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LA CONVIVIA presenta il secondo evento. LA DONNA Tra la Madre e la Puttana, qual è il posto di una donna?

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Academic year: 2022

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LA CONVIVIA presenta il secondo evento

LA DONNA

Tra la Madre e la Puttana, qual è il posto di una donna?

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fondatori

Charles Melman

psicanalista, psichiatra, fondatore dell’Association Lacanienne Internationale di Parigi Cristina Guarnieri

direttrice editoriale di Editori Internazionali Riuniti Stefano Fanelli

avvocato Cristiana Fanelli

psicanalista, membro dell’Association Lacanienne Internationale

presidente Charles Melman

vicepresidente Stefano Fanelli

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Indice

1. Programma 2. Da Parigi a Roma

Ch. Melman, Il Capolavoro incompiuto Ch. Melman, L’amore delle donne 3. Conversazioni

Intervista ad Ascanio Celestini e a Emanuele Trevi 4. Rovente e dolcissima voce di donna

Sonia Bergamasco legge Amelia Rosselli 5. Istanti di donna

Intervista ad Ascanio Celestini e a Emanuele Trevi 6. Giunta da sempre, tu che te ne andrai ovunque

Mario Coppola; Ilaria Di Biagio; Mario Gualandri 7. Muse moderne

Giuseppe Guarnieri; Eleonora Iaselli; Alessandro Pieravanti 8. Ringraziamenti

9. Prossimi incontri 10. La lezione italiana

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Sabato 23 marzo 2013

ore 17,00

Libreria Fandango Incontro

Via dei Prefetti, 22 – Roma

Giovanni Santi, Giulia Valli e Pietro Pilla (attori) recitano brani letterari sulla donna Charles Melman (psichiatra e psicanalista)

Un capolavoro incompiuto Benedetta Capanna (danzatrice)

Tra

Proiezione della video-intervista esclusiva sulla donna a Ascanio Celestini (attore) e Emanuele Trevi (scrittore)

Marie-Charlotte Cadeau (psicanalista) ll ne faut pas parier sa tête avec le diable

Sonia Bergamasco (attrice) legge Amelia Rosselli

Marie-Charlotte Cadeau e Sonia Bergamasco Dialogo sulla donna

Laura Pigozzi (psicanalista e musicista) Voce e godimento femminile

Concerto di Le Cardamomò

Nel corso dell’evento saranno esposte le opere di Mario Coppola (fotografo) e Mario Gualandri (scultore)

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Domenica 24 marzo 2013

ore 10,00 Studio

Largo di Torre Argentina 11, Roma

CIEL (Centre Italienne d’Études Lacaniennes) Proiezione in anteprima esclusiva del documentario

La città delle donne di Chiara Sambuchi (regista)

Colazione

Marie-Charlotte Cadeau (psicanalista) Charles Melman (psichiatra e psicanalista)

commentano il documentario insieme a Chiara Sambuchi

ore 13.30 Chiusura dei lavori

La Convivia. Associazione culturale e Scuola di Alti Studi in psicopatologia – nome ispirato al Convivio di Dante – richiama il piacere di stare insieme, di creare legame sociale facendo dialogare tra loro diversi campi del sapere. La sua attività è rivolta alla creazione di appuntamenti dedicati a un tema particolare, in cui dialogheran- no uno psicanalista, un filosofo, uno scrittore, affiancati da performance artistiche (teatro, danza, musica, scultura, fotografia, etc.); insomma, le diverse arti unite dal comune interesse di riflettere, ciascuna a partire dal proprio essere, su questioni cruciali per la nostra attualità.

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Da Parigi a Roma

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Il capolavoro incompiuto di Charles Melman

Non si trova una donna nella natura, che offre solo femmine, e neppure nella cultura, che ammette solo le madri… ma allora, dove la si trova?

È la questione che si pongono le donne stesse nel domandarsi quale sia il loro posto – per tenersi e preservare la loro esistenza – imbattendosi così in un bivio devastatore.

O costituirsi nel campo della realtà come una comunità, una comunità di donne al pari di quella degli uomini e in una competizione virile con loro:

questo chiamiamo “femminismo”. Ma, in tal caso, la femminilità s’impiglia in un machismo ancor più totalitario di quello degli uomini, poiché è senza limiti. Possiamo verificarlo ogniqualvolta una donna occupa un posto di direzione politico o economico: non lascia il ricordo di aver esercitato il potere attraverso la sua grazia, la sua dolcezza, la sua gentilezza o, per dirlo altrimenti, attraverso il suo umanesimo.

Oppure, ed è l’altro ramo del bivio, affrontare da sola lo stato di donna, li- bera dalle costrizioni sociali, morali, persino coniugali, e osare vivere con un uomo un amore che non si riconosce altro dovere che il servizio da rendere al dio Eros. Il destino di tale donna è volentieri tragico, poiché questo dio accetta i sacrifici più sublimi, ma senza ripagarli con alcun riconoscimento.

Tuttavia sarebbe interessante studiare quello di cui, alla sua epoca, ha invece potuto beneficiare una donna come Lou Andreas Salomé.

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Ma, per tornare all’essenziale, dobbiamo constatare quanto siamo sempre imbarazzati e insoddisfatti nei riguardi delle donne, e continuiamo a com- portarci come dei primitivi, persino come dei barbari. Cento anni di psi- canalisi hanno apportato qualche rinnovamento su questo tema essenziale?

Non in Freud, che era chiaramente misogino, ma è vero che il suo discono- scimento di una metà dell’umanità non faceva che precedere il disconosci- mento che sarebbe capitato all’altra metà: l’uomo, un animale malconcio, poiché rende solidale il dolore con il mantenimento della vita.

Si trova invece qualche spunto in Lacan, che ha passato il suo tempo ad occuparsi di ciò che non funziona tra un uomo e una donna, di questa mal- formazione generatrice di disagi che sono privati prima di essere proiettati nella cultura e nelle relazioni sociali. Potremmo delinearli brevemente par- tendo da questo: il campo della realtà, quello delle nostre rappresentazioni, ci interessa solo nella misura in cui noi speriamo in un’epifania: l’emergere di quell’oggetto capace di soddisfare il desiderio, ovvero: una donna.

O ciò non è possibile poiché il diritto d’ammissione nel campo delle rappre- sentazioni della realtà si paga con il dover portare un tratto fallico (il fallo come Vorstellungrepräsentanz in Freud): in tal modo una donna ha diritto di partecipazione solo a titolo di “madre”. A titolo di rappresentante dell’og- getto causa del desiderio, in compenso, passerà subito al rango di “puttana”.

Non dimentichiamo d’altra parte che, sino alle guerre del Ventesimo secolo e allo sviluppo economico che esse hanno provocato, una donna era confi- nata fuori dall’agorà, nello… spazio domestico.

Per celare questo grave difetto di struttura, in apparenza vi è un solo mez- zo: prendere esempio dall’artista. Egli corregge questo difetto che priva il campo della realtà dall’apparizione dell’oggetto causa del desiderio con una creazione: quella di un capolavoro. Certo, non si tratta dell’oggetto stesso, ma egli conferisce alla sua rappresentazione la dignità che conviene.

San Tommaso vedeva nella donna una creatura incompiuta. Come visto, non si tratterà più di compierla (cioè di renderla fallica), ma di permetterle di potersi realizzare incompiuta come lo è ogni opera d’arte, a titolo di cre- azione artigianale e, dunque, mirabile.

Traduzione di Cristiana Fanelli

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L’amour des femmes de Charles Melman

Pour vivre leur féminité, on ne leur laisse pas le choix : ou bien l’alibi de la maternité ou bien le risque de passer pour une pute. À moins qu’elles ne se révoltent et s’enrôlent dans le féminisme, une exigence d’égalité qui va se révéler peu satisfaisante pour les deux sexes en nourrissant la nostalgie de ce que serait un “vrai” homme et une “vraie” femme, bref en rétablissant la différence.

