fra i 25 000 ed i 40 000 spettatori, mentre quelli delle squadre di Championship sono principalmente compresi fra i 20 000 ed i 35 000 posti. Parallelamente in Italia contiamo invece, su un totale di quarantadue società partecipanti fra Serie A e Serie B, ben diciotto stadi con capienza inferiore ai 20 000 posti, quattro in Serie A (Empoli, Frosinone, Carpi e Sassuolo; queste ultime due giocano tuttavia in stadi di maggiori dimensioni, rispettivamente a Modena e Reggio Emilia, che contano entrambi oltre 20 000 posti) e quattordici in Serie B. Fra questi, inoltre, ben otto non raggiungono nemmeno i 10 000, fra i quali i suddetti stadi di Carpi e Sassuolo. Proprio nel medesimo periodo, in

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occasione dei Campionati del Mondo ospitati nel 1990, l'Italia aveva anch'essa investito molto nell'edilizia degli stadi di tutto il Paese. Ma il risultato della politica di impianti dalle grandi capacità si è rivelata sbagliata una volta terminato il Mondiale. La presenza delle piste d'atletica a dividere gli spalti dal terreno di gioco, retaggio di antichi progetti di far convivere negli stessi impianti calcio ed atletica leggera ed escamotage utilizzato per poter ottenere contributi da parte del Coni, è effettivamente considerata d'ostacolo ad una partecipazione più vicina e coinvolgente dello spettatore alla partita. Pensando inoltre all'avvento del calcio televisivo vissuto nel frattempo, le conclusioni che si traggono sono semplici: è più affascinante, attraente e gradevole soprattutto agli occhi di chi guarda, magari per televisione dall'estero e magari anche con l'idea di investire nel calcio italiano, vedere grandi stadi con manutenzione nulla e con un'affluenza di pubblico minima e file intere di spalti deserti o vederne altri con strutture poco differenti da quelle dei livelli dilettantistici, oppure vedere impianti di medie dimensioni, moderni e pieni di tifosi in tutti i settori? E per un potenziale utente quale tipo di stadio è più incentivante per motivarlo ad acquistare un peraltro costoso biglietto?

Tab. 41 Affluenza di spettatori media negli stadi per squadra in Serie A, campionato 2014/15

società capacità spettatori affluenza media

Juventus 41 000 38 553 94,0% Fiorentina 43 234 30 309 70,1% Cesena 23 860 16 260 68,1% Cagliari 16 500 10 793 65,4% Atalanta 24 276 15 160 62,4% Torino 27 550 16 689 60,6% Sampdoria 36 569 21 745 59,5% Roma 72 968 40 135 55,0% Genoa 36 569 20 045 54,8% Sassuolo 23 717 12 831 54,1%

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13 Napoli 60 240 32 266 53,6% Parma 22 845 11 940 52,1% Hellas Vr 38 402 19 299 50,3% Lazio 72 968 34 949 47,9% Empoli 19 847 9 229 46,5% Palermo 37 619 17 481 46,5% Inter 82 995 37 270 44,9% Milan 82 995 36 661 44,2% Udinese 30 677 8 912* 29,1% Chievo Vr 38 402 10 652 27,7% Totale 441 143 833 233 52,9%

*: il dato basso è motivato dalla presenza concomitante di importanti lavori che hanno coinvolto l'impianto, a proposito dei quali si dirà successivamente in modo più approfondito.

Tab. 42 Abbonamenti annuali allo stadio sottoscritti per squadra in Serie A con la variazione rispetto alla stagione precedente, stagione 2015/16

Juventus 28 000 = Inter 25 000 + 3 000 Milan 25 000 + 5 500 Roma 23 900 - 3 000* Sampdoria 18 000 = Fiorentina 17 800 - 5 400 Genoa 16 500 = Hellas Vr 12 700 - 1 400 Torino 11 000 - 900 Udinese 10 800 + 4 600* Atalanta 10 280 = Lazio 10 100 - 7 300* Bologna 10 000 + 400

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14 Palermo 10 000 + 300 Chievo Vr 7 100 = Sassuolo 7 100 - 1 700 Empoli 6 200 = Frosinone 6 000 + 3 000* Carpi 4 000 + 2 800* Napoli 4 000 - 4 300

Totale 263 480 (media 13 174) -18 441 (media -922)

*: sono necessarie alcune puntualizzazioni: innanzitutto gli exploit fatti registrare da Carpi e Frosinone sono naturalmente motivati dall'entusiasmo che ha coinvolto le due piccole città, affacciatesi alla massima serie per la prima volta nella loro storia. L'Udinese ha invece visto crescere esponenzialmente il numero di abbonamenti principalmente grazie al fatto che gli importanti lavori che hanno ridisegnato la struttura dello stadio Friuli di cui è già stato accennato nella nota precedente sono ormai giunti in dirittura d'arrivo. Infine il risultato molto negativo di Lazio e Roma va spiegato con la protesta congiunta da parte dei tifosi di entrambe le squadre capitoline contro l'installazione di un muro divisorio al centro dei settori delle curve dello Stadio Olimpico, avvenuta quest'estate e motivata dal prefetto Franco Gabrielli adducendo a ragioni di sicurezza e di facilitazione nei controlli fra le frange più calde del tifo.

