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Collegato lavoro e diritto processuale: considerazioni di primo momento

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Academic year: 2022

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Università degli Studi di Catania Facoltà di Giurisprudenza

Luigi de Angelis

Collegato lavoro e diritto processuale:

considerazioni di primo momento

WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 111/2010

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ISSN – 1594-817X

Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”

Via Crociferi, 81 – 95124 Catania (Italy) Tel: + + 39 095 230464 – Fax: + +39 095 313145

centrostudidantona@lex.unict.it

www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca/presentazione

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Collegato lavoro e diritto processuale: considerazioni di primo momento

***

Luigi de Angelis

Presidente della sezione lavoro della Corte d’Appello di Genova

1. Considerazioni introduttive ed idea di fondo della disciplina ... 3 2. Assenza di interventi sul processo previdenziale ... 4 3. Il tentativo di conciliazione pregiudiziale da obbligatorio a facoltativo ... 4

3.1 Eccezione alla facoltatività ... 6 4. Rafforzamento del ruolo del giudice nel tentativo di conciliazione giudiziale obbligatorio ... 7 5. Modifiche in tema di certificazione dei contratti di lavoro e controllo giudiziale ... 8 6. Il filo rosso della riforma: contenimento dell’ intervento del giudice ... 9

6.1 Restringimento dei poteri interpretativi e di controllo ... 10 6.2 Introduzione di termini di decadenza ... 11 7. Le conseguenze dell’ illegittimità dell’ apposizione del termine ai contratti di lavoro anche con riguardo al diritto intertemporale 12 8. Rivitalizzazione dell’ arbitrato (libero) ... 13 8.1 Clausola compromissoria nel testo originario e rilievi contenuti nel messaggio previdenziale ... 14

* Nel caro ricordo di Massimo Roccella.

** Il presente scritto, che è in corso di pubblicazione in Lav. giur., sviluppa ed attualizza la relazione dell’ autore al convegno Mediazione e tutela dei diritti, organizzato dal Dipartimento di studi giuridici e dal Centro interdipartimentale per la risoluzione dei conflitti dell’ Università di Pavia (Pavia, 13 maggio 2010). L’ origine del lavoro spiega la riduzione all’

essenziale dell’ apparato di note.

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8.2 Disciplina della clausola compromissoria nel testo di cui alla l. 183/2010 e dubbi di costituzionalità ... 14 8.3 Cenni sul procedimento arbitrale e sulla stabilità del lodo 16

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1. Considerazioni introduttive ed idea di fondo della disciplina

Dopo un iter parlamentare oltremodo tormentato,1 che ha visto perfino la mancata promulgazione da parte del Presidente della Repubblica del testo originariamente approvato ed il suo rinvio alle Camere con messaggio motivato,2 il disegno di legge 1167 B, il c.d.

collegato lavoro alla finanziaria, è ormai legge dello Stato (l. 4 novembre 2010, n. 183).3

Anche l’ intervento attuato con esso ha l’ obiettivo, già prefigurato nei precedenti interventi del 2008 e del 2009,4 di incidere sull’ inefficienza della giustizia del lavoro pur lasciando intatto il modello processuale introdotto nel 1973, unanimemente apprezzato sì da essere nel tempo esportato a vari altri tipi di controversie e da avere lasciato tracce significative nello stesso modello generale del processo civile.

L’ idea di fondo del legislatore del 2010 pare essere quella (v., però, infra) di deflazionare il processo del lavoro. Si tratta di un’ idea in parte già immanente alla legislazione del biennio precedente, la quale si avvale però essenzialmente di strumenti di contrasto dell’ abuso del processo, sia inteso come modalità d’ impiego della tutela giurisdizionale, sia inteso come inutile dispendio di attività all’ interno del giudizio;5 strumenti, forse, quelli delineati dal legislatore, significativi piuttosto che sul piano della loro incisività effettiva su quello (a mio avviso pure apprezzabile) dei segnali che l’ ordinamento intende inviare circa la necessità di non sprecare quella risorsa scarsa e preziosa che è la giurisdizione e di mutare una diffusa cultura appunto di spreco. Sia nella manovra estiva del 2008 (d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella l. n. 133 dello stesso anno), che nella l. n. 69 del 2009 si é poi tenuto presente in qualche pur debole modo anche il processo previdenziale e assistenziale.

1 Per una valutazione fortemente negativa di tale iter cfr. T. TREU, in Per una tutela effettiva dei diritti dei lavoratori, Atti della tavola rotonda che ha avuto luogo presso il Cnel il 23 aprile 2010, in Riv. giur. lav., 2010, I, 360 ss.