Ces impasses peuvent être un fait de culture ou de structure. Mais dans tous les cas elles montrent notre difficulté à assumer le désir, en particulier quand il est supporté par une femme. Freud attribuait le malaise dans la culture à sa répression excessive. Aujourd’hui la sexualité s’exhibe partout et cependant le malaise subsiste avec la tentative de la traiter comme un simple besoin à satisfaire.

S’il est vrai, selon Spinoza, que le désir est l’essence de l’homme, pouvons- nous faire mieux que démontrer que c’est plutôt son ratage qui la définirait ? 6 mars 2013

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L’amore delle donne di Charles Melman

Per vivere la femminilità non si lascia loro scelta: o l’alibi della maternità o il rischio di passare da puttane. A meno che non si ribellino e si arruolino nel femminismo – in un’esigenza di uguaglianza destinata a rivelarsi poco appagante per entrambi i sessi, poiché alimenta la nostalgia di ciò che sa- rebbe un «vero uomo» e una «vera donna», vale a dire… perché ristabilisce la differenza.

Le impasses possono essere il portato di un fatto culturale o strutturale. Ma in ogni caso mostrano la nostra difficoltà ad assumerci il desiderio, specie quando esso è supportato da una donna. Freud attribuiva il disagio della civiltà alla repressione eccessiva da questa esercitata. Oggi la sessualità viene ovunque esibita e ciò nonostante il disagio persiste nel tentativo di ridurla a semplice bisogno da soddisfare.

Se, come diceva Spinoza, il desiderio costituisce l’essenza dell’essere umano, possiamo far qualcosa di più che semplicemente dimostrare come sia piut- tosto il suo fallimento a definirla?

6 marzo 2013

Traduzione di Janja Jerkov

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Conversazioni

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Intervista ad Ascanio Celestini

Il secondo appuntamento della Convivia sarà sulla donna.

Da alcuni decenni, noi uomini viviamo un complesso di colpa per aver sfruttato e schiavizzato le donne per tanti secoli. D’altra parte, le donne hanno visto molto spesso una possibilità di liberazione attraverso lo sfonda- mento della porta del privato, al cui interno erano chiuse, e un’entrata nel pubblico. Questo, da una parte ha riequilibrato attraverso il conflitto una situazione che molto probabilmente era squilibrata, dall’altra però ha fatto perdere competenze. Se io ripenso a come mia madre faceva mangiare noi, e vedo come mia nipote fa mangiare i suoi figli, trovo che ci sia una differenza enorme, c’è un secolo di conflitti in mezzo. Mia madre, ad esempio, che ha sempre mangiato pochissimo, certe volte mangiava dal nostro piatto perché si accorgeva che altrimenti avremmo mangiato troppo. Mia nipote invece dà un pezzo di cioccolata a sua figlia perché sa che così starà più tranquilla.

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Per quanto riguarda le competenze che culturalmente e antropologicamente avevano le donne rispetto al cibo e che oggi probabilmente stanno recupe- rando – ma attraverso un sapere molto più razionale che non vissuto, per- meato, culturale – la loro perdita potrebbe essere motivo di tanti problemi che oggi abbiamo con il cibo.

Interessante che per la donna parli del cibo e non della sessualità.

Beh, anche la sessualità, sicuramente. Le streghe nelle storie della tradizione orale – anche di mia nonna, che aveva un repertorio di racconti delle stre- ghe – si muovevano tra la sessualità e il cibo. Le due cose, sappiamo che non sono tutto sommato così distanti. Sono cose che fanno parte di un corpo che in gran misura non vogliamo controllare, che non abbiamo intenzione di controllare, ed è cosa saggia non farlo. Le streghe facevano sesso e cucina- vano, solo che lo facevano a un livello straordinario, altissimo, erano delle ultradonne, delle superdonne. E questo faceva sì che vivessero una sorta di emancipazione tutta all’interno del luogo privato, anzi, la loro emancipazio- ne era tanto più forte quanto più clandestina.

Il terzo tema è l’esilio.

L’esilio è possibile se c’è una patria, da qui la vecchia storiella ebraica dell’e- breo che va dal rabbino e gli dice: «Io adesso parto e vado lontano», e il rabbino gli chiede: «Lontano da dove? Se non c’è una patria non c’è neanche un lontano e un vicino». Ho assistito a un incontro tra Claudio Magris e Yehoshua, in cui Magris ha citato questa storiella e Yehoshua si è incazzato e ha detto: «Oggi c’è un lontano e un vicino perché c’è una patria, si chiama Israele, e chi ha una patria ha una responsabilità sul confine, su quello che sta dentro e su quello che sta fuori». Perciò credo che la patria sia un grave problema, e i confini un disastro totale. Quando eravamo ragazzini anda- vamo a scuola. Noi eravamo l’insieme della 3° A. Poi, dall’altra parte, c’era l’insieme della 3° B, quello della 3° C… Però, quando poi il pomeriggio andavamo alla festa dei bambini, non eravamo più la 3° A, perché c’era il bambino che aveva un amico nella 3° B, che andava in piscina con lui, e

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c’erano quindi dei sottoinsiemi così come delle intersezioni. L’insieme ha un senso se è una linea finta, che prevede anche l’intersezione. Quando cominci a tirar su dei muri, dei confini, le intersezioni non sono più possibili. L’esilio è possibile perché c’è un dentro e un fuori. E se c’è un dentro e un fuori, significa che ci sono dei confini e dei muri. E visto che i muri non sono so- vrapponibili, perché nessuno è capace di sovrapporre il muro di Berlino con il muro di Israele, da lì nascono dei conflitti enormi.

Un altro tema sarà linguaggio e musica.

Linguaggio e musica? È un tema vastissimo! Mi vengono in mente quegli strumenti popolari, o che sono entrati nella musica della tradizione orale, anche strumenti recenti, come l’organetto, gli strumenti diatonici, che pro- ducono due suoni diversi spingendo lo stesso tasto in apertura o in chiusura.

Sono strumenti complicatissimi… come faccio a ricordare che, spingendo lo stesso tasto, il mantice fa una nota quando si apre e un’altra quando si chiude? Eppure, sono strumenti che hanno ottenuto grandi risultati, soprat- tutto nelle riscritture della musica della tradizione orale. Perché la musica, proprio come le lingue – più che i linguaggi – che parliamo, funziona un po’ come i nostri discorsi. Noi peschiamo le parole a caso, o meglio, le peschiamo per esperienza. Non scegliamo quali parole dire, le raccogliamo perché abbiamo sempre fatto così. Allora la musica, dal mio punto di vista, è tanto più linguaggio quanto più è improvvisazione, quanto più è legata all’esperienza. La mia musica è quello che io sono, non quello che io suono.

E l’ultimo incontro prima dell’estate sarà sul jazz. Una chiusura in bellezza?

Da ragazzino ho collezionato l’Enciclopedia del jazz, tutta in audiocassette, oggi sarebbe come avere la macchina con le ruote di pietra. Se c’era una cosa che mi colpiva, erano i rumori. Quando l’Enciclopedia, attraverso il free jazz, è arrivata ad Albert Ayler passando per Eric Dolphy, Max Roach e tutti gli altri, c’erano rumori che non erano quelli di John Cage. Erano rumori che stavano nella dinamica musicale. Non era il frigorifero, che se ascoltato in un certo modo diventa suono, non era Duchamp. Era il rumore che non

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poteva non essere suono, il rumore che stava nell’esperienza musicale. Se il jazz ha una qualità unica, è proprio in questo, nel riuscire a portare dentro tutto, nessuno escluso.

Per concludere, quale potrebbe essere secondo te un tema per i prossimi incontri dell’anno venturo?

Il cibo!

Intervista a cura di Cristina Guarnieri Trascrizione dell’intervista di Roberta Arrigoni

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Intervista a Emanuele Trevi

La Convivia, associazione che intende promuovere il convivio fra le arti e i saperi (la letteratura, la scultura, il teatro, la poesia, etc.) dedica il suo secondo appuntamento alla donna. Innanzitutto, che cos’è una donna per te? Ce la riesci a dire?