Tab. 43 Percentuale di tifosi delle squadre di Serie A recatisi almeno una volta nell'anno allo stadio per assistere ad una partita, stagione 2012/13

Napoli 34,9% Pescara 34,1% Atalanta 33,9% Genoa 33,4% Bologna 30,8% Catania 30,8% Palermo 30,7%

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15 Sampdoria 29,4% Parma 29,1% Lazio 28,4% Torino 27,3% Udinese 27,3% Roma 27,0% Chievo Vr 26,9% Siena 26,8% Cagliari 26,3% Fiorentina 24,5% Milan 23,0% Inter 22,6% Juventus 21,1% Totale 28,4% ( totale 7 243 694)

b. Utilizzo. I più grandi stadi inglesi sono il nuovo Wembley e lo stadio Olimpico di Londra, oltre al leggendario impianto di Twickenham, detto "la cattedrale del rugby" mondiale. Va pertanto subito notato un dato sorprendente: i maggiori stadi inglesi oggi non sono utilizzati da nessuna società di club. Infatti Wembley è utilizzato per ospitare gli incontri della Nazionale e le finali delle coppe nazionali, oltre che per eventi, sportivi e non, di tutti i tipi, mentre lo stadio Olimpico è stato costruito chiaramente in occasione dei Giochi ospitati da Londra nel 2012 (anche se è destinato a diventare lo stadio del West Ham United); anche lo stadio di Twickenham è teatro delle imprese della Nazionale inglese di rugby, ma non ospita alcuna società di club. Questo fenomeno della differenziazione fra impianti per club e per Nazionali ed eventi è proprio del calcio e del rugby in tutto il mondo britannico, che dedica così stadi grandi e moderni ad eventi con una grande affluenza di pubblico assicurata, separandoli dall'utilizzo abituale fattone dalle squadre di club durante i campionati e le coppe disputate. Merita di essere analizzata come esemplare la realtà degli stadi irlandesi: il maggior stadio dell'intera isola, il Páirc an Chrócaigh, in inglese Croke Park,

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è con i suoi 82 300 posti il terzo impianto più capiente d'Europa, ma è utilizzato esclusivamente per i cosiddetti sport gaelici (calcio gaelico, hurling e camogie), dei quali è l'impianto di riferimento, e per concerti ed eventi di vario tipo; analoga destinazione ha il secondo stadio dell'isola, il Semple Stadium di Thurles. Terzo stadio, con 51 700 è il moderno Aviva Stadium, che ospita le Nazionali di calcio e rugby, le partite di maggior spicco (e soltanto alcune di queste!) della squadra di rugby del Leinster ed eventi come la finale di Europa League del 2011. Anche il maggior stadio dell'Irlanda del Nord, il Páirc Mhic Asmaint (Casement Park) di Belfast è dedicato agli sport gaelici, mentre i più grandi impianti dell'isola appositamente destinati a squadre di club di rugby e calcio sono rispettivamente la Royal Dublin Society Arena (Leinster, 18 500 posti) ed il Pàirc Tolca (Tolka Park, Shelbourne Football Club, 9 700 posti) per l'Eire ed il Ravenhill Stadium (Ulster, 12 300 posti) ed il Windsor Park (Linfield, 20 332 posti) per l'Irlanda del Nord. E' molto significativo nella nostra analisi confrontare la capacità dell'Aviva Stadium con quella del Tolka Park.

c. Pubblico. Uno dei più celebri tratti caratteristici del calcio britannico, in larga parte anche idealizzato, è quello del cosiddetto "modello inglese" del tifo. Come detto sopra, uno dei tristi motivi che hanno portato questo sistema a ricorrere ad una profonda rifondazione è stata la necessità di mettere fine al fenomeno degli

hooligans, i famigerati ultras tipicamente britannici caratterizzati da un'abitualità alla

violenza coltivata nelle disagiate periferie delle città industriali del Regno Unito, per i quali lo stadio ha il significato dell'opportunità di rivalsa sociale e di sfogo della propria frustrazione quotidiana, sotto la spinta della rabbia, della volontà di insubordinazione e dell'alcol e molto spesso con forti radici nei movimenti punk e

skinhead. Sicuramente, parlando di tifo violento e movimenti ultras, non si tratta di

una realtà soltanto britannica, ma gli hooligans sono certamente considerati gli ultras più ipostatici ed estremi, padri del movimento poi diffusosi ovunque, figli diretti dei suddetti fenomeni punk e skinhead, con i quali condividono la patria, le origini sociali ed il periodo di nascita e resi ancora più iconici e celebri da eventi particolarmente tragici (pensiamo ancora soprattutto alla strage dell'Heysel causata dagli hooligans del Liverpool) e da una ampia filmografia e letteratura che ha contribuito a costruirne

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una fama leggendaria, soprattutto legata agli ultras del Milwall ed all'Inter City Farm, il più temuto gruppo del West Ham United, compagine diventata infatti di culto per i tifosi di tutto il mondo. Oggi, pur esistendo comunque episodi violenti soprattutto nei contesti calcistici delle serie minori, il fenomeno è stato ampiamente arginato e gli stadi sono abitualmente frequentati da famiglie con bambini. Va innanzitutto detto che il processo è stato anche facilitato dal fisiologico superamento del movimento sub culturale hooligan avvenuto negli anni seguenti, come per tutte le sub culture, soprattutto giovanili: una volta "pensionata" la generazione più squisitamente

hooligan degli anni Ottanta, la successiva generazione di adolescenti della working class non ha dato egual seguito al movimento.

