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Parlamentari, il mandato ricevuto dagli elettori

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Parlamentari, il mandato ricevuto dagli elettori

7 Dicembre 2016 | Autore: Edizioni Simone

Parlamento e popolo, il dovere di rappresentanza e il divieto di mandato imperativo e l’interpretazione dell’articolo 67 della Costituzione.

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In base all’art. 67 Cost., «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Questa norma rappresenta un insostituibile corollario dell’articolo 1 che attribuisce la sovranità al popolo e, dunque, la rappresentanza alla Nazione considerata come espressione più qualificata e pregnante del concetto più generico di «popolo».

Tale norma afferma due principi:

la rappresentanza nazionale, sancita per svincolare i singoli deputati e senatori dall’influenza dei propri elettori nell’ambito dei collegi elettorali locali ove sono stati eletti: essi, infatti, non rappresentano le proprie circoscrizioni locali, ma la Nazione. La rappresentanza nazionale non impedisce, comunque, che il parlamentare si faccia interprete di interessi, bisogni, aspirazioni di carattere locale, ma esige che tali interessi siano valutati soprattutto tenendo conto dell’interesse generale del Paese (VIRGA);

il divieto di mandato imperativo, che vieta al parlamentare di ricevere dagli elettori del suo collegio o di gruppi di interesse direttive circa il modo di svolgere il proprio mandato.

Da tale norma deriva, secondo VIRGA:

il divieto per il parlamentare di obbligarsi, mediante negozi giuridici, a 1.

svolgere il suo mandato a favore di una certa politica o di un certo gruppo di interessi o hobbies;

il divieto di accettare qualsiasi ricompensa o retribuzione, in danaro o in 2.

natura, come corrispettivo per lo svolgimento del suo mandato o di impegnarsi a seguire determinate istruzioni. Se il parlamentare così facesse si renderebbe colpevole di corruzione;

la conseguente invalidità di tutti i negozi stipulati dal parlamentare 3.

relativamente all’esercizio delle sue funzioni; pertanto, un contratto con cui egli si impegnasse a perseguire una data politica o a ricevere

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determinate istruzioni sarebbe nullo perché contrario a norme di ordine pubblico (ex 1343 c.c.).

La rappresentanza politica, dunque, presuppone che chi rappresenta il popolo nelle assemblee deve osservare una serie di regole d’onore e di lealtà istituzionale verso la Nazione non sempre codificate in norme scritte, ma dettate da immodificabili principi di correttezza per garantire la propria trasparenza e indipendenza da influenze e poteri che non siano quelli degli elettori.

Tali regole sono:

— indipendenza da gruppi o lobbies di qualsiasi tipo o potere: ciò spiega, ad esempio, l’incompatibilità delle funzioni di magistrato (potere giurisdizionale) con quella di parlamentare;

l’assenza di interessi personali nelle eventuali decisioni politiche alla cui formulazione il parlamentare dovrà dare il suo contributo; un eventuale conflitto di interessi, infatti, tra una scelta politica e una situazione personale o economica finirebbe col condizionare ogni decisione, lasciando prevalere gli interessi propri e non quelli della collettività.

Il divieto di mandato imperativo, tuttavia, trova un forte ostacolo nei vincoli sempre più stringenti fra parlamentari e partiti.

Secondo parte della dottrina (VIRGA) bisogna distinguere i diversi tipi di vincoli che astrattamente possono legare i parlamentari ai partiti:

vincolo di gruppo parlamentare: i deputati e i senatori che si iscrivono 1.

ad un gruppo parlamentare si sottopongono al suo ordinamento statutario e assumono l’obbligo non solo di partecipare alle sedute del gruppo, ma anche di attenersi, nella loro attività parlamentare e nelle votazioni, alle decisioni degli organi di gruppo;

dimissioni rilasciate in bianco: è vietato che i partiti subordinano 2.

l’inclusione di un candidato nella propria lista alla preventiva consegna di

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una domanda di dimissioni con data in bianco, diretta alla Presidenza della Camera, per cautelarsi contro eventuali mutamenti di idee del parlamentare eletto nelle loro liste. Le dimissioni in bianco (prassi oramai in desuetudine) sono senz’altro da considerarsi invalide, e ogni Camera, qualora venisse a conoscenza di una tale situazione, sarebbe tenuta senz’altro a respingerle perché in aperto contrasto con l’art. 67 Cost.;

contratto innominato di deposizione anticipata del mandato: i 3.

partiti talvolta esigono che il parlamentare si obblighi a deporre il mandato in qualunque momento, su semplice loro richiesta (es.: la rotazione nelle passate legislature prevista dal partito radicale a metà mandato). Tale accordo, anche se ricorre nella pratica, deve ritenersi nullo, perché contrario a norme di ordine pubblico;

dimissioni in caso di uscita dal partito: secondo alcuni autori, per 4.

motivi di correttezza costituzionale, il parlamentare che esce dal partito nella cui lista è stato eletto, sarebbe tenuto a dimettersi (come previsto espressamente all’art. 160 della Costituzione del Portogallo del 1975);

nella prassi, però, ciò non si è verificato (si pensi alle storiche scissioni del gruppo del «Manifesto» dal Partito Comunista Italiano negli anni settanta, e dei monarchici eletti nelle liste del movimento sociale italiano che rimasero in Parlamento anche dopo la loro uscita dal partito).

Da un punto di vista formale il parlamentare «è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma è anche libero di sottrarsene» (sent. Corte cost. 14/1964): tale libertà è anche parzialmente tutelata dai regolamenti parlamentari che prevedono la possibilità per il parlamentare che dissente dalle direttive di partito di poter esporre la propria opinione.

Tuttavia, nella realtà la linea politica adottata dal partito si sovrappone il più delle volte agli orientamenti personali del parlamentare, così che quest’ultimo scade a mero portavoce del partito o gruppo parlamentare in seno al Parlamento.

I casi di «ribellione» alla linea e alle direttive del partito sono puniti, a mo’ di caserma, con sanzioni disciplinari che possono giungere fino all’espulsione dal

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partito e alla richiesta di dimissioni degli organi del partito dei «ribelli» da eventuali cariche ricoperte nelle assemblee.

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