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Q Mille, due... 150°

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Academic year: 2022

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Mille, due... 150°

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uando questo numero di Argomenti sarà recapitato quasi certamente si sarà già celebrata la giornata di festa nazionale indetta per il 17 marzo che, proprio nella sua imminenza, è stata preceduta da polemiche poli- tiche di dura e inaudita consistenza.

Da parte di alcuni si è voluto dimostrare attraverso l’avversione nei confron- ti dell’istituzione e quindi della celebrazione della festa un dissenso sì sim- bolico, ma totale ed esacerbante nei confronti dello stesso evento storico cele- brato, ovvero l’unificazione della patria italiana in Stato nazionale.

Ma se l’avvicinarsi del centocinquantenario della nascita della nazione italia- na è stato preceduto da forti polemiche di natura politica, in realtà motivate da una malcelata lotta senza quartiere intenta a demolire qualunque senti- mento e simbolo di unità nazionale per fini contingenti e di parte, è pur vero che anche in passato non sono mancate diversità di punti di vista tra gli sto- rici sul percorso dell’unificazione post-risorgimentale.

Quindi perplessità storicamente sostenute sulla validità e sulle modalità con cui l’unificazione si era andata a realizzare non sono certamente argomenti nuovi e nientaffatto recenti visto che già lo storico Giuliano Procacci nella sua “Storia degli italiani” (Edizioni Laterza, 1968) fa risalire parte di quei risentimenti che da sempre si registravano alle difficoltà verso la riunifica- zione come conseguenza di “un decollo difficile” determinato, in buona misura, dal desiderio di bruciare i tempi per mettere le altre nazioni d’Europa di fronte al fatto compiuto dell’unità italiana.

Di fatto, quindi, secondo Procacci, ma non solo, per conseguenza di questa forzatura politica e dell’accelerazione storica, l’unificazione d’Italia ebbe da subito un duro prezzo politico e sociale da pagare consistente nell’immedia- to abbandono di tutte quelle aspettative politiche che tanti protagonisti del Risorgimento avevano coltivato e propagandato e per primo quel progetto ideale basato sull’autonomia delle Regioni e sul decentramento amministra- tivo elaborati da Farini e Minghetti, in particolare.

Ben presto si andò invece a instaurare un rigido accentramento determinato dal

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38 38 fatto che l’unificazione, così come si

era realizzata, era consistita in una serie di successive annessioni al Piemonte dei diversi Stati e Regni preesistenti: di fatto, quindi, una dila- tazione del suo modello sociale, poli- tico e amministrativo piuttosto che di un organismo nazionale nuovo e ori- ginale rispondente alle tante aspetta- tive che la lunga gestazione risorgi- mentale aveva determinato.

La stessa permanenza della capitale del Regno d’Italia, dal 1861 al 1864, a Torino manteneva una situazione di eccentricità politica per cui, ad esempio, per partecipare alle sedute parlamentari i deputati meridionali dovevano sobbarcarsi perigliosi viaggi di parecchi giorni e la legge

elettorale del nuovo Regno fu quella già in vigore nel Regno di Piemonte estesa automaticamente al resto d’Italia mantenendo così a un ristret- to gruppo censitario il privilegio di poter essere eletti al parlamento.

Ma un altro elemento riconosciuto da molti ha influenzato negativa- mente i primi passi della neonata nazione: la capacità da parte della politica sabauda guidata da Cavour di sfruttare militarmente lo spirito di avventura di Giuseppe Garibaldi tranne poi liquidarlo politicamente nei suoi afflati rivoluzionari e demo- cratici.

Prendeva le mosse quindi sì una nuova nazione, ma vecchia nella sua impostazione burocratica e che per gran parte dei suoi nuovi cittadini veniva rappresentata solo dall’esa- zione delle tasse e dalla coscrizione militare obbligatoria che certamente ha contribuito a non innestare quel- l’adeguato senso dello stato che ancora oggi, purtroppo a ragione, viene lamentato.

Edmondo De Amicis, conosciuto Giuseppe Garibaldi in Argentina, così lo descrisse: «Fu maestro, navi- gatore, lavoratore, commerciante, soldato, generale. Era grande, sin-

cero e buono. Odiava tutti gli oppressori, amava tutti i popoli, proteggeva tutti i deboli, non aveva altra aspirazione che il bene, non amava riconoscimenti, disprezzava la morte e adorava l’Italia»; e a memoria di ciò tantissimi sono i monumenti, le statue che in Italia e in tanti altri Paesi ne ricordano le imprese, ne perpetuano il carisma e gli ideali.

Il nome di Garibaldi è indissolubil- mente legato all’impresa dei Mille che rappresentò una delle pagine più rivoluzionarie dell’epopea risorgi- mentale di cui tutti conoscono i trat- ti più salienti: Lombardo e Piemonte i nomi dei due piroscafi utilizzati per raggiungere la Sicilia, quarantacin- que i siciliani, i rimanenti prove- nienti da tutte la altre Regioni dello Stato da unificare e alcuni addirittu- ra stranieri, rappresentanti di ogni ceto, professione e mestiere. In pic- colo una rappresentanza, forse oggi la si chiamerebbe campione rappre- sentativo, di una nazione che andava comunque a formarsi e che, ci sia permessa questa notazione partigia- na, vedeva tra i partecipanti due veterinari: Girolamo Barbieri (1839- 1896) di Bussolengo (VR) e Antonio Corbellini (1842-1927) di Borga - rello (PV).

Vitantonio Perrone

Roma, colle del Gianicolo:

statua equestre di Giuseppe Garibaldi, alcuni busti (in restauro) di garibaldini e quello di uno

dei partecipanti stranieri alla Spedizione dei Mille.

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