Al timone dell'operazione statale di ripulitura degli ambienti da stadio, la lady di

ferro Margaret Thatcher diede subito avvio ad una campagna basata sulla

responsabilizzazione delle società (tenute a curare un sistema di capillare video sorveglianza nello stadio ed a non collaborare né dialogare con gli esponenti dei movimenti hooligan), sulla collaborazione dei cittadini (tenuti alla denuncia dei fenomeni violenti a cui avessero assistito con la garanzia del mantenimento dell'anonimato) e delle forze di polizia (venne perfino istituita appositamente un'unità speciale di Scotland Yard), sull'introduzione della misura del cosiddetto "daspo", ovvero il divieto di assistere a manifestazioni sportive diretto a soggetti ritenuti in vario modo pericolosi, ed infine su un robusto giro di vite sul consumo di alcolici e sui contenuti ritenuti verbalmente violenti dei cori fatti allo stadio. Si potrebbe molto discutere dei fiumi di inchiostro e di parole spesi in Italia per elogiare questo modello, interpretato dalle autorità e dai media come la panacea per tutti i problemi legati alle tifoserie e tenacemente avversato da queste, che ne temono gli effetti snaturanti e repressivi per tutto il movimento; sta di fatto che per molti motivi, ma soprattutto per le differenze di tradizione e culturali e sociali, calcistiche e non soltanto, esistenti fra ogni differente realtà, il modello inglese appare a tutt'oggi ben poco esportabile con successo fuori dagli stadi britannici.

Come già detto precedentemente, l'introduzione di questo modello ha inoltre portato con sé un periodo di ristrutturazione e ricostruzione degli impianti,

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caratterizzati dall'eliminazione delle barriere fra gli spalti ed il terreno di gioco e dall'installazione di seggiolini in tutti i settori degli stadi, eliminando totalmente le aree in cui assistere in piedi alle partite. Riallacciandoci anche alle osservazioni dette sopra, gli spalti affacciati sul prato dai quali assistere alla partita a pochi metri di distanza dai calciatori possono essere affascinanti ed auspicabili anche in Italia per incentivare le presenze allo stadio. Il più celebre stadio italiano strutturato in stile inglese è il Luigi Ferraris di Genova, stadio fra l'altro più antico d'Italia, essendo datato 1911, capace di contenere intorno ai 40 000 spettatori e caratterizzato dalla forma rettangolare e dall'assenza della sempre inutilizzata pista di atletica; a separare i tifosi dal campo di gioco vi sono soltanto un fossato ed una alta rete. Non è una casualità il fatto che si tratti di uno stadio unanimemente ritenuto eccellente in quanto a capacità di coinvolgere lo spettatore e di offrirgli un'ottima visuale della partita in qualsiasi settore questo si trovi e che registra un'affluenza di pubblico (sommando tifosi abbonati e spettatori paganti) sconosciuta a quasi tutti gli altri stadi italiani, complice in realtà anche il fortissimo senso di appartenenza che lega i rispettivi tifosi alle due squadre cittadine. Ma l'assenza di tifo organizzato e di bandiere e striscioni a "due aste" fra il pubblico, la limitazione degli striscioni a quelli presenti sulle balaustre degli spalti e la compattezza di uno stadio intero vestito con la maglietta della squadra, pur bellissimo come colpo d'occhio, non appare assolutamente proponibile nella realtà italiana, e non solo, se non attraverso misure coercitive e limitative (alcune delle quali già presenti da alcuni anni: si pensi al divieto di introdurre tamburi, megafoni e fumogeni ed ai vincoli per l'esposizione degli striscioni) che mai potranno essere accettate ed assecondate dai gruppi delle tifoserie.

d. Attività e risorse differenziate. Si tratta probabilmente della più importante fra le caratteristiche degli stadi inglesi: è in questo aspetto che il mondo britannico si è dimostrato molto più avanzato rispetto al resto d'Europa, anticipando di molti anni e diffondendo anche in realtà piuttosto provinciali l'introduzione di una nuova definizione di "stadio". Si tratta di una struttura dotata di molteplici ambienti che forniscono servizi di vario tipo, legati più o meno direttamente alla società e piuttosto

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indipendenti dallo svolgimento o meno di partite. Il caso più eclatante e significativo, oltre che ormai ultra ventennale, è quello dell'Old Trafford, lo stadio del Manchester United, la prima grande squadra-azienda globale del calcio mondiale. Ma non dimentichiamoci che realtà analoghe esistono anche in molte città più piccole e per stadi legati a squadre molto meno celebri e rinomate. All'interno degli stadi si trovano caffè, ristoranti, negozi ufficiali di merchandising del club e del marchio produttore delle divise della squadra, sky-box (ampie ed eleganti sale dotate di tavoli e poltrone con vista direttamente sul terreno di gioco) e spesso un museo che mostra la storia della compagine e perfino un albergo. Tutti questi locali sono aperti al pubblico anche quando non vi sono partite da disputarsi in programma. Nei dintorni dello stadio si è inoltre sviluppato in molti casi un intero quartiere di servizi, principalmente di ospitalità e ricreativi, quali centri commerciali, alberghi e ristoranti di differenti categorie, cinema multisala e talvolta perfino attrattive culturali come musei e teatri, indipendenti dalla società calcistica, ma inevitabilmente legati ad essa, spesso riportandone il logo.