Nella vita sono sempre stato molto incasinato con l’elemento femminile, perché l’elemento femminile distrugge l’uomo, lo porta a vagare in un fiume come un pesciolino, come un piccolo luccio demente in dei fiumi molto più grandi che sono le volontà femminili. Io credo che le donne siano dotate di una facoltà in più dell’uomo che è la loro bellezza, ma anche il loro handi- cap. Immagino la vita come qualche cosa dotato di senso, quindi un prima, un dopo, un significato, uno svolgimento… Pensiamo al quadro più famoso di Klimt, Le tre età della donna… non ha fatto le tre età dell’uomo, perché l’uomo invece non ha questo istinto di interpretazione narrativa dell’esi- stenza, quindi bene o male, in una misura minore o maggiore, avere sempre rapporti con donne vuol dire entrare in un romanzo altrui. È come se uno si infilasse in Don Chisciotte, in un libro di Dickens… tu leggi e piombi là dentro, ma non ti riguarda, non sei tu l’autore, è una volontà impersonale

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e quindi devi fare delle cose… che so, cambiare casa o farti una famiglia…

però nell’uomo rimane sempre un residuo, si chiede sempre: «Ma perché io sto facendo tutto questo? Come sono finito in questa narrazione?».

Ecco, questo secondo me è il motivo profondo del fatto che tra un uomo e una donna, anche nel caso migliore di quelle coppie bellissime che invec- chiano insieme, c’è sempre un dissidio. Ma l’uomo deve imparare a un certo punto a starci. Invece tende a pensare – un errore che io ho fatto molto spes- so – che c’è un romanzo migliore, che tanto non riesce a inventare la propria vita ed è meglio tuffarsi in un altro gorgo di desideri, passioni, realizzazioni.

E questo forse è sbagliato.

Mi ha molto colpito il saggio di Thomas Mann sul matrimonio, perché Mann dice: «Il matrimonio è l’accettazione della vita». Questa è una cosa molto bella, molto poetica, molto intensa, una di quelle frasi degli scrittori su cui si può riflettere a lungo. Io lo correggerei dicendo: «Il matrimonio – in senso ampio, la relazione con una donna – è l’accettazione di un ro- manzo». Perché tu diventi un pupazzo in questo teatro di burattini, magari il pupazzo più importante, il Pulcinella, il Re, però la sostanza narrativa è data dalla donna. Quando un uomo torna ad essere solo diventa di nuovo un ragazzino di 15 anni che sta davanti alla televisione, non ha una storia.

Vive mangia si lava esce ma…

Non si scrive la storia…

No, rotola. Rotola nel tempo.

Invece se stai con una donna sei un capitolo di una cosa che tu poi non afferrerai mai. Questa è la cosa bella…

Quindi Donna-Sovrana ma anche Donna-Enigma?

Immagina che un giorno entri in un romanzo di Turgenev, e tu non lo hai mai letto e ti chiedi: «Cosa farà adesso? Passerà una carrozza? Scoppierà una guerra?». Non lo sai. È un po’ un’esperienza simile a quella di Dio. Io sono ateo, però i rapporti con le donne mi hanno messo dentro una specie di volontà imperscrutabile, metafisica. «Perché è così?».

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Donna-Beatrice…

Donna che deve fare delle cose, per esempio. Nel weekend deve fare una passeggiata. E uno dice: «Ma perché devi passeggiare? Ma stattene tranquil- la!». No, deve fare una cosa. E perché? Perché deve verificare continuamente il romanzo della sua vita. La donna è sempre il Turgenev, il Dostoevskij, il Dickens dell’esistenza.

E qual è il personaggio letterario femminile che ti affascina di più?

Beh… quella dei Tre moschettieri, Milady, la cattiva! Non c’è niente da fare, quella batte tutti! Sta nel I ciclo dei Tre moschettieri, è cattiva, ma ha anche una punta di fragilità.

E nella poesia?

Quando ero all’università studiavo le donne angelicate della poesia medie- vale e non avevano nessun significato per me. Sempre preferirò la Laura di Petrarca perché… invecchia.

Addirittura c’è quel sonetto famoso di Petrarca, un po’ cafone, che dice:

piaga per allentar d’arco non sana…

L’arco si è allentato ma la piaga ce l’ho ancora. Perché quella è invecchiata!

Secondo me è la cosa più cafona che si possa dire a una donna. Ora sei di- ventata più brutta, sei invecchiata, ma la mia piaga è la stessa. Il problema è che se lei ha letto questo sonetto si sarà offesa dell’allentarsi dell’arco.

Donna casta o prostituta?

Prostituta, sicuramente! Io amo proprio tutte le forme di prostituzione, mi sembrano bellissime!

E che pensi della Donna Madre?

Beh… io ho avuto in sorte una madre molto simpatica, per cui mi diverte,

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mi fa piacere dialogare con mia madre, è sempre disperata, dice: «Quando non ci sarò io, che farai?». Perché vede appunto la mia vita un po’…

Poi ho due madri, perché mia sorella è diventata un po’ una madre, quindi ha un atteggiamento materno…

Quindi non la Madre Coccodrillo di cui parla Lacan… la divoratrice di figli…

il ravage… questa “devastazione” fra madre e figlia…

So che il mondo di Lacan è molto presente nella vostra Associazione culturale e anche nel catalogo di Editori Internazionali Riuniti. È un mondo molto affasci- nante, però Lacan dice una cosa terribile che è molto ben spiegata nel libro di Massimo Recalcati uscito recentemente, una grande monografia su Lacan.

Lacan si concentra sul momento sessuale e dice una cosa tremenda: che è la prova della verità. Cioè, l’uomo è capace di continuare il dovere fallico dei padri oppure comincia una serie di perversioni: l’impotenza, lasciare la donna appena consumato l’atto, tutta la nevrosi. Allora, se la osserviamo da questo punto di vista, la stessa espressione “momento della verità”… è tosta!

Bisogna sempre evitare cose serie nella vita e stare un po’ nella commedia dell’arte, perché le cose serie non sono sostenibili dai singoli individui, però l’orizzonte è quello, probabilmente ha ragione la serietà psicanalitica.

A proposito, sei figlio di uno psicanalista… Qual è il tuo rapporto con la psicanalisi?

Io vado sempre da uno psicanalista, ogni lunedì. Però è un uomo, quindi siamo fuori dal discorso.

Sempre lo stesso?

Sì, sempre lo stesso. Sono terrorizzato che si scocci. Perché io ne ricevo un grande beneficio immediato, per cui il lunedì sono la persona più forte e re- alizzata del mondo, e purtroppo il lunedì capitano poche cose. C’è il Grande Fratello e lo sprechi, ti metti davanti alla televisione. È come, se posso per- mettermi, un tiro di coca… cioè, una cosa che svanisce… Ora non vorrei dire una cosa, magari, che i giovani… che mi sentono… pensano…

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Insomma, una droga che un po’ se ne va durante la settimana, quindi un ci- clo. Io mi sento molto rassicurato comunque dal rapporto con questa perso- na, perché lo psicanalista è un tipo di rapporto diverso da qualunque altro, perché uno paga, fa delle confidenze particolari. Ho un’empatia… però non mi sento di guarire dopo tutti questi anni… esattamente, se ti dovessi dire che utilità abbia andare dallo psicanalista non saprei… Però non ha nulla a che vedere con il metodo lacaniano. Il metodo lacaniano è molto interessan- te perché è fondato molto sul linguaggio e sui giochi di linguaggio.

Mi ricordo che una volta volevo intraprendere un’analisi con una nota psica- nalista lacaniana, proprio perché mi ha sempre affascinato Lacan. Poi la cosa non è andata, perché lei voleva un impegno di più di una volta a settimana, quindi era un po’ difficile per me.

Mi disse: «Mi racconti un sogno». Io le dissi: «Guardi, ho sognato un vecchio cinema di Roma. Stavo lì. Un cinema dove facevano solo film di Totò, dove ora si trova il Mignon. Ed era bello perché nel cinema si fumava e quindi nell’intervallo il tetto si apriva, ed era molto bello, vedevi le stelle… Insomma, ho sognato che c’era mio padre, nei panni di un venditore di popcorn come c’erano un tempo».