2 Il messaggio presidenziale può leggersi in Foro it., 2010, V, c. 107 e segg.

3 In Gazz. uff., 9 novembre 2010, n. 262, supp. ord. n. 243.

4 Cfr., si vis, L. de ANGELIS, Il processo del lavoro tra ragionevole durata e interventi normativi del biennio 2008-2009, in Argom. dir. lav., 2010, pag. 104 ss., 106 ss., 114 ss.

(anche in AA. AA., Il processo civile riformato, diretto da M. Taruffo, Zanichelli, Bologna, 2010, pag. 448 ss.: le citazioni, da ora, dalla rivista).

5 AUT. op. loc. ult. cit.

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2. Assenza di interventi sul processo previdenziale

Quest’ ultimo è del tutto assente nel collegato lavoro, il quale, pure, vuole avere una portata molto più ambiziosa ed innovativa degli interventi precedenti. E ciò stupisce se solo si considera che le cause previdenziali ed assistenziali rappresentano ben più del 50% del contenzioso affidato alla cognizione dei giudici del lavoro, sì da essere oggetto di notevole attenzione in proposte di riforma avanzate negli ultimi anni in sedi istituzionali e nel dibattito dottrinale. Per dire: come indicato nella relazione generale ad una delle suddette proposte,6 le cause in primo grado di previdenza e assistenza sono state nel 2004 più del doppio rispetto a quelle di lavoro, più del 50% in appello, sono state concentrate all’ 80% in cinque regioni del sud del paese e al 50% in due sole. Il che significa che le nuove regole processuali vengono ad incidere solo sul 30% del contenzioso complessivo di lavoro e previdenza di primo grado del nostro paese, e su meno del 50% del contenzioso in appello. E’

questa una clamorosa carenza che già a priori pone seri interrogativi sulla concreta portata d’ efficienza della riforma del 2010 e non può non essere segnalata.7

3. Il tentativo di conciliazione pregiudiziale da obbligatorio a facoltativo

Se nel biennio 2008-2009 il legislatore si è avvalso, lo si ripete, essenzialmente di strumenti di contrasto dell’ abuso del processo anche (ma non solo) in chiave deflattiva, con il disegno di legge 1167 B si intendeva perseguire, e si persegue tuttora dopo le modifiche recepite nella l. 183/2010, l’ obiettivo della deflazione del contenzioso tramite la valorizzazione dell’ arbitrato (irrituale) in chiave alternativa alla giurisdizione; più in generale, mirando ad un rafforzamento della certezza dei rapporti giuridici – che peraltro agevola le decisioni imprenditoriali - attraverso il contenimento dei poteri interpretativi e di controllo del giudice nonché dei tempi di accesso alla giurisdizione.

Lo si fa, quanto al primo aspetto, a scapito del tentativo di conciliazione pregiudiziale, che, in controtendenza con quanto previsto per varie materie dal d.lgs. n. 28 del 2010, da obbligatorio che era diventato a seguito del d.lgs. n. 80 del 1998 e successive modificazioni, è tornato ad essere (v. art. 31, comma 1, che ha sostituito l’ art. 410) facoltativo (con un’ eccezione: v. infra), come era prefigurato dal

6 Mi riferisco al c.d. Progetto Foglia, in Foro it., 2007, V, c. 209 e segg., preceduto dalla relazione generale (c. 189 e segg., segnatamente c. 198).

7 Cfr., per analoghi rilievi critici, M. CINELLI, in Per una tutela effettiva, cit., 367.

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legislatore del 1973, ed è proponibile in svariati modi. Ad un tempo si è munito il tentativo facoltativo di conciliazione avanti le commissioni di conciliazione (o avanti il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale: v.

infra) di regole procedimentali abbastanza articolate (art. 31, comma 1, cit.) che appaiono poco congeniali ad un tentativo di conciliazione facoltativo anche per i costi che sottendono e che rendono ancor più problematica la concreta utilizzazione dello strumento; regole che si spiegano in ragione della maggiore probabilità di successo del tentativo in una situazione di maggiore contezza della controversia da parte dell’

organo conciliatore nonché in ragione del fatto che in qualunque fase del tentativo di conciliazione avanti le commissioni o al suo termine le parti, se appunto il tentativo non è riuscito, possono accordarsi affinché l’

organo conciliativo decida in sede d’ arbitrato. E l’ arbitrato, pur se irrituale, richiede come tale un minimum di regole della fase introduttiva oltre che della trattazione, dell’ istruttoria e della decisione. A maggior ragione regole procedimentali sono stabilite per il tentativo facoltativo di conciliazione innanzi il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale che la legge pure contempla all’ art. 31, comma 8 (che ha sostituito l’ art. 412 quater cod. proc. civ.); tentativo il quale, in caso di mancata conciliazione, sfocia necessariamente in arbitrato irrituale, che si conclude, previo interrogatorio delle parti e ammissione ed assunzione delle prove, se occorrenti, ovvero immediatamente, con lodo. L’ art. 31, comma 6, che ha sostituito l’ art. 412 ter, stabilisce poi che la conciliazione e l’ arbitrato in materia possono essere svolti anche presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

