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Sentenza n. Registro generale

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Sentenza n.

Registro generale n.1892/13 Appello Lavoro

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Milano, sezione lavoro, composta da:

Dott. Laura CURCIO PRESIDENTE rel.

Dott. CARLA BIANCHINI CONSIGLIERE Dott. Angela CINCOTTI CONSIGLIERE ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul reclamo ex art. 1, comma 58 legge n. 92/2012 iscritto al numero di ruolo sopra riportato avverso la sentenza del Tribunale di MiLANO n.

2000/13, est. Dott. Scarzella discussa all’udienza collegiale del 18.2.20114 e proposto con atto depositato il 13.11.2013

DA CENTRO CARDIOLOGICO MONZINO IECCS

rappresentata e difesa dall’Avv.Giovanni Costantino, el. dom. to in Milano, via Fontana n.22

RECLAMANTE Contro

FRANCESCO XXXXXX

rappresentato e difeso dall’Avv. Mario Fezzi el. dom.to presso lo studio in Milano, viale Piave n.13

RECLAMATO CONCLUSIONI

Per il reclamante in via preliminare:

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- dichiarare la nullità della sentenza del Tribunale di Milano n. 2000 del 17 maggio 2013, giudice dottor Scarzella, per i motivi esposti al paragrafo A) del presente atto;

in via principale:

- riformare la sentenza del Tribunale di Milano n. 2000 del 17 maggio 2013, giudice dottor Scarzella, e, di conseguenza, accertare e dichiarare la piena legittimità ed efficacia del licenziamento comminato al dottor Xxxxxx in data 5 ottobre 2012;

in via subordinata:

- nella denegata e non creduta ipotesi in cui la Corte adita dovesse ritenere illegittimo il licenziamento comminato al dottor Xxxxxx, riformi parzialmente la sentenza impugnata, ritenendo applicabile l’art. 18, comma 5, dello Statuto dei Lavoratori così come modificato dalla legge n. 92/2012 e condannando l’odierna appellante tutt’al più al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura minima e non già alla reintegra, detratto l’aliunde perceptum ac percipiendum;

in via ulteriormente subordinata:

- nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Giudice adito dovesse ritenere illegittimo il licenziamento comminato al dottor Xxxxxx, confermando la sentenza di prime cure, riduca le somme pretese nei limiti di legge e di equità detraendo quanto eventualmente percepito dall’appellato a titolo di aliunde perceptum.

Con vittoria di spese e competenze del doppio grado giudizio, nonché della fase sommaria, con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori.

Conclusioni per il reclamato

Dichiarare inammissibile l’atto di appello avversario , per le ragioni esposte ;

In ogni caso rigettare l’appello ( reclamo) avversario.

Con il favore delle spese

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MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso depositato in data 13.11.2013 il Centro Cardiliologico Monzino ha proposto reclamo avverso la sentenza di cui in epigrafe che , confermando l’ordinanza emessa in data 18 dicembre 2012 dal medesimo Giudice nella fase sommaria , ha accolto il ricorso di Francesco Xxxxxx, annullando il licenziamento comminatogli dal Centro ed ordinando la reintegrazione del medesimo nel posto di lavoro .

Il Tribunale ha ritenuto che il convenuto non avesse fornito la prova della sussistenza dell’illecito disciplinare contestato al Xxxxxx , medico in turno notturno preso la clinica , a cui era stato addebitato l’abbandono del posto di lavoro durante tale turno.

Il reclamante ha preliminarmente lamentato la nullità della sentenza per difetto di capacità del giudice che l’ha pronunciata, ai sensi degli att.158 e 161 c.p.c., nel merito, ritenendo comunque errata l’interpretazione data dal primo giudice alla nozione di “abbandono del posto di lavoro”, ha sostenuto che tale abbandono si sarebbe invece realizzato, atteso che il Xxxxxx, in turno notturno presso l’Ospedale la notte tra il1° ed il 2 settembre, non aveva risposto alle ripetute chiamate sul cercapersone effettuate dal personale infermieristico, rendendosi irreperibile. Il reclamante ha poi ritenuto errata anche la valutazione del primo giudice delle dichiarazioni del Xxxxxx fornite nel libero interrogatorio che avrebbero contenuto confessorio, avendo egli riconosciuto di non aver risposto alla chiamata. Ha comunque ritenuto , in via subordinata, non applicabile la reintegrazione, ma applicabile il comma 5° dell’art.18 come riformato dalla legge n.92/2012 , che prevede la sola condanna all’indennità risarcitoria.

