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CAPITOLO III «La vita era quella, interamente,

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

«La vita era quella, interamente, ad essa s’erano date tutte allontanandosi dall’altra,

dalla vita vera divenuta oramai una commedia per esse, che non aveva nulla di reale» (A. Palazzeschi, Sorelle Materassi)

Come anticipato nell’ Introduzione, l’oggetto d’indagine di questa tesi concerne l’evidenziazione delle potenzialità drammaturgiche del romanzo Sorelle Materassi attraverso l’individuazione di una particolare struttura narrativa che ne ha consentito, in momenti successivi, la serie di adattamenti tratti rispettivamente per lo schermo, per la tv e per il teatro.

Secondo il parere di Chatman1, infatti, la trasponibilità di una

narrativa è la ragione più valida per dimostrare che l’essenza di un’opera è indipendente dal medium prescelto a rappresentarla, poiché ciò che la identifica come tale è la sua organizzazione in una struttura. La narrativa è da considerarsi struttura perché si manifesta nella sua totalità, autoregolazione e trasformazione.

Essa è totale perché costituita da eventi ed esistenti collegati ed interdipendenti tra di loro; è autoregolata perché si presenta come sistema chiuso e completo i cui componenti non possono interagire al di là di certi limiti prescritti ed è sottoponibile a trasformazione in quanto gli eventi che la compongono vengono organizzati dall’autore in un racconto secondo un ordine di tipo causale o di tipo selettivo.

1 SYMOUR CHATMAN, Storia e Discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Pratiche

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61 Il medium, dunque, appartiene non alla sfera della materia narrativa (storia), ma del discorso narrativo (racconto) e tale discorso è a sua volta divisibile in due sottocomponenti: la forma narrativa stessa e la sua manifestazione, cioè «il suo apparire in un medium specifico che la materializza» e che può o meno influenzare la sua trasmissione ai destinatari.

Lo studio di Chatman non si addentra nell’analisi delle caratteristiche specifiche dei diversi medium utilizzabili per la divulgazione di un’opera ma, limitandosi ad un confronto tra i modi del cinema e del romanzo, definisce nella sua analisi le componenti principali comuni a tutte le narrative, arriva cioè a dimostrare che, in funzione di queste prerogative, un’unica storia può godere di molteplici rappresentazioni e, conseguentemente, tale studio offre a noi una solida base teorica per giustificare le diverse trasposizioni di un testo letterario e, nel nostro caso, di Sorelle Materassi.

Ovviamente, in quanto medium diversi, sia il romanzo, sia il film ma anche lo sceneggiato televisivo, facendo affidamento su strumenti espressivi differenti, mettono in evidenza aspetti selettivi di una medesima storia e lo fanno ciascuno con effetti narrativi propri2.

Per quanto concerne il teatro, invece, essendo esso un genere vicino alla letteratura per la presenza di un modello narrativo e di una fabula ma divergente per intrigo e discorso3, è necessario fare un discorso

a parte che verrà approfondito più avanti.

Ciò che qui si intende dimostrare, però, indipendentemente dagli adattamenti tratti, è la presenza nel romanzo Sorelle Materassi di scene e di moduli narrativi che già di per sé si presentano come potenzialmente filmici o drammatici, secondo presupposti di tipo figurativo e scenico.

2 Ivi, p. 27.

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62 Pertanto, si affronteranno quegli elementi strutturali del romanzo comuni anche agli altri generi presi in esame, in quanto inerenti ad ogni tipo di narrativa, focalizzando l’attenzione su quegli aspetti che emergono nel testo per il loro carattere particolarmente rappresentativo o visivo, ripresi anche dalle successive trasposizioni filmiche e teatrali.

3.1 Il romanzo

Un accenno al contenuto dell’opera, e dunque alla fabula, è già stato effettuato nel precedente capitolo a proposito della vicenda editoriale del romanzo4. In questo capitolo, invece, si affronterà il

problema del discorso narrativo in Sorelle, relativamente alla struttura della narrazione, al modo dell’esposizione e alla funzione della voce narrante5.

Da un punto di vista narratologico possiamo dire che Sorelle

Materassi presenta uno schema di tipo tradizionale (ordine-

disordine-ordine) dove il momento di disordine centrale è segnato dall’irrompere del personaggio di Remo nelle consuetudinarie vite delle due protagoniste.

All’interno della vicenda il giovane nipote svolge infatti il ruolo di

antagonista, ovvero di colui che, intervenendo nell’azione e opponendosi

alle due protagoniste, distrugge direttamente o indirettamente la loro ordinaria felicità. Il periodo di tempo che Remo trascorre insieme alle due zie sino alla sua definitiva partenza per l’America, segna infatti un vero e proprio trauma nella vita delle due ricamatrici e determina un loro lento e graduale cambiamento interiore e un rinnovato atteggiamento nei confronti della realtà.

La tragicità che scaturisce da questo momento di rottura è ulteriormente intensificata da una sorta di ripetersi fatalistico degli eventi, quasi in un’ottica di ripresa del concetto di colpa di antica derivazione greca.

4 Cfr. Cap. II, pp. 37-8.

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63 Il declino economico al quale Teresa e Carolina devono far fronte per colpa di Remo rappresenta nient’altro che il ripetersi di una situazione identica già vissuta molto tempo prima: al periodo di floridezza economica originata dall’operosità del nonno è seguito il tracollo finanziario dovuto alla dissolutezza del padre, dissolutezza alla quale le due sorelle hanno posto rimedio lavorando duramente per anni prima di poter riconquistare una dignitosa situazione sociale e patrimoniale.

Possiamo parlare quindi di una doppia ciclicità, sia in senso strutturale, sia in senso situazionale, quest’ultima avvalorata dal ripetersi di circostanze che risultano inevitabili nonostante il risoluto tentativo delle protagoniste di fuggire da situazioni già vissute e che raddoppiano conseguentemente la drammaticità della resipiscenza finale.

Nonostante all’interno del romanzo palazzeschiano si possa dire che la fabula prevalga sull’intreccio6, non significa che da parte dell’autore sia assente un progetto di drammaturgia. Come afferma infatti Chatman, «una narrativa senza intreccio è un’impossibilità logica»7. Ciò che quindi

distingue veramente l’intreccio di Sorelle Materassi da un esempio di intreccio tradizionale qualsiasi sta nello spostamento di focalizzazione che dall’azione si muove verso i personaggi. L’opera presenta dunque un intreccio di tipo rivelatorio anziché di tipo risolutivo8 dove l’avvenire risulta

subordinato all’essere e dove di conseguenza la categoria temporale della narrazione assume un ruolo di secondo grado rispetto alle altre due categorie del racconto messe in evidenza da Genette, ovvero quella della modalità di rappresentazione narrativa e quella della voce narrante.

Pertanto, in un’opera come Sorelle Materassi dove l’aspetto ha la prevalenza sul contenuto, l’operazione di costruzione del romanzo a livello formale e, soprattutto, il suo svelamento come finzione, assumono un

6 A livello narrativo non si riscontrano infatti grandi eventi di cambiamento o violenti salti temporali.

Il ricorso alla prolessi è praticamente assente e l’analessi è riservata solo ad informare sugli antefatti dei singoli protagonisti, senza stravolgere il lineare procedere degli eventi.

7 S. CHATMAN, op. cit. 1981, p. 46.

8 «Gli intrecci di rivelazione tendono ad essere fortemente orientati al personaggio, interessati agli

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64 ruolo determinante nell’interpretazione dell’opera e nella valutazione del ruolo assunto dall’istanza narrante. Quest’ultima infrange volontariamente e costantemente l’illusione di realtà che è prerogativa di ogni narrazione, per coinvolgere il lettore a partecipare alla rappresentazione in atto più in qualità di spettatore che in qualità di lettore9.

Ciò dipende essenzialmente da quella che Genette10 definisce

come «visione», ovvero la prospettiva che l’autore assume o, finge di assumere, nei confronti della propria materia narrativa in funzione di un determinato effetto che egli punta a suscitare sul lettore. Ma prima di entrare nel merito del problema, occorre dedicare un attimo di attenzione all’organizzazione degli eventi così come si manifestano all’interno del romanzo, l’opera prima dalla quale dipenderanno i successivi adattamenti e che per anni ha avuto e continua ad avere intrinseco valore letterario. Facendo riferimento all’ ordine e alla durata degli eventi, anche ad un livello di natura essenzialmente organizzativa e contenutistica della materia narrata, è possibile rintracciare una serie di indizi relativi al modo di presentazione della storia.