L’ utilizzazione del tentativo avanti la commissione è ulteriormente scoraggiata dal fatto che, ai sensi dell’ art. 31, comma 3, che ha sostituito l’ art. 411 cod. proc. civ., in caso di mancato accordo la commissione deve formulare una proposta i cui termini, se essa non è non accettata, vanno riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti, il quale va allegato nel successivo giudizio in uno con le memorie delle parti (v. infra), e nel fatto che appunto in sede di giudizio il giudice deve tener conto (deve intendersi, come si dirà appresso, ai fini delle spese) delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione. Senza dire che se la parte destinataria della richiesta intenda accettare la procedura deve depositare presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni di fatto e di diritto, nonché le eventuali domande riconvenzionali, così venendo ad anticipare – cioè a scoprire - ante causam la sua strategia difensiva.

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Ove ciò non avvenga, la legge, a differenza di quanto previsto nel prima accennato progetto ma nella più razionale logica dell’ obbligatorietà del tentativo ivi contemplata,8 non prevede preclusioni con riguardo al successivo giudizio di merito, e queste, incidendo sul diritto di difesa, non sembrano ricavabili dalla perentorietà del disposto anche con riguardo al termine (come non sembra preclusa la modifica o l’ integrazione della strategia processuale). Conseguenza dell’ inosservanza della regola sembra allora essere che la commissione possa in tal caso non dar corso alla fissazione, nei giorni successivi al deposito, della comparizione delle parti per il tentativo secondo quanto dispone il secondo periodo dell’ art.

410, comma 7 cod. proc. civ., e l’ altra stabilita dal periodo immediatamente seguente, e cioè che “ciascuna delle parti è libera di adire l’ autorità giudiziaria”. Il che significa pure che, altrimenti, e cioè se a fronte dell’ istanza vi sia stato il deposito della memoria correttamente formulata, le parti non siano libere, nel senso che la eventuale domanda giudiziale da loro introdotta sia improponibile. L’ abrogazione dell’ art.

412 bis cod. proc. civ. ad opera dell’ art. 31, comma 15 l. n. 183/2010 si coordina allora con l’ art. 410, comma 7 cit. ritenendosi che, per non essere obbligatorio il tentativo, il suo mancato espletamento non può più incidere sulla procedibilità dell’ azione giudiziale, ma se ad esso si è fatto facoltativamente ricorso da entrambe le parti l’ azione medesima è medio tempore paralizzata appunto ai sensi dell’ art. 410, comma 7. Se così non fosse, del resto, ci troveremmo di fronte ad una procedimentalizzazione priva di senso.

Tutto ciò potrebbe in qualche modo condurre per converso alla valorizzazione del tentativo di conciliazione in sede sindacale, in quanto ad esso non si applicano le regole procedimentali previste dall’ art. 410 (art. 411, comma 3, nuovo testo) ma quelle – eventualmente meno impegnative - stabilite dalla contrattazione collettiva, né si applicano le regole dell’ art. 411, comma 3 che si riferiscono alla conciliazione appunto esperita ai sensi dell’ art. 410.

3.1 Eccezione alla facoltatività

L’ obbligatorietà del tentativo di conciliazione pregiudiziale è invece rimasta con riguardo all’ ipotesi prevista dall’ art. 80, comma 4, d.lgs. n. 276 del 2003, e cioè quella di chi intenda proporre ricorso giudiziale contro la certificazione dei contratti di lavoro, istituto avente espressa finalità deflattiva già nel d.lgs. n. 276 del 2003 e che ora è stata confermato.

8 Cfr. parte III, art. 1, in Foro it., 2007, cit., col. 216.

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Prevedendosi l’ obbligatorietà di tale tentativo si è voluta rafforzare in qualche modo la modesta vigoria di questo istituto (v., però, infra, a proposito dell’ arbitrato). L’ obbligatorietà non è invece rimasta con riguardo ad altre ipotesi di tentativo di conciliazione tipizzate e peraltro a mio avviso già travolte dalla disciplina generale contenuta nella novellazione dell’ art. 410 cod. proc. civ. attuata dall’ art. 36, comma 1, d.lgs. n. 80 del 1998, come quella di cui all’ art. 5 l. n. 108 del 1990.

