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Conformità catastale: quando si può annullare il contratto?

20 Marzo 2021 | Autore: Consulenze

Nel 2010, ho acquistato appartamento fuori città. La trascrizione dell’Atto è stata registrata da un notaio. Nel 2018, mi sono trasferita all’estero mettendo in vendita l’appartamento. L’Agenzia Immobiliare a cui avevo dato il mandato, facendo gli opportuni accertamenti, rileva irregolarità nella planimetria. Scopro che lo stato catastale

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dell’Immobile non è aggiornato né conforme allo stato di fatto. Posso chiedere l’annullamento della compravendita?

La regolarità o conformità catastale di un immobile è la corrispondenza tra lo stato di fatto (cioè di come è effettivamente disposto l’immobile) ed i dati catastali (che non sono solo le planimetrie del catasto, ma anche tutti gli altri dati che si trovano presso l’Agenzia del Territorio).

A partire dal primo luglio 2010, grazie al D.L. 78/2010 (Decreto legge n. 78 del 2010, articolo 19, comma 14, come convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122), è nullo l’atto di compravendita se non c’è conformità tra planimetrie e dati contenuti nell’atto e quanto registrato/depositato in catasto. Il decreto infatti prevede che quanto contenuto nell’atto notarile sia conforme a quanto presente nei registri del catasto urbano, pena la nullità dell’atto stesso.

Così testualmente la norma: «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».

In pratica, dal primo luglio 2010 è entrata in vigore la norma che impone la verifica della regolarità catastale dei fabbricati prima del rogito.

Gli atti catastali devono contenere quindi, oltre ai riferimenti catastali e le planimetrie dei fabbricati (già presenti all’interno degli atti), anche la dichiarazione resa dagli intestatari degli immobili che quanto presente sulle planimetrie allegate è conforme con quanto depositato in Catasto. Conformità questa che deve essere controllata anche dai notai.

Il notaio, dopo aver indicato nell’atto i riferimenti catastali, fatto riferimento che le

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planimetrie sono state depositate al catasto e controllato che sia presente nell’atto la dichiarazione di conformità, non deve preoccuparsi di verificare la veridicità della dichiarazione fatta dai venditori; è invece responsabile solo nel caso in cui vi sia difformità tra la descrizione dell’immobile o unità immobiliare nell’atto di compravendita e la planimetria acquisita.

Il notaio deve verificare che esista in catasto una planimetria che rappresenta l’immobile, dunque il venditore gli deve consegnare la copia recente della planimetria ufficiale, quella rilasciata dall’Agenzia del territorio e corrispondente all’originale depositato in catasto. Non basta, dunque, una planimetria qualsiasi, redatta dal tecnico, ma deve risultare che si tratta di quella depositata in catasto.

La mancanza di queste dichiarazioni determina la nullità dell’atto, e dunque l’invalidità della compravendita o dell’atto relativo all’immobile (art. 29, comma 1- bis, della legge 27 febbraio 1985 n. 52, introdotto dall’art. 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come risultante dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122).

Dal primo luglio 2010, dunque, non è più possibile vendere un fabbricato se non è regolarmente dichiarato in catasto, ma neppure se l’intestazione catastale non corrisponde alla realtà, se la planimetria depositata in catasto non raffigura esattamente lo stato di fatto dell’immobile, o se gli altri dati caratteristici dell’immobile (consistenza, categoria, classe e rendita catastale) non sono aggiornati.

L’Agenzia del Territorio (Circolare n. 2 del 9 luglio 2010) ha peraltro precisato che quando la planimetria catastale non riproduce fedelmente la situazione attuale dell’immobile, l’intestatario deve presentare, prima del rogito, una denuncia di variazione, allegando la planimetria aggiornata. Questo sia che si tratti di una difformità originaria, cioè dovuta a un’errata rappresentazione nella planimetria depositata in precedenza, sia che derivi da modifiche eseguite successivamente, e non comunicate al catasto. L’Agenzia del Territorio ha chiarito però che non assumono rilievo le variazioni di toponomastica (il nome delle vie e i numeri civici), i nomi dei confinanti e ogni altro elemento che non influisce sulla corretta determinazione della rendita.

Le regole introdotte nel 2010 fanno riferimento a tutti i fabbricati già esistenti e alle unità immobiliari urbane. L’Agenzia del Territorio (Circolare n. 2 del 9 luglio

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2010) ha chiarito che si intendono dunque esclusi dalla nuova normativa:

le particelle censite al catasto terreni;

le aree urbane e il lastrici solari, iscritti al catasto fabbricati con indicazione della sola superficie (ai sensi dell’art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.