3.1.1 La struttura dell’opera

In termini di struttura narrativa, un particolare colpisce più di tutti e cioè che a partire dell’indice del romanzo, l’autore dia implicitamente al lettore delle prime indicazioni sulla vicenda, tramite la scelta di titoli di capitolo evocativi che riprendono i nomi dei principali personaggi della storia.

Il romanzo si suddivide infatti in otto capitoli organizzabili a loro volta, in due grandi sottosistemi: una prima parte costituita dal capitolo I,

Santa Maria a Coverciano, ha la funzione di introdurre il paesaggio e

l’ambientazione dell’opera e una seconda parte, racchiudendo al suo

9 «Ho detto armoniosissime, giacché la cosa che salta agli occhi dello spettatore […]», Sorelle Materassi, p. 13; «e un’altra osservazione non potrà sfuggire all’occhio esperto, […]», Ivi, p. 4; «È

necessario che noi osserviamo bene […]», Ivi, p. 16; «Erano due fanciulle impietrite, femminilità di cui soltanto l’osservatore esperto poteva rinvenire le tracce», Ivi, 30.

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65 interno tutti i restanti capitoli, rappresenta invece il vero e proprio romanzo, in quanto zona della narrazione in cui si concentra l’intera vicenda11.

Escluso il primo capitolo, i titoli contenuti in questa seconda parte sono: “Sorelle Materassi”; ʺRemo! Remo!”; Palle!; Teresa e Carolina stanno

a vedere, Giselda canta, Niobe va a vendemmiare; “Giselda! Niobe!”; Peggy; Sepolte vive.

Su sette titoli, sei citano i nomi dei principali protagonisti della vicenda, tramite la ripresa di esclamazioni o di frammenti facenti parte dello stesso racconto, quasi come se la scelta delle singole titolature fosse suggerita all’autore direttamente dalla materia narrativa. Questo tipo di indice sembra richiamare le scene previste da una sceneggiatura cinematografica che focalizza i momenti salienti della storia e i personaggi su cui essi sono imperniati. Ad esempio, nel titolo esclamativo

“Giselda!Niobe!”, c’è anticipata la drammaticità dell’episodio della

cambiale che segna l’apice del climax ascendente che parte dalle prime spese di Remo e arriva fino alla perdita totale del patrimonio.

La seconda parte del romanzo è quella più copiosa di informazioni e di eventi: nel capitolo “Sorelle Materassi”, l’autore fissa la situazione di partenza, introducendo insieme alla «scena fondamentale […] base della modestissima azione»12 anche l’identità delle due protagoniste, Teresa e

Carolina Materassi, di cui l’autore non solo ci offre dettagliate indicazioni riguardo all’aspetto fisico e psicologico, ma ci regala anche alcuni simpatici aneddoti sul loro modo di vivere e sulle loro singolari abitudini, sconvolte dall’arrivo sulla scena di Remo, il loro nipote. La presentazione dell’aspetto esteriore del ragazzo è particolarmente marcata e vivida di dettagli. L’autore ne pone subito in risalto la fisicità come elemento caratterizzante, non solo da un punto di vista estetico ma anche psicologico poiché, con la natura straniante e misteriosa, determina lo sconvolgimento emotivo ed economico delle due zie. La parte centrale del romanzo è inoltre da

11 S. S. STAUBLI, op. cit. 2001, pp. 119-120. 12 Sorelle Materassi, p. 16.

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66 considerare nodale ai fini dello sviluppo dell’intreccio narrativo. È questa la sede in cui vengono presentati i momenti salienti della vicenda: dall’incontro tra Remo e Palle all’episodio della contessa Russa, dall’ «abbuiamento»13 della gravidanza di Laurina, una giovane messa incinta

da Remo, alla scena della cambiale sino al matrimonio tra Remo e Peggy.

Sepolte vive, il capitolo conclusivo, ha infine come unica funzione

quella di offrire una soluzione conclusiva al romanzo: a distanza di tempo, dopo la definitiva partenza di Remo, l’autore delinea da un lato la situazione emotiva ed economica delle sorelle alla luce delle recenti esperienze e dall’altro dà dimostrazione della loro avvenuta trasformazione interiore, dipingendole in situazioni comportamentali nuove rispetto alle precedenti.

Riprendendo il discorso sulla scelta di titoli “parlanti” come introduttori di capitolo, si può quindi sintetizzare come questa sia una soluzione narrativa da mettere in rilievo almeno per due aspetti principali: il primo rientra nella funzione di regia assunta dall’autore in relazione all’ordine e all’operazione di selezione degli eventi da inserire nella narrazione; il secondo dipende invece dalla funzione comunicativa, ovvero dal ruolo che l’autore ha deciso di assumere nei confronti del lettore14.

Nel primo caso si realizza nient’altro che una pratica comune a tutte le strutture narrative, riguardante il montaggio delle singole parti dell’opera15. In questa fase l’autore seleziona gli avvenimenti spettanti la

vita dei singoli personaggi da mettere in evidenza distinguendoli da quelli che, invece, possono essere comunicati sotto forma di riassunto. Secondo l’dea di tessuto narrativo elaborata da Genette, un racconto si costituisce, infatti, dall’alternanza di sommario e di scene, dove però la scena non corrisponde, secondo la visione classica, semplicemente ai luoghi di «concentrazione drammatica» della vicenda, ma piuttosto ai momenti tipici della storia, «esemplari, dove l’azione si cancella quasi

13 Ivi, p. 36.

14 G. GENETTE, op. cit. 1976, pp. 303-307. 15 S. CHATMAN, op. cit. 1981, p. 63.

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67 completamente a favore della caratterizzazione psicologica e morale»16.

Se, come abbiamo detto, in Sorelle Materassi un processo di tipo risolutivo è quasi inesistente, l’intera attenzione dell’autore si focalizza, dunque, sulla caratterizzazione degli esistenti (personaggio; ambiente) e sulle scene propriamente dette secondo la visione genettiana che, pertanto, vanno a costituire la maggior parte dei nuclei narrativi dell’opera17.

Inoltre, secondo il parere di Chatman, la predominanza delle scene sui riassunti è una delle principali caratteristiche che contraddistingue il romanzo moderno da quello classico, manifestandosi per tale ragione «più filmico»18 rispetto al precedente, indipendentemente dalla

considerazione di una possibile influenza diretta del cinema sulla letteratura. L’accostamento operato da Chatman tra romanzo e cinema si basa essenzialmente sul carattere particolarmente figurativo di certe scene letterarie e ci obbliga conseguentemente ad approfondire il concetto di distanza narrativa proposto da Genette sul rapporto tra racconto e narrazione19. Secondo lo studioso, dal grado di relazione tra

questi due fattori derivano due modi di rappresentazione narrativa: la diegesi, per quanto riguarda l’ambito romanzesco e la mimesi, per quanto riguarda l’ambito teatrale, due termini aristotelici che verranno successivamente tradotti nel XX secolo dai teorici del romanzo inglese ed americano in telling (narrare) e showing (mostrare).

Ora, secondo Genette, la nozione di showing, in quanto operazione peculiare della rappresentazione drammatica, non può essere applicata alla letteratura che, al contrario, «non può mostrare o imitare la storia che narra. Può solo raccontarla in modo particolareggiato, preciso, vivo, e dare così una maggiore o minore impressione di mimesi [che è per essa] la sola mimesi possibile»20.

16 G. GENETTE, op. cit. 1976, p. 160. 17 S. CHATMAN, op. cit. 1981, pp. 52-54. 18 Ivi, p. 76.

19 G. GENETTE, op. cit. 1976, p. 209. 20 Ivi, pp. 210-11.

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68 Inoltre, egli mette in evidenza che il grado di forza mimetica di una scena letteraria è, per necessità, inversamente proporzionale al grado di presenza dell’istanza narrante durante il corso della narrazione: più la presenza del narratore è trasparente, più una determinata scena diventa mimetica. Ma lo stesso Genette riconosce anche l’esistenza di casi narrativi in cui questa norma viene prepotentemente elusa e ciò avviene di fronte a delle scene narrative che si distinguono dalle altre per il loro carattere particolarmente visivo, la cui intensità mimetica non dipende dalla presenza o dall’assenza della figura del narratore, bensì dalla capacità di quest’ultimo di accorciare, mediante il potere evocativo della parola, la distanza tra la realtà e la proiezione mentale di una determinata scena21.