4. Rafforzamento del ruolo del giudice nel tentativo di conciliazione giudiziale obbligatorio

E’ rimasto obbligatorio il tentativo di conciliazione una volta iniziato il giudizio. Anzi, alla predetta trasformazione del tentativo di conciliazione pregiudiziale da obbligatorio in facoltativo si accompagna una accentuazione del ruolo del giudice nel tentativo di conciliazione giudiziale, che si realizza nel fatto che appunto il giudice, nel corso del tentativo, debba formulare una proposta transattiva il cui ingiustificato rifiuto costituisce comportamento valutabile ai fini del giudizio (art. 411, comma 4, cod. proc. civ.). Si tratta però di un accentuazione modesta, in quanto siffatto rifiuto (che la legge assimila, sul versante degli effetti, alla mancata comparsa a rendere l’ interrogatorio libero sì da riformulare il testo dell’ art. 420, comma 1, cod. proc. civ. aggiungendo una disgiuntiva in continuità all’ ipotesi della mancata comparizione) non può che rilevare anche questa volta sul solo piano delle spese, come già si poteva ricavare sistematicamente perfino per il rifiuto della proposta avanzata dalle parti, utilizzandosi l’ argomento a fortiori, dall’ art. 412, comma 4, cod. proc.

civ. Senza dire dell’ art. 45, comma 10, l. n. 69/2009, che ha sostituito il secondo periodo del primo comma dell’ art. 91 cod. proc. civ., per il quale il giudice, se abbia accolto la domanda in misura non superiore ad eventuale proposta conciliativa rifiutata senza giustificato motivo, condanna la parte rifiutante, salva l’ applicazione della regola generale in tema di compensazione, al pagamento delle spese maturate dopo la formulazione della proposta.

Un diverso rilievo del rifiuto ingiustificato della proposta transattiva del giudice è difficilmente configurabile, posto che, a differenza che per l’ ipotesi della mancata comparizione a rendere l’

interrogatorio libero, che è collegata alle allegazioni di fatto presenti nel ricorso, qui ciò ovviamente non può essere, né può essere con riguardo ad una proposta del giudice che da tale allegazioni prescinde. Ed allora, come può rilevare il rifiuto della proposta del giudice se non sulle spese?

Piuttosto, l’ obbligo del giudice di fare una proposta se non può condurre a rimeditare l’ orientamento secondo cui l’ omissione del tentativo non incide sul restante processo e in particolare sulla validità

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della sentenza costituendo una mera irregolarità, può accentuare il rilievo della violazione sul piano disciplinare.

5. Modifiche in tema di certificazione dei contratti di lavoro e controllo giudiziale

Si è prima detto (paragr. 3.1) di una modesta vigoria della certificazione, che resta tale anche dopo il collegato lavoro. Infatti, come era inevitabile alla luce della giurisprudenza della corte costituzionale sulla indisponibilità del tipo,9 è stato ribadito, in linea con quanto stabilito nel 2003, il potere del giudice di discostarsi dalla qualificazione certificata nei casi di errore appunto nella qualificazione del contratto, di vizio della volontà, di difformità del concreto atteggiarsi del rapporto rispetto all’

assetto prefigurato in sede di certificazione, per cui in sostanza il valore del contratto certificato si risolve in quello che incisivamente è stato definito,10 con riguardo al testo originario dell’ art. 79 d.lgs. n. 276 cit., l’

effetto stand by, ora retrodatabile in due casi (sembrerebbe: ab initio, nel caso di contratto scritto certificato in corso di esecuzione di un assetto coerente con quanto appurato in sede di certificazione, e dal momento della successiva sottoscrizione in caso di contratto verbale come integrato e modificato in conformità ai suggerimenti della commissione) ai sensi del non lineare per non dire tortuoso comma 17 dell’ art. 31.

Il potere del giudice di discostarsi, come detto nel comma 2 dell’

art. 30, non sembra però previsto con riguardo all’ interpretazione delle clausole del contratto, la quale è ora anch’ essa contemplata dal collegato quando dice che il giudice non può appunto discostarsi dalle valutazioni delle parti nell’ interpretazione delle clausole del contratto.

Non è facile intendere il significato di quest’ ultimo inciso.

Sembrerebbe che le valutazioni delle parti nell’ interpretazione delle clausole del contratto consistano in una puntualizzazione del testo, posto che i termini qualificazione e valutazioni sono nella legge distinti, che le valutazioni non possono essere – stante la loro bilateralità (“Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro…”, esordisce l’ art.

30, comma 2, del collegato) – quelle di cui al comma precedente (“In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo

9 Cfr. Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121, in Foro it., 1993, I, c. 2432; 31 marzo 1994, n.

115, id., 1994; I, c. 2656.

10 Da L. NOGLER, Commento agli artt. 75-81, in AA. VV., Il nuovo mercato del lavoro d.lgs.

10 settembre 2003, n. 276, commentario, coordinato da M. Pedrazzoli, Bologna, 2004, pag.

889.