Il Xxxxxx ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per essere la sentenza passata in giudicato in data 19.6.2013, ciò in quanto la parte reclamante aveva avuto comunicazione, in data 20.5.2013 , da parte della cancelleria del Tribunale di Milano del deposito della sentenza reclamata , ma non aveva proposto il gravame nei trenta giorni successivi, come previsto dal comma 58 dell’art.1 della legge n. 92 citata , bensì solo in data 13.11.2013. Ha anche eccepito il reclamato la tardività comunque della notifica del

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reclamo. Nel merito e in via del tutto subordinata, il reclamato ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza del 22.1.2014 la Corte ha autorizzato la parte reclamante al deposito di note di udienza ed ha quindi concesso termine alla parte reclamata per controdeduzioni in relazione alle questioni processuali preliminari .

All’udienza del 18.2.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

1) Sull’eccezione preliminare di inammissibilità del reclamo

Secondo il Xxxxxx il reclamo del Centro Card. Monzino sarebbe inammissibile perché proposto oltre il termine di decadenza di 30 giorni dalla comunicazione di cancelleria , previsto dall’ art.1 comma 58 della legge n.92/2012.

L’eccezione ad avviso di questa Corte non è fondata.

Ed infatti la norma in esame prevede , nell’ ottica di particolare celerità che il legislatore ha voluto imprimere al procedimento previsto per i licenziamenti regolati dall’art.18 legge n.300/70 , che la fase di reclamo debba essere introdotta entro un termine breve di 30 giorni ed a tale fine è stata prevista , come equipollente della notifica effettuata dalla parte, anche la comunicazione della sentenza da parte della cancelleria. Sono quindi possibili due modalità alternative di conoscenza del provvedimento per far decorrere i termini per l’impugnativa in sede di reclamo . Non a caso la norma stabilisce che tale termine non possa superare in ogni caso i trenta giorni, sia in caso di comunicazione effettuata dalla cancelleria , sia in caso di notifica effettuata dalla parte vittoriosa , facendo comunque decorrere dalla data di notificazione tale termine , ove quest’ultima sia effettuata prima della comunicazione di cancelleria.

La previsione del termine breve di 30 giorni per proporre reclamo anche in caso di comunicazione deve necessariamente richiedere allora che con tale atto la cancelleria comunichi non solo l’avvenuto deposito della sentenza, ma anche il provvedimento in maniera integrale. Tale interpretazione del resto è suffragata da quanto statuito dal comma 61 dell’art.1della legge citata, che testualmente dispone :” in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza , si applica l’art.327 c.p.c.”.

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nella legge 92/12 che comprende non solo disposizioni sostanziali, ma anche processuali relativamente allo specifico rito previsto.

Ma anche facendo riferimento alle nuove regole processuali in tema di comunicazioni, deve ricordarsi che il DL 18.10.2012 n.179 convertito nella legge n.221/2012 ha apportato significative modificazioni all’art.45 delle disposizioni di attuazione che regola le comunicazioni effettuate mediante il cd “biglietto di cancelleria” di cui all’art.136 c.p.c. . In particolare la nuova formulazione del citato art.45 prevede ora, al secondo comma, che il biglietto di cancelleria deve contenere in ogni caso “ il nome delle parti ed il testo integrale del provvedimento comunicato” .

Al caso in esame si applica certamente questa nuova disciplina , entrata in vigore il 20.10.2012 e comunque al più tardi il 13.2.2013 (a seconda delle diverse date di entrata a regime delle comunicazione a mezzo PEC) , perché la sentenza reclamata è stata emessa il 17 maggio 2013 e comunicata ai difensori il 20.5.2013.

Risulta dai documenti allegati e peraltro non è contesto tra le parti che la comunicazione della cancelleria effettuata ai difensori , entrambi muniti di indirizzo PEC regolarmente comunicato, non conteneva il testo integrale della sentenza, ma esclusivamente un’

indicazione di “accoglimento parziale” del ricorso in opposizione.

Tale comunicazione, dunque, sia con riferimento alle norme prima ricordate della legge n.92/2012, sia con riferimento al citato art.45 delle disposizioni di attuazione al c.p.c. , non era idonea a raggiungere lo scopo di una piena conoscenza della sentenza da parte dei destinatari , presupposto necessario per far decorrere il termine breve ed inderogabile di trenta giorni per la proposizione del reclamo (come previsto dalla legge 92/12, nel combinato disposto di cui ai commi 58 e comma 61 dell’art.1 citato).