Va da sé che, tanto più in città turisticamente povere di attrattive artistiche o naturalistiche tradizionali come Manchester, la coke town britannica per eccellenza, il fulcro dell'offerta per il visitatore diventa lo stadio con il suo distretto commerciale e ricreativo. Attraendo molti sostenitori dall'estero (grazie alla potente politica di

marketing internazionale che ha contraddistinto da tempi non sospetti lo United ed

alla sua costanza nel raggiungere importanti risultati sia in patria che nelle competizioni internazionali), ecco che il quartiere di servizi proposto attorno allo stadio offre tutto ciò che serve al tifoso, che è per certi aspetti anche un turista, o lo può diventare. L'ampia gamma di servizi offerti poi incentiva anche chi non si trova in città per motivi calcistici, ma ad esempio per motivi lavorativi: il quartiere è efficientemente collegato dai mezzi pubblici con il centro della città, raggiungibile in pochissimi minuti grazie alla presenza di una stazione della metropolitana e ad un'apposita linea di tram; e fra l'altro lo stadio offre le proprie sky-box a chiunque ne sia interessato per farne ad esempio il luogo di riunioni lavorative o conferenze. Il tutto è fra l'altro intelligentemente incentivato da pacchetti turistici offerti per tutte

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le esigenze e per tutte le tasche. Si tratta, nel suo complesso, di un sistema di sviluppo locale "a rete", presente a Manchester come in ogni altra città che presenta una realtà analoga: lo sviluppo dato dalla fruizione da parte del pubblico della molteplicità dei servizi suddetti non è né separato dall'attività calcistica del club di riferimento, né ne è direttamente ed esclusivamente legata e dipendente. Si tratta invece di una complessa rete collegata da una simbiosi incrociata, nella quale ogni servizio alimenta tutti gli altri. Naturalmente lo stadio, caratterizzato in Inghilterra fra l'altro da pulizia e manutenzione efficienti, architettonicamente curato e molte volte adornato da statue, hall of fame ed altri dettagli, gioca il ruolo di centro focale di tutto il distretto che gli è stato costruito attorno; ma di fatto ogni servizio offerto è autonomo nel suo sviluppo, incentivato tuttavia innegabilmente dal prestigio e dal seguito della squadra. Data l'importanza e la particolarità di tutto questo sistema, le società collaborano talvolta anche con le Università, le quali hanno attivato corsi e master appositamente destinati all'insegnamento di questo particolare tipo di management. 2.2.1 I cosiddetti "stadi di proprietà"

Per "stadio di proprietà" si intende la realtà di un impianto di proprietà di privati, solitamente della stessa società calcistica che ne fa uso ed ivi disputa le proprie partite. Si tratta di una tematica da tempo al centro dei progetti e delle idee di rinnovamento pensate e discusse dai club italiani per riconquistare competitività sia individualmente che a favore di tutto il movimento calcistico nostrano. In Italia è infatti realtà da sempre presente quella degli stadi di proprietà del Comune: basti pensare a quanti impianti portano il nome oppure l'insegna di "Stadio Comunale". Già abbiamo fatto cenno all'atavica arretratezza rispetto agli standard attuali, sempre in corsa verso il rinnovamento e l'incremento delle funzionalità economiche che lo stadio può offrire. Se facciamo una rapida carrellata di alcuni stadi di proprietà attualmente ai vertici europei (per risultati, per fatturato garantito, per architettura) possiamo trovare fra gli altri gli impianti di Barcellona, Valencia e Real Madrid; Borussia Dortmund e Bayern Monaco; Porto e Benfica; Celtic Glasgow e Glasgow Rangers; Liverpool, Manchester United, Chelsea, Manchester City, Arsenal e Tottenham; Ajax e Psv Eindhoven; Basilea; Lilla. Per quasi tutti si tratta di impianti che

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recentemente sono stati (o che lo saranno in un futuro prossimo) oggetto di importanti ristrutturazioni, rivisitazioni o addirittura ricostruzioni, spesso motivate dalla necessità di ospitare grandi eventi calcistici internazionali e volte a favorire i parametri che abbiamo conosciuto con l'esempio apripista del riferimento alla realtà inglese ed al caso modello dell'Old Trafford di Manchester e con tutte le novità e le tendenze che il tempo porta con sé: cura della comodità e visuale offerta allo spettatore, architettura d'avanguardia, ampio ventaglio di servizi disponibili durante le partite e non (ristoranti e bar puliti e dall'aspetto curato, museo, negozi ufficiali,

sky box, etc), trasporti pubblici appositi, distretto di servizi tutt'intorno.

Tab. 44 Tipologie di proprietà degli stadi per squadre di prima categoria in Europa, 2013

campionato societaria o collegata pubblica terze parti

Scozia 11 (92%) 0 1 Inghilterra 18 (90%) 2 0 Portogallo* 7 (70%) 2 1 Spagna 11 (55%) 8 1 Germania 8 (44%) 7 3 Olanda 6 (33%) 7 5 Russia 2 (13%) 6 8 Italia 2 (10%) 16 2 Francia 1 (5%) 17 2 Turchia 0 (0%) 17 1 Totale 54 federazioni 157 (23%) 434 107

*: dato parziale, riferito soltanto a 10 società sul totale di 16 partecipanti al campionato della Primeira Liga.

Ed in Italia? Nella nostra Serie A gli stadi di proprietà attualmente utilizzati sono tre: Juventus Stadium a Torino, Mapei Stadium-Città del Tricolore a Reggio Emilia, utilizzato dal Sassuolo (Mapei e Sassuolo condividono la presidenza di Giorgio Squinzi) oltre che dai padroni di casa della Reggiana e Stadio Friuli ad Udine. I "bacini

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d'utenza" relativi a queste compagini sono naturalmente ben differenti, tuttavia si tratta di tre progetti d'avanguardia, presi a modello nel nostro panorama calcistico attuale e che non presentano le grandi differenze che separano gli altri stadi di vertice da quelli provinciali. La storia che ha portato a queste tre eccellenze è tuttavia molto diversa.