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409 del codice di procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente”, e che è per la sola qualificazione ad essere previsto il sindacato sull’ erroneità.11 La puntualizzazione del testo fa però sì che esso ad un tempo ne venga arricchito, con la conseguenza che l’

arricchimento si offre all’ interpretazione giudiziale, che va effettuata secondo le ordinarie regole dell’ interpretazione dei contratti (artt. 1367 ss. cod. civ.). In sostanza, se lo spirito della disposizione pare essere di privilegiare l’ interpretazione letterale12 in tal modo restringendo gli spazi dei poteri del giudice in materia, alla fine essa non può impedire i pro e i contro propri dei testi dettagliati; testi dettagliati opposti a quelle clausole generali, come confusamente (con le norme generali) definite dal comma precedente dell’ art. 30. Anche su quest’ ultime la legge intende limitare il controllo giudiziale, sia pure “in conformità ai principi generali dell’

ordinamento, “all’ accertamento del presupposto di legittimità”, non consentendone l’ estensione “al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente”.

6. Il filo rosso della riforma: contenimento dell’

intervento del giudice

Questi ultimi rilievi introducono il discorso su quello che sembra essere l’ ulteriore strumento – o meglio, il filo rosso o motivo clou della riforma del 2010 – d’ efficienza della giustizia del lavoro: il contenimento dell’ intervento del giudice in materia, che si vuole esplicitare sia affiancando alla tutela giurisdizionale la alternativa della giustizia privata, sia restringendo all’ interno del processo, se si vuole con una finalità di certezza dei rapporti giuridici, i poteri interpretativi e di controllo del giudice, sia stabilendo, ancora con una finalità di certezza, termini di

11 Cfr. V. SPEZIALE, La riforma della certificazione e dell’ arbitrato nel “collegato lavoro”, in Dir. lavori mercati, 2010, pag. 147.

12 V. SPEZIALE, op. cit., p. 150, qualifica questa come la disposizione sul licenziamento di cui al paragrafo 5.1 del testo come “norme sull’ interpretazione del contratto”, al termine di un ragionamento che lo porta a dire che solo così esse non sarebbero incostituzionali.

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decadenza brevi, stragiudiziali e, in combinazione, giudiziali, per far valere i diritti avanti il giudice in alcune importanti materie.

6.1 Restringimento dei poteri interpretativi e di controllo

Quanto al restringimento dei poteri interpretativi e di controllo, non sembra però avere una forza maggiore di quella del segnale.13

Si è detto, infatti, della certificazione e del solo effetto stand by ad essa relativo.

Quanto alle clausole generali, la legge vi comprende, ripetesi confusamente, le norme generali (v. quelle sul trasferimento d’ azienda e sul recesso che richiama espressamente) accanto a quelle inerenti genericamente all’ esercizio dei poteri datoriali (tra le quali vi sono in effetti clausole generali: v. buona fede), e precisa, nei termini sopra testualmente trascritti, i confini del controllo giudiziale. Ma tali confini perentoriamente tracciati (“il controllo giudiziale è limitato esclusivamente….” “e non può essere esteso…”), e cioè, la delimitazione dell’ accertamento al presupposto di legittimità con esclusione del sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente, il tutto “in conformità ai principi generali dell’ordinamento”, riecheggiano i confini disegnati in materia di somministrazione irregolare (art. 27, comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003; v., altresì, art. 69, comma 3, del decreto legislativo medesimo) e soprattutto non sono molto dissimili dagli approdi raggiunti dalla giurisprudenza nelle varie materie in cui rilevano le clausole e le norme generali.

Con riguardo alle motivazioni del licenziamento, il collegato aggiunge poi che il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro certificati (art. 30, comma 3). E’ stato invece soppresso l’inciso d’apertura di tale comma che, nel testo approvato prima del rinvio alle camere del medesimo da parte del Presidente della Repubblica, contemplava anche le fondamentali regole del vivere civile e dell’oggettivo interesse dell’organizzazione.

La disposizione sembra riguardare i soli licenziamenti disciplinari (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), e presenta come contenuto normativo innovativo essenzialmente la valenza attribuita ai contratti individuali certificati. Il tener conto, però, contrapposto alla diversa, perentorietà del testo di cui al comma 2 dell’ art. 30 precedentemente

13 Per i condizionamenti negativi sui giudici del lavoro che si potranno produrre cfr. G.

FERRARO, in Per una tutela effettiva, cit., 379 ss.

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esaminato, non può che significare la necessità del confronto della fattispecie concreta con i parametri indicati, nel senso che si debba motivare rispetto ad essi;14 non, invece, che non possano esserne considerati altri (ad esempio, le clausole di contratti collettivi stipulati da organizzazioni non comparativamente più rappresentative o clausole di contratti di lavoro individuali non certificati: si pensi, a quest’ ultimo proposito, a contratti con dirigenti contenenti clausole prefiguranti obiettivi), né tanto meno che su tutto – come è ora - non possa operare il sindacato giudiziale.