Questo grado di visibilità attribuito a certe scene narrative che assumono, quindi, quasi l’identità di vere e proprie icone verbalmente rese, sono particolarmente presenti nell’opera palazzeschiana, insieme alla presenza di altrettante scene di forte carattere mimetico e, dunque, di chiara atmosfera drammatica come sarà più avanti esemplificato.

Ovviamente, come evidenziato da Segre, il teatro ha delle sue caratteristiche intrinseche che, salvo alcuni punti di contatto con il tipo narrativo, sono esclusive del genere drammatico. Ma il concetto di

teatralità, in quanto «azione al livello dell’intreccio»22, può

contemporaneamente appartenere tanto alla narrativa quanto al teatro e si può manifestare, per quanto concerne il romanzo, o a un livello macrostrutturale (l’intera impalcatura narrativa) o a un livello microstrutturale (la singola scena). L’unica vera differenza tra teatralità narrativa e teatralità drammatica è di tipo aspettuale: nel primo caso si realizza solo a un livello metaforico o potenziale e nel secondo caso a un livello fattuale; in entrambi i casi si parla comunque di finzione e di opportunità di realizzazione scenica.

21 Cfr. Ivi, pp. 214-15 a proposito della scena del coricarsi a Combray ne La ricerca del tempo perduto.

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69 Di teatralità si parla anche per Sorelle Materassi dove per tutto il romanzo aleggia una costante dimensione di finzione, dove l’inganno e l’autoinganno sono le strategie messe in atto tanto dall’autore nei confronti del lettore, quanto dai personaggi nei confronti di loro stessi e dove ciascun componente interpreta un doppio ruolo, negando ciò che veramente è e fingendo di essere ciò che vorrebbe. Ma da questa simulazione teatrale il lettore non viene escluso, anzi, l’autore lo mette da subito al corrente di tale impianto narrativo, dal momento che intervenendo nel testo con frequenti riferimenti al mondo teatrale, segnala alla sua attenzione non solo la natura del romanzo come messinscena, ma anche in che termini egli ha deciso di porsi nei suoi riguardi.

Con il lettore l’istanza narrante ricerca fin da subito un legame confidenziale e di complicità. Inoltre, più che rivolgersi unicamente a un lettore singolo, egli preferisce ricorrere spesso all’uso di un generico plurale, lasciando presupporre una prospettiva di pubblico abbastanza ampia, ma anche valutando la propria posizione nei confronti dei lettori in senso più ravvicinato, come qualcuno che, avendo fatto esperienza di questa storia singolare, si accinge adesso a raccontarla a coloro che sono desiderosi di apprenderla e predisposti a lasciarsi amichevolmente guidare nella conoscenza di vicende e personaggi23.

Dietro questa ricerca di un rapporto complice e malizioso tra destinatore e destinatario della storia, si intravede anche un altro

23 Il ruolo che la figura del narratore svolge all’interno di Sorelle Materassi sembra

involontariamente riprodurre il modello di narratore primitivo accuratamente teorizzato da Benjamin nel suo saggio più famoso, Angelus Novus. Il filosofo e critico letterario riconosce nell’«orientamento pratico di un narratore» il tratto caratteristico principale della vera narrazione; il narratore deve essere «persona di consiglio per chi lo ascolta», riuscendo a vincere e a mantenere viva questa missione oltre e nonostante il processo di declino della narrazione segnato, secondo Benjamin, dall’invenzione del romanzo e, cioè, dal passaggio dalla forma orale a quella scritta: «[…] i più grandi [narratori] sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi. Questi ultimi si dividono in due gruppi, che per altro si compenetrano in molti sensi. E il personaggio del narratore acquista tutta la sua fisica concretezza solo per chi li tenga presenti entrambi. “Chi viaggia ha molto da raccontare”, dice il detto popolare, […] Ma altrettanto volentieri si ascolta colui che, vivendo onestamente, è rimasto nella sua terra, e ne conosce le storie e le tradizioni. […]», WALTER BENJAMIN, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov in

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70 elemento vicino al genere teatrale, ovvero il forte grado di implicazione richiesto al pubblico di lettori nella comprensione dell’opera24. Sebbene

questa situazione nel romanzo si presenti come necessariamente mediata dalla figura del narratore che segnala all’occorrenza come interpretare determinate battute dei personaggi25, l’autore presuppone comunque

una competenza teatrale nel lettore e piega dunque la sua facoltà interpretativa ai tempi, ai modi e ai ritmi del palcoscenico.

In questi termini, dunque, Sorelle Materassi solo apparentemente è un romanzo catalogabile come tradizionale, definizione questa avvalorata dalla presenza di un autore onnisciente, di personaggi e ambientazioni verosimili o addirittura realmente esistiti, fino al riferimento a date che ne palesano l’esigenza di contestualizzazione storica26. Ma allo stesso tempo, per quanto concerne il modo della

narrazione e l’atteggiamento dell’istanza narrante, l’opera rivela di essere tutt’altro e molto altro, avvicinandosi in parte al teatro, per quanto riguarda la natura di messinscena e i frequenti riferimenti al mondo del palcoscenico, e al cinema per quanto concerne il carattere visivo di alcuni

24 CESARE SEGRE, op. cit. 1984, p. 9.

25 «Come il lettore comprende i suoi “sì” non erano dei “sì” qualunque, ma pesati bene, e

scendevano da quell’altezza accompagnati da sorrisi esercitati a scala come parole […]», Sorelle

Materassi, p. 99; «Questo “ormai”, però, non era definitivo nel modo con cui veniva pronunziato;

per chi capisce i toni e le sfumature del linguaggi, c’era rimasto in fondo un puntolino di luce che si poteva anche allargare […]», Ivi, p. 105; «e iniziando infine un saliscendi di risate eseguite tanto magistralmente: larghe, strette, larghe che finivano strette, strette che andavano ad allargare, lasciate cadere, riprese, picchiandosi un pugno sui ginocchi e mandando ancor più indietro il trofeo dell’autorità, tanto che le sorelle rimasero trasfigurate», Ivi, p. 107.

26 L’accenno a personaggi realmente esistiti, la precisazione di date esatte o di luoghi realmente

esistenti sono tutti espedienti letterari finalizzati a conferire veridicità ai fatti narrati: si tratta, in poche parole, di riferire tutti quei «dati impliciti (o necessari)» a formare l’extratesto, ovvero a ricreare l’atmosfera di ambientazione del romanzo. È l’autore stesso, ad esempio, a specificare che la vicenda prende avvio a partire dal 1918 («Avevano cinquant’anni all’epoca in cui si inizia questo racconto, e nell’anno millenovecentodiciotto precisamente.», Sorelle Materassi, p. 29.) o a dare precise indicazioni geografiche e spaziali, specie ricorrendo all’uso di toponimi esatti o di nomi propri di luoghi reali, come ad esempio accade nel capitolo incipitario dell’opera interame nte dedicato alla descrizione del paesaggio di Firenze, oppure quando si tratta di accennare ai locali frequentati da Remo durante le sue gite in città («[…]Da Narciso alle Cascine a prendere l’aperitivo, poi a cena a Fiesole, e verso le dieci alle Follie Estive []…», Sorelle Materassi, p. 232.). Anche l’evocazione di illustri personaggi storici o il ricorso a paragoni tra i personaggi del romanzo e alcuni famosi attori del cinema americano coevo ha questa finalità: il Papa a cui le sorelle fanno visita durante il loro viaggio romano è il famoso Pio Decimo, nel «Giugno che precedette la conflagrazione europea» (Sorelle Materassi, p. 28), o ancora, durante la sfilata dei due novelli sposi, Remo e Peggy, bellissimi e ammirati da tutti, accolti dagli abitanti in festa a Santa Maria, «Il cuore delle fanciulle» presenti tra la folla «non poteva mentire: Rodolfo Valentino, Ramon Novarro, Charles Farrel, Gary Cooper, non potevano sposare che Greta Garbo» (Sorelle Materassi, p. 246).