Conseguentemente il deposito del reclamo effettuato dal Centro Cardiologico Monzino entro il termine di sei mesi di cui all’art.327 c.p.c deve ritenersi regolare . La diretta previsione di applicazione del termine ordinario di cui al citato art.327 comporta , ad avviso della Corte , la non necessità di una domanda specifica del reclamante diretta a far dichiarare la nullità della comunicazione, perché appunto l’effetto in qualche modo “sanzionatorio” della mancata comunicazione anche della sentenza è già automaticamente previsto dalla legge.

Il reclamo deve , pertanto, ritenersi ammissibile.

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Va poi rilevato che se è vero che la notifica del reclamo si è perfezionata solo in data 17.12.2013 , come eccepito dalla difesa del Xxxxxx, è vero anche che tra la notifica del reclamo e la data dell’udienza del 22.1.2014 risultano comunque ampiamente rispettati i 25 gg liberi di cui all’art.435 c.p.c , avendo peraltro il reclamante richiesto la notifica in tempo utile in data 6.12.2013.

Va peraltro osservato che il reclamato, pur avendo eccepito la violazione del più ampio termine previsto per la procedura del gravame di cui all’art.1 comma 58 citato (che in realtà si limita ad un frettoloso richiamo delle norme contenute nei commi 51,52,53 che regolano i termini di notifica del ricorso e di costituzione dell’opposto in primo grado ) , ha comunque svolto le sue difese anche nel merito. Inoltre la Corte all’udienza del 22.1.2013 ha disposto un rinvio autorizzando il reclamato al deposito di memoria di replica alle note prodotte dal reclamante , sul punto nella memoria non è stata riproposta alcuna eccezione. Pertanto ad avviso della Corte si deve ritenere validamente instaurato il contraddittorio.

2)Eccepita nullità della sentenza per difetto di capacità del giudice . Il reclamante lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 158 e 161 c.p.c. per difetto di capacità del giudice l’ ha pronunciata , che avrebbe dovuto astenersi , avendo emesso l’ordinanza della prima fase del giudizio, poi opposta.

Sul punto si rileva che l’odierno reclamante pur avendo presentato nel corso del giudizio di opposizione un’istanza al Presidente del Tribunale sezione Lavoro di riassegnazione ad altro giudice della causa , richiamando l’art.51 n.4 in tema di obbligo del giudice di astensione , non ha di fatto presentato istanza di ricusazione ai sensi dell’art.52 c.p.c. .

La mancata istanza di ricusazione non consente di eccepire la nullità della sentenza come motivo di gravame , come già osservato da questa Corte nella sentenza n.339/1013 est. Cincotti , in cui si precisa : “ il motivo di astensione di cui all’art.51 comma 1 n. 4 c.p.c.

, che la parte non abbia fatto valere in via di ricusazione del giudice ai sensi dell’art.52 c.p.c. non può essere invocato in seguito in sede di gravame , non trovando deroga neppure qualora venga dedotta la

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Tale conclusione tiene conto dell’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui la violazione dell’obbligo di astensione può essere fatto valere solo con relativa istanza di ricusazione ex art.52 c.p.c. e non come motivo di nullità della sentenza ex art.161 c.p.c. , tranne nel caso in cui si faccia valere la nullità della sentenza per interesse proprio e diretto in causa da parte del giudice ( così Cass. N.12263/2009).

3) Sui motivi di merito

Il reclamante lamenta un’erronea interpretazione da parte del primo giudice della nozione di abbandono del posto di lavoro e la violazione dell’art.11 del ccnl applicato al rapporto , come anche un’ erronea valutazione delle risultanze istruttorie e un’erronea valutazione delle dichiarazioni confessorie del medesimo Xxxxxx nel libero interrogatorio.

In particolare il reclamante sostiene che il primo giudice abbia erroneamente ritenuto non sussistere la fattispecie di illecito disciplinare contestato, per non essersi allontanato dal nosocomio , mentre invece la condotta tenuta dal medico non avrebbe potuto che ricondursi a tale mancanza , in quanto egli si era reso del tutto irreperibile , sebbene più volte ricercato dagli infermieri, durante l’intero turno notturno. Secondo il reclamante poi nessuna rilevanza avrebbe avuto, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la circostanza della esistenza di una stanza messa a disposizione del personale medico, di notte, per riposo in caso di assenza di chiamate.

Tali motivi sono infondati.

Con la lettera di contestazione del 19.9.2019 il Centro Cardiologico Monzino ha contestato al dottor Xxxxxx la specifica mancanza disciplinare di cui all’art.11 del ccnl, lettera f) , che si riferisce all’abbandono del posto di lavoro durante il turno notturno. Si precisa nella contestazione che dalle 2,30 egli, contattato con cera- persone , non ha risposto alla chiamata dell’infermiere , il quale l’aveva cercato anche in reparto , senza riuscire a trovarlo , sino alla fine del turno.