L'impianto della Juventus è nato in sostituzione dello Stadio delle Alpi, costruito in occasione dei Mondiali ospitati dall'Italia nel 1990 (vi si disputarono cinque partite, fra cui la semifinale fra Germania Ovest ed Inghilterra) per sostituire a sua volta il vecchio Stadio Comunale, oggi diventato lo Stadio Olimpico casa del Torino, che era stato eretto alla vigilia dei Mondiali italiani del 1934. Mentre il glorioso Comunale, detto "Filadelfia" era situato presso l'omonima via nel quartiere di Santa Rita, in posizione periferica al tempo in cui fu costruito, ma ormai diventato da molti anni totalmente inglobato dalla città, si pensò di posizionare il nuovo stadio nell'estrema periferia nord cittadina, a pochi passi dal confine comunale con Venaria Reale, circondato dalla vista delle montagne di cui porta il nome. Lo Stadio delle Alpi, nonostante un aspetto architettonico moderno e particolare e la presenza di uno spettacolare impianto audio sospeso sopra il terreno di gioco, offriva una struttura interna presto rivelatasi non in grado di affrontare le esigenze dei nuovi tempi: la pista d'atletica, che permise di usufruire dei finanziamenti da parte del Coni e fu utilizzata per il suo naturale scopo soltanto una volta (seppure in un contesto molto importante, essendosi trattato della finale del Grand Prix del 1992), si rivelò un controproducente intralcio; il manto erboso non riusciva a drenare l'acqua con il quale era irrigato; i quasi 70 000 posti restavano in buona parte costantemente vuoti ed anche la posizione periferica si rivelò gravemente d'ostacolo per il raggiungimento dello stadio da parte dei tifosi, stipati sugli autobus della linea 72 che collega il centro città a Venaria.

Nel 2003 la Juventus mise a segno un lungimirante affare, acquistando il diritto di superficie per l'area dello stadio per una durata di novantanove anni. Nel 2006 lo Stadio delle Alpi venne chiuso, continuando la sua attività di struttura ospitante importanti concerti, fino alla sua parziale demolizione datata 2009 su iniziativa della

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società bianconera; nello stesso anno ebbe avvio la costruzione al suo posto e sulle sue fondamenta del nuovo impianto, il futuro Juventus Stadium. La Juventus ed il Torino si trasferirono nel vecchio Stadio Comunale, diventato un moderno Stadio Olimpico teatro dei XX Giochi Invernali ospitati dalla città piemontese pochi mesi prima.

I lavori di costruzione del nuovo stadio terminarono nel 2011, anno che vide Torino protagonista di molti eventi per i festeggiamenti del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Lo stadio venne inaugurato l'8 settembre per ospitare esclusivamente le partite della Juventus; fu così dato inizio ad una realtà tuttora unica in Italia, dato che in tutte le altre città le squadre concittadine di alto livello condividono la stessa struttura.

Si nota immediatamente la profonda diversità con la quale il nuovo impianto è stato realizzato rispetto al precedente, a partire dalla capacità di pubblico nettamente abbassata poco oltre i 40 000 spettatori e dalla strutturazione sul modello inglese, priva della pista d'atletica; la vicinanza degli spalti al terreno di gioco giunge fino ai 7,5 metri ed è favorita dall'inserimento delle panchine fra gli spalti stessi. L'affluenza di spettatori stagionale è sempre stata superiore al 90%. Si tratta inoltre del primo stadio italiano totalmente privo di barriere architettoniche ed il più esteso d'Italia per superficie totale, nonché il primo al mondo ritenuto ecocompatibile, essendo stato costruito con buona parte del materiale del demolito Stadio delle Alpi, oltre ad utilizzare fonti energetiche rinnovabili ed alternative ed acqua piovana e ad aver ridotto a zero tutte le emissioni nocive, acustiche comprese. Fra le caratteristiche che lo rendono un ottimo modello di stadio moderno ed internazionale figurano la presenza di 64 sky box, 21 bar, 8 aree di ristorazione e 2 ristoranti. Sono poi presenti il museo della Juventus (J-Museum), prestato anche ad eventi culturali extra calcistici come mostre d'arte e cicli di incontri con autori e personalità varie, ed una pavimentazione formata da stelle recanti il nome dei campioni che hanno scritto la storia della società (intitolato Cammino delle Stelle); vicino a ciascuna di queste figurano tante piccole stelle dorate che i tifosi hanno potuto acquistare per farvi iscrivere sopra il proprio nome tramite l'iniziativa "Accendi una Stella", ampiamente