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71 passi che assumono quasi la dimensione di scene cinematografiche, suggerendo il tipo di inquadratura o i movimenti di macchina, come la panoramica sul paesaggio toscano descritto nella parte iniziale o la carrellata sull’abitazione e le proprietà delle Materassi sino ai primissimi piani o ai dettagli dei volti e degli occhi dei principali personaggi .

3.1.2 L’istanza narrante, lo stile e l’atteggiamento narrativo Applicando le classificazioni operate da Genette sulla persona e sulla prospettiva del narratore27, possiamo dire che il narratore di Sorelle Materassi è di tipo extradiegetico, per quanto riguarda il livello narrativo

ed eterodiegetico per quanto riguarda il suo rapporto con la storia: si tratta, quindi, di un narratore onnisciente che, fin dal primo capitolo, presenta gradatamente il contenuto della narrazione in quanto conoscitore dei fatti e interviene, di volta in volta nel testo, per esprimere pareri e opinioni su situazioni e personaggi.

Per quanto riguarda invece le sue funzioni, possiamo dire che il modello di narratore di Sorelle Materassi le ingloba quasi tutte, ma quella che risulta più evidente rispetto a tutte le altre è la funzione

comunicativa28.

Quest’ultima evidenzia infatti il carattere «fatico» e «conativo» della voce narrante che all’interno del romanzo ricerca sempre, come abbiamo anche anticipato in precedenza, un continuo dialogo con il suo pubblico di lettori e un rapporto di complicità nella valutazione degli eventi. Ma con quali strumenti stilistici l’autore di Sorelle Materassi crea con il pubblico questo rapporto di complicità?

In primo luogo, attraverso il commento che l’autore adopera in funzione di tutti i gradi possibili di valutazione individuati da Chatman29.

Un primo sistema è di interpretazione, quando il narratore interviene nel testo spiegando le motivazioni antistanti ai singoli avvenimenti, quando fa

27 G. GENETTE, op. cit. 1976, pp. 233-236. 28 Ivi, pp. 303-304.

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72 congetture circa il comportamento dei suoi personaggi oppure quando si rivolge con delle domande dirette al suo lettore:

«Si capiva già, non essere quello che un semplice campionario, un anticipo, la direttrice si sarebbe vista capitare a domicilio cose del genere […] per tutta l’estate avrebbe avuto di che tenersi fresca la bocca»;

«Qualche cosa di oscuro alitava sopra la casa da alcuni giorni, si addensava misteriosamente, invisibilmente …»;

«Un agguato? Un ratto? Un complotto? Una fuga? […] L’atmosfera venutasi a formare intorno a questa apparizione [di Laurina] era così fantastica da giustificare tutte le possibilità del romanzo o del dramma»;

«Bisogna riflettere che per la prima volta la zitella cinquantenne baciava un maschio, per quanto adolescente; fino a quel momento ne aveva baciati solo dei molto più giovani di lui, dei bambini […]»;

«Esistono anche oggi le mantenute? Le cocottes?»; «Qual era l’argomento dei loro discorsi? […] per queste, chi lo potrebbe dire?»30.

In secondo luogo il commento si formula come giudizio, quando alle considerazioni su azioni e personaggi si aggiunge una valutazione di tipo morale:

«Ecco la spiegazione della provvidenziale per quanto tragica fuga. Un direttore e una direttrice! È mai possibile vedere due Napoleoni che vivono insieme?»; «Non avevano voluto, e giustamente, che il ragazzo vestisse di nero per il lutto della madre, fragile istituzione della morale borghese che tutto basa sopra le forme e le apparenze […]»31.

Un ultimo commento riguarda la generalizzazione, quando lo scrittore ricorre ad assiomi di tipo filosofico o esperenziale che rientrano nel comune sentire o nella tradizione culturale:

«Nella nostra vita quotidiana si è spesso vittime di certi abbagli, sia come attori che come spettatori, è un’illusione dei sensi, della vista principalmente, e quando più siamo sicuri di essere noi a mandare la barca, proprio in quel momento ci accorgiamo (un momento terribile) che la barca ci fa andare, e dove vuole»; «Un bel sorriso può nascondere o lasciare vedere tante cose […]»;

«[…] non vi è sposa fedele (a questo aggettivo non vorrei aggiungere cifre, non conosco le statistiche) che almeno con gli occhi non abbia tradito il coniuge parecchie volte»;

«Povere donne, non sarà mai un’altra femmina a fare l’apologia del vostro genere»;

30 Sorelle Materassi, pp. 113, 191, 192, 117, 25, 42. 31Ivi, pp. 106, 96.

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«“[…] chi fa, fa per sé!” Trovato il punto fermo pareva volersi barricare dietro questa massima poco evangelica.»32.

Se possiamo dire che in Sorelle Materassi il commento diventa lo strumento prediletto dall’autore per interagire con il lettore, dobbiamo anche aggiungere che tale strumento si caratterizza maggiormente nel testo per il tono fortemente ironico che va da un livello più basso di lieve comicità a un livello più alto che rasenta la satira indiretta33. Ironia e satira

rappresentano sul piano dell’espressione la massima sintesi del tema portante del romanzo incentrato sull’eterno conflitto tra essere e apparire che è, tra l’altro, l’argomento principale dello scritto pirandelliano

Sull’umorismo.

Il tono del racconto è all’inizio giocoso e sorridente e si manifesta tramite una molteplice gamma di soluzioni retoriche e linguistiche tanto nelle parti descrittive, quanto in quelle narrative, come ad esempio l’uso di qualificazioni antropomorfe, di personificazioni e di forme alterate di aggettivi e nomi che, inserite in un contesto totalmente diverso da quello abituale, creano effetti di grande comicità34.

32 Ivi, pp. 138, 137, 171, 111, 194.

33 Dietro il sorriso dell’autore, a volte anche irriverente, si cela una critica, seppur velata, alle

convenzioni sociali del suo tempo e al perbenismo del ceto borghese. Infatti, i personaggi più rappresentativi della visione etica palazzeschiana sono in negativo le due ricamatrici prima dell’incontro col nipote, le autorità nelle persone della direttrice, del prete e del dottore e in genere della clientela; in positivo la figura di Niobe, di sana estrazione contadina e, per molti aspetti, quella di Remo che, preso dal suo narcisistico egocentrismo, sfugge a qualsiasi tentativo di conformarsi al suo rango sociale se non per gli aspetti che soddisfano la sua persona: motori, abbigliamento, svaghi, frequentazioni, ecc.

34 «un villino moderno, civettuolo, sfacciatello», Sorelle Materassi, p. 9; «chiesina col portichetto», Ivi, p. 9; «Piante tortuose e forse torturate […] perché: nervose, isteriche, segaligne, ascetiche», Ivi,

p. 7; «ameni boschetti […] cocuzzolo ispiratore», Ivi, p. 195; «bizzarra stanza», Ivi, p. 22; «cose mitologiche», Ivi, p. 41; «nomi mascolini incalzanti», Ivi, p. 44; «disagiosa spedizione» (riferito alla gita delle Materassi in campagna), Ivi, p. 52; «naso monumentale», Ivi, p. 101; «scherzi salaci; parole grasse», Ivi, p.53; «fuoco di quelle artiglierie» (riferito alle risate della direttrice e delle Materassi),

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74 Frequente è anche il ricorso a similitudini e paragoni35, alle

metafore bizzarre e canzonatorie36 o alle iperboli37, «spie di un giudizio

ironico»38 da parte del narratore nei confronti dei personaggi. Sempre in

quest’ottica, si ricorre spesso anche all’uso di interrogativi retorici segnando nel contempo, sul piano narrativo, un cambio di prospettiva: la disposizione di queste domande all’interno del testo è infatti abilmente calcolata e si ripresenta ogni qual volta ha la funzione di dare parvenza mimetica alla catena di dubbi e di pensieri che affliggono in quel momento il personaggio39.

Per connotare in chiave più maliziosa i comportamenti e le scelte dei personaggi è evidente anche il ricorso ad espressioni equivoche, a doppi sensi o a un lessico di chiara derivazione dialettale40. Momenti

35 «infarinate come pesci da friggere», Ivi, p. 42; «pittorescamente infronzolate da sembrare due

maschere», Ivi, 49; «Ci tenevano troppo a dimostrare che costituivano un mondo che […] non aveva nulla a che spartire, quasi fossero uscite dalla costola di un re», Ivi, p. 53; «[…] la vettura parve rientrare in se stessa, quindi chinarsi, chinarsi come una gallina quando deposita l’uovo […]», Ivi, p. 98; «fuggivano lungo la stazione come sotto i colpi di una mitragliatrice», Ivi p. 94; «un portasigarette grande come un libro da messa», Ivi, p. 303; «Poi c’è una villa […] che sta, come una vecchia dama seduta in poltrona, con la sottana ampissima e la cuffia», Ivi, p. 9.