650);

i fabbricati iscritti in catasto come “in corso di costruzione” o “in corso di definizione”, sempre che non siano ancora stati ultimati o definiti;

i fabbricati iscritti in catasto come “unità collabenti”, in quanto non più abitabili o utilizzabili per l’uso a cui sono destinati;

i fabbricati rurali, censiti al catasto terreni, che non abbiano subito variazioni, né perso i requisiti oggettivi e soggettivi per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali.

Orbene, se l’immobile acquistato era, all’epoca della vendita, regolarmente censito al catasto terreni come fabbricato rurale ed era effettivamente tale, la norma sulla nullità in caso di difformità catastale non si applica. Da quanto esposto nel quesito, però, sembra di comprendere che l’immobile avesse le sembianze di una normale abitazione e che solo successivamente si è scoperto che esso era censito come fabbricato rurale. Se è così, allora valgono le regole sinora esposte.

Alla luce di quanto detto sinora, se l’acquisto dell’immobile è avvenuto nel 2010 dopo l’entrata in vigore (primo luglio) della normativa sopra citata, l’atto di compravendita è radicalmente nullo. Poiché la nullità è una forma di invalidità più grave dell’annullabilità, essa può essere fatta valere in qualsiasi momento e comporta la cancellazione totale dell’atto, con restituzione reciproca di quanto è stato dato in ossequio allo stesso.

Secondo la Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. II, sentenza 03/06/2016 n° 11507), l’omissione della dichiarazione di conformità allo stato di fatto della planimetria dell’immobile e dei dati catastali determina la nullità assoluta dell’atto perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone altresì la responsabilità disciplinare del notaio.

Occorre precisare che nel 2017 (legge n. 96) è entrata in vigore una norma che consente di confermare l’atto di compravendita nullo per vizio di difformità catastale (o meglio, per omissione della conformità catastale), sanando così eccezionalmente la sua nullità, mediante successivo atto avente la stessa forma

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(quindi, scrittura privata autenticata o atto pubblico) con cui si rimedia all’omissione. Non sembra però che questa circostanza ricorra nel caso esposto.

Nel caso in cui l’acquisto sia stato fatto prima dell’entrata in vigore della norma che prevede la nullità in caso di difformità catastale (e cioè, prima del 1° luglio 2010), allora l’atto non può essere sanzionato con la nullità. In questo caso, dovrà essere il compratore a dimostrare di essere stato ingannato oppure che egli sia caduto in errore determinante. Secondo il codice civile, il dolo (cioè, l’inganno) è causa di annullamento del contratto solo quando i raggiri usati dalla controparte siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato (art. 1439 cod. civ.). Se, invece, i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse, ma il contraente in mala fede risponde dei danni (dolo incidente – art.

1440 cod. civ.).

Per annullare il contratto pel dolo si dovrebbero dimostrare gli inganni del venditore, i quali possono essere consistiti, ad esempio, nell’aver presentato planimetrie false. Il dolo può provenire anche da terzi, come ad esempio dal tecnico che ha seguito la pratica e che ha volontariamente ingannato l’acquirente:

secondo la legge, quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439 cod. civ.).

Per quanto concerne l’errore come causa di annullabilità, esso è giuridicamente rilevante solo se è essenziale e riconoscibile dall’altro contraente (art. 1428 cod.

civ.).

Per legge (art. 1429 cod. civ.), l’errore è essenziale quando:

cade sulla natura o sull’oggetto del contratto;

cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso;

cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso;

trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto.

L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle

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circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo (art. 1431 cod. civ.).

Nel caso dell’acquirente di un immobile, è difficile cadere in errore sull’oggetto della compravendita atteso che l’immobile sarà stato sicuramente visionato. In altre parole, si era a conoscenza di ciò che si acquistava, anche se non si aveva contezza della registrazione al catasto.

Sommessamente, lo scrivente ritiene che possa esserci dolo rilevante solamente se si dimostrano, concretamente, i raggiri adoperati dal venditore o da terzi. Una menzogna sarebbe insufficiente. Peraltro, nel caso di dolo incidente, cioè di dolo che non è stato determinante nella conclusione dell’atto ma che, se non ci fosse stato, sarebbe stato concluso a condizioni migliori, è possibile comunque chiedere il risarcimento dei danni.

Si ricordi, infine, che l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni che decorrono dal giorno in cui è stato scoperto l’errore o il dolo.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva

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