6.2 Introduzione di termini di decadenza

Circa i termini per valere i diritti avanti al giudice in certe materie, è previsto, attraverso la sostituzione dei primi due commi dell’ art. 6 l. n.

604 del 1966 da parte dell’ art. 32, comma 1, un doppio limite il cui superamento è sanzionato da decadenza: stragiudiziale non conciliativo (più breve: sessanta giorni) e conciliativo e giudiziale (più lungo:

duecentosettanta giorni, cui se ne aggiungono altri sessanta in caso di tentativo di conciliazione attivato e non riuscito). Il primo termine decorre dalla ricezione della comunicazione scritta del licenziamento se corredato dei motivi o di questi se non contestuali (v. art. 2, commi 2 e 3 l. n. 604 cit.). E’ pertanto stata eliminata la previsione della decadenza (con il diverso termine di novanta giorni) anche in caso di licenziamento orale contemplata nel testo originario del d.d.l. n. 1167 B.

Sempre la decadenza, poi, è stata estesa a varie ipotesi ulteriori rispetto al licenziamento.

Attraverso la pur farraginosità del doppio termine si è evitato così l’ inconveniente, che ho lamentato15 con riguardo alla normativa prefigurata nella scorsa legislatura nel Progetto Foglia,16 che l’

introduzione della sola decadenza giudiziale si risolvesse in una misura inflattiva. Le nuove disposizioni appaiono però di fattura non preclare ed aprono per questo alcuni problemi che non possono essere neppure sfiorati in questa sede.17 Non, però, problemi di costituzionalità sub specie dell’ art. 24 cost., dal momento che la legge può imporre, secondo la corte costituzionale, oneri finalizzati a salvaguardare interessi generali,

14 Sulla portata non preclusiva dell’ espressione cfr. L. ZOPPOLI, Certificazione dei contratti di lavoro e arbitrato: le liaisons dangereuses, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’ Antona, unict.it, 2010, p. 19.

15 Cfr., se vuoi, L. de ANGELIS, Rilievi critici al Progetto Foglia di riforma del processo del lavoro, in Argom. dir. lav., 2008, p. 1245 ss.

16 V. l’ art. 7, in Foro it., 2007, cit., c. 210.

17 Per considerazioni fortemente critiche cfr. G. FERRARO, cit., 383 ss.

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sempre che siano ragionevoli – e abbiamo visto che lo sono – e non rendano eccessivamente difficoltoso l’ esercizio del diritto di difesa.18

7. Le conseguenze dell’ illegittimità dell’ apposizione del termine ai contratti di lavoro anche con riguardo al diritto intertemporale

Chi già nel secolo XIX ha sostenuto che il diritto sostanziale si annidi spesso negli interstizi della procedura, troverebbe una conferma nel comma 7 dell’ art. 32, laddove prevede che la disciplina che contempla

“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato” un risarcimento del danno commisurato ad un certo numero di mensilità di retribuzione determinate in ragione di una serie di parametri, si applichi

“per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Non è questa la sede per verificare se tale misura si accompagni, come risulta dagli atti parlamentari successivi al rinvio alle Camere e come ritengo,19 alla statuizione di accertamento della esistenza di un rapporto a tempo indeterminato prevedendo solo un regime risarcitorio speciale e non sia invece alternativa ad essa, o per valutarne la conformità a costituzione, a mio avviso dubbia, sub specie degli artt. 24 e 3 della carta base.20.

Qui si deve porre in evidenza come la disposizione abbia precisato che, “con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile”.

La precisazione era inevitabile dal momento che la disposizione con riguardo al caso contemplato è per definizione intervenuta in corso d’

opera e quindi le allegazioni e le prove relative non potevano essere contenute nell’ atto introduttivo della lite. Essa, però, mette in crisi la onnicomprensività della regola (per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti..”: in proposito vi è un fugace cenno nel messaggio del

18 Cfr., ad es., Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276, in Foro it., 2000, I, 2752, con nota di L.

de ANGELIS.

19 Conf. A. VALLEBONA, Una buona svolta del diritto del lavoro: il “collegato” 2010, in Mass.

giur. lav., 2010, 213.

20 Contra, A. VALLEBONA, op. loc. ult. cit.; P. TOSI, Il contratto di lavoro a tempo determinato nel “collegato lavoro” alla legge finanziaria, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, p. 483 ss.

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Presidente della Repubblica),21 posto che non può applicarsi ai giudizi pendenti davanti la corte di cassazione in cui non può esservi istruttoria.

Se, poi, può ritenersi che la previsione dell’ integrazione della domanda e delle eccezioni, se necessaria, abbia derogato in parte qua all’

art. 437, comma 2, cod. proc. civ., la assoluta puntualità del richiamo ai poteri istruttori di cui al (solo) art. 421 cod. proc. civ. fa pensare che la nuova normativa sostanziale in parola non si applichi neppure ai giudizi pendenti in appello, per i quali i poteri istruttori sono disciplinati dalla diversa disposizione dell’ art. 437, comma 2, cit. Del resto nella disposizione non vi è cenno alla possibilità di integrare i motivi d’

impugnazione.