36 «fanciulle impietrite», Ivi, p.45; «[…] come avesse potuto innamorarsi di […] un bastone vestito,

viso vieto; bocca piallata, trabiccolo», Ivi, p.46; «ogni movimento era per loro una trafitta, un dolore […]», Ivi, p. 56; «quelle vecchie cavalle [Teresa, Carolina e direttrice] non erano lì per mordere, e mangiassero la biada o spalancassero la bocca per nitrire rimaneva impassibile [Remo]», Ivi, p. 104; «non erano che tre mezzi limoni spremuti», Ivi, p. 336.

37 «[…] Carolina […] eseguì con le sue mani l’Ostia, che per essere un disco tutto bianco poteva

appesantire la figura retrostante ferma e dura, divenne essa stessa di una leggerezza incorporea nel tirare il filo, tanto che l’Ostia si formò con la soavità di vapore di sale», Ivi, p. 27; «denti gialli […] lunghissimi, in cui i tarli formavano taccarelle e forellini […]», Ivi, p. 100; «[…] la pelle insugherita avviata a divenire spugnosa, e che al microscopio doveva mostrare certi panorami di montagne e di colline come quelle della luna», Ivi, p. 101.

38 S. S. STAUBLI, op. cit. 2001, p. 155.

39 «A una zia cinquantenne, che doveva assumere le funzioni di madre, non era dunque concesso

di baciare il nipote che si poteva considerare ancora un bambino?», Sorelle Materassi, p. 84; «Nascondeva essa [la timidezza di Remo] un pensiero dominante? […] O era il freno che s’ imponeva [Remo] virilmente per non abbandonarsi a una incomposta disperazione […]?», Ivi, p. 68; «[…] forse perché Remo, per la figura e la serietà del portamento, aveva già un aspetto troppo virile per trattarlo fanciullescamente, o per un sospetto di peluria incipiente nel labbro superiore?», Ivi, p. 87; «[…] “Niobe!”, ripeté. Che doveva fare? Doveva rispondere?», Ivi, p. 221; «Aveva trovato da lavorare, da sistemarsi, finalmente? Aveva delle buone speranze, povero giovane?», Ivi, p. 285; «Il vero sentimento qual era, quello che esprimevano nel loro arsenale, o negli altri luoghi, durante i rari intervalli quando ritornavano due donne come le altre?», Ivi, p. 95; «Nella voce di Carolina moriva la speranza d’essere udita o ne trapelava il timore?», Ivi, p. 220.

40 «Una volta sul sofà [le due sorelle] […] si gettava ai loro piedi [Niobe] […] e metteva loro le mani

sotto le sottane per assicurarsi che erano sempre calde […]», Ivi, p. 56; «la gioia più grande e reciproca [Remo e Palle] era di dormire insieme», Ivi, p. 167; «I suoi occhi [di Carolina] naufraghi si aggrappavano al loro [dei soldati] tronco di salvataggio», Ivi, p. 59; «[…] guardando il Davide si vede tutto… e non si sa niente. Forse perché è di marmo fa meno effetto […]», Ivi, p. 303; «Le Materassi le confezionavano [alla contessa] […] un suo speciale indumento detto “combinazione giglio” […] una camicia con mutandine attaccate che serravano il corpo all’altezza dei seni e alla sommità delle

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75 celebri di questa sensualità sotterranea che si infiltra anche nelle situazioni più quotidiane e naturali sono, ad esempio, la scena del fico colto da Carolina durante la gita in campagna:

«Carolina […] se scorgeva dalla viottola una pesca matura o un fico sporgente e a portata di mano, lo acchiappava a vista, o prima di coglierlo lo teneva stretto per alcuni secondi da lasciar credere che invece di palparlo lo volesse spremere, rivelando non la volontà di sentire il frutto maturo, ma il curioso turbamento che le veniva da quel contatto […]»41

o quella del “biscottino” offerto alla direttrice da Remo durante la visita a casa Materassi, segno esteriore di un tacito accordo di reciproco scambio:

«[…] Sì, sì, da lui se lo lasciava dare un altro biscottino, dalle amiche invece no, niente da quelle, ma da lui lo prendeva e lo buttava giù. L’esercizio fu ripetuto parecchie volte, e sempre dopo crescenti offese, e capitolazioni più clamorose»42

o quella del ritorno di Niobe dalla “vendemmia” quando «era carica d’uva come una baccante: tralci, penzoli, grappoli, in mezzo ai quali rideva con la bocca sdentata, lasciandosi sfrondare, cogliere, piluccare, e annaspando di suo per dare ad ognuno qualche cosa, […]»43.

La dicotomia tra essere e apparire è ulteriormente evidenziata anche sul piano onomastico44: il nome, al pari dell’aggettivo esilarante o

dell’ironico eufemismo, viene utilizzato a fini comici, ma diventa

gambe in quel calice profumato di cui assumevano il nome», Ivi, 173; «Che occhi! Che tracagnotti! Che zampe! Che spalle! Bei’ moro, perdie!», Ivi, p. 60.

41 Ivi, p. 53. 42 Ivi, p. 112. 43 Ivi, p. 206.

44 La dicotomia tra realtà e apparenza, tra vita vera e vita falsa, materializzata efficacemente nella

scena del travestimento delle sorelle, è abilmente resa da Palazzeschi anche sul piano onomastico nel rapporto che lega nome e cognome. L’onomastica sembra accompagnare magnificamente la visione scanzonata ma anche tragica e imperscrutabile della vita contenuta nel romanzo. La vita come mascherata è vissuta in Palazzeschi non solo sul piano narrativo, ma anche su quello onomastico, in quanto i nomi, al pari delle persone che identificano, hanno anch’essi valenze «estetiche e mascherative», sono atti a celare e non svelare la vera essenza della persona in alcuni casi e ad esprimerne, in altri, l’indole e il temperamento più vero. L’elemento onomastico che, al contrario, sembra invece accogliere gli aspetti più veri e meno artificiali del personaggio che rappresenta è l’ipocoristico o il comune soprannome. Palazzeschi ne riconosce e ne esalta il valore positivo in quanto solo il soprannome, in virtù del suo potere connotativo e analogico, sembra per lui in grado di esprimere veramente l’essenza di una persona. A tal proposito, la lunga digressione sull’origine del soprannome e sul personaggio di Palle è paradigmatica, così come lo è anche la scelta di diminuitivi e vezzeggiativi per designare tutti i personaggi di estrazione bassa e popolare presenti all’interno del romanzo. Per un approfondimento sul ruolo dell’onomastica nell’opera di Palazzeschi e sul suo utilizzo in termini di strategia letteraria, si suggeris ce la lettura di ADELE DEI,

L’ambiguità della nostalgia, Sull’onomastica di Aldo Palazzeschi in Il Nome nel testo. Rivista internazionale di onomastica letteraria, VII, 2005, ETS, Pisa.

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76 soprattutto espressione dell’abilità artistica e letteraria dello scrittore, nonché costruzione originale della sua fantasia.

L’ironia, che sembra suscitare simpatia e comprensione per tutto l’arco del romanzo, interrotta da scene in cui domina il grottesco, assume le tinte amare dell’umorismo. Le due scene fondamentali riguardano i travestimenti delle domeniche di Teresa e Carolina e il loro abbigliamento da spose durante il matrimonio del nipote45; il lettore e, nelle trasposizioni

filmiche e teatrali, lo spettatore, sentono a questo punto spegnersi il sorriso per lasciare il posto a una riflessione dolorosa sul vero senso della vita.