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promossa sui media con un'accurata campagna di marketing. Tutto attorno allo stadio è sorto il classico distretto di servizi ricreativi, formato da un centro commerciale dotato di un ipermercato ed altri 60 negozi ed ampie aree verdi, senza dimenticare l'attrattiva turistica della splendida Reggia di Venaria, distante pochi minuti di auto dallo stadio. E' stato ufficialmente presentato nell'ottobre 2015 il progetto detto J-Village per fare dell'area limitrofa allo Juventus Stadium il polo per concentrare la maggior parte delle attività della società, prevedendo la costruzione del centro di allenamento per la prima squadra (fornito di ristorante, area relax ed area conferenze e di un hotel che sarà condiviso dalla squadra con il resto della clientela), una scuola internazionale, un negozio in formato concept store pensato per le famiglie e dotato di un'altra area di ristorazione e di un'area di intrattenimento tecnologico ed un centro medico diagnostico e riabilitativo aperto anche ai privati. Lo stadio di Reggio Emilia rappresenta invece il risultato della radicale opera di riqualificazione e ristrutturazione operata sullo Stadio Giglio, in realtà tutt'altro che vetusto, essendo stato completato soltanto nel 1995. Tuttavia nel 2004 la riqualificazione ad indirizzo commerciale dell'area circostante, "I Petali", dotata di cinema, negozi, ristoranti e palestra, portò ad un ridimensionamento dei posti dello stadio (da oltre 29 000 a quasi 26 000), introducendo in Italia un abbinamento stadio-centro commerciale strettamente ispirato all'esperienza inglese. L'anno successivo terminò la collaborazione con il marchio caseario locale Giglio e nel 2008 l'impianto dovette nuovamente subire lavori per l'adattamento alle disposizioni governative in tema di sicurezza negli stadi, diventandone subito un modello virtuoso di attuazione. Ma nel 2010 ebbe inizio per la terza volta in pochissimi anni un'opera di ristrutturazione dello stadio reggiano, durata due anni e conclusasi con una messa a norma totale dell'impianto, la cui capienza era stata profondamente ridotta ancora, e con l'assegnazione del nuovo nome, Stadio di Reggio Emilia Città del Tricolore, in attesa di un nuovo contratto di sponsorizzazione per prestare nuovamente il nome dello stadio a chi avrebbe dimostrato di esserne interessato.

Con la promozione del Sassuolo in Serie A, raggiunta nel 2013, lo stadio di Reggio Emilia fu scelto ed affittato da questo club come impianto per disputare le proprie

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partite casalinghe stagionali, poiché lo stadio cittadino, l'Enzo Ricci, non era dotato dei parametri richiesti per poter ospitare la massima serie. L'intraprendente patron Giorgio Squinzi fece subito rinominare l'impianto Mapei Stadium-Città del Tricolore e diede avvio agli ennesimi lavori di rimodernamento, che coinvolsero fra le altre cose un definitivo ampliamento della capacità ad oltre 23 000 posti, l'installazione di tabelloni luminosi ed addirittura l'introduzione dell'erba sintetica, rendendo questo stadio di provincia un gioiello sempre più brillante fra gli impianti italiani e non. Poco tempo dopo lo stesso Squinzi si aggiudicò l'acquisto del Mapei Stadium. In realtà la proprietà dello stadio non appartiene alla società del Sassuolo, ma soltanto al suo presidente; ma di fatto si tratta di una differenza ad oggi strettamente formale e che resterà prevedibilmente tale fino ad un ipotetico futuro cambiamento di proprietà della squadra. A questo storico passo fece seguito una nuova serie di miglioramenti apportati all'impianto, oggi dotato di un manto erboso ibrido naturale e sintetico tecnologicamente all'avanguardia (vi è anche il riscaldamento), di accessi agevolati per portatori di handicap, di un nuovo maxi schermo, di spogliatoi ristrutturati e di seggiolini per gli spettatori in tutta la struttura. Inoltre vi è stata collaudata nell'estate 2015, per la prima volta in Italia, la nuova tecnologia del cosiddetto "occhio di falco", pensata per agevolare il direttore di gara nei casi di reti dubbie, permettendo di chiarire se il pallone abbia o meno superato la linea di porta quando sia stato difficoltoso da stabilire ad occhio nudo ed a velocità naturale. Va infine detto che grazie alle sue qualità lo stadio di Reggio Emilia è stato scelto dalla Uefa per ospitare la finale di Champions League femminile di questa stagione 2015/16. Si può quindi certamente osservare che il Mapei Stadium-Città del Tricolore è un bellissimo esempio di come una città di provincia, senza necessità di eccessive spese (anche perché il facoltoso contributo di Giorgio Squinzi è giunto soltanto a partire dal 2013 inoltrato), ma con una grande dose di spirito imprenditoriale, buona volontà ed efficienza, e grazie ad un'intelligente collaborazione con gli enti locali, abbia potuto insegnare a tutta Italia cosa significa una progettazione ed una gestione ben fatta di uno stadio, con tutti i vantaggi all'intera città che questo può portare.

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Lo Stadio Friuli di Udine rappresenta una delle ultime scommesse della famiglia Pozzo, alla guida della società dal 1986 e modello sempre distintosi in Italia ed ammirato ovunque per le capacità di eccellere in ottimizzazione delle risorse, imprenditorialità variegata e spirito moderno ed avanguardistico. In realtà da molti anni la famiglia Pozzo ha aspettato la possibilità di avviare questi lavori, dimostrando di essere arrivata molto prima della maggior parte delle presidenze delle altre società. L'impianto, costruito negli anni Settanta, si distinse già durante la sua storia per varie qualità: la struttura è caratterizzata da un immenso arco che funge da copertura per la tribuna centrale e dalla collocazione lievemente incavata rispetto al terreno adiacente per ridurne l'impatto, aveva una capacità di ben 50 000 posti (mancando i seggiolini in molti settori) e gli furono subito annessi uffici e sale oltre a palestre per la pratica di differenti sport; negli anni Ottanta fu dotato di un maxi schermo che si rivelò essere il terzo più grande al mondo ed il primo d'Europa fra tutti quelli installati all'interno di stadi. Il Friuli dimostrò la sua eccellenza quando, alla vigilia dei Mondiali di Italia '90, fu l'unico impianto a non avere avuto bisogno di utilizzare tutti i fondi assegnati in vista del grande evento per la riqualificazione e l'ammodernamento degli impianti ospitanti. Si eseguirono tuttavia interventi di miglioramento fino al 2013, fra i quali la costruzione di sky box, la riconversione di una delle palestre a studio televisivo dell'emittente Udinese Channel, l'eliminazione di buona parte delle barriere poste fra gli spalti ed il terreno di gioco, la sperimentazione della moviola elettronica in campo (su progetto finanziato e promosso dalla famiglia Pozzo in collaborazione con il Cnr di Bari), il miglioramento e l'ampliamento del ristorante interno e dell'impianto insonorizzatore e l'installazione di un nuovo maxi schermo molti anni dopo la disattivazione del precedente (anche questo il più grande d'Europa!), in realtà presto poi tolto. Nel 2012 il Comune di Udine propose un bando per la concessione dello stadio (con annesso l'appalto per il rifacimento dello stesso) della durata di novantanove anni; l'unica offerta pervenuta fu quella della società, che si rivelò inevitabilmente vincitrice e quindi di fatto proprietaria dello stadio. I lavori iniziarono nel 2013; la nuova costruzione sulle fondamenta del vecchio stadio avvenne il 23 giugno 2014, mentre l'inaugurazione è datata 17 gennaio 2015. Una