Il che porta a dire che tale nuova disciplina riguardi sì tutti i giudizi pendenti, ma in primo grado.22 D’ altronde, la difformità di trattamento si giustifica in ragione del fatto che per il primo grado non è ancora intervenuto un accertamento giudiziale.

Sul punto non può infine sottacersi che i poteri che la legge riconosce alle parti presuppongono comunque un provvedimento eventuale (“se necessario”) di rimessione in termini, e, quanto ai poteri istruttori, sono sottoposti anch’ essi al filtro dell’ intervento dei poteri officiosi (art. 421), con conseguente tensione con il diritto delle parti alla prova e dubbio di costituzionalità in riferimento all’ art. 24 cost.

8. Rivitalizzazione dell’ arbitrato (libero)

Il legislatore del collegato lavoro, lo si è in precedenza accennato, affida poi buona parte dei suoi obiettivi deflattivi alla giustizia privata, e, segnatamente, all’ arbitrato irrituale (art. 31, commi 5 e segg.); un arbitrato così alternativo alla giurisdizione statuale da non far contemplare (v. art. 412 quater, comma 2 cod. proc. civ., quale sostituito dall’ art. 31, comma 8) nella rosa di chi può fare da presidente del collegio, accanto ai professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati cassazionisti, quei magistrati a riposo che possono invece presiedere le commissioni di conciliazione istituite presso la direzione provinciale del lavoro (v. art. 410, comma 3, cod. proc. civ., nel testo sostituito dall’ art. 31, comma 1, del collegato).

Si è originariamente previsto di sottoporre la decisione delle controversie di lavoro ad arbitri non solo attraverso compromesso – l’

arbitrato è naturalmente volontario: v. art. 412 quater, comma 1 - - ma anche mediante clausola arbitrale certificata (la certificazione avente

21 Come riconosce P. TOSI, op. cit., p. 484, anche nota 11. Tale autore non pone distinzione, poi, tra i vari gradi di giudizio.

22 Conf. A. VALLEBONA, op. cit., p. 213-214.

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anche in questo caso, come in quello prima esaminato a proposito dei licenziamenti disciplinari, un ruolo di assistenza della volontà) e ove l’

apposizione sia consentita da accordi interconfederali o contratti collettivi delle organizzazione comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o, se non stipulati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, da provvedimento ministeriale. Si è anche stabilito che agli arbitri sia riconosciuto nel compromesso o nella clausola compromissoria il potere di decidere d’ equità.

8.1 Clausola compromissoria nel testo originario e rilievi contenuti nel messaggio previdenziale

Il testo originario è stato mutato a seguito del richiamato messaggio motivato alle Camere del 31 marzo 2010 del Presidente della Repubblica, nel quale, pur apprezzandosi l’ intento di introdurre strumenti idonei a prevenire l’ insorgere di controversie e di accelerarne le modalità di definizione, si sono espressi ineccepibili dubbi di ordine costituzionale circa la possibilità di pattuizione della clausola compromissoria da parte di un soggetto particolarmente debole nella fase di costituzione del rapporto. Nel messaggio presidenziale si sono altresì sollevate perplessità riguardo alla flessibilizzazione della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro immanente al riconoscimento all’ arbitro del potere di decidere secondo equità.23 Il che, quanto ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sempre secondo il messaggio presidenziale, poneva anche la necessità di chiarire se e a quali norme si potesse derogare senza ledere i principi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell’ azione amministrativa di cui all’ art. 97 cost. Ancora il Presidente della Repubblica ha rilevato la non conformità ai principi generali dell’

ordinamento e l’ incoerenza del riconoscimento dei suddetti poteri suppletivi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l’impostazione dello stesso comma 9 dell’ art. 31 del collegato.

8.2 Disciplina della clausola compromissoria nel testo di cui alla l.

183/2010 e dubbi di costituzionalità

Il valore di tali rilievi di ordine costituzionale si è ridotto,24 ma ad avviso di chi scrive non si è annullato, per il fatto che a seguito di emendamento del testo da parte della commissione lavoro della Camera, sia stata esclusa, recependosi quanto previsto in una intesa sindacale non sottoscritta dalla Cgil, la possibilità di introdurre la clausola

23 Cfr. p. 219 ss.

24 Ne esclude, sia pure problematicamente, la costituzionalità A. VALLEBONA, in Per una tutela effettiva, cit., 378, pur non apprezzando, a differenza del compromesso, la clausola compromissoria.