Questo il fatto contestato , sia nella sua materialità , sia nella sua definizione giuridica collegata alla ipotesi disciplinare prevista dal contratto.

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Condivide il collegio quanto ritenuto dal primo giudice ,secondo cui , la mancanza disciplinare addebitabile al Xxxxxx non corrisponde all’illecito previsto dalla lettera F ) dell’art.11 del ccnl prima ricordata.

Va invero osservato che , trattandosi di una clausola contrattuale, non può essere interpretata se non nei limiti di ciò che le parti collettive hanno voluto effettivamente intendere per abbandono del posto di lavoro. Non può ,pertanto , soccorrete al fine di una corretta interpretazione il riferimento che il reclamante fa al concetto di abbandono del posto di servizio di cui all’art.72 delle legge n.121/81 , in tema di appartenenti alla Polizia di stato.

Nel caso di specie ad avviso della Corte le parti hanno intesto riferirsi proprio alla circostanza di fatto del sanitario che abbandona, recandosi all’esterno della struttura, il suo posto di lavoro, quindi diventando irreperibile , nell’abito del turno notturno.

Dall’interrogatorio libero della procuratrice speciale del Centro è emerso che la mattina del 2 settembre vi era stato un normale passaggio di consegne tra il dottor Xxxxxx ed il medico diurno in turno, come anche è emerso che il Xxxxxx non aveva risposto al cerca persone, ma che nessuno dei due infermieri che lo avevano cercato si erano recati presso il locale messo a disposizione dei medici di turno per il risposo anche la notte. Lo stesso xxxxxx infatti ha dichiarato di essere stato reperito in questa stanza in altra occasione di turno notturno, in cui era stato chiamato senza fortuna al cercapersone.

Proprio esaminando le mancanze disciplinari di cui al ccnl può evincersi che per abbandono del posto di lavoro le parti hanno intesto un allontanamento fisico del medico.

Ed infatti la lettera a) dell’art.11 prevede quali illeciti disciplinari sanzionabili con provvedimento conservativo il non presentarsi ingiustificatamente al lavoro e l’abbandono del posto di lavoro anche temporaneo. Tali illeciti si riferiscono certamente a mancata presenza nella struttura dove si svolge l’attività lavorativa.

Quando tale assenza si verifica durante il turno notturno , i contraenti collettivi hanno ritenuto la condotta molto più grave e dunque passibile di sanzione espulsiva.

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Nel caso in esame certamente il comportamento del Xxxxxx è stato inadempiente ma tale non da configurare l’ipotesi disciplinare contestata di un abbandono del posto di lavoro.

La sua irreperibilità al cerca persone infatti ha comportato in realtà una grave sospensione del lavoro senza giustificato motivo, rientrante nella ipotesi di cui alla lettera b)dell’art.11 del ccnl , sanzionabile con la sospensione.

Conseguentemente, rientrando il fatto contestato tra le condotte punibili con una sanzione conservativa non può accogliersi neanche il motivo di reclamo relativo alla erronea non applicazione, da parte del primo giudice , del comma 5°

dell’art.18 riformato , che prevede il diritto al pagamento della sola indennità risarcitoria.

Infine , quanto al motivo di reclamo relativo alla omessa pronuncia sull’aliunde perceptum si osserva che la condanna di cui all’ordinanza di reintegrazione è intervenuta dopo due mesi e mezzo circa dal licenziamento ed il dottor xxxxxx aveva dichiarato in udienza di non aver lavorato dal licenziamento. Quanto al periodo successivo all’orine di reintegrazione, questo pacificamente non rientra nella previsione legislativa di cui al citato art.18 comma IV riformato.

La sentenza deve quindi essere confermata nel merito.

Le spese del presente grado vanno compensate nella misura della metà , stante la novità della questione processuale affrontata, condannandosi il reclamante alla rifusione dell’ulteriore metà che liquida ai sensi del DM n.140/2012 in euro 2000, 00 oltre oneri di legge

P.Q.M.

conferma la sentenza del Tribunale di Milano n. 2000 /2013 del Tribunale Di Milano. Compensa le spese del grado nella misura della metà condannando il Centro Radiologico Monzino alla rifusione dell’ulteriore metà che liquida in euro 2000, 00 oltre oneri di legge.

Milano , 28.2.2013 Laura Curcio Presidente est.

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