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grande dimostrazione quindi di efficienza, costata un investimento attorno ai 25 mln di euro sostenuto per oltre l'80% dai finanziamenti assicurati dal Ministero dell'Economia tramite l'apposito Istituto per il Credito Sportivo, dimostrazione del concreto sostegno assicurato dallo Stato per progetti di questo tipo, e quindi incentivo, al momento ben poco accolto, per tutte le altre società ad imitare quanto fatto dalle tre compagini presentate. Tuttavia i lavori ad Udine necessitano ancora di un investimento di entità pari al primo per il completamento di tutte le strutture interne allo stadio capaci di rendere l'impianto pienamente fruibile sette giorni su sette sul modello inglese ormai ben conosciuto.

Moltissimi progetti sono stati in realtà ideati e proposti per realizzare qualcosa di analogo anche in altre città italiane. La Serie B ha avviato appositamente il progetto Serie B Futura per incentivare il rinnovamento e la crescita del movimento attraverso la rivisitazione degli stadi. Tuttavia, nei fatti, niente si è veramente deciso e sarebbe superfluo mettersi ad elencare le vicende che regolarmente riemergono promettendo rimodernamenti e nuove costruzioni nel mondo degli stadi italiani, soprattutto nelle grandi città, le cui squadre sognano da tempo di inaugurare nuovi stadi di proprietà e di interrompere l'eventuale condivisione dello stadio cittadino con l'altra compagine locale. Ma, tant'è, niente pare concretamente muoversi in tempi brevi. L'unica squadra di caratura nazionale ad aver voltato pagina in questo senso sembrava essere stata nel 2012 il Cagliari, deciso a lasciare il vecchio Sant'Elia, che fra l'altro ospitò alcune partite dei Campionati del Mondo di Italia '90, ma che era stato dichiarato inagibile per i nuovi standard richiesti in Serie A in quel momento. Dopo aver a lungo progettato un nuovo stadio cittadino intitolato a Santa Caterina, la squadra si trasferì invece nell'hinterland cittadino, a Quartu Sant'Elena, dove venne riqualificato il piccolo impianto locale, lo stadio comunale Is Arenas, che fu perfino dotato di ben 11 sky box. Ma questa avventura avrà vita breve: esplose presto uno scandalo che vide accusati di peculato, falso ideologico ed abuso edilizio il vulcanico presidente Massimo Cellino, vari membri della giunta comunale, fra cui il sindaco, ed il progettista dell'impianto. Così la squadra, dopo soltanto 14 partite disputate, segnate da settori dello stadio in molte partite ancora chiusi per lavori, una sconfitta

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0-3 a tavolino ed anche una polemica sollevata dal Wwf per la tutela dell'adiacente parco naturalistico di Molentargius, dovette abbandonare lo stadio di Quartu Sant'Elena, definitivamente dichiarato inagibile dalla Commissione di Vigilanza. La stagione si concluse con tre partite ivi giocate a porte chiuse, prima di trasferirsi per gli ultimi quattro incontri casalinghi stagionali allo stadio Nereo Rocco di Trieste. La storia si conclude poi con il ritorno del Cagliari al Sant'Elia, reso a norma e riqualificato anche grazie ad una campagna di introduzione di un moderno logo per l'impianto e dal riutilizzo dei materiali edili ottenuti con lo smantellamento dello stadio di Quartu Sant'Elena.

Oggi i tre progetti più credibili in tempi prossimi, nonché già avviati, di riqualificazione in ottica moderna e polivalente di stadi italiani, e magari di una futura privatizzazione, sono quelli portati avanti da Empoli, Bologna e soprattutto Atalanta: è ancora la provincia, evidentemente, a fare la parte del leone nel guidare il nostro sistema calcistico verso il rinnovamento, l'efficienza e la dimensione europea. Tuttavia sembrano essere prossimi all'avvio anche i progetti presentati da Roma e Fiorentina, ma aspettiamo gli sviluppi di questi ambiziosi sogni.