Mi sembrava un sogno che in qualche maniera potesse essere interpretato. E lei comincò a farmi così davanti agli occhi [gesto con le mani che indica le corna, ndr]. Sai, i lacaniani hanno sempre fama di mattacchioni! E poi mi disse: «Pop- corn… qui c’è una storia di corna…».

Lei aveva creato l’associazione del significante “corn”/“corna”. E quello mi colpì molto.

Però poi nell’ambito della stessa seduta – e la colpa fu della mia imprecisione e non del metodo lacaniano chiaramente – mi disse: «Mi dice un momento della vita in cui ha sentito un attacco di panico? Dove era?». «Una volta ero a piazza Indipendenza e mi capitò una specie di forte capogiro, un senso di annichilimento» risposi. Ma io dissi piazza Indipendenza per semplificare, perché in realtà ero a via Volturno. Allora lei cominciò a dire che era il pro- blema dell’indipendenza… però io non ero lì, lo avevo detto solo per dirle la zona di Roma… Chissà che significato avrebbe avuto Volturno!

Ma devo dire, di quel poco che sono riuscito a capire di Lacan, che è meglio oggi leggere Lacan alla luce della Roudinesco o di Recalcati, cioè con qual- cuno che te lo spiega, perché è davvero un linguaggio molto arduo. Però il

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gioco linguistico è il linguaggio dell’inconscio, su questo non ci sono dubbi per me. Lo psicanalista da cui vado, invece, ha un orientamento cognitivo, non ha nulla a che vedere con Lacan, non gli ho mai raccontato un sogno.

Alla Convivia sarà presente il Presidente dell’Associazione, Charles Melman, che è allievo diretto di Jacques Lacan…

E allora non bisogna fargli leggere queste cazzate!

… e Marie-Charlotte Cadeau, che è una psicanalista esperta della questione fem- minile. Se fossi presente alla Convivia, che diresti a questi psicanalisti parlando del sesso della donna? Penso al quadro di Courbet, L’origine del mondo…

Parlerei della profonda emozione che ho provato, il primo giorno che era esposto al pubblico al Quai d’Orsay. Sapevo che era proprietà di Lacan. Ci fu anche un episodio molto divertente, perché il Ministro della Cultura francese era un cattolicone di provincia e quando c’erano le televisioni non voleva farsi vedere vicino a questa figa!

È una storia molto interessante, quella del quadro in generale, della maniera in cui arriva a Lacan e come poi Lacan lo copre, ci fa dipingere sopra da un suo parente che è un grande pittore, Masson, un paesaggio. Molte leggende dicono che lo svelasse a dei pazienti… Ho letto in un libro molto interessan- te, di un certo Savatier, che si arrabbiava con i figli quando lo aprivano. È un quadro meraviglioso che adesso è a disposizione di tutti, al primo piano del Museo d’Orsay… Courbet è un pittore immenso…

Quali sono le prime parole che ti fa venire in mente il sesso di donna?

Mi fa venire in mente un colore, che è fulvo… Adesso non vorrei fare troppo il lacaniano… fulvo-vulva, qui c’è proprio un’assonanza difficilmente pre- sente in altre lingue come il francese. Fin da piccolo mi sono trovato di fronte al luogo comune che sono tutte uguali. È vero! Sono molto simili rispetto agli organi maschili. Ma perché poi si sviluppano all’interno, quindi sono più interessanti dell’organo maschile.

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Avevo un amico carissimo che odiava Lacan, Cesare Garboli, che una volta prese il taxi con Lacan a Parigi e scese dal taxi dicendo: «Ho scoperto chi è Tartufo di Molière: Lacan!». E scrisse un meraviglioso articolo su Repubblica che chiaramente causò scandalo nei lacaniani. Perché? Perché Tartufo è il direttore di coscienza, quindi non può essere più il gesuita di famiglia come ai tempi di Molière, ma diventa lo psicanalista. Lacan è l’emblema dello psi- canalista. Allora sottoposi questo articolo a mio padre, che però era diverso, perché gli junghiani, nell’interno della grande comunità degli psicanalisti, sono un po’ come gli stregoni con le piume, per cui a loro va tutto bene, e disse: «Sì, ma forse aveva ragione… povero Lacan, magari sono gli allievi che lo hanno troppo divinizzato!». Insomma, non riuscii a ottenere una risposta, però rideva sotto i baffi perché Cesare era molto spiritoso. Descrive quest’uomo con dei golf di cashmere, aveva l’aria di chi pratica sport come lo sci d’acqua, una cosa falsa, assolutamente… invece secondo me questa cosa che Garboli scrisse per puro dileggio, come spesso le cose che si scri- vono, ha un significato spirituale ulteriore, più interessante, cioè io credo che l’identificazione di Jacques Lacan con un personaggio immenso come il Tartufo di Molière sia anche un grande omaggio, una grande intuizione, bisognerebbe però svilupparla. Certo, se parli con un lacaniano si offende!

Nella giornata sulla donna ci sarà anche Sonia Bergamasco che leggerà i versi di Amelia Rosselli.

Io adoro Sonia. Ecco, Sonia per me è la sorella, il doppio astrale! Io sono Sonia e Sonia è un po’ me, perché siamo due incapaci… Abbiamo delle nostre bar- chette fragili… Ed è stato bello nella vita unire queste due zatterine e farne una sola, apparentemente più robusta. Mi piace molto come artista, la sua capacità di interpretare sorprendendo sé stessa… Lei non esercita un dominio esegetico sul testo, è molto al di là di quel problema – che di fatto è un problema cultural- mente scadente, fasullo, dell’attore che legge la Divina Commedia alla maniera di Vittorio Gassman. In questo davvero ha preso molto da Carmelo Bene.

Ho sentito Sonia leggere delle cose di Amelia Rosselli in una casa privata in cui per la prima volta ho capito questa grande poetessa completamente.

Lei ha un metodo in cui in fondo non vuole sorvolare dall’alto il testo che

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legge, vuole guardarlo dal basso. Sonia è riuscita a tenere una bambina in sé, un bambino che però è un potente principio di guarigione… il bambino dei taoisti. Non so se Sonia abbia familiarità con la filosofia taoista. I taoisti pensano che bisogna far risalire lungo la colonna vertebrale il bambino me- tafisico, spirituale. Ecco, lei lo ha portato molto su.

La Convivia dedica ogni incontro a un tema. Quale ci suggeriresti per l’anno prossimo?

Un tema secondo me bellissimo viene da una frase di Schopenhauer che dice: «È impossibile fare un ritratto di un animale. L’unico essere umano di cui è possibile fare un ritratto è l’uomo». E dunque il ritratto (pittorico, verbale, etc.). L’arte del ritratto è la più filosofica delle arti umane perché è l’arte della distinzione dei singoli destini, distinzione filosoficamente il- lusoria magari, attraverso non quello che si fa ma attraverso il linguaggio dei lineamenti. In Francia è stato molto studiato il ritratto verbale, Cioran per esempio ha compilato una meravigliosa antologia di ritratti scritti, da Chateaubriand che parla di Talleyrand a Sainte-Beuve. Quindi io credo che il ritratto sia qualcosa che vada indagato, ancora più a fondo di quanto non sia stato fatto. C’è qualcosa nel ritratto, una scintilla filosofica particolare.

Va bene, l’organizzeremo, ti inviteremo e soprattutto ti diremo come si sono scatenate le donne ascoltando le tue parole…

Ma io vi faccio un appello, donne! Perché la mia amica che mi sta facendo l’intervista è stata sleale, perché… io mi sarei fatto bello… come Paride, il guerriero che si fa bello.

La Convivia ti saluta, Emanuele!

E io saluto la Convivia!

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Rovente e dolcissima voce di donna

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Sonia Bergamasco legge Amelia Rosselli La notte era una splendida canna di giunco

Il lungo arco di tempo in cui si articola la raccolta Documento coincide con quello di Appunti sparsi e persi. L’una alimenta l’altra. Poesie accantonate, interrotte, apparentemente “stonate” vengono riprese e rivissute nella silloge di Appunti. Ho scelto di accostare delle due raccolte otto più otto poesie, in un possibile gioco di specchi.