Bisogna in aggiunta sottolineare però che il giudizio critico dell’istanza narrante non coinvolge tutti i personaggi, ma si concentra principalmente su alcuni e ne esclude volutamente altri. I soggetti prediletti sono infatti le due sorelle Teresa e Carolina, più volte criticate e messe alla berlina direttamente dagli altri protagonisti della vicenda: sono vittime degli insulti di Giselda46, del chiacchiericcio ipocrita della folla47,

della compassione materna di Niobe48, ma soprattutto del disprezzo

misogino e irritante di Remo49 che, dietro un atteggiamento di ipocrita

riconoscenza e ruffianeria, in realtà è il personaggio che più di tutti le disistima, come donne e come persone.

45 A queste due scene si farà accenno in maniera più dettagliata al momento dell’analisi dei

personaggi.

46 «Senza curarsi [Giselda] che il proprio atteggiamento ostile venisse notato dalle sorelle in

ammirazione, e per le quali pronunciava a se stesse parole di disgusto: “Vecchie grulle! Scimunite!»,

Sorelle Materassi, p. 60; «strulle! […] bagascia! …budello! ...», Ivi, p. 243.

47 «E le passanti, tutte senza eccezione, rattenevano un riso talvolta o, più sovente, non lo

rattenevano neppure, a quella vista lo lasciavano andare, […] E solo i maschi […] costretti ad accorgersene, l’epiteto di ‘befane’ era l’unico frutto del loro fugace interesse. O le osservavano come due vecchie grulle […]», Ivi, pp. 47-8; «E quelli che dietro le spalle facevano i commenti: “Come il nonno! come il padre! sono impazzite!”», Ivi, p. 232.

48 «Niobe lo guardava [Remo] e indicando la porticina, incominciava, con gran fatica, a strizzare un

occhio al giovane […]: “firmano, firmano, si capisce, altro se firmano: sono proprio come due bambine, fanno i capricci, bisogna compatirle”», Ivi, p. 218.

49 «Ma pochi uomini sono sensibili al grottesco delle donne o vi concedono attenzione brevissima

[…] e lui stesso [Remo] informava quando glie lo domandavano: “sono le mie scimmie ammaestrate, ogni tanto do un po’ d’aria alle mie scimmie. Porto i pappagalli a far vedere, ho bisogno di far soldi, voglio mettere un baraccone”. E lui, che sapeva tanto bene come le donne fossero vestite, e gli piacevano le più eleganti […] non dava loro il più piccolo consiglio, […] pareva invece che più lo erano [buffe] più gli procurassero piacere», Ivi, pp. 188-89.

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77 Remo è infatti l’unica figura a non rimanere colpita dall’ironia dell’autore. È intoccabile e perfetto sempre, nonostante i suoi comportamenti criticabili e ammonitori e, anzi, sentendosi superiore rispetto alle persone che lo circondano, si prende gioco di loro, proprio come il narratore fa sul piano dell’enunciato:

«Remo parlava allegro e ironico, ironia che faceva ricadere tutta sopra le zie mascherando l’insolenza che era nel suo atteggiamento e nelle sue parole. […] “Vi sono a questo mondo delle donne che vorrebbero molto per poco…o nulla…” […] “E ve ne sono invece che danno tutto per poco…o nulla…»50.

Ma intorno al ruolo dell’istanza narrante in Sorelle Materassi occorre aggiungere altre due considerazioni. La prima riguarda la frequente sovrapposizione dell’esperienza soggettiva dell’autore Palazzeschi all’oggettività della voce narrante, sovvertendo volutamente la posizione classica del narratore onnisciente. Questo è asseribile perché nel testo sono rintracciabili elementi che si possono facilmente ricondurre alla biografia dell’autore, alle sue esperienze o al suo vissuto, segno distintivo di una sua accorata partecipazione alla vicenda51. In seconda

istanza la voce narrante non resta dall’inizio alla fine fedele alla propria posizione di superiorità rispetto ai fatti narrati, ma assume spesso e volentieri «la visuale e il modo di pensare»52 dei personaggi:

«La voce narrante cambia prospettiva liberamente, assumendo il modo di vedere di certi attori […] I fatti riferiti vengono così relativizzati […]. Di conseguenza questa istanza narrante non è nemmeno portatrice di una verità oggettiva o generalmente valida» [rivelando che] «il contenuto dell’enunciato [è] il prodotto di una manipolazione del soggetto enunciante»53.

50 Ivi, p. 185.

51 Non è forse un caso, infatti, che la vicenda si svolga a Santa Maria a Coverciano, quartiere

limitrofo al colle di Settignano, dove si trova la villa di famiglia di Palazzeschi e dove l’autore alloggia per un anno, il 1933, che è proprio l’anno di composizione dei primi tre capitoli del romanzo. Vivendo a contatto con quei luoghi di riposo e meditazione, lontano dalla frenesia cittadina, in stretto rapporto con squarci di vita contadina e di periferia, Palazzeschi trae forse ispirazione per la materia viva del suo romanzo. In aggiunta, c’è da sottolineare lo stretto legame di dipendenza tematica e figurativa tra Sorelle Materassi e la precedente raccolta di racconti Stampe dell’800, essendo Teresa e Carolina nient’altro che le eredi dirette delle serie di vecchiette, beghine e donnette attempate protagoniste di molte novelle della raccolta: nelle Stampe. Come molti critici hanno evidenziato, la componente biografica è particolarmente marcata e l’impostazione diaristica dell’opera chiama in questione un altro elemento a conferma del romanzo come uno dei più intensi ritratti dell’infanzia e della giovinezza palazzeschiana.

52 S. S. STAUBLI, op. cit. 2001, p. 156. 53 Ivi, pp. 159-160.

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78 L’operazione che dunque Palazzeschi realizza nel proprio romanzo è quella di emulare solo formalmente il prototipo di narratore onnisciente classico, non di prenderlo sul serio, smitizzando le sue qualità peculiari, quali l’oggettività, la credibilità e la presunta onniscienza e straniandolo sia formalmente, sia nei confronti del lettore54. Si entra qui nel campo di

quella che Genette definisce metalessi dell’autore55 e che consiste, producendo uno strano «effetto di bizzarria, sia buffonesca […], sia fantastica», nel rompere il tacito accordo di verosimiglianza tra l’autore e il lettore impliciti ed è sostanzialmente finalizzata a mettere in evidenza la struttura artificiale dell’intreccio.

In conclusione, la voce narrante di Sorelle Materassi si presenta come narratore inattendibile poiché la soggettività si alterna frequentemente all’oggettività: si deduce e dagli usi diffusi di espressioni come «la verità si è che» o «la verità è la seguente» e da un atteggiamento fin troppo colloquiale56 che portano automaticamente il lettore a non

prendere per vere tutte le considerazioni offerte dall’autore.

Messo di fronte a queste condizioni, il lettore non può più dare per scontato il sapere superiore del narratore e a fine romanzo si arrende alla consapevolezza che non esiste distinzione tra vero e falso e non sempre il primo predomina sul secondo, ma ogni cosa è ineluttabilmente soggetta a relativismo e libero arbitrio.

Da notare che questo approdo non è altro che il principio che sta alla base del messaggio teatrale, indistintamente della commedia e della tragedia e, per tale ragione, il romanzo Sorelle Materassi, è a questo punto

54 «E ora che ho alla meglio descritto il circostante paesaggio, incomincerò a notare con voi…», Sorelle Materassi, p. 13; «Nei tempi andati, quando esisteva ancora questo genere di relazione, era

stata nella loro clientela qualche mantenuta […] specie da me omessa […]», Ivi, p. 25; «[…] ma perché in molti casi lo scrittore si lasciò tanto levar la mano dalla corrente, da rendere poi necessario l’ingrato compito di rimettere al posto le cose, magari esagerando dall’altra parte; […]»,

Ivi, p. 40; «E per meglio esaurire la nostra introspezione aggiungerò un ultimo particolare che non

so fino a qual punto possa avere per voi, come invece per me, un significato allettante», Ivi, p. 56; «Ma per il momento non vogliamo affondare nei terreni soffici», Ivi, p. 80; «per l’esattezza […] ma questo è un particolare trascurabile», Ivi, p. 317.

55 Cfr. G. GENETTE, op. cit. 1976, pp. 282-4.

56«E quello che costituisce il super del bizzarro è che […]»; «ma voi dovete conoscere un’altra

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79 più facilmente accostabile al genere teatrale anziché al modello di romanzo tradizionale.