2.3 Merchandising

Si tratta dell'efficace sfruttamento del marchio della società, utilizzato tanto per mettere in commercio l'abbigliamento tecnico ufficiale della squadra, quanto per griffare con il logo della compagine oggetti di tutti i tipi (cancelleria, abbigliamento vario, accessori, oggettistica, utensili e stoviglie da cucina, eccetera), rendendoli appetiti ai tifosi. Fra le società più prestigiose e più seguite dai tifosi uncommitted, come il Manchester United ed il Barcellona, il merchandising è uno dei mezzi più efficaci per raccogliere simpatie anche fra i tifosi stranieri: quale appassionato di calcio che si trovi in vacanza a Monaco non vorrà fare un salto nei dintorni dello stadio (vedi paragrafo precedente) e dare un'occhiata al grandissimo negozio ufficiale del Bayern? Il marchio di una società calcistica è molto forte e di valore, per l'ampiezza e la fedeltà del bacino d'utenza di cui può disporre, oltre che inconfondibile per tifosi ed appassionati. Trattando invece la realtà italiana, questa voce è particolarmente

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poco rilevante dei bilanci delle nostre società. Queste, al contrario che nella maggior parte delle realtà estere, non si occupano direttamente di quest'area, delegandone la gestione a società specializzate nel merchandising oppure già operanti in ciascun settore interessato. Una delle cause maggiori della scarsezza di introiti generati è inoltre data dalla limitata protezione del marchio assicurata rispetto all'industria del "taroccato": basta trovarsi nei pressi di uno stadio in occasione di una partita per notare che le bancarelle presenti tutt'intorno in occasione dell'evento sportivo vendono esclusivamente, o quasi, merce non autentica, come le magliette contraddistinte dallo stemma della squadra non originale (mentre curiosamente lo sponsor presente sul petto dei calciatori è sempre riprodotto perfettamente uguale a quello reale) o merce con un riferimento "generico" alla compagine, come sciarpe e bandiere semplicemente riportanti il nome della squadra e abbellite dai colori sociali. Tuttavia va detto che anche questa volta gioca un ruolo molto importante l'aspetto "culturale": mentre nel Regno Unito (ma anche in Germania, Francia, Portogallo Spagna, Olanda...) ogni tifoso fa orgogliosamente sfoggio della propria divisa ufficiale, comprata tutti gli anni nuova (con una spesa difficilmente inferiore ai 140 euro per il completo formato da maglietta, pantaloncini e calzettoni), in Italia non sono molte le persone che acquistano abitualmente il completo della propria squadra del cuore: allo stadio si preferisce andare in borghese, magari portando però la sciarpa della squadra amata, oppure con magliette che parlano della propria appartenenza ad un club oppure ad un gruppo di tifosi. Fra i ragazzi ed i giovani, pur possedendo tutti almeno una maglietta autentica della propria squadra preferita, oggi è addirittura più di moda limitare gli acquisti a magliette di squadre soprattutto estere, da sfoggiare con fierezza alle partite di calcetto con gli amici, magari come

souvenir di lusso al ritorno da qualche viaggio. Non bisogna infatti dimenticare

l'attenzione tipicamente italiana all'estetica ed alla moda: nessun ragazzo italiano va a passeggio per le vie del centro indossando la maglietta della propria squadra del cuore; sono invece "accettati" dai codici della moda attuale i pantaloncini da calcio ed i pantaloni della tuta ufficiale di qualsiasi compagine e le suddette magliette di grandi squadre estere (interpretate alla stregua di un capo di abbigliamento

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"normale" e non indossato per mostrare la propria fede di tifoso), purché naturalmente originali e sfoggiate del tutto occasionalmente. Gode invece da sempre di ampia fortuna l'abbigliamento Nba: molti ragazzi indossano cappellini (questi sono altrettanto diffusi anche con i loghi ed i nomi delle compagini di Nfl ed Nhl), canotte o pantaloncini delle società di pallacanestro degli Stati Uniti anche per uscire la sera, e non ne esistono le versioni "taroccate". I bambini invece, da parte loro, difficilmente si formalizzano se viene loro regalata una maglietta "tarocca" da 15 euro al posto di quella originale, magari da cambiare presto per la crescita di statura.

Tab. 45 Percentuale di tifosi di squadre di Serie A che hanno dichiarato di aver acquistato durante l'anno almeno un prodotto di merchandising ufficiale, stagione 2012/13 Napoli 31,6% Sampdoria 27,0% Juventus 24,9% Roma 24,8% Inter 23,5% Lazio 22,9% Atalanta 21,9% Milan 21,4% Torino 21,2% Pescara 20,1% Genoa 19,1% Catania 16,8% Bologna 15,9% Fiorentina 15,6% Cagliari 15,3% Palermo 14,2% Siena 13,1% Chievo Vr 12,0%

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Udinese 11,7%

Parma 11,5%

Totale 19,2% ( totale 4 900 933)

Tab. 46 Magliette ufficiali vendute per squadra (con marchio del rispettivo sponsor tecnico), anno 2014

Real Madrid 1 400 000 Adidas Manchester United 1 400 000 Nike

Barcellona 1 150 000 Nike

Chelsea 910 000 Adidas

Bayern Monaco 880 000 Adidas

Liverpool 810 000 Warrior

Arsenal 800 000 Puma

Juventus 480 000 Nike

Inter 425 000 Nike

Milan 350 000 Adidas

Tab. 47 Magliette ufficiali vendute per calciatore (con marchio del rispettivo sponsor tecnico), anno 2015. Fonte amalamaglia.it via worldsoccershop.com

1 Lionel Messi Barcellona Nike

2 Cristiano Ronaldo Real Madrid Adidas

3 Neymar Jr. Barcellona Nike

4 Eden Hazard Chelsea Adidas

5 Alexis Sanchez Arsenal Puma

6 Zlatan Ibrahimović Paris Saint-Germain Nike 7 Steve Gerrard Los Angeles Galaxy Adidas

8 Harry Kane Tottenham Under Armour

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