Il filo rosso della lingua come esperimento doloroso e irriverente. La vi- visezione gioiosa e ardita nel corpo della poesia. La musica dei suoni della lingua come passo di danza obbligato, come destino.

Credo che non si possa “stare” nella pagina di Amelia Rosselli se non con disagio, scompostamente.

Pronti alla fuga. Pronti a un combattimento con elementi misteriosi.

La purissima oscenità del suo canto è antica. Lontana, e nel contempo av- vinghiata al cuore pulsante di immagini che emergono incessantemente dal profondo. La sua parola, così preziosa, cerca la semplicità attraverso il la- birinto del male e incontra la vita nello sfregamento eccitato di candore e follia.

Lunga vita al suo canto!

Sonia Bergamasco

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Indice delle poesie

da Documento

1. La notte era una splendida canna di giunco 2. La passione mi divorò giustamente

3. per Gianfranco

4. Mio angelo, io non seppi mai…

5. i giovani, le loro rose

6. Hanno fuso l’ordigno di guerra 7. Una tua faccia ha sì contorni umani 8. Dialogo con i Morti

da Appunti sparsi e persi

1. E fu una maledizione quel bruciare 2. Ma non posso esprimerti il mio rapimento 3. Sembrare agli altri

4. Eri come si deve essere 5. La vita è breve

6. Una occasione per difenderci 7. Il mio cuore

8. Cambiare la prosa del mondo

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Rovente e dolcissima voce di donna Biografia essenziale

Amelia – detta (in famiglia) Melina – Rosselli nasce nel 1930.

Il padre viene assassinato nel 1937.

Affetta dal morbo di Parkinson fin dall’adolescenza.

Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Italia.

Studi musicali: pianoforte, violino, organo, composizione.

Inventa un piccolo pianoforte che riproduce la serie degli armonici.

Studi sulle civiltà musicali extraeuropee (terzo mondo, Oriente), postwe- bernismo.

Trilingue, riconquista l’italiano – lingua del padre.

La musica della poesia (Spazi metrici). Scrittura automatica, surrealismo francese.

La sperimentazione come necessità, più che come programma.

Solitudine artistica – senza “scuole”.

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La notte era una splendida canna di giunco

La notte era una splendida canna di giunco i suoi provvisori accecamenti erano di giunco

i suoi averi scappavano dalle mie mani le sue filantropie anche erano di giunco.

Oh potessi avere la leggerezza della prosa o di quell’inverno che fu così ben racchiuso fra i tetti impiantati: questa strada d’inverno

è come se qualcuno l’avesse saccheggiata.

Oh potessi realizzare la rissa degli angioli indovinati fra le colonne vertebrate, così come la strada precipita senza segno, senso

per un vuoto putiferio per un mistico soliloquio.

2

E fu come una maledizione quel bruciare con tinte di disperazione il lessico inusuale, la punta inorridita del pensiero che sgorgheggiava attraverso mestruazioni

ricche di pensiero interdetto il tuo sforbiciare davanti a una plateale disorganizzazione

ricca di sostrati indigeni, carenza di vitamine, la vitalità dispersa in una corsa per gli orizzonti più chiari mentre una metafisica certezza ti costruiva

sognate felicità incapaci di amarti amando si stravede tutto un incompreso girare per le strade domandandosi perché

si era fatti così male ma il delirare non è un pensare è un costruirsi mentre

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con inamidate mani stringevi in mano la passione e la paura della morte.

2

La passione mi divorò giustamente la passione mi divise fortemente la passione mi ricondusse saggiamente

io saggiamente mi ricondussi alla passione saggistica, principiante

nell’oscuro bosco d’un noioso dovere, e la passione che bruciava

nel sedere a tavola con i grandi senza passione o volendola dimenticare

io che bruciavo di passione estinta la passione nel bruciare

io che bruciavo di dolore, nel vedere la passione così estinta.

Estinguere la passione bramosa!

Distinguere la passione dal vero bramare la passione estinta

estinguere tutto quel che è estinguere tutto ciò che rima con è: estinguere me, la passione la passione fortemente bruciante

che si estinse da sé.

Estinguere la passione del sé!

estinguere il verso che rima

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da sé estinguere perfino me estinguere tutte le rime in

“e”: forse vinse la passione estinguendo la rima in “e”.

2

Ma non posso esprimerti il mio rapimento rapita da un nocciolo d’invidia, per

le sole cose permissibili, possibili in questa giungla ben nutrita. Ma non

devo esprimerti il mio rimorso e non posso esprimere il mio risentimento

e non devo seguire il mio capriccio quel giorno che tu transitasti fuori

della mia coscienza, vista.

E non posso esprimere il mio tradimento quando vidi come ti comportavi, la paura

avendo afferrato ambedue i visi chini sulla paura di svelarsi.

2

Non ho voglia di morire oggi, non ho nemmeno speranza di morire oggi: sono in piena attività celebrale; sono come gli altri – candida, della tua morte fiorita d’oltretombe

della tua morte offerta a premio, del tuo intimidito sorriso giovanile, della tua sfacciataggine sicura e spretata. Sono

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sicura tu cambierai registro, sono sicurissima che non mi amerai neppure là, dove vai e dove andrò io, vivente. Sei mai sicuro tu di questa stessa cosa, faccenda, delirante

sicurezza d’invecchiare?

(“Non sono sicura d’esserti vicino, mai ho sicurezza di te, che spiando mi ragguagli o raggiungi… Competizione!

la vita senza guinzagli, garbugli, gola o freschezza impervia”. Deliravo, e mi misi ad armeggiare per correggere questo

vizio… di saperti armato di sapienza di saperti lontano un quarto di miglia come se tutta la sapienza al mondo potesse sbranar cani come io già sto facendo, come io già farò, riposandomi in questa baracca

riposandomi in ricerca di te che muori quasi allegramente. – Perché tanto sorriso

e tanta educazione? Nei sorrisi arabescati del vino fluente e secco, superbo il

vino ma mista la miscela!

e sono morta ormai vicino al tuo scoccare frecce intere per il io parmigiano, nel ridere di vita e morte interezza e spugne

non ho più nulla da dire, come te, che spari o sparisci).

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2

Sembrare agli altri se stessi sembrare se stessi le piccole ferite sono le peggiore

mutare questo che separa la esistenza finché in puro amore navigo cordoglio che tutto finge di amare pur essendo (rabbrividendo) una essenza

la travagliata esperienza.

2

Mio angelo, io non seppi mai quale angelo fosti, o per quali vie storte ti amai o venerai, tu che scendendo ogni gradino

sembravi salirli, frustarmi, mostrarmi una via tutta perduta alla ragione, quando

facesti al caso quel che esso riprometteva, cioè mi lasciasti.

Non seppi nemmeno perché tra tanti chiarori eccitati dell’intelletto in pena, vi furono così sotterranee evoluzioni d‘un accordarsi al mio, al vostro e tuo bisogno

d’una sterilità completa.

Eppure eccomi qua, a scrivere versi, come se fosse non del tutto attratto alla mia ricerca d’un enciclopedico capire quasi tutto a me offerto senza lo spazio d’una volontà di ferro a controllare

quel poco del tutto così mal offerto.

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2

Eri come si deve essere nel verde nulla della passione spenta calando verso il suolo leggermente chino come quel monte di cui la pagina non ha spazio

2

i giovani, le loro rose simili a te: i giovani

le loro rose, simili a me: i giovani, i loro

torti, simili ai nostri

2 la vita è breve grave il ritardo

2

Hanno fuso l’ordigno di guerra con le mie dita troppo occupate a servirsi di cibi cannibaleschi e tutto il mondo

è corso a vedere.

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Pene infranto e rotta condotta sono lì a farvi da guida: l’esperienza è

maestra degli svogliati, i poveri d’immaginazione che rotolandosi nell’aldilà hanno voluto

imprigionarvi. Voglia di fare temprata da consuetudini che hanno invece tremebonde

pratiche: quelle di non sapere dove le hanno lasciate

Ed è il dovere a farti strada come fosse una sbiadita lanterna e spaccata che nulla illumina salvo che il tuo piede

che sbaglia.