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compromissoria nella materia della risoluzione del rapporto, e, in generale, si sia consentita la stipulazione solo dopo la stabilizzazione del rapporto di lavoro. A parte la perdurante flessibilizzazione della normativa sostanziale attraverso una modifica di quella processuale,25 resta infatti la debolezza a resistere – non distante da quella che portò la corte costituzionale alla sentenza 10 giugno 1966, n. 63 in tema di decorrenza della prescrizione - ad una proposta del datore di lavoro di previsione della clausola compromissoria del lavoratore non assistito da tutela reale.26

Al testo, accogliendosi un emendamento dell’ opposizione, in data 28 aprile 2010 era stata apportata dall’ Assemblea della Camera una modifica depotenziante dell’ intero istituto nel senso che stabiliva che la necessaria certificazione della clausola operasse sulle controversie

“insorte” e non su quelle che “dovessero insorgere”, come invece previsto nel testo originario. L’enunciato definitivo, frutto di ulteriore emendamento approvato dalle commissioni riunite 1a e 11a del Senato, ha però stabilito che le commissioni di certificazione devono accertare la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri, “all’ atto della sottoscrizione della clausola compromissoria”, “le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro”.

Onde la permanenza delle perplessità sollevate dal Presidente della Repubblica, cui si aggiungono le seguenti:

il fatto che la decisione arbitrale d’ equità debba essere resa considerandosi, oltre che i principi generali dell’ ordinamento, “i principi regolatori della materia anche derivanti da obblighi comunitari”, allinea forse in punto la regola a costituzione ma lascia aperti spazi interpretativi che non giovano alla certezza dei rapporti in chiave deflattiva di cui prima si è detto.27 Ed in proposito è il caso di sottolineare come la soluzione sia ben lontana28 dalla classica visione di Giugni, che valorizzava la giurisdizione domestica quale prolungamento dell’ autonomia collettiva, e quindi come forma di amministrazione collettiva dei soli diritti di origine contrattuale (collettiva), non dei diritti stabiliti per legge. 29

25 Per A. VALLEBONA, in Per una tutela effettiva, cit., 378, il rendere le norme inderogabili semimperative attraverso la via processuale costituisce una legittima scelta discrezionale del legislatore.

26 Spunto conforme in P. ALLEVA, in Per una tutela effettiva, cit., 364.

27 Rilievi critici in T. TREU, cit., 362 ss.

28 Conf. G. FERRARO, cit., 383.

29 Cfr. G. GIUGNI, I limiti legali dell’ arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. dir. lav., 1958, I, pag. 83 e 87. Per l’ assoggettamento del lodo libero al limite del rispetto delle norme imperative di legge cfr., invece, Aut. op. ult. cit., pag. 75 ss.

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Anche alla luce di quest’ ultima considerazione serie perplessità30 suscita ancora l’ avere lasciato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali poteri suppletivi delle mancate intese sindacali (art. 31, comma 10);

perplessità le quali non appaiono superate dal fatto che tali poteri vadano esercitati dopo la convocazione senza esito in tempi lunghi delle parti sociali al fine del raggiungimento di un accordo e che si tratti di poteri riconosciuti in via sperimentale (per quanto tempo?) fatta salva la possibilità di integrazioni e deroghe derivanti da eventuali accordi interconfederali e contratti collettivi (senza specificazioni) e tenendo conto “delle risultanze istruttorie del confronto delle parti”, come recita un testo di non facile comprensione ed effettività normativa. E dubbi altrettanto seri pone la mancanza di una precisazione, sollecitata nel messaggio presidenziale e ripresa in alcuni emendamenti non approvati dalla commissione lavoro, relativa all’ utilizzo del giudizio d’ equità per i rapporti di lavoro alle dipendenze con le pubbliche amministrazioni.

8.3 Cenni sul procedimento arbitrale e sulla stabilità del lodo Il procedimento arbitrale è soggetto ad alcune regole abbastanza sobrie, e sfocia o nella raggiunta conciliazione – gli arbitri hanno l’ obbligo di effettuare il relativo tentativo - o nel lodo, che può essere emesso dalla commissione di conciliazione ai sensi dell’ art. 412 cod. proc. civ.

novellato (v. antea), ovvero dal collegio di conciliazione composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un presidente scelto di comune accordo tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati patrocinanti in cassazione (art. 412 quater, comma 2). Il lodo produce gli effetti propri di un contratto (art. 1372 cod. civ.) ed è impugnabile in unico grado avanti il tribunale in funzione di giudice del lavoro della circoscrizione in cui si trova la sede dell’ arbitrato solo per i vizi (formali) di cui all’ art. 808 ter cod. proc. civ, cui sembrerebbe doversi aggiungere, stante il riferimento agli artt. 1372 e 2113, comma 4 cod. civ., l’ azione di annullamento per vizi della volontà e incapacità naturale (del collegio arbitrale).

30 Cfr. T. TREU, cit., 363.

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