La teatralità e la teatralizzazione della vita sono due concetti onnipresenti e costantemente riaffioranti dalle maglie del tessuto narrativo dell’opera, sia sul piano formale che metatestuale: lo dimostrano l’abbondante presenza di metafore teatrali o di frequenti riferimenti intratestuali al mondo del palcoscenico e della finzione:

« scena fondamentale […] base della modestissima azione»; «palcoscenico prima e dopo lo spettacolo»;

«salutavano quasi fossero state due donne in un palchetto all’opera o alla commedia»;

«era come se avessero recitato una commedia […] la vita vera era divenuta ormai una commedia che non aveva nulla di reale», «[…] da sembrare due maschere […]»;

«Le donne del casamento, sì, erano ammesse alla loro presenza, quasi come una necessità corale, quali comparse […]»;

«Giselda, che non aveva aperto la bocca […], né riso durante la scena comica finale […]»57.

Siamo di fronte a una forma di relativismo ideologico tipico della cultura e della letteratura del Novecento che offrono solo verità parziali lontane da dogmi di tipo morale o religioso a meno che non siano ripristinati in anni segnati da politiche totalitarie come si può osservare dalla diversa visione di comportamenti e personaggi presenti rispettivamente nel libro e nel film del ’45.

Anche la presentazione della componente spaziale, come si illustrerà più avanti, è effettuata secondo un procedimento descrittivo di stampo teatrale; inoltre, l’idea del labile confine tra commedia e tragedia, tra riso e pianto, in una parola dell’umorismo, denuncia un’impostazione narrativa di tipo drammatico, impostazione che risale all’esperienza personale di Palazzeschi ma anche alle abitudini collaudate e diffuse presso i destinatari del suo romanzo, fruitori al suo tempo di un certo tipo di spettacolo quale il cinema o l’opera lirica.

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3.2 I personaggi

All’interno della vicenda di Sorelle Materassi i personaggi principali sono essenzialmente sei: le due sorelle Materassi, Remo, Palle, Giselda e Niobe.

Di questi, le due ricamatrici svolgono la funzione di protagoniste, alle quali si contrappone come figura di antagonista quella del nipote Remo. Quest’ultimo trova nel personaggio di Palle una sorta di braccio destro, di aiutante, mentre Giselda e Niobe, per quanto abbiano indubbiamente un peso minore all’interno della vicenda, sono anch’esse personaggi importanti e degni di attenzione: svolgono il ruolo di commentatrici, ruolo che viene messo in evidenza sia dallo scrittore nel romanzo che dal regista Ferrero nello sceneggiato e da Storelli nella pièce teatrale.

Come si è già detto in precedenza, l’autore assegna un valore e un significato particolari, non solo ai personaggi ma anche ai luoghi, in alcuni casi per simpatia o trasporto emotivo, in altri per via della funzione o dell’importanza che essi assumono ai fini dell’evolversi dell’intreccio.

Riprendendo il pensiero di Lotman secondo il quale «ogni opera letteraria è costruita per lo più su un principio di opposizione binaria»58,

discorso validissimo per Sorelle Materassi, anche i sei personaggi principali della nostra vicenda sono organizzabili in tre coppie complementari, dando origine «ad un giuoco di rifrazioni e di sotterranei condizionamenti che rappresenta uno dei punti di forza del romanzo»59.

Tale organizzazione binaria è ripresa anche da Giuseppe Nicoletti60,

il quale non solo rintraccia questo schema sul piano dei personaggi, ma anche su un livello superiore di tipo ideologico-tematico.

58 JURIJ M. LOTMAN, La struttura del testo poetico, Mursia, Milano, 1970, p. 295. 59 GIUSEPPE NICOLETTI, op. cit. 1996, p. 68.

60 «[…] i personaggi anziché fungere in modo esclusivo da tipi di un plausibile (e letteralmente

accattivante) contesto storico sociale, rivelano anche la loro più rigida natura di funzioni narrative, dando vita ad un giuoco di rifrazioni e di sotterranei condizionamenti che rappresenta uno dei punti di forza del romanzo. Rivelatrice si dimostra a questo proposito l’organizzazione binaria delle sei

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81 In Sorelle Matersassi la coppia centrale è quella costituita da Teresa e Carolina. Esse rappresentano una particolare figura di eroe a struttura duale, in quanto non sono mai inquadrate nella loro piena individualità o autonomia d’azione, bensì sono sempre raffigurate in coppia, come se l’una non potesse fare a meno dell’altra per esprimere la propria personalità. In contrapposizione alla coppia delle due sorelle entrano in gioco, da un lato, la coppia rappresentata da Remo e dall’amico Palle e dall’altro, quella formata dalla domestica Niobe e Giselda, la terza sorella Materassi.

Ogni singolo personaggio all’interno della coppia instaura con l’altro elemento un rapporto di opposizione o compensazione tanto fisica, quanto caratteriale e psicologica. Questo discorso vale soprattutto per le due sorelle che, rispetto alle altre due coppie principali, sono «indissolubilmente unite e zitelle»61, dipendenti l’una dall’altra sotto

molteplici aspetti.

La coppia Remo-Palle è meno equilibrata rispetto a quella costituita dalle due ricamatrici: Remo è nettamente superiore rispetto a Palle sia per prestanza fisica, sia per levatura. Nei suoi confronti l’amico svolge quindi un ruolo quasi da subalterno, di spalla, assecondando con rassegnazione e ubbidienza ogni sua bravata e ogni sua iniziativa.

Anche Giselda e Niobe sono in un rapporto di opposizione ma di tipo «inconciliabile»62. Entrambe infatti, a differenza della verginità

mentale e fisica delle due eroine, hanno conosciuto l’amore e il sesso, sia pur con esito infelice, ma da tale esperienza hanno sviluppato nei confronti della sfera maschile due atteggiamenti nettamente divergenti.

Ai protagonisti della vicenda si aggiungono tutta una serie di personaggi minori che ruotano intorno alla vita delle Materassi: dalle

figure principali della vicenda, una forma di stilizzazione questa, che contribuisce a minare dall’interno la plausibilità mimetica della rappresentazione», Ivi, p. 68.

61 Sorelle Materassi, p. 20.

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82 curiose e pettegole contadine del vicinato, alla vistosa ed esigente clientela, fatta di preti, beghine, dame eleganti, ma anche di cocottes e ricche signore straniere, come la «bizzarra»63 contessa russa, odiata e

disprezzata dalle Materassi per aver tentato di sedurre Remo con le sue frequenti gite in auto a Firenze, la sua fissazione per lo sport e la sua strana abitudine «di circondarsi di gioventù mascolina»64. Un altro originale

personaggio è Beatrice Squilloni, la direttrice amica d’infanzia delle Materassi, invitata dalle sorelle in casa loro per discutere dell’educazione del giovane Remo; il cognome della donna, uscente in “-oni”, rende con icastica efficacia le sue fattezze fisiche generose e imponenti. C’è poi Fellino, il contadino incaricato della cura e della supervisione del podere che, dopo il fallimento delle Materassi, si impossesserà di quasi tutta la loro proprietà, rifacendosi del disprezzo subito in tutti gli anni trascorsi a loro servizio; e in ultimo c’è Peggy, la giovane americana e futura sposa di Remo la quale, all’interno della vicenda, ricopre il ruolo di una specie di

deus ex machina, essendo un funzionale elemento di snodo narrativo.

Giungendo dall’esterno, da un mondo che per le sorelle appare lontanissimo, quasi irreale, come è l’America65, è il personaggio che causa

l’allontanamento di Remo dall’ambiente familiare delle zie e quindi consente uno sblocco della vicenda che, in questo modo, può avviarsi a una conclusione definitiva. Come infatti evidenzia Pancrazi, affinché sia garantita la riuscita del personaggio di Remo e messa in pratica fino in fondo la sua azione perturbatrice nei confronti delle zie, serve a Palazzeschi una soluzione narrativa che consenta un allontanamento

63 Sorelle Materassi, p. 172. 64 Ivi, p. 173.

65 L’americanismo nascente nella società italiana negli anni Trenta è rappresentato sul piano

narrativo proprio dal personaggio di Peggy che ricopre all’interno della vicenda un ruolo ben preciso: ella diventa l’emblema di una civiltà straniera, come quella americana, in qualità di donna emancipata che si oppone all’ideale di donna sottomessa, essenzialmente sposa e madre, tipica del fascismo. La romanità rappresentata dal personaggio di Remo, accostata a un modello femminile tipicamente americano come quello di Peggy, ha un voluto effetto provocatorio sul piano ideologico: la derisione indiretta di Palazzeschi dell’orgoglio nazionalistico fascista e il giudizio positivo verso uno stile di vita democratico e liberale come quello d’oltreoceano.