Gli aeroplani hanno cominciato a sparare sulla folla poi hanno tradito così come è normale nella pioggia di ogni giorno

e anche la sera.

Ogni giorno tentano un tranello e ogni giorno torna la purezza e ogni notte mettono in dubbio quello che hanno fatto

di giorno.

Di giorno sognano; di notte vegliano;

il pomeriggio dormono; la mattina pregano.

Pregano che non se n’andrà così presto la vita che ha nascosto la morte per tanto tempo finché un giorno ritrovarono

la notte stesa come un morto.

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Una occasione per difenderci2 appuntite le loro sobrie difese

la verità è un evento di cui bisogna vendicarsi.

Con la calma dosava i sonniferi la libertà è venduta

l’arbitro è dei folli,

potessi un giorno pervenire a toccare il cuore.

2

Una tua faccia ha sì contorni umani un tuo gesto è davvero primaverile e un tuo guardarmi è la prima delle cose a cui penso quando – nel vivido primeggiare

dei nuvoloni pomeridiani – io con molta lentezza cerco te.

E se il morire è cosa di ogni giorno anche il tuo sguardo ha luci maligne e un tuo cenno di timidezza o d’amore

non fa altro che ritardare l’orrore di un giorno.

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2 Il mio cuore bello, bisognoso e distratto

umiltà unificate corte sottane pietrificate

cristi che flirtano

diceva cose belle ma demistificate 2

Scendete voi, abbracciate questa vostra figlia che annaspa tra tomboloni e mussulmani che giocano con le sue braccia che invece, bianche, vorrebbero abbracciare

o strozzare ma mai fallire questi colpi che diurnamente ricevono, pieni di lividi e lividamente promuovete una

sete di dolcezza e aspra giustizia oppure non lasciate più ch’io tormenti

(ed essi mi tormentano) questa mente che muore ad ogni istante piena di stretti nodi che ingombrano la sua piana marcia ad un paese più bello introvabile

mentre muore lividamente anche la voglia di essere più belli di quello che si

è.

Scendete e scendete ancora – e infilate nella vostra banale gioia il significare

d’una vita che ballonzola rattristata dalla piena potenza del male degli altri e del mio – il non sapere difendermi

da ottusa voglia.

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Vivere un istante o mezz’ora e poi ritrovarsi per una svista del pensiero

ancora più ingombra di inessenziali rabbie!

Voce in capitolo non ebbero le sagge mani: vi incontrai per poi farmi ostinatamente

massacrare da voi.

E il massacro volge in lussuria; e la lussuria in estasi contemplata nel

grano sifilitico che s’attorciglia al mio collo, stremato dai troppi abbandoni.

Abbandonarsi al vuoto sesso e poi ritenersi anche insudiciati dalla nera pece del

fare così angusto dei poveri.

Sesso e violenza s’abbandonarono e si ritrovarono infradiciati quel mattino

glorioso ove tutto cadde a pezzi, e se saggezza con le sue microscopiche

usanze non ritira truppe dal votarsi all’angoscia, e se una piccola fierezza o svista può provocare angosce ritardate

allora cade a pezzi la giornata triste per la tua feconda grettezza.

Ed è inerme che io battaglio per una chiarezza che non ha permesso d’esistere

sinché tu giochi con questa providenza che ci stampò in faccia quell’ansia di esistere fuori d’un commerciale attenersi alle più basse voglie; ma vidi anche nella tua faccia il sigillo della noncuranza e del vuoto armarsi

alla morte senza pensare alla vita!

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2

Cambiare la prosa del mondo, il suo orologio intatto, quel nostro incorniciare le giostre

faticose di baci.

Hai inventato di nuovo la luna, è una povera isola

ti chiama con contingenza disperata imbastardita dalle lunghe cene.

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Istanti di donna

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Mario Coppola è un fotografo a tutto tondo, i suoi occhi sono la sua macchina migliore. Agli amici confida che non può fare a meno di fotografare tutto ciò che lo incuriosisce anche senza la sua Canon. Questa attitudine lo porta quindi a sovrapporre in una foto scattata anche immagini non salvate su nessuna scheda che non sia quella della sua memoria. Quando ci si imbatte in uno dei suoi la- vori, specialmente gli ultimi, ci si rende conto che sono presenti sovrapposizioni di diversi elementi che prendono vita mano a mano che si tenta un esame di interpretazione complessiva della foto. Questo perché avendo come fonte più di una sola immagine, essa è una non materia, pur essendo molto viscerale. Il modo migliore per apprezzare queste foto è avere la mente libera e lasciarsi trasporta- re dall’impatto, lasciarsi guidare dai propri occhi. Mario Coppola è anche un grandissimo ritrattista, le sue fonti sono la gente comune, quella che si incontra nella vita di tutti i giorni ma anche noti jazzisti. Se uno poteva fotografare l’ansia creativa e il mondo ascetico del jazz, Coppola è uno di questi, sono memorabili i suoi ritratti di Bollani e Rava, da cui ha tratto la fatica, lo stress e tutta la tensione dei musicisti dopo una performance.

Mario Coppola, Gioia

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La Convivia ha allestito una mostra con la sua opera fotografica sulla donna, un’opera misteriosa di cui l’artista ci lascia alcune chiavi di lettura.

«Perduti sguardi, e sguardi che si incrociano creando».

«Il perdersi deve starci, se ti ritrovi è finita».

«Opera di addizione che sottrae. Eterna, perché senza tempo; è ovunque, perché è senza spazio. SENZA/ASSENZA».

«Mentre togli, trovi. Mentre scarti, aggiungi. Impossibile definire una don- na: la soddisfazione è proprio questa».

«La donna mai trovata… forse non la si vuol trovare».

«Donna-origine Donnia-bestia Donna-orgasmo

Donna-abisso Donna-rosone di chiesa

Donna-dèmone Donna-esausta

D2 DIO».

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Ilaria Di Biagio è nata a Firenze nel 1984. Il suo interesse verso la fotografia è cominciato presto: ha ricevuto in regalo la sua prima Yashica a 11 anni. Ilaria ha studiato Antropologia Visiva e Giornalismo d’inchiesta a Roma, ponendo la sua attenzione su temi sociali a carattere fotogiornalistico. L’interesse verso una fotografia più personale si è sviluppato nei mesi in cui ha frequentato il corso Advanced Visual Storytelling presso la Danish School of Media and Journalism ad Aarhus (2011). Durante il periodo in Danimarca ha prodotto il lavoro The Thin Line e cominciato il progetto a lungo termine Fragile, in col- laborazione con la sorella Gioia. Il richiamo verso storie che la circondano la sta portando a indagare più a fondo il suo stesso mondo, quello che ha vissuto e sta vivendo. Al momento lavora alla pubblicazione di alcuni libri fotografici.

Ilaria Di Biagio, progetto Fragility

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Mario Gualandri nasce a Roma il 13 aprile 1971 dove vive e opera. Fre- quenta l’Accademia di Belle Arti di Roma e si laurea all’ Università “Sapi- enza” in Psicologia del Lavoro. Attualmente è Dottorando di Ricerca presso la Sapienza. Da sempre appassionato di scultura e fotografia, nel 1993 si iscrive a un corso presso una scuola del Comune di Roma. Inizia così a utilizzare i materiali più diversi: creta, marmo, rame, tele in iuta e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma dove approfondisce la conoscenza dei materiali e le tecniche di formatura. All’interno dell’Accademia realizza un reportage fotografico dal titolo Dalla terra al cielo. Nel 1995 attraverso varie sperimentazioni incontra il perspex e traduce in scultura bozzetti di opere già realizzate in rame. Risale al 1997 la sua prima mostra personale in Roma nel quartiere San Lorenzo: L’arte trasporto ove ogni occhio muore – Esposizione di concetti d’arte nella scultura. Lo stesso anno partecipa a Catania a una mostra collettiva nazionale “Creatività a confronto” dove vince il Premio come migliore scultore con la sua opera Musa, struttura in perspex. Nel 1998 partecipa alla selezione “Giovani artisti dell’Italia e del Mediterraneo”

organizzata da Enzimi e patrocinata dal Comune di Roma. Negli anni di impegni accademici i suoi lavori si sono susseguiti e ha realizzato opere su commissione. Nel 2009 ha iniziato la sua collaborazione con la Galleria Melori & Rosenberg di Venezia. Nel 2010 ha partecipato alla Mostra Col- lettiva “Nello spazio della Croce” organizzata dalla stessa Galleria presso la Chiesa di San Salvador (Venezia, 25 aprile-30 maggio 2010). Nel 2010 (9 maggio-23 maggio) ha presentato la personale Forme nude presso la Galleria Melori & Rosenberg di Venezia. Ha pubblicato un libro che mescola arte e cucina Chef is out: una visione interiore della sua esperienza come chef e come fotografo. Nel 2013 (18-20 Gennaio) è stato selezionato per l’esi-Nel 2013 (18-20 Gennaio) è stato selezionato per l’esi- bizione “OpenArt Award 2013-X^ Edition” svoltasi a Roma dove è stato premiato con il secondo premio per la scultura.

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Mario Gualandri Ritratto di donna, 1998 cm 78x27

kg 6Bassorilievo in perspex, ardesia, tondino di rame

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Giunta da sempre, tu che te ne andrai dovunque

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Dante, Paradiso, canto xxxiii, vv. 1-21

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra i’ mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre

sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate.

Petrarca, Chiare fresche et dolci acque Chiare, fresche et dolci acque

ove le belle membra pose colei che sola a me par donna;

gentil ramo ove piacque, (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna;

erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse co l’angelico seno;

aere sacro, sereno,

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ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:

date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.

S’egli è pur mio destino, e ‘l cielo in ciò s’adopra, ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,

qualche grazia il meschino corpo fra voi ricopra,

e torni l’alma al proprio albergo ignuda;

la morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo,

ché lo spirito lasso non poria mai in più riposato porto

né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata e l’ossa.

Tempo verrà ancor forse ch’a l’usato soggiorno torni la fera bella e mansueta,

et là ov’ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa et lieta,

cercandomi; et, o pietà!, già terra infra le pietre vedendo, Amor l’inspiri

in guisa che sospiri sì dolcemente che mercé m’impetre,

et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da’ be’ rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo;

et ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già de l’amoroso nembo;

qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde,

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ch’oro forbito et perle eran quel dì a vederle;

qual si posava in terra e qual su l’onde, qual, con un vago errore girando, parea dir: “Qui regna Amore”.

Quante volte diss’io allor pien di spavento:

“Costei per fermo nacque in paradiso!”.

Così carco d’oblio il divin portamento e ‘l volto e le parole e ‘l dolce riso

m’aveano, et sì diviso da l’imagine vera, ch’i’ dicea sospirando:

“Qui come venn’io, o quando?”;

credendo esser in ciel, non là dov’era.

Da indi in qua mi piace quest’erba sì, ch’altrove non ho pace.

Se tu avessi ornamenti quant’ai voglia, potresti arditamente

uscir del bosco e gir in fra la gente.

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Dal Cantico dei Cantici voce di lei

Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia;

l’ho cercato, ma non l’ho trovato.

Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze;

voglio cercare l’amore dell’anima mia.

L’ho cercato, ma non l’ho trovato.

Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:

«Avete visto l’amore dell’anima mia?».

Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore dell’anima mia.

Lo strinsi forte e non lo lascerò,

finché non l’abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha concepito.

Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi:

non destate, non scuotete dal sonno l’amore, finché non lo desideri.

voce di lui

Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!

Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo.

Le tue chiome sono come un gregge di capre, che scendono dal monte Gàlaad.

I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno;

tutte hanno gemelli, nessuna di loro è senza figli.

Come nastro di porpora le tue labbra, la tua bocca è piena di fascino;

come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo.

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Il tuo collo è come la torre di Davide, costruita a strati.

Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di eroi.

I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano tra i gigli.

Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò sul monte della mirra

e sul colle dell’incenso.

Tutta bella sei tu, amata mia, e in te non vi è difetto.

Vieni dal Libano, o sposa, vieni dal Libano, vieni!

Scendi dalla vetta dell’Amana, dalla cima del Senir e dell’Ermon,

dalle spelonche dei leoni, dai monti dei leopardi.

Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, mia sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana!

Quanto è soave il tuo amore, sorella mia, mia sposa,

quanto più inebriante del vino è il tuo amore, e il profumo dei tuoi unguenti, più di ogni balsamo.

Le tue labbra stillano nettare, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua

e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano.

Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata.

I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane,

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con i frutti più squisiti, alberi di cipro e nardo,

nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo, con ogni specie di alberi d’incenso,

mirra e àloe, con tutti gli aromi migliori.

Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive che sgorgano dal Libano.

Àlzati, vento del settentrione, vieni, vieni vento del meridione,

soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi.

Umberto Saba, Ed amai nuovamente Ed amai nuovamente; e fu di Lina dal rosso scialle il più della mia vita.

Quella che cresce accanto a noi, bambina dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.

Trieste è la città, la donna è Lina, per cui scrissi il mio libro di più ardita sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l’anima partita.

Ogni altro conobbi umano amore;

ma per Lina torrei di nuovo un’altra vita, di nuovo vorrei cominciare.

Per l’altezze l’amai del suo dolore;

perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra, e tutto seppe, e non se stessa, amare.

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Pablo Neruda, Il corpo di donna Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche, tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d’abbandono.

Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli e in me la notte entrava con la sua invasione possente.

Per sopravvivermi ti ho forgiata come un’arma, come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.

Ma cade l’ora della vendetta, e ti amo.

Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.

Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell’assenza!

Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo di donna mia, persisterà nella tua grazia.

La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!

Oscuri fiumi dove la sete eterna continua, e la fatica continua, e il dolore infinito.

Rainer Maria Rilke, Figura femminile a un balcone All’improvviso esce, nel vento avvolta, chiara al chiaro, quasi per forza estratta,

mentre la stanza, come levigata, ora dietro di lei riempie la porta.

oscura come il fondo di un cammeo da cui traspare ai margini un bagliore;

e tu non credi che il crepuscolo era prima che lei uscisse per deporre ancora un po’ di sé sul parapetto – anche le mani – ed essere leggera:

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offerta dalle case in fila al cielo, docile ad ogni cosa che la muova.

Charles Baudelaire, Il Vampiro Tu che t’insinuasti come una lama Nel mio cuore gemente; tu che forte

Come un branco di demoni venisti A fare folle e ornata, del mio spirito Umiliato il tuo letto e il regno-infame

A cui, come il forzato alla catena, Sono legato: come alla bottiglia

L’ubriacone; come alla carogna I vermi; come al gioco l’ostinato

Giocatore – che sia maledetta.

Ho chiesto alla fulminea spada, allora, Di conquistare la mia libertà;

Ed il veleno perfido ho pregato Di soccorrer me vile. Ahimè, la spada

Ed il veleno, pieni di disprezzo, M’han detto: “Non sei degno che alla tua

Schiavitù maledetta ti si tolga, Imbecille! – una volta liberato Dal suo dominio, per i nostri sforzi,

tu faresti rivivere il cadaver del tuo vampiro, con i baci tuoi!”.

Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo La donna è il contrario del Dandy.

Dunque deve fare orrore.

La donna ha fame e vuole mangiare. Ha sete e vuole bere.

È in calore e vuole essere fottuta.

Bel merito!

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La donna è naturale, ossia abominevole.

Dunque è sempre volgare, vale a dire il contrario del Dandy.

James Joyce, L’Ulisse

«Quali particolari affinità gli sembrava esistessero tra la luna e la donna?

La sua antichità nel precedere e sopravvivere a successive generazioni telluriche: la sua dominazione notturna: la sua dipendenza di satellite: il suo riflesso luminare: la costanza in tutte le sue fasi, il sorgere, il tramontare al momento stabilito, luna cre- scente e calante; l’invariabilità forzata del suo aspetto: la sua risposta indeterminata all’interrogazione non affermativa: il suo influsso sul flusso e riflusso delle acque: il suo potere di far invaghire, di mortificare, di rivestire di bellezza, di rendere folli, di incitare e coadiuvare alla delinquenza: la tranquilla imperscrutabilità del suo volto:

la terribilità della sua isolata dominante implacabile risplendente vicinanza: i suoi auspici di tempesta e di bonaccia: lo stimolo della sua luce, del suo movimento e della sua presenza: l’ammonimento dei suoi crateri, i suoi mari aridi, il suo silenzio:

il suo splendore, quando visibile: la sua attrazione quando invisibile».

J.W. Goethe, Faust

Ciò che trapassa non è che un simbolo, l’irraggiungibile si compie qua

ciò che è ineffabile qui divien atto Eterno Femmineo qui ci trarrà.

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Muse moderne

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Donna Musa di Giuseppe Guarnieri

Come pittrice colori gli arcobaleni sbiaditi della mia vita come cuoca mescoli le spezie delle mie passioni come danzatrice allieti le folli corse della mia fantasia

come madre riaffermi con tenacia l’indissolubile mistero della vita

come sarcerdotessa rappresenti l’effigie della fede come amore riallacci i fili dorati della mia esistenza

confondendo le nostre anime

Fermati Amore di Eleonora Iaselli

Fermati amore fermati adesso sei ancora vivo e gaio

non andare avanti…

potresti perire

sotto la scure del tempo che scorre destino atroce per te

che sei nato invece per rimaner fanciullo.

E se proprio volessi ancora andare, testardo come sei, ricorda di tuffarti sempre nell’oceano dei sogni

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Mamme e regazzini di Alessandro Pieravanti

A ‘n certo punto nella vita le coppiette fanno a gara a avecce ‘n fijo, «se l’amiche mie ce l’hanno tutte, er regazzino lo vojo pure io».

Così mettono sotto ‘sti poveri mariti co’ l’incubo de procreà, «l’amica mia già fa baby shopping, damose n’po’ da fa’!».

Quanno nasce er regazzino ie danno un nome internazionale, perché all’appello er fijo loro deve pefforza risaltare.

Ma la cosa che me corpisce quanno giro pe ‘sta città, so’ ‘ste madri incattivite che nun fanno artro che strillà.

Se la prendono co’ rabbia co’ sti poveri gnometti, che piangono come disperati perché so’ ancora dei pupetti.

Artre invece camminano davanti bionde laccate dive dei condomini, e i bambini stanno dietro per mano a du’ bravi filippini.

Quarche giorno fa co’ tutto er gruppo aspettavamo de sonà e accanto a noi succe- de n’fatto che nun me posso più scordà.

‘Na madre urla contro er fijetto che la guardava triste senza capì er perché: «Sei l’unico regazzino che nun se perde, quarche vorta pèrdite pure te!».

Pe nun parlà de quei genitori che co’ i pupi arzano le mani, poi la domenica van- no in chiesa perché so’ tutti boni cristiani.

Me piagne er core a vedè ‘ste scene de strazio familiare e ogni vorta che succede vorei quasi intervenire.

Per dire a ‘ste mamme disgraziate co’ quer fesso der consorte: «Prima de mette ar monno un pupo, amica, pensatece du vorte!».

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Ringraziamenti

La Convivia ringrazia di tutto cuore le persone che hanno donato la loro passione e il loro entu- siasmo per creare questo nuovo evento sulla donna.

Alessandro Panella

consulente informatico e webmaster, perché si prende cura del sito con generosità;

Paolo Panella

Responsabile di produzione Altipiani/chief sound engineer presso Fattoria Sonora Recording Studio Roma, perché è sempre pronto all’aiuto e alla consulenza;

Benedetta Boggio

369gradi Centro diffusione cultura contemporanea, per l’impegno appassionato con cui racconta La Convivia al mondo circostante;

Lorenzo Letizia

per l’intelligenza della regia e la cura dei video e di tutti gli aspetti ideativi e tecnici degli incontri;

Ascanio Celestini ed Emanuele Trevi

che ci hanno fatto ridere e pensare con i loro sguardi ironici e intelligenti sull’universo femminile;

Sonia Bergamasco

perché ha risposto in modo immediato e ariosamente inventivo alla proposta di creare assieme un discorso poetico sulla donna;

Giovanni Santi, Giulia Valli e Pietro Pilla

perché hanno dato voce ai versi di poeti e scrittori che hanno cantato la donna Chiara Sambuchi

che ci ha regalato in antemprima esclusiva il suo viaggio attraverso la città delle donne;

Marina Inbellone, Marcella Falcetta, Margherita Mantini ed Emilio Bollea

che ci hanno permesso di trascorrere una domenica in un luogo eccezionale di Roma;

Cecilia Sabino

che rende più gustosa e bella la nostra domenica mattina;

Piero Badaloni

generoso costruttore di ponti, che ci ha fatto incontrare Chiara;

Giancarlo Barbati

chitarrista, perché continua a donarci la possibilità di ascoltare un’altra musica;

Enrico Mastroddi

commercialista, che custodisce i libri dei numeri e ci assicura la possibilità di crescere sempre più;

Denise Sainte Fare Garnot

per il suo prezioso e insostituibile aiuto quotidiano;

(65)

Marie-Charlotte Cadeau

che attraversa i confini fra le nazioni per raggiungerci e parlarci della donna;

Le Cardamomò

che hanno dato un respiro musicale al nostro incontro;

Laura Pigozzi

che ci ha offerto la sua voce per intendere qualcosa del godimento femminile;

Benedetta Capanna

che ha improvvisato la danza e ci ha fatto scoprire le sinuosità del corpo;

Janja Jerkov,

sempre pronta a tradurre una lingua nell’altra, un mondo nell’altro;

Annamaria Fanelli

per la sua presenza essenziale e unica, grazie alla quale ciascuno troverà il proprio posto;

Miriam Capaldo

per la cura amorevole con cui ha impaginato anche questo libro;

Mario Gualandri

che ci ha donato la sua arte scultorea;

Ilaria Di Biagio

che ha voluto esporre uno squarcio fotografico della sua fragilità;

Mario Coppola

che ha generosamente donato alla Convivia il suo talento artistico;

Fandango Incontro

che ci ha permesso di avere un luogo in cui esistere;

Giuseppe Guarnieri per il canto alla sua musa;

Eleonora Iaselli per il suo inno all’amore;

Alessandro Pieravanti

per la sua poesia in romanesco che demistifica con il suo consueto sarcasmo la figura della madre;

Alessio Aringoli e Editori Internazionali Riuniti perché hanno accolto l’invito a creare il nuovo…

… e poi

Paolo Portoghesi, Alessandra Porfidia, Luciano De Fiore, Cosimo Colasanto, Natalia Lombardo, An- narita Colafranceschi, Attilio Improta, Global Print, Lorenzo Di Stefano, Alessandro Sparatore, Ilana Bahbout, Ilaria Piperno, Roberta Arrigoni, Francesco De Filippo, Salvatore Malizia, Daniela Turi, Jacqueline Risset, Umberto Todini e i tanti amici presenti e assenti che hanno sognato assieme a noi di poter far esistere questo luogo e ci aiutano a proseguire.

(66)

PROSSIMI INCONTRI

20-21 aprile LA POLITICA

15-16 giugno

con Charles Melman, Marc Morali,JAZZ Massimo Sgroi e Fausto Mesolella (Avion Travel)

ottobre SESSUALITÀ

dicembre IL RISO

gennaio 2014 IL CORPO con Alessandra Ferri

(67)

ISCRIZIONI

€ 25,00 (per un week-end);

€ 12,50 (per un singolo giorno);

€ 100.00 (per l’intero anno 2013, rateizzabili in due soluzioni da € 50.00: I rata entro il 12/01/2013; II rata entro l’11/05/2013).

Gli studenti e i disoccupati hanno diritto a uno sconto del 50%.

INFORMAZIONI Cristina Guarnieri cristina.guarni@gmail.com

Benedetta Boggio 333-2062996

info@laconvivia.eu oppure press@laconvivia.eu

www.laconvivia.eu

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