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83 definitivo di questo personaggio, avendo ormai esaurito completamente la propria funzione all’interno della storia66.

3.2.1 Teresa e Carolina

La due sorelle vengono presentate al lettore a partire da metà del secondo capitolo, il cui titolo, Sorelle Materassi, è significativo non solo perché riprende quello dell’intero romanzo, ma soprattutto perché offre subito al lettore un particolare importante sul conto di queste due donne: lo stacco tipografico SORELLE MATERASSI. Cucitrici di bianco –Corredi da spose67

presente nel romanzo segnala la natura di marchio di fabbrica di questa denominazione che viene resa nel film e nello sceneggiato attraverso un’inquadratura a zoom sul dettaglio dell’insegna apposta sul pilastro del cancello d’ingresso della casa e, nell’adattamento teatrale, attraverso un ricamo su delle tele che servono sia come tende per la casa, sia come insegna pubblicitaria per l’azienda.

Nel corso della narrazione, prima ancora dei loro nomi, veniamo così a conoscenza della loro professione e a sua volta tale professione non è rivelata subito, ma lasciata scoprire al lettore gradatamente, in maniera indiretta, attraverso alcune tappe principali.

In principio l’attenzione è rivolta al via vai di mezzi di trasporto che si crea davanti al cancello dell’abitazione, costituito da antiche carrozze «lucide e belle», ma anche da macchine dalla carrozzeria lussuosa, «modernissime»68.

Successivamente l’autore collega questi mezzi di trasporto a tre «generi di persone» che si trovano ad attraversare il famoso cancello, ovvero a tre diverse tipologie di clientela delle due abitatrici di cui ancora continuiamo a non sapere la professione: signore mature accompagnate da giovani fanciulle; signore anziane, «anzi vecchie senz’altro»69, vecchie

fuori, ma anche dentro; infine ecclesiastici, «dal prelato importante […] al

66 PIETRO PANCRAZI, op. cit. 1934, pp. 35-6. 67 Sorelle Materassi, p. 18.

68 Ivi, pp. 13-15. 69 Ivi, p. 14.

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84 prete»70, il cui rossore delle guance crea un bizzarro contrasto con il nero

della veste.

Ecco allora che scatta la domanda retorica della voce narrante la quale, facendo insistenza sulla curiosità che, a questo punto, avrà sicuramente portato il lettore a domandarsi chi possa mai vivere in una vecchia casa della pianura di Firenze, rimanda ancora una volta l’informazione al testo, immedesimandosi negli stessi clienti che, accostandosi al cancello, spinti dalla medesima curiosità, chiedono alla donnetta o al fanciullo di passaggio sulla via:

«ʺ Le sorelle Materassi? Sa dirmi? Dove sono? Dove stanno?”. E non ne hanno pronunziato il nome che tutte le mani si allungano senza esitare, indicando decise il cancello bianco mangiato dalla ruggine, sempre aperto a metà […] E da chi potrebbero andare in quel luogo, se non da loro, tutte quelle aristocrazie?»71.

Teresa e Carolina sono due donne di mezz’età che, «al tempo in cui si inizia questo racconto […]» sono «giunte sui cinquant’anni alla distanza di un anno l’una dall’altra, anzi, dirò con più esattezza, v’erano a cavalcioni, giacché il cinquanta era tra l’una e l’altra»72.

Per quanto sia solo un anno a separarle, Teresa, la più grande delle due, sembra molto più anziana. Donna dalla corporatura «complessa» e dal temperamento forte e coraggioso, all’interno della coppia rappresenta la volontà e la fermezza morale. Sul suo volto sono evidenti i segni della fatica e della stanchezza, ma anche della dignità raggiunta dopo anni di dedizione al sacrificio. Occhi «neri, grandi, infossati» e capelli «di un nero lucente» intervallati qua e là da fili bianchi sono gli unici attributi di una femminilità «negata dal lavoro divenuto regola»73.

L’altra sorella, Carolina, mantiene ancora, nell’esile corpo, un’elasticità flessuosa e «serpentina» che la rende nel contempo fragile e forte come «gli arbusti che per una possibilità di piegarsi infinita non c’è

70 Ibidem. 71 Ivi, p. 15. 72 Ivi, p. 18. 73 Ivi, pp. 18-19.

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85 vento che li possa stroncare»74. Ella ama compiacersi della propria

bellezza, ostentando con superiorità sfrontata una femminilità esteriore rimasta intatta, accentuata da gesti di cortesia affettati e languidi, affatto falsi e costruiti, per la maggior parte destinati ai clienti importanti, all’apparire dei quali inizia a «contorcersi tutta», a differenza della sorella che si dimostra invece sicura e avvezza nel trattare. La particolarità del suo volto sono le labbra che, nonostante l’età, restano ancora «tumide e spesse»75, rimaste intatte fin dalla giovinezza ma reconditamente

desiderose di essere baciate.

Carolina compensa la volontà di Teresa con l’estro e la creatività: è lei l’artista della coppia. Pur aiutandosi a vicenda nel proprio lavoro al momento del bisogno, la prima, ovvero Teresa, è più portata al taglio delle stoffe e dei tessuti, mentre Carolina, dimostrando un’indole naturale per il disegno, è più incline al ricamo, al quale si dedica con garbo e dedizione.

Sia dal punto di vista fisico, sia da quello emotivo e professionale, vediamo quindi come le due sorelle si completano a vicenda e persino sul piano esistenziale mantengono il medesimo rapporto e temperamento sviluppato all’interno della propria professione.

Sono state le vicende della vita e, «più precisamente quelle di famiglia» a renderle «unite e zitelle».76 Da sole sono riuscite infatti a

risollevarsi dal dissesto economico, riappropriandosi della vecchia casa padronale e del podere, ma scontando il prezzo di tanta fatica con l’incapacità di godere serenamente di tanto benessere riconquistato. Rifiutando di affidare il lavoro a delle aiutanti o di investire la loro arte in un’impresa artigianale più grande, magari nella vicina Firenze, preferiscono continuare ad occuparsi loro stesse dei confezionamenti, gelosissime dei loro trucchi del mestiere, giudicandosi inattaccabili per

74 Ivi, pp. 19-20. 75 Ivi, pp. 25, 20. 76 Ivi, p. 20.

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86 bravura e perfezione, per la loro «fatica senza limite»77, vero punto di forza

del loro successo.

Tutta la loro vita è legata al lavoro e al lavoro si ferma, divenuto ormai non più lo strumento, ma il fine unico del loro benessere. Questa condizione le costringe a vivere come «ingannate» avendo confuso la vita vera con quella lavorativa, rinchiudendo le proprie esistenze in quella «stanza arsenale», in quella routine lavorativa fatta di «pezze, di sete, di nastri, di tele e di telai, di scatole, di forbici e d’aghi»78 dalla quale non

riescono più a liberarsi, dimentiche del mondo e di essere donne.

La femminilità è un concetto divenuto a loro ormai estraneo; come «fanciulle impietrite»79, invece di rallentare il loro lavoro, lo intensificano,

coscienti, o forse no, del fatto che se si fossero fermate anche un solo istante per darsi il tempo di guardarsi dal di fuori, non avrebbero retto alla sensazione di vuoto e di infelicità che ne sarebbe irrimediabilmente scaturita.

Non esistendo per loro nient’altro fuorché la professione, appaiono come esseri asessuali, simili a delle funzioni programmate esclusivamente per produrre, senza alcun contatto con la realtà: «[…] pareva che le donne, durante il lavoro, non avessero sesso […] tutti le ritenevano, con fondatezza ed eccezione, donne di una virtù leggendaria, inverosimile»80.

Ma esiste un momento della giornata in cui si concedono ancora un tentativo di essere donne o perlomeno, giocano ad esserlo, ed è quello della domenica pomeriggio. Dopo aver assistito alla messa e portato a termine il pranzo con velocità disarmante, salgono nella loro camera da letto e lì si adoperano a «riesumare la loro femminilità»: «Per vederle

77 Ivi, p. 29.

78 Ivi, pp. 48, 41, 17. 79 Ivi, p